Febbraio 2nd, 2023 Riccardo Fucile PERSINO IL MINISTRO NORDIO HA DOVUTO AMMETTERE CHE QUELLE RELAZIONI “SONO SEMPRE SENSIBILI”…LA RESPONSABILITÀ POLITICA DI DELMASTRO E DONZELLI È EVIDENTE: CHE ASPETTANO A DIMETTERSI?
Da qualunque lato la si prenda, la storia dell’intervento in Aula
dell’onorevole Giovanni Donzelli — per come è nato e per la materia sensibilissima che ne ha costituito il contenuto — è senza precedenti. Forse non un reato (lo stabilirà la procura di Roma), ma di certo una palese violazione delle norme basilari che regolano i rapporti tra l’amministrazione dello Stato, il Parlamento, il circuito carcerario e le procure antimafia.
Della quale, stando a quanto riferiscono fonti di Palazzo Chigi, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, era all’oscuro. Né basterà al sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove nascondersi dietro la “natura amministrativa” degli atti che ha passato al collega di partito per provare che erano ostensibili: nessuna relazione di servizio che riporti, anche indirettamente, i dialoghi di boss mafiosi reclusi al 41 bis — potenzialmente contenente una o più notizie di reato — può essere fatta circolare così.
La Direzione generale “Detenuti e trattamento” del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) invia per email al dicastero della Giustizia il file con le relazioni di servizio sull’anarchico Alfredo Cospito detenuto allora nell’istituto di Bancali, a Sassari.
Sono state scritte dagli operatori del Gruppo operativo mobile (Gom) che riportano le conversazioni dei reclusi. Di norma finiscono alla Direzione nazionale antimafia e alla Distrettuale competente ma, in questo caso, le ha chieste Nordio quindi sono state mandate anche al suo capo di Gabinetto e al sottosegretario Delmastro che ha la delega al Dap.
Vige il principio di precauzione: potrebbero contenere notizie di reato perciò devono essere vagliate da un magistrato che deciderà cosa farne. La prova è che proprio quella relazione, tra le altre, è servita alla Dna per formulare il parere sull’opportunità o meno di mantenere Cospito al 41 bis, giunto martedì sul tavolo di Nordio: si apre uno spiraglio, perché se da una parte la Dna conferma la valutazione che lo aveva portato a maggio al carcere duro, dà conto anche delle novità intervenute e segnalate dal legale dell’anarchico. Come a dire che, qualora il ministero dovesse decidere un’attenuazione del regime, gli inquirenti dell’Antiterrorismo non alzerebbero barricate. In quei documenti c’è dunque il futuro di Cospito.
Ma Delmastro, a quanto pare, questo non lo sa. O finge di non saperlo. Quindi tra lunedì e martedì riferisce a Donzelli il contenuto di una delle relazioni: casualmente, quella del 13 gennaio scorso che riporta della visita in cella a Cospito dai quattro deputati del Pd Serracchiani, Verini, Orlando e Lai. Aggiunge i dettagli delle chiacchierate nel cortiletto del carcere sassarese.
A Francesco Presta, boss della ‘ndrangheta, che lo esortava a continuare la protesta per l’abolizione del 41 bis («devi mantenere l’andamento, vai avanti», «sarebbe importante che la questione arrivasse a livello europeo e magari ci levassero l’ergastolo ostativo») Cospito ha risposto: «Fuori non si stanno muovendo solo gli anarchici, ma anche altre associazioni. Adesso vediamo che succede a Roma». Francesco Di Maio, uomo dei Casalesi, era sulla stessa linea di Presta: «Pezzetto dopo pezzetto, si arriverà al risultato»
Persino il ministro Nordio ha dovuto ammettere che quelle relazioni «sono sempre sensibili». A prescindere da come finirà l’inchiesta romana, la responsabilità politica di Delmastro prima e Donzelli poi (quest’ultimo è anche vicepresidente del Copasir, dove affluiscono decine di carte top secret: userà anche quelle come una clava in Parlamento?) è evidente.
Non foss’altro per la catena di versioni contraddittorie che i due hanno fornito nelle ultime 48 ore. Sulle prime Donzelli ha parlato di «accesso agli atti», ma la procedura di accesso, regolata dalla legge 241, ha delle tempistiche che non sono compatibili con i fatti per come si sono svolti. E per avere esito positivo serve un provvedimento motivato approvato dal Guardasigilli stesso. La pratica non c’è, infatti Nordio non ha detto alcunché al riguardo.
