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CARCERI FUORI CONTROLLO: SUICIDI, OMICIDI ED EVASIONI

Dicembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

SINDACATI; “E’ UN FALLIMENTO DELLO STATO, DELMASTRO SI DIMETTA”… SOVRAFFOLLAMENTO AL 140%

Dal 2022 al 2025 319 persone si sono tolte la vita in cella. Chi utilizzando le lenzuola per impiccarsi, chi i lacci delle scarpe, chi invece inalando gas dai fornelletti per cucinare. Numeri che raccontano storie di disperazione, di chi, dietro le sbarre, non ha intravisto nessun riscatto, nessun futuro, ma solo abbandono.
Il 2024 è stato l’anno di un record che non si dovrebbe mai raggiungere: 91 detenuti che si sono suicidati in carcere. Un dato che allarma chi lavora tra le mura degli istituti penitenziari come Aldo di Giacomo, segretario generale di Spp, sindacato polizia penitenziaria: “La situazione è gravissima, ma la politica fa finta di niente e nessuno risponde di questo fallimento”
Chi lavora in carcere descrive una situazione fuori controllo: “Ci sono stati degli omicidi, capisce? Tre omicidi. Detenuti ammazzati da altri detenuti mentre erano affidati alla custodia dello Stato”. Di Giacomo attacca: “Per trovare un dato simile bisogna tornare indietro agli anni ottanta”.
E proprio una settimana fa è morto Francesco Valeriano, quarantacinquenne finito in coma per sei mesi dopo un pestaggio avvenuto nel carcere di Rebibbia, a Roma
Allarme poi per quanto riguarda le evasioni: “Mai così tante”. Undici tra il 2021 e il 2022, una sessantina tra il 2023 e il 2024. E qualche giorno fa, Kham Nasir, trentunenne pakistano, è scappato dal carcere di Trieste nonostante le “rigorosissime misure per impedirgli di evadere” imposte dal direttore della struttura. Dai primi accertamenti pare che si sia nascosto sotto un telone nel cortile durante l’ora d’aria, abbia atteso il momento giusto e scavalcato il muro di cinta.
I problemi delle carceri italiane sono tanti e intrecciati tra loro. E a patirne sono sempre i detenuti più fragili.
Si parte dal sovraffollamento che, secondo i dati del ministero della Giustizia, si aggira intorno al 140%, con picchi, in alcune realtà, che arrivano al 400%. E se per il Guardasigilli Carlo Nordio “è un meccanismo di controllo ed evita i suicidi in carcere”, i dati raccontano una realtà fragile: settantasette i detenuti che si sono tolti la vita in cella da inizio anno sino ad oggi. A Verona Montorio, nelle scorse settimane, un detenuto, accusato di maltrattamenti in famiglia a cui il Tribunale del Riesame aveva rigettato la richiesta di rilascio, si è impiccato con le lenzuola.
Poi l’aumento delle violenze sessuali e i detenuti di spicco che dai penitenziari continuano a gestire lo spaccio di droga e si fanno regia delle rivolte. E un aspetto finito sotto la lente della Direzione Antimafia sono proprio gli ordini e i traffici vengono controllati da dietro le sbarre. Come nel carcere di Poggioreale, dove la polizia penitenziaria ha trovato un chilo di sostanza stupefacente e diversi cellulari. “Ormai la comunicazione tra l’interno e l’esterno e la gestione avviene internamente, il numero dei telefoni sequestrati sta aumentando di anno in anno”, commenta Di Giacomo prima di snocciolare i numeri: 200 nel 2021, 3800 nel 2025.
Problemi che mettono alla prova i rapporti col ministero e isindacato che arriva addirittura a chiedere le dimissioni del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro. “Nelle carceri italiane – dicono – non c’è più dignità, sia quella di noi agenti che quella dei detenuti. È giusto che qualcuno risponda di questo fallimento”.
C’è poi la questione del personale, sempre sotto organico. E le sette mila assunzioni del ministero? “Non hanno funzionato – spiega Di Giacomo – Hanno forse compensato il turnover dei pensionamenti. Dopodiché di questi settemila, 780 giovani si sono dimessi durante il corso o nei primi tre mesi di lavoro. Il risultato è che se prima c’erano 37842 agenti, ora sono 36710”.
In solo un anno quattromila uomini sono stati feriti durante aggressioni o rivolte. “Ormai le carceri sono terra di nessuno, ma qualcuno deve rispondere e il sottosegretario deve dimettersi,
ribadisce Di Giacomo. Così non si negherà più il problema e si potrà ridare dignità al nostro sistema penitenziario che è già considerato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, il peggiore d’Europa”.
(da fanpage)

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CHI ERA FANIL SARVAROV, IL GENERALE RUSSO GIUSTIZIATO IN UN’ATTENTATO A MOSCA

Dicembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

ERA IL RESPONSABILE DELL’ADDESTRAMENTO DELL’ESERCITO

Fanil Sarvarov, il generale ucciso in un attentato con autobomba a Mosca, era una delle figure chiave dell’apparato militare russo impegnato nella guerra contro l’Ucraina. Tenente generale e capo della direzione per l’addestramento operativo dello Stato maggiore delle forze armate, Sarvarov è morto dopo che un ordigno è detonato sotto la sua auto mentre percorreva una strada della capitale russa. Per le autorità si tratterebbe con ogni probabilità di un assassinio mirato condotto facendo brillare esplosivo equivalente a 300 grammi di tritolo; secondo il Comitato investigativo russo, Sarvarov è deceduto in seguito alle ferite riportate nell’esplosione. Gli investigatori stanno seguendo diverse piste, tra cui quella di un’operazione orchestrata dai servizi di intelligence ucraini. Kiev, al momento, non ha rivendicato l’attacco.
Un generale cresciuto nelle guerre post-sovietiche
La carriera di Sarvarov si è sviluppata lungo l’intero arco dei conflitti combattuti da Mosca dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Aveva preso parte a entrambe le guerre in Cecenia, un passaggio quasi obbligato per molti ufficiali che avrebbero poi occupato posizioni di vertice nelle forze armate russe. Quelle campagne ne avevano consolidato il profilo di comandante esperto in contesti di guerra asimmetrica e operazioni di controinsurrezione.
Negli anni successivi, Sarvarov aveva contribuito anche alla pianificazione dell’intervento militare russo in Siria tra il 2015 e il 2016, un’operazione che per il Cremlino ha rappresentato il
ritorno sulla scena militare globale e un banco di prova per nuove dottrine e armamenti.
Il ruolo di Sarvarov nella guerra in Ucraina
Allo scoppio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina, Sarvarov ricopriva un incarico centrale: supervisionava l’addestramento al combattimento e la prontezza operativa delle forze armate russe. In pratica, era responsabile di preparare uomini e unità destinate al fronte, in una guerra che ha messo a dura prova l’organizzazione militare di Mosca.
Il suo nome non era particolarmente noto al grande pubblico, ma all’interno dell’apparato militare era considerato un ufficiale di peso, con accesso diretto ai vertici dello Stato maggiore e un ruolo chiave nella gestione delle risorse umane dell’esercito.L’attentato e le reazioni
L’esplosione è avvenuta nelle prime ore del mattino mentre l’auto di Sarvarov percorreva una strada di Mosca. Il Cremlino non ha rilasciato immediatamente un commento ufficiale, ma da ambienti politici e militari sono arrivate richieste di una risposta dura. Alcuni deputati hanno invocato una rappresaglia senza compromessi contro i responsabili, parlando apertamente di “metodi antiterrorismo”.
L’uccisione di Sarvarov si inserisce in una più ampia serie di operazioni che, dall’inizio della guerra, hanno colpito ufficiali russi e funzionari installati da Mosca. Kiev, che ribadiamo non ha rivendicato l’attentato, accusa queste figure di essere coinvolte in crimini di guerra e, in alcuni casi, ha ammesso apertamente attacchi mirati, come quello che lo scorso anno ha ucciso il generale Igor Kirillov.

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SCUOLA, IL CONSIGLIO D’EUROPA BOCCIA L’ITALIA: “VIOLA I DIRITTI DEGLI INSEGNATI DI SOSTEGNO”

Dicembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

“ANCORA TROPPA PRECARIETA’ E NON SONO GARANTITI I DIRITTI DEGLI ALUNNI CON DISABILITA’”