Ultimo punto: la premier Giorgia Meloni sapeva che Donzelli avrebbe attaccato l’opposizione sfruttando le informazioni che gli aveva passato sottobanco il sottosegretario? Delmastro, in un colloquio con Repubblica , si è limitato a dire: «La premier sta svolgendo credo tutte le ricostruzioni. Ho motivo di ritenere che quello che sto dicendo sia provato, semplicemente perché è vero».
(da “la Repubblica”)
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Febbraio 2nd, 2023 Riccardo Fucile NELLA LEGA IERI NESSUNO HA RIBADITO LA SOLIDARIETÀ ESPRESSA DA SALVINI VERSO DONZELLI E BERLUSCONI HA DEFINITO “INAPPROPRIATO” IL DISCORSO DEL FEDELISSIMO DI GIORGIA MELONI
Dice sottovoce un rappresentante del governo: «Ai tempi di Draghi per molto meno Durigon era stato costretto a dimettersi da sottosegretario». Chissà se la vicenda che coinvolge oggi i meloniani Donzelli e Delmastro seguirà la stessa parabola del caso in cui fu coinvolto il rappresentante leghista, che dopo un’infelice uscita sul fascismo resistette nel suo incarico per tre settimane prima di rassegnare il mandato. Per ora il coordinatore di FdI non si dimetterà da vice presidente del Copasir e al sottosegretario alla Giustizia non verranno ritirate le deleghe.
La premier confida che la polemica si depotenzi, sposta l’attenzione sugli attacchi allo Stato degli anarchici, sottolinea che «non è stato l’esecutivo ad alzare i toni». Ma non c’è dubbio che abbia avvertito il colpo. Lo testimonia quel senso di «amarezza» che ha accompagnato la giornata del sottosegretario alla Presidenza, Mantovano, e il lavorio di quanti si sono adoperati per trovare una soluzione[…] Perché nel centrodestra cova il malcontento. Nella Lega ieri nessuno ha ribadito la solidarietà espressa da Salvini verso i dirigenti di FdI al centro della polemica.
Berlusconi — conversando con i forzisti — ha definito «inappropriato» il discorso del rappresentante di Meloni. «Diciamo che — ha commentato malizioso l’azzurro Mulé — se il presidente della Camera decide di istituire il Giurì d’onore, non c’è fumus persecutionis contro Donzelli».
Si vedrà se gli atti «sensibili» citati alla Camera da Donzelli potevano davvero essere resi pubblici: lo dirà Nordio dopo l’inchiesta interna al ministero di Giustizia. Il fatto è che l’azione di Delmastro, responsabile di aver passato la documentazione al collega di partito, ha messo in difficoltà il Guardasigilli.
Ai suoi avversari, che lo considerano ormai «ostaggio» di FdI, Nordio oppone la volontà di «accertare i fatti» prima di prendere decisioni. Resta da capire se questo clima incandescente abbia giovato alla causa della premier e messo in luce le evidenti contraddizioni sul caso Cospito che stavano emergendo a sinistra.
(da Corriere della Sera)
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Febbraio 2nd, 2023 Riccardo Fucile “DONZELLI RIDICOLO E CALUNNIOSO. NESSUNO DI NOI HA SPOSATO LA BATTAGLIA CONTRO IL 41 BIS. ABBIAMO CHIESTO CHE COSPITO FOSSE TRASFERITO PER LE SUE CONDIZIONI SANITARIE”
Andrea Orlando esce dall’Aula della Camera con la faccia scura e un tono
di voce allarmato: «Mi auguro che il ministro faccia al più presto chiarezza». La paura dell’ex Guardasigilli è che la destra di governo, attraverso il vicepresidente del Copasir Giovanni Donzelli, abbia voluto intimidire l’opposizione.
L’informativa di Carlo Nordio non l’ha convinta?
«Su Cospito il ministro ha risposto che c’è un approfondimento in corso. Di Donzelli non ha parlato, però ha detto molto, cioè che gli atti a cui ha fatto riferimento in Aula sono sensibili e dunque, dico io, non divulgabili. Non se ne può dare notizia, tantomeno in Parlamento in diretta tv.
Così si è messa a rischio la sicurezza nazionale, a maggior ragione se è vero che sta avvenendo una saldatura tra frange del terrorismo e criminalità organizzata. L’altro aspetto è che è stata infranta la ratio stessa del 41 bis, che non è certo divulgare le strategie dei capi delle organizzazioni».