«L’Italia viola il diritto degli insegnanti di sostegno a guadagnarsi la vita con un lavoro liberamente intrapreso perché un’elevata percentuale è assunta con contratti precari e il 30% non ha potuto seguire la formazione necessaria per fare questo lavoro». Lo ha stabilito, all’unanimità, il comitato europeo dei diritti sociale, l’organo del Consiglio d’Europa, giudicando il ricorso che l’Associazione Professionale e Sindacale (Anief) ha presentato contro l’Italia nel 2021.
Il diritto (violato) a un’istruzione inclusiva degli alunni con disabilità
Contemporaneamente il comitato, che evidenzia di aver esaminato la situazione fino al 19 marzo 2025, è giunto unanimemente alla conclusione che nel Paese è violato anche «il diritto a un’istruzione inclusiva degli alunni con disabilità» perché questa «è ostacolata a causa della persistente precarietà degli insegnanti di sostegno e dalla mancanza di formazione di uno su tre». Nella decisione il comitato europeo dei diritti sociali evidenzia che «il governo riconosce che un gran numero di insegnanti di sostegno ha un impiego precario», ma che da Roma si «sottolinea che il ricorso a contratti a tempo determinato nel settore dell’istruzione in generale, e nel campo del sostegno in particolare, è in parte inevitabile, data la difficoltà di prevedere in anticipo le esigenze specifiche a causa di numerose variabili quali il numero di alunni con disabilità e bisogni speciali che arrivano e lasciano la scuola, le richieste di trasferimento degli insegnanti, i congedi per malattia, i pensionamenti».
La replica al governo
Il governo, scrive il comitato, «respinge pertanto con forza l’argomentazione secondo cui vi sarebbe una discrepanza tra il numero di posti assegnati e le esigenze effettive». Nelle sue
conclusioni il comitato europeo dei diritti sociali indica che la situazione è migliorata sotto diversi profili, anche quello legislativo, da quando l’Anief ha presentato il ricorso nel 2021. Strasburgo evidenzia che i dati a sua disposizione «dimostrano un impegno significativo da parte del governo nel soddisfare la richiesta di sostegno per un numero crescente di alunni con disabilità». Per quanto rigauarda, invece, la procedura di assuzione straordinaria istituita per l’anno scolastico 2024/2025 per contribuire a ridurre la precarietà dell’occupazione degli insegnanti di sostegno, il comitato scrive di essere a conoscenza ma, aggiunge, che siccome «non è stata ancora pienamente attuata non ha modo di valutarne l’impatto».
I dati
Facendo riferimento ai dati dell’Istat e quelli forniti dal governo, il comitato scrive che dall’anno scolastico 2010/2011 a quello 2022/2023 gli alunni con disabilità sono aumentati del 243%, passando da 139mila a 338mila, e il numero degli insegnanti di sostegno è cresciuto del 248%, aumentando da 94.430 a 234.460. «Tuttavia – osserva ancora il comitato – questo aumento degli insegnanti di sostegno è in gran parte dovuto a un forte incremento dei contratti a tempo determinato, passati dal 4,19% nel 2010/2011 al 46,18% nel 2023/2024».
(da agenzie)

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LANDINI E LA NORMA CHE TAGLIA GLI ARRETRATI AI LAVORATORI CON PAGA TROPPO BASSA: “E’ INCOSTITUZIONALE”

Dicembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

“IL GOVERNO TAGLIA SUI DEBOLI E STA DALLA PARTE DEI FORTI”

Secondo Maurizio Landini con la nuova legge di bilancio il governo taglia sui deboli e sta dalla parte dei forti. Per questo «penalizza lavoratori precoci e usuranti per spostare risorse anche a quelle imprese che non rispettano i contratti e risparmiano sulla sicurezza». E manda il segnale che si può anche morire di lavoro. In un’intervista a Repubblica il
segretario della Cgil parla di declino e recessione: «È una manovra contro lavoratori e pensionati. Lo dimostra anche il ripristino dell’emendamento Pogliese, già bocciato a luglio e spuntato all’ultimo in legge di bilancio. L’ennesima cattiveria contro i lavoratori che perdono il diritto agli arretrati quando un giudice stabilisce che la loro retribuzione è troppo bassa. Una norma che non c’entra nulla con la finanziaria, ha un profilo di incostituzionalità e di cui chiediamo il ritiro immediato».
La Cgil e la manovra
Sul silenzio-assenso ai fondi pensione per i giovani al primo impiego Landini dice: «Il problema dei giovani è la precarietà senza fine. Quando sei precario spesso non arrivi neanche alla pensione integrativa. Prima servono salari dignitosi e lavoro stabile. E resta una questione enorme: come e dove vengono investiti dai fondi i soldi dei lavoratori e delle imprese? Oggi finiscono spesso fuori dal Paese, invece dovrebbero essere messi al servizio della crescita». Mentre sulle pensioni «si fa solo cassa. E si punta a favorire la privatizzazione del sistema previdenziale, come pure di quello sanitario. Quando ai giovani serve una pensione di garanzia. E va riconosciuto che l’aspettativa di vita non è uguale per tutti. Invece si va verso un’uscita a 70 anni o con 45 di contributi. Sono riusciti persino a peggiorare la legge Fornero».
Incentivi alle imprese e meno tasse sul lavoro
Secondo Landini gli incentivi alle imprese e i taglia lle tasse sul lavoro sono propaganda: «I salari non permettono di arrivare a fine mese e la tassazione su lavoratori e pensionati aumenta. Gli investimenti pubblici calano, il Pnrr finisce l’anno prossimo e
molte risorse non sono state spese. Giovani e donne restano ai margini». Mentre «la detassazione dei rinnovi è parziale e vale persino per i contratti pirata. Intanto si taglia su sanità, casa, istruzione, Comuni e Regioni. E non si rispettano gli impegni su salute e sicurezza, mentre in questo Paese si continua a morire sul lavoro».
Scioperi e crisi
E conclude: «Un governo che agisce contro i lavoratori e usa i pensionati per fare cassa da girare a imprese, armi e per far quadrare i conti non può che rafforzare le nostre ragioni». Mentre na crisi di governo, come quella sfiorata in Senato, farebbe bene al Paese: «È questo governo che fa male al Paese. Per loro viene prima e solo la difesa del potere. E intanto: povertà in aumento, produzione industriale in calo da tre anni, 25 miliardi di tasse in più pagate da lavoratori e pensionati, mentre si tutelano rendite e grandi patrimoni».
(da Open)

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SPACEX: COSI’ L’ESPLOSIONE DI UN RAZZO DI ELON MUSK HA MESSO IN PERICOLO 450 PERSONE

Dicembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

COSTRETTI A DEVIARE LA ROTTA TRE AEREI DI LINEA, UN “RISCHIO ESTREMO POTENZIALE” PER LA SICUREZZA AEREA

L’esplosione di un razzo SpaceX lo scorso 16 gennaio ha messo a rischio almeno 450 passeggeri su tre voli civili nei cieli dei Caraibi. A scriverlo è il Wall Street Journal, che cita documenti interni della Faa, l’amministrazione federale per l’aviazione. Secondo la ricostruzione l’esplosione del razzo Starship ha disperso detriti infuocati nello spazio aereo dei Caraibi per circa 50 minuti. Tre aerei – due voli di linea e un jet privato – si sono
trovati costretti a volare all’interno di una zona temporaneamente interdetta al traffico aereo. Oppure a correre il rischio di rimanere a secco di carburante mentre sorvolavano l’oceano.
Il rischio
Tra questi, un volo JetBlue diretto a San Juan, un aereo Iberia e un jet privato. In totale circa 450 persone a bordo. Tutti i velivoli sono atterrati senza incidenti. Ma la Faa ha riconosciuto che l’episodio ha rappresentato un «rischio estremo potenziale» per la sicurezza aerea, con i controllori di volo costretti a improvvisare deviazioni e manovre d’emergenza. Perché, secondo i documenti, SpaceX non avrebbe informato immediatamente l’autorità di regolazione dei cieli dell’esplosione, usando la linea di comunicazione d’emergenza. Anzi: i primi segnali dell’incidente sono arrivati direttamente dai piloti, che segnalavano «detriti e intense fiamme» visibili in volo. Il report critica anche la gestione delle «debris response areas», le zone di interdizione create per evitare che gli aerei attraversino aree a rischio.
Dopo l’incidente
Dopo l’incidente, la Faa ha avviato una revisione interna sui rischi legati ai detriti spaziali. Ma secondo il Wall Street Journal l’analisi è stata sospesa nell’agosto successivo, una decisione definita “inusuale” da fonti interne all’agenzia. La Faa ha spiegato che molte delle raccomandazioni di sicurezza erano già in fase di attuazione. E che eventuali nuove misure verranno adottate se necessario. SpaceX, guidata da Elon Musk, ha respinto le conclusioni dell’inchiesta, sostenendo che «nessun
aereo è stato messo in pericolo». E ribadendo che la sicurezza pubblica resta una prioritàassoluta. Ma il caso solleva interrogativi più ampi sul futuro della convivenza tra traffico aereo commerciale e il rapido aumento dei lanci spaziali.
L’accelerazione
Secondo le previsioni Faa, si passerà da una media di poche decine di operazioni annue a 200-400 lanci o rientri all’anno nei prossimi anni. Un’accelerazione che, avverte il Wall Street Journal, rischia di trasformare incidenti come quello di gennaio da eccezioni a problemi strutturali per la sicurezza dei cieli. «Successo incerto, divertimento assicurato», aveva detto Musk dopo l’esplosione di gennaio.
(da agenzie)

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CELODURISMO, ARMI E MAGA: ECCO PERCHE’ ADESSO IL GOVERNO RISCHIA IL VIETNAM

Dicembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

LA LEGA HA MANI LIBERE, L’UCRAINA E TRUMP POSSONO SPACCARE LA MAGGIORANZA

Conta il risultato, dice Giancarlo Giorgetti, ed è il mantra che da tre anni la maggioranza ripete ogni volta che si segnalano divergenze interne. Conta il risultato, conta il voto finale, e alla fin fine sull’Ucraina, sulla manovra, su tutto, la Lega ha sempre votato con gli altri e Forza Italia pure. Molto rumore per nulla, scrivono i quotidiani d’area, tempesta in un bicchier d’acqua dicono i portavoce in coro. Tempi rispettati, corsa di fine anno come al solito, è sempre successo così. E tuttavia è proprio l’eccesso di rassicurazioni ad amplificare le sirene d’allarme che
suonano da settimane. In sintesi: un 2026 a rischio Vietnam per il centrodestra.
Perché il 2026 è anno pre-elettorale, e nella prospettiva di una riforma proporzionale ciascuno dovrà mostrare i muscoli al suo elettorato. Perché Matteo Salvini non avrà un Ponte da magnificare nelle slide, e vai a vedere che pure sul Pnrr ferroviario non prenda una batosta, e dunque qualcosa dovrà inventarsi per muovere il consenso. Perché Antonio Tajani è stato più volte chiamato a una prova di protagonismo e autonomia dalla famiglia Berlusconi, e non potrà più fare finta di niente. Perché la stessa Giorgia Meloni si gioca tutto e il “non sono ricattabile” con cui ha inaugurato il suo premierato dovrà essere confermato, anche a spese degli junior partner in cerca di rimonta.
Ci sono almeno tre controprove della frana del patto di responsabilità che ha tenuto in asse la maggioranza per 36 lunghissimi mesi.
La prima è il trucco da Prima Repubblica con cui la Lega si è aggiudicata una facile vittoria sul tema pensioni: ha mandato avanti un emendamento che non condivideva, ha lasciato che il Mef lo mettesse nero su bianco con la controfirma di Giorgetti, poi appena si sono accesi i riflettori ha fatto saltare il banco. Poteva mettersi di traverso prima, bloccare tutto fin dall’inizio, ma non avrebbe raccolto il risultato a cui puntava: riqualificarsi come paladina dei diritti dei pensionandi, la forza coraggiosa che minacciando la crisi (ma figuriamoci!) è riuscita a rimettere in riga il governo. Il solo aver costretto Giorgia Meloni alle forche caudine di un vertice notturno, giovedì scorso, dopo il tour de
force a Bruxelles su Ucraina e beni russi congelati, è già un successo dal punto di vista di Matteo Salvini: la prova generale di quel che potrà dire, fare, combinare nell’anno “delle mani libere” che si sta per aprire.
Il secondo riscontro alla prospettiva Vietnam è l’aperto conflitto esploso sul decreto Ucraina. Che esistessero convinzioni differenti lo si sapeva da un pezzo, ma mai era successo che idee diametralmente opposte sul ruolo dell’Italia fossero portate in pubblico attraverso interviste e dichiarazioni in dissenso. “Serve discontinuità”, dice apertis verbis Claudio Borghi, il miles gloriosus che Salvini manda avanti quando vuole dare segnali. E dunque aiuti civili e “strumentazioni solo difensive a differenza di quanto avvenuto finora”. Servono “anche armi” controbatte Antonio Tajani parlando con La Stampa, e così anche il compromesso immaginato – un contorto paragrafo che possa essere liberamente interpretato un minuto dopo il voto – diventa banco di prova: misurerà la capacità di interdizione della Lega e il potere effettivo del suo leader. Vale la pena ricordare che fin dal suo debutto nel 2022 il governo di centrodestra ha presentato l’invio di armi all’Ucraina come ovvio atto di coerenza rispetto alle linee di politica estera del Paese. “I vari governi che si susseguono – disse Guido Crosetto al suo esordio come ministro della Difesa – implementano le scelte ed onorano gli impegni che i governi precedenti hanno sottoscritto”. Dunque la discontinuità invocata dalla Lega, comunque si manifesti nel testo del decreto, non sarebbe cosa da poco: segnalerebbe il cambio di una storica e pluri-confermata posizione della Repubblica italiana.
Il terzo segnale è esterno. È nell’escalation degli attacchi russi alle istituzioni italiane. È negli spifferi americani che indicano l’Italia come uno dei Paesi su cui puntare per infrangere l’unità europea in nome della dottrina Maga. Indicano sollecitazioni alla nostra politica, ai nostri partiti, ai loro uomini e alle loro donne, e dunque nuovi terreni di scontro poco decifrabili ma concreti e densi di conseguenze. Nel 2026 anche questo potrà rivelarsi detonatore di guerriglie finora tenute a bada dai compromessi in cui la maggioranza è specialista: dire Vietnam magari è esagerato, ma la navigazione senza scosse degli ultimi tre anni è già adesso un ricordo, difficilmente potrà essere ripresa.
(da La Stampa)

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LA NUOVA BESTIA DI MELONI, ECCO CHI SONO I SUOI AGIT-PROP

Dicembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

A PALAZZO CHIGI GIORDANO SOTTOSANTI CURA IL SOCIAL X AFFIANCATO DA ALBERTO DANESE… IL GRUPPO ATREJU CONTA SU DI BENEDETTO