Con altri parlamentari del Pd siete andati a trovare Cospito e Donzelli vi ha accusati di averlo incoraggiato nella battaglia contro lo Stato.
«È una accusa ridicola, calunniosa e infondata, di cui dovrà rispondere. Chi può veramente pensare che il sottoscritto, che ha costituito la Procura nazionale antiterrorismo e firmato l’ultimo Codice antimafia, possa aver incoraggiato Cospito? Nessuno di noi ha sposato la battaglia contro il 41 bis. Abbiamo subito ribadito l’essenzialità di quell’istituto per contrastare la criminalità e chiesto che Cospito fosse trasferito per le sue condizioni sanitarie. Ma c’è una questione più seria».
Quale questione?
«L’uso di intercettazioni e informazioni riservate a cui si ha accesso solo svolgendo determinate funzioni assume un carattere intimidatorio nei confronti dell’opposizione».
Lei ha dubbi sul 41 bis per Cospito, che ha commesso reati gravissimi?
«Nessun dubbio sulla pena inflitta, la deve scontare. Ho posto invece una riflessione che non riguarda solo la salute, ma anche la strategia. Qual è la forma più congrua per affrontare quel profilo di pericolosità? È un caso controverso. Ho sempre rispetto verso chi si trova a firmare un 41 bis, ma penso che, per evitare il contatto tra queste reti anarchiche e i capi delle organizzazioni mafiose e interrompere il flusso di lettere e articoli, si potessero usare anche altri strumenti previsti nell’alta sicurezza. Paradossalmente, proprio le dichiarazioni di Donzelli lo confermano».
Donzelli e Delmastro, il sottosegretario che gli ha passato le informazioni riservate, devono dimettersi?
«Io sono per attendere il chiarimento di Nordio, ma deve arrivare al più presto perché c’è una ipoteca enorme sui ruoli dei due esponenti di FdI. Mi pare improbabile che il ministro possa sostenere che tutto è regolare».
Meloni fa finta di niente, come accusa Serracchiani?
«È una domanda che incombe e rende il quadro ancora più inquietante. Spero arrivi una risposta. Perché se si afferma la logica che chi chiede conto delle modalità attraverso cui si esercita la facoltà punitiva è un nemico dello Stato si mette a rischio l’equilibrio che ci deve essere tra governo e Parlamento e tra maggioranza e opposizione».
(da il Corriere della Sera)
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Febbraio 2nd, 2023 Riccardo Fucile “HO CHIARITO LA MIA POSIZIONE CON LA PREMIER E MI HA CREDUTO. NON MI DIMETTO, MA STO PENSANDO DI CAMBIARE CASA”
“Giovanni ha sbagliato”. E allora perché non lo urla, sottosegretario Andrea Delmastro? “Perché io prima sono un uomo e poi sono un sottosegretario. E difendo gli amici”.
Insomma, non è un caporale come direbbe Totò. “Esatto. L’altra sera, appena è scoppiato il casino, ho tirato fuori il mio petto”.
Andrea Delmastro gironzola dalle parti di Palazzo Chigi. Il sottosegretario alle dodici ha ricevuto la telefonata di Giorgia Meloni. La premier gli ha urlato: “Mi devi dire se erano atti secretati, non mi prendere per i fondelli, se semo capiti? ”.
Perché Donzelli ha sbagliato? “Non doveva leggere testualmente l’informativa del Dap”. Lei non doveva dargliela, quella informativa anche perché, secondo quanto risulta al Foglio, nel titolo della mail c’era scritto “confidenziale”.
“Non erano intercettazioni né captazioni. Se Roberto Giachetti, per fare un esempio, mi avesse chiesto simili informazioni gliele avrei fornite. Magari pregandolo di non diffonderle”.
Scusi sottosegretario, quindi lei torna a casa, nel suo bilocale, e gliela fa leggere al suo coinquilino Donzelli? “No, gliel’ho raccontata l’altra mattina, prima che intervenisse alla Camera. Eravamo in Parlamento”.
Donzelli prendeva appunti, mentre gliela leggevo”. Erano letterali. “Sono in ordine con la mia coscienza. Non sapevo che Giovanni avrebbe usato quell’informativa”. Delmastro ride. Si dimette? “No, ho chiarito la mia posizione con la premier. Mi ha creduto perché è la verità. Non erano documenti secretati né classificati”.