Una cinghia di trasmissione che parte da palazzo Chigi e arriva fino a via della Scrofa. Dall’ideologo della comunicazione digitale di Giorgia Meloni, Tommaso Longobardi, all’inventrice dello stile-Atreju, Marina Improta, c’è una pattuglia di comunicatori trentenni-quarantenni, talvolta con una formazione alla Luiss, senza saluti romani o post nostalgici. Ma con una forma di venerazione verso Meloni.
Lo snodo decisivo è alla Camera, cuore pulsante della Fiamma di comunicazione che arde intorno a Meloni, mandando in pensione la Bestia di Matteo Salvini: negli uffici del gruppo c’è la mini-war room, si assumono alcune delle scelte decisive.
Un mix che intreccia varie community, interconnesse tra loro per macinare follower ed engagement: ci sono i profili ufficiali di Fratelli d’Italia e della sua leader, ma soprattutto le pagine unofficial, altrettanto cruciali nella propaganda meloniana.
Pagine meloniane
Su tutte spiccano Atreju e Poveri comunisti, quest’ultima gestita da Alberto Di Benedetto, il responsabile dei social di FdI, che – come raccontato da Domani – ha anche pensato a un business sullo slogan «siete dei poveri comunisti», creando il sodalizio
con la Italica solution, società dell’ex dirigente di Forza Nuova, Martin Avaro.
Alle varie pagine si è aggiunta da qualche tempo Giorgia 2027, la piattaforma social per la ricandidatura della presidente del Consiglio, benedetta da Longobardi, l’uomo che dal 2018 sovrintende ogni post e qualsiasi iniziativa riconducibile a Meloni. Ed è lui che declina la strategia politico-comunicativa dettata dal sottosegretario alla presidenza, Giovanbattista Fazzolari. Il focus specifico è su Instagram, là dove si mietono più follower, secondo il Longobardi-pensiero. La strategia è la solita, passiva-aggressiva: idolatria per la leader, individuazione dei bersagli nemici. E una dose di vittimismo.
Longobardi è a capo di una filiera ben oliata, concentrata sull’attuale presidente del Consiglio. Una delle emanazioni di Longobardi a palazzo Chigi è Giordano Sottosanti, 40 anni, il Mr. X di Meloni: cura infatti solo l’ex Twitter ribattezzato X da Elon Musk. Sottosanti è al fianco di Meloni già prima dell’era-Longobardi. Nel 2013 è stato reclutato dalla leader di Fratelli d’Italia per dare una mano sulla comunicazione, incrociando nelle sue esperienze anche l’eurodeputato Carlo Fidanza e l’attuale deputato Mauro Rotelli, che dicono un gran bene di lui.
Il salto di qualità nella carriera è comunque arrivato con l’approdo alla corte di Longobardi e al conseguente incarico di supporto alla premier. L’altro uomo social della premier è Alberto Danese, 36 anni. Segue Meloni nei vari viaggi ufficiali, dagli Stati Uniti alla Turchia, non disdegnando un pizzico di vanità. Sul suo profilo spiccano le foto fatte con il campione di tennis, Jannik Sinner, e con l’imprenditore Musk. Nel curriculum
di Danese c’è anche qualche articolo firmato per la Voce del Patriota, l’house organ del partito di Meloni.
Gruppo Atreju
Non c’è solo il team-Longobardi, con il binomio Sottosanti-Danese che traducono la strategia del guru meloniano. Ci sono anche e soprattutto “i ragazzi” della comunicazione, come li definiscono benevolmente nel partito. Si tratta del gruppo-Atreju, che ha plasmato le pagine social della festa di partito. La leader riconosciuta è Marina Improta. I colleghi le riconoscono il ruolo di grande protagonista della rivitalizzazione dei social di Atreju, qualcuno la etichetta come la Longobardi del futuro.
«La comunicazione di Atreju ha iniziato a prendere la forma tre anni fa», ha ammesso Improta, in un colloquio con il Giornale. La giovane esperta si autopromuove, definendo lo stile «irriverente e tagliente» e mettendo da parte l’approccio aggressivo verso gli avversari con la compilazione di liste di proscrizione, da Roberto Saviano a Maurizio Landini, fino alla new entry Francesca Albanese.
Laurea alla Luiss, dopo l’esperienza con l’agenzia Bepop, Improta ha anche fatto parte dello staff per la campagna elettorale del 2021 di Gaetano Manfredi per l’elezione a sindaco di Napoli, dimostrando una capacità di adattamento alle esigenze. Terminata quell’esperienza, la folgorazione per la fiamma: ha iniziato a lavorare per Fratelli d’Italia grazie a un contratto alla Camera.
Al suo fianco c’è Di Benedetto, 37 anni, che nel concreto declina la linea social, comunque in stretta collaborazione con Improta. Il feeling maggiore lo ha tuttavia cementato con il suo
corregionale (sono entrambi siciliani) Sottosanti: i due lavorano insieme fin dal 2019, quando Di Benedetto è approdato negli uffici di Montecitorio di FdI.
Dietro molti post di Meloni c’è la sua firma, oltre che dell’immancabile Longobardi. Per molti, però, Di Benedetto è soprattutto la manina che muove la community “Siete dei poveri comunisti”, utile allo storytelling meloniano più dei profili ufficiali.
L’altro giovane rampante è il pugliese Marco Gaetani, speaker di Radio Atreju, laureato (alla Luiss) con una tesi sulla comunicazione nella campagna elettorale di Donald Trump. Nel 2024 il golden boy del melonismo è stato nominato leader leccese di Gioventù nazionale, la giovanile del partito. Dopo la breve parentesi al ministero della Salute, da scudiero del sottosegretario Marcello Gemmato, è stato uno dei protagonisti dell’ultima festa di partito, diventando la voce della propaganda. Nell’ultima edizione di Atreju Gaetani è stato fianco a fianco con i big del partito.
Dietro le quinte, infine, come esperto di Google si muove Aldo Cardoni, vicino al vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, anche lui rientrante in parte nel progetto di Poveri comunisti: Cardoni ha registrato il dominio. In un mix di vecchie e nuove generazioni, che formano la Fiamma della comunicazione di Meloni.
La Fiamma meloniana si chiude – last but not least – con Andrea Moi, responsabile comunicazione del partito, a lungo l’uomo che ha diretto i contenuti del sito ufficiale, operando in sinergia con la Voce del Patriota. La sua formazione è atipica rispetto agli
altri. Moi è principalmente un designer, abile con la comunicazione visuale. La politica ha ampliato i suoi orizzonti. Il suo futuro, si racconta negli ambienti di partito, sarà quasi sicuramente in parlamento al prossimo giro elettorale.
Di recente è stato chiamato a Montecitorio nelle vesti di esperto da audire per una proposta di legge sulla comunicazione digitale. Il suo erede come capo della comunicazione istituzionale potrebbe essere Ulderico de Laurentiis, attuale direttore della Voce del patriota. Con un trait d’union valido per vecchi e nuovi comunicatori: l’idolatria per Meloni.
(da editorialedomani.it)

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CRESCE L’INSICUREZZA, DEMOCRAZIA PIU’ DEBOLE PER IL 60% DEGLI ITALIANI

Dicembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

IL RAPPORTO “GLI ITALIANI E LO STATO” REALIZZATO DALL’UNIVERSITA’ DI URBINO

Il Rapporto su “Gli italiani e lo Stato” è giunto alla XXVIII edizione. È, dunque, da quasi 30 anni che LaPolis – il Laboratorio di Studi Politici e Sociali dell’Università di Urbino Carlo Bo – conduce, in collaborazione con Demos e Avviso Pubblico, questa indagine. Una ricerca che permette, quindi, di osservare gli orientamenti e i mutamenti del sentimento espresso dai cittadini nei confronti dello Stato e delle istituzioni. Quest’anno la ricerca appare particolarmente interessante perché il mondo è attraversato da tensioni crescenti. Che coinvolgono e scuotono l’Occidente e l’Europa. Dunque, l’Italia.
È legittimo, per questo, interrogarsi sul futuro della nostra democrazia. E del nostro futuro. È significativo, al proposito, osservare come quasi 6 italiani su 10 ritengano che la democrazia in Italia negli ultimi anni si sia indebolita. E si stia indebolendo ulteriormente. Attraversata dalle minacce che provengono dall’esterno e dall’interno. Da guerre vicine e
lontane. E da cambiamenti profondi che mettono in discussione i riferimenti su cui si fondava la nostra sicurezza. L’Europa e l’Occidente, in particolare. Oggi entrambi questi riferimenti sono messi in discussione. E, quindi, è messa in discussione anche la nostra sicurezza. La nostra stabilità. Il nostro futuro. Perché è difficile sentirsi sicuri quando il mondo intorno a noi è insicuro. Così, i soggetti e le istituzioni che guidano il Paese rimangono in fondo alla graduatoria della fiducia espressa dai cittadini. I partiti in particolare, appaiono un participio passato: partiti. Senza una destinazione precisa. E rischiano di trascinare con sé lo Stato. Che è stato. E non sappiamo che sarà. Al di là delle battute, appare difficile guardare avanti, progettare il futuro se il futuro appare così incerto. Perché in tempi di globalizzazione tutto ciò che avviene dovunque nel mondo, in qualsiasi momento, può avere, nello stesso momento, influenza sulla nostra vita. E, comunque, sul nostro modo di guardare il mondo intorno a noi.
D’altra parte, assistiamo a un sensibile indebolimento delle basi su cui si fonda la nostra democrazia. Anzitutto, la partecipazione sociale e associativa, che non mostra segni di crescita diffusa, come in passato, ad eccezione del volontariato. Ma, al contrario, esprime percezione di declino. In particolare, per quel che riguarda le attività culturali, sportive, ricreative. O l’acquisto di prodotti di consumo etico come forma di impegno. Così, la partecipazione si traduce, talora, in protesta accesa.
Mentre cresce la percezione di declino, che coinvolge, soprattutto, le persone delle classi popolari e del ceto medio. E allarga il distacco nei confronti delle istituzioni e dello Stato. Perché lo spirito democratico è alimentato dalla condizione
sociale. E, parallelamente, si indebolisce quando l’ascensore sociale invece di salire discende. Per questo motivo le ragioni che alimentano la democrazia non sono solamente politiche. Ma riguardano, anzitutto, la condizione di vita delle persone. Perché è difficile esprimere fiducia verso il sistema e i soggetti che guidano il Paese e le istituzioni, quando nella società prevale un senso di incertezza. E di insicurezza.
Per queste ragioni il modo più efficace per sostenere la democrazia è garantire condizioni di vita adeguate alle persone. Inoltre, promuovere i luoghi e i canali della partecipazione. Cercando di andare oltre i media e il digitale. Perché la partecipazione in rete alimenta le relazioni. Ma a distanza. E, in questo modo, non favorisce la fiducia tra le persone. Perché sono sempre collegate e sempre lontane.
Mentre è importante costruire legami personali e associativi. Che favoriscono la costruzione di relazioni reali. Per questo motivo la democrazia ha bisogno di partecipazione e non solo di comunicazione. O meglio, ha bisogno di comunicazione attraverso la partecipazione. Attraverso le associazioni. Alcune indagini di Demos e LaPolis lo hanno mostrato con chiarezza: la fiducia negli altri cresce quando avviene non solo attraverso collegamenti a distanza. Ma in modo diretto. E immediato. Senza mediazioni e senza mediatori. Attraverso il coinvolgimento personale. Perché la partecipazione, anche quando esprime protesta, è uno strumento di sostegno e rafforzamento della democrazia.
(da Repubblica)