Ma se tutti facessero come il suo collega di partito, si rende conto di cosa accadrebbe in Italia? “Io rispondo per me. Il resto dovete chiederlo a lui. Dopodiché io non mollo gli amici e pubblicamente li difenderò sempre”. Questa coabitazione rischia di essere un problema: ora tutte le volte che Donzelli parlerà di giustizia, daranno la colpa a lei. “Gli chiederò di non farlo per evitare altri casini”. Oppure vi dividerete, basta tetto comune? “Ci sto pensando, è un’ipotesi. Questa sera glielo propongo”. Addio Monti.
(da il Foglio)
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Febbraio 2nd, 2023 Riccardo Fucile L’IRA CONTRO GLI INADEGUATI DONZELLI E DELMASTRO, L’IMBARAZZO DELLA PREMIER E IL TORPORE DEL PD
Come la gazzella della favola, ieri mattina Giorgia Meloni già sapeva che
avrebbe dovuto correre più veloce della valanga provocata da Giovanni Donzelli e Andrea Delmastro, ma che era già troppo tardi.
Immaginate ora il Pd come un ghiacciaio, un tempo gigantesco e solenne, assai ridotto ormai di superficie e non a causa soltanto del riscaldamento climatico.
Un blocco immobile come le nevi eterne anche se sotto la superficie il lavorio delle correnti determina un lento scivolamento verso l’estinzione (e il congresso). Purtuttavia, nessuno in questo mondo incantato e sonnolento sembra lamentarsene.
Anzi, il partito dominato come tutta la sinistra da quello sconfinato desiderio di sconfitta di cui parlava Nino Andreatta dopo avere pervicacemente cercato e subìto alle Politiche una pesante batosta elettorale a opera della destra, si accinge a consegnare prossimamente al nemico, e gratis, la Lombardia e il Lazio.
Purtroppo però l’altro giorno, a Montecitorio, qualcosa è intervenuto a turbare il lento e dolce naufragio. Per colpa delle accuse insensate di paraterrorismo rivolte al Pd da Donzelli, e dell’uso di intercettazioni riservate passategli dal coinquilino Delmastro, è venuto giù tutto.
Grosso guaio per la premier costretta a fare i conti con lo sdoppiamento di ruolo da cui è visibilmente affetta la classe dirigente di FdI che continua a comportarsi da opposizione mentre è al governo.
Con in più una buona dose di arroganza e di analfabetismo istituzionale (come ammesso dai Fratelli di più lungo corso).
Tutto ciò senza contare lo scompiglio causato tra i banchi dem. Dove molti avevano l’espressione di chi si è svegliato di soprassalto per il rumore di un tuono o dello sbattere di una finestra.
Non è che questo autogol della destra ci può rimettere in corsa per le Regionali? si è allarmato qualcuno. Non esageriamo, lo ha tranquillizzato il vicino di banco. Dopodiché, rasserenati, in parecchi hanno rimesso le lancette della sveglia sulle elezioni del 2032. Ed esposto il cartello si prega di non disturbare.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Febbraio 2nd, 2023 Riccardo Fucile FA ESATTAMENTE QUEL CHE GIURA DI NON VOLER FARE: LAVARSI LE MANI SUL CASO DELMASTRO-DONZELLI
Ponzio Nordio Pilato si lava le mani in piena aula, sui banchi del governo, davanti all’emiciclo di Montecitorio. Fa esattamente quel che giura di non voler fare. Allontana da sé e allo stesso tempo copre, prende tempo e giustifica, non condanna e non assolve il suo sottosegretario Delmastro, “reo confesso” della diffusione di un documento del Dap che riservato era e tale doveva restare.
Ora il ministro prova a gettare l’acqua di quella bagnarola sporca sullo scandalo ancora fumante deflagrato nel cuore del governo Meloni.
La rivelazione probabilmente illecita di documenti e intercettazioni secretate e per gli inquirenti preziose è il “botto” con cui questa destra – che non riesce a farsi partito conservatore e a indossare vesti istituzionali – festeggia i suoi primi cento giorni nella stanza dei bottoni.
Altro che “sobrietà” del governare, tanto cara alla narrazione social della premier. Il Guardasigilli e il suo sottosegretario sono i responsabili politici di quanto sta avvenendo. Loro ancor più di quella sorta di anchorman da Transatlatico che è Giovanni Donzelli, coordinatore del partito e vicepresidente del Copasir. Nordio avrebbe dovuto spiegare ieri in aula come sia stato possibile che un documento contenente la trascrizione di intercettazioni ambientali carpite dai colloqui tra l’anarchico Alfredo Cospito e i boss mafiosi detenuti nel carcere di Sassari sia stato acquisito e divulgato. Avrebbe dovuto raccontare nel dettaglio come sia stato possibile che una carta depositata dal Dap al ministero di Via Arenula cinque giorni fa sia poi finita in poche ore nella disponibilità del coordinatore di Fdi Donzelli e infine letta in Parlamento. Invece l’ex magistrato Nordio si nasconde dietro quel “fascicolo aperto”, all’ombra del capo di gabinetto al quale avrebbe affidato un’indagine sulla fuga di notizie, e balbetta di una telefonata col pg di Torino. Proprio lui che ha fatto del garantismo una filosofia di vita adesso copre di fatto la rivelazione quasi in tempo reale di intercettazioni delicatissime.
Ora, se al Guardasigilli le dimissioni andrebbero chieste per “omesso controllo”, dal suo sottosegretario e ventriloquo meloniano Delmastro invece vanno pretese. Perché ha fatto esattamente quel che un numero due della Giustizia non dovrebbe mai fare. Riferire i contenuti di un documento riservato inviato al ministero e potenzialmente fonte di indagini su terroristi anarchici e mafiosi. Circostanza ammessa dallo stesso sottosegretario, poche ore dopo che il collega di partito Donzelli aveva letto quei passaggi in Parlamento per lanciare un pesante affondo contro il Pd. Non un accenno vago, ma la lettura di interi stralci dei colloqui carpiti in carcere a Cospito e ai suoi amici boss. Segno che quel documento inviato dal Dap il coordinatore di FdI lo ha avuto, quantomeno letto e trascritto in alcuni suoi elementi cruciali. Così facendo ha rivelato forse ad anarchici e mafiosi l’esistenza di un’inchiesta – in quanto tale, neanche a dirlo, segreta – sulle connessioni tra i due mondi criminali. Paradossalmente, tutto si è risolto in un potenziale, inaspettato aiuto esterno alle organizzazioni criminali.
Ecco, quanto avvenuto non ha precedenti, varca la soglia della gravità, sfonda la porta della irresponsabilità istituzionale. Da oggi, ogni minuto in più che il sottosegretario alla Giustizia Delmastro trascorrerà nel suo ufficio di Via Arenula segnerà una sconfitta per le istituzioni e un colpo basso alla democrazia.
Da Palazzo Chigi raccontano di una premier infastidita, adirata per quanto avvenuto. Ha detto flebilmente la sua solo ieri sera, con una telefonata a Rete4, tradendo un’evidente difficoltà nella gestione del primo grave incidente lungo il suo percorso, provocato da due uomini della cerchia più stretta. Ma continuando a difenderli.
Lei sapeva che dai banchi di FdI martedì stava per partire un pesante attacco politico agli avversari del Pd. Non ne conosceva il contenuto nei dettagli, viene aggiunto dai suoi. Ma questo non giustificherà il tentativo di inabissamento in atto
Ci sono magistrati che ogni giorno rischiano la vita per difendere la delicatezza e la segretezza delle loro indagini. Qualcuno dovrà pagare un prezzo politico e compiere un passo indietro. Ne va della credibilità della Presidenza del Consiglio, del ministero della Giustizia, ma soprattutto del Paese.
(da La Repubblica)
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Febbraio 2nd, 2023 Riccardo Fucile “L’HO CHIAMATO MINISTRO DELLA MALA VITA, COME SALVEMINI DEFINI’ GIOLITTI, NON SPEGNERO’ MAI LA LUCE SULLE SUE MENZOGNE”
Pubblichiamo il testo delle dichiarazioni spontanee rilasciate dallo
scrittore Roberto Saviano, ieri in tribunale a Roma, nel processo che lo vede imputato per diffamazione ai danni di Matteo Salvini.
“Vengo portato in quest’aula dal vicepresidente del Consiglio dei ministri e ministro delle Infrastrutture dopo che, poche settimane fa, sono stato chiamato qui a difendermi dalla presidente del Consiglio. Credo sia l’unico caso nelle democrazie occidentali in cui il potere esecutivo chiede al potere giudiziario di delimitare il perimetro entro cui è possibile criticarlo. Mi rimetto al Tribunale perché io possa in questo processo dimostrare la legittimità del mio operato. Per uno scrittore raccontare la continua manipolazione delle informazioni è un diritto irrinunciabile, mettere il proprio corpo a disposizione delle proprie battaglie è un diritto irrinunciabile, ed è per difendere questi diritti irrinunciabili che mi ritrovo in quest’aula oggi.
«Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti», diceva Gaetano Salvemini. Da lui ho imparato che nelle azioni umane e nel comportamento storico non è possibile trovare una formula oggettiva, perché la storia non è come la chimica, non è possibile misurare il risultato dei reagenti. Proprio per questa ragione non è possibile slegare la ricerca delle verità dallo schierarsi con esse, e ogni rischio ideologico è sventato dalla necessità di dare sostegno a una verità solo se provata, perennemente interrogata, sottoposta a continua critica. Salvemini pagò con l’esilio e la confisca di tutti i suoi beni la scelta di mettere continuamente alla prova le verità in cui si imbatteva. Andò volontariamente in esilio, e la stampa di regime definì – per insultarli – fuoriusciti e non esuli, coloro a cui venne resa la vita impossibile in patria e che andarono via dall’Italia per poter continuare a scrivere, studiare, lavorare e criticare il governo. E Salvemini, cacciato dall’Italia, privato di tutti i suoi beni, denigrato e isolato da un governo feroce, ebbe negli Stati Uniti una cattedra ad Harvard. Ed è proprio in nome dell’esempio dei Maestri a cui mi sono ispirato, che ho scelto da che parte stare, indipendentemente dalle conseguenze.
Il ministro Salvini ha minacciato negli anni ripetutamente di togliermi la scorta, questione che non c’entrava nulla con la dialettica politica, né era questione di sua competenza, ma il suo solo obiettivo era quello di intimidire, di additare me come nemico pubblico, cosa che gli è riuscita. Del resto, questa sua volontà, questa sua azione continuata nel tempo, avrebbe dovuto spingermi, come unica opzione, a “fuoriuscire” dall’Italia, appunto. Obiettivo, come molti di quelli cercati da Salvini, miseramente fallito. Ho definito Matteo Salvini Ministro della Mala Vita, come Salvemini definì Giolitti, pur non avendo Salvini la caratura politica e intellettuale di quest’ultimo. L’ho definito Ministro della Mala Vita perché era divenuto intollerabile il modo con cui Salvini si relazionava al Sud Italia, senza alcuna volontà di comprenderne le dinamiche, e soprattutto i drammi, ma solo con attitudine predatoria, laddove i voti costituivano il bottino da conquistare a ogni costo. Mala Vita è soprattutto – da qui la scelta di citare Gaetano Salvemini – l’aver mortificato, sfruttato e soprattutto utilizzato il Sud Italia come bacino di voti facili, mentendo alla parte più fragile del Paese, blandendola in campagna elettorale, ignorando però i suoi problemi atavici, le piaghe con cui il Sud si confronta da ben prima di Salvemini e Giolitti. Senza avere la sua caratura, Salvini, come Giolitti, ha trattato il Sud come bacino di voti, ha individuato dei capri espiatori, tra questi i rom, i migranti e il sottoscritto, per fare una campagna elettorale feroce, basata su menzogne e odio. Del resto Mala Vita è tante cose… Mala Vita è mettere il bersaglio sulla questione sicurezza, indicandomi come fonte di spreco di risorse pubbliche, quindi come nemico pubblico. L’assegnazione della scorta è frutto non di opinione politica ma di valutazione tecnica. Mala Vita è dichiarare di cancellare la scorta che non è – nel caso di minacce mafiose e non di rappresentanza politica – un privilegio ma una tragedia. Mala Vita è non sapere che annunciare di togliere la scorta a un soggetto sottoposto a protezione, lo espone a rischio. Cancellare la scorta, come Salvini invoca da anni, significava cacciarmi dal Paese, esattamente come auspicato, dopo le elezioni che hanno visto nascere quest’ultimo governo, da migliaia di loro simpatizzanti. Ho scelto di denunciare con parole radicali i comportamenti ambigui e pericolosi di Matteo Salvini prendendo in prestito le parole di Gaetano Salvemini. È Mala Vita mettere il bersaglio sul petto di innocenti che scappano da terre devastate, dalle guerre finanziate dalle imprese occidentali e dalla corruzione locale. È Mala Vita mentire sistematicamente, accusando chi salva vite in mare di essere alleato dei trafficanti.
Sono qui per difendermi da una querela che ho ricevuto su carta intestata del Viminale: è un’Istituzione che mi chiama a processo per aver criticato il Ministro? Non è un dettaglio irrilevante ricevere una querela su carta intestata del Ministero, ma un fatto gravissimo, un simbolo che evoca il nostro passato più funesto: se critichi il ministro te la dovrai vedere con il Ministero. E dinanzi a questa gravissima violazione degli equilibri democratici c’è stato il più assoluto silenzio da parte dell’intera compagine di governo, che non stigmatizzò questa pericolosa scelta in alcun modo. E la pericolosità di Salvini era evidente, era sotto gli occhi di tutti, come quando indossava magliette della polizia o dei carabinieri non in occasioni ufficiali o in visita alle truppe all’estero (in quel caso il ministro omaggia essendo, per un giorno, gendarme) ma durante i comizi, e la sua propaganda veicolava un messaggio pericoloso: se hai un problema con me, hai un problema con la polizia. Questo è Mala Vita.
Un ministro, un leader politico non è pari a un cittadino, fosse egli anche un intellettuale, un giornalista, uno scrittore. Il potere di un ministro, di un leader politico è fatto di strutture mediatiche, si nutre della forza di partito, della protezione parlamentare e non è comparabile a un cittadino che naturalmente non ha questi strumenti di difesa e sostegno. Io ho solo lo spazio delle parole e di chi mi ascolta. Ho raccontato come Salvini abbia tentato di trasformare un partito antimeridionale – e, in molti casi, proprio razzista – in un partito nazionale, legandosi ai potentati locali in una dinamica simile a quella dell’onorevole giolittiano De Bellis, raccontata da Gaetano Salvemini nel libro “Il Ministro della Mala Vita”: muoversi spregiudicatamente per ottenere potere e contraddirsi sistematicamente per mantenerlo. È in nome di queste parole, ossia per aver reso pubblica la mia opinione, il mio pensiero, che sono chiamato a processo. E nonostante io sia palesemente vittima di intimidazioni a mezzo querela, posso assicurare che mai spegnerò la luce sulla quantità sistematica di menzogne che le politiche del ministro Salvini continuano a perpetrare.
Chiedo al Tribunale di ascoltare e considerare la mia difesa non semplicemente come la difesa di un individuo, ma come la difesa di chiunque abbia la volontà di criticare radicalmente il governo e la politica, di criticare radicalmente le menzogne e la complicità della politica con la diffusione sistematica di propaganda e paura. Con la sottovalutazione delle piaghe che affliggono interi territori. Sono fiero di essere imputato in questo processo, perché mi è data la possibilità di testimoniare al Tribunale di non voler permettere a leader di partito e ministri di blindare la possibilità di critica, fosse anche un grido. Oggi mi difendo dal vicepresidente del Consiglio, mentre ho un processo in corso con la presidente del Consiglio e una causa civile intentata contro di me dal ministro della Cultura: tre ministri di uno stesso governo portano in tribunale chi osa criticarli.
Questo processo mostrerà alla politica tutta come processare un’opinione possa essere il primo atto di compromissione dell’unica forza in grado di irrorare la democrazia: la critica. Hanno da perdere molto più loro – Salvini, Meloni, Sangiuliano – che io che qui compaio per le parole spese e per ciò che sono. Loro invece svelano tutto ciò che tentano continuamente di nascondere: il più profondo disprezzo per le persone e per le loro opinioni, la volontà prepotente di azzerare ogni voce critica con l’intimidazione.
Ma proprio in forza di questo accanimento, non posso in alcun modo mostrarmi intimidito, lo devo a chi ritiene che con la parola ancora si possa trasformare la realtà che ci circonda. Continuerò a criticare, dovessero i processi coincidere con tutti i giorni a mia disposizione.
(da La Stampa)
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Febbraio 2nd, 2023 Riccardo Fucile LE NEFASTE USCITE DEI SUOI PIU’ STRETTI COLLABORATORI
Gli sbroccati della destra, ecco il vero problema di Giorgia Meloni.
Lei si è seduta su un divano di similpelle simildraghi, scelta razionale, profilo efficace di una gavetta di totale successo, dal Colle Oppio a Palazzo Chigi in dieci annetti ma in questa sospensione tra l’icona del banchiere occidentale e le memorie almirantiane ecco comparire il fantasma dello sbroccato, effettivo e anche potenziale: non solo il giovane Donzelli, monolocalizzato con il sottosegretario Delmastro, c’è anche il caratterino di Urso, Adolfo il ministro dello Sviluppo economico e mentale, che ha venduto l’accordo con i benzinai mentre qualche pompa chiudeva i battenti, c’è l’ingombrante Crosetto, che fisicamente diminuisce e annichila anche i generali dello stato maggiore e alligna l’immagine attivistica di La Russa, contento dei suoi busti mussoliniani e soprattutto prono alla chiacchiera politica non precisamente istituzionale, per non dire del Gabbiano, Fabio Rampelli e il Rocca con i suoi trascorsi da favola o da romanzo criminale, ahi Roma, che sentina di bei vizi che sei.
Tutto sembra procedere per il meno peggio, viaggi algerini, hub dell’energia, Piano Mattei, si vola alto e ora si vola anche in Polonia, roccaforte dell’occidente antiautocratico, e a Kyiv, subito dopo la cantata a Sanremo, e su tutto le notizie antirecessive, stupidamente ottimistiche ma ottime, sull’economia imbrigliata dalla buona Finanziaria antidebito dopo tutte quelle palle sulle bollette esplosive che non sono mai esplose, tutto al meno peggio e arrivano gli sbroccati. Che fatica non tanto governare gli italiani, attività notoriamente inutile, quanto quella di mettere a posto gli sbroccati.
A dicembre festeggeranno in piazza gli undici anni dei Fratelloni, [speriamo non si moltiplichino i fenomeni di sbroccamento. Ci vuol poco a incrinare la compagine e a trasformare la Meloni in una efficiente, spregiudicata, veloce, attiva madre di tutti gli sbroccati.
Giuliano Ferrara
(da il Foglio)
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Febbraio 2nd, 2023 Riccardo Fucile EVIDENZIATE TUTTE LE ILLEGALITA’ CONTENUTE NEL DECRETO RISPETTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE
Il governo italiano deve «considerare la possibilità» di ritirare il decreto
legge sulle Ong. Oppure deve adottare durante il dibattito parlamentare tutte le modifiche necessarie «per assicurare che il testo sia pienamente conforme agli obblighi del Paese in materia di diritti umani e di diritto internazionale».
È quanto chiesto da Dunja Mijatovic, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, in una lettera inviata al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi il 26 gennaio scorso. E di cui parla oggi l’agenzia di stampa Ansa.
Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione internazionale per i diritti umani con sede a Strasburgo. Non è un’istituzione dell’Unione Europea. Nella replica il ministro Piantedosi ha detto che i timori del Consiglio d’Europa sono «infondati».
La missiva di Dunja Mijatovic
Nella lettera Mijatovic osserva di essere preoccupata del fatto che alcune delle regole del decreto ostacolino l’assistenza salvavita delle Ong nel Mediterraneo centrale. In particolare, secondo la commissaria, le disposizioni del decreto, prevedendo che le navi debbano raggiungere senza indugio il porto assegnato per lo sbarco di chi è stato salvato, «come già accaduto impedisca alle Ong di effettuare salvataggi multipli in mare, costringendole a ignorare altre richieste di soccorso nell’area se hanno già delle persone a bordo».
Mijatovic evidenzia che rispettando questa disposizione, i comandanti delle Ong verrebbero di fatto meno ai loro obblighi di salvataggio. Che sono sanciti dal diritto internazionale.
Le accuse
In più la commissaria nota che «alle navi delle Ong sono stati assegnati, come porti sicuri, luoghi lontani nel centro e nord Italia». Un fatto che tra l’altro «prolunga le sofferenze delle persone salvate in mare e ritarda indebitamente la fornitura di un’assistenza adeguata a soddisfare i loro bisogni primari». Mijatovic scrive ancora: «Mi risulta che l’adozione di questa prassi sia nata dall’intenzione di assicurare una migliore ridistribuzione dei migranti e dei richiedenti asilo sul territorio nazionale. Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto sbarcando rapidamente le persone soccorse e assicurandosi che ci siano accordi pratici alternativi per ridistribuirle in altre zone del Paese».
Il terzo appunto
Il terzo appunto riguarda invece «l’indeterminatezza della nozione di “conformità ai requisiti tecnici” contenuta nel decreto. Che potrebbe portare a lunghe e ripetute ispezioni di sicurezza delle imbarcazioni delle Ong, impedendo loro di riprendere il lavoro di salvataggio. Infine la commissaria chiede al governo a sospendere la cooperazione con la Libia. E vuole avere informazioni «sulle accuse, contenute in alcuni rapporti dei media, circa la pratica di rimpatrio di persone dall’Italia alla Grecia su navi private, dove gli individui sono privati della libertà in condizioni molto preoccupanti e senza aver avuto