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AUTOBOMBA UCCIDE IL GENERALE RUSSO SARVAROV NEL CUORE DI MOSCA

Dicembre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

TRENTA GRAMMI DI TRITOLO HANNO GIUSTIZIATO UN “NEMICO DELL’UCRAINA”

Un generale dello Stato maggiore russo è rimasto ucciso lunedì mattina, 22 dicembre, nell’esplosione di un’automobile a Mosca. A renderlo noto è stato il Comitato investigativo russo, che ha annunciato l’apertura di un’inchiesta per «omicidio» e «traffico di esplosivi» e ha indicato, tra le ipotesi al vaglio, una possibile responsabilità dei servizi speciali ucraini.
«Un ordigno piazzato sotto il telaio di una automobile è stato fatto esplodere la mattina del 22 dicembre a Mosca e il gen. Fanil Sarvarov, capo del Dipartimemto di addestramento operativo dello Stato maggiore russo, è morto a causa delle ferite riportate». Lo scrive l’agenzia russa Tass, che cita la portavoce del comitato investigativo russo, Svetlata Petrenko.
Sul luogo dell’esplosione sono in corso indagini. «I testimoni oculari vengono interrogati e si stanno esaminando le riprese delle telecamere a circuito chiuso», ha dichiarato la portavoce del comitato investigativo, Petrenko.
Il militare ucciso, Fanil Sarvarov, 56 anni, direttore del dipartimento di addestramento operativo dello Stato maggiore dell’esercito, nel maggio 2024 aveva ricevuto il grado di generale luogotenente dallo stesso presidente, Vladimir Putin
La lunga lista di attentati
L’episodio si inserisce in una lunga scia di attentati mirati che, dall’avvio dell’offensiva russa contro l’Ucraina nel febbraio 2022, hanno preso di mira esponenti delle forze armate russe, sia sul territorio della Federazione sia nelle aree ucraine occupate da Mosca.
In più occasioni Kiev è stata indicata come responsabile di queste azioni, accuse alle quali le autorità ucraine non hanno sempre dato risposta o conferma ufficiale. Tra i precedenti più rilevanti si annovera l’attentato dell’agosto 2022, quando l’esplosione di un’automobile causò la morte di Daria Dugina, figlia dell’ideologo ultranazionalista Aleksandr Dugin. Nell’aprile del 2023, a San Pietroburgo, perse la vita il blogger militare russo Maksim Fomin, ucciso dall’esplosione di una statuetta all’interno di un caffè.
Più di recente, nel mese di aprile, un’autobomba nei pressi di Mosca ha ucciso il generale Yaroslav Moskalik, vice capo della Direzione generale operativa dello Stato maggiore. Nel dicembre 2024, invece, il comandante delle forze russe di difesa radiologica, chimica e biologica, Igor Kirillov, è morto a Mosca nell’esplosione di un monopattino elettrico carico di esplosivo, un attentato successivamente rivendicato dai servizi di sicurezza ucraini. Nel frattempo, proseguono le indagini sull’attacco avvenuto lunedì. Le autorità russe non hanno al momento diffuso ulteriori informazioni sull’identità dei responsabili né sulle dinamiche esatte dell’esplosione.
(da agenzie)

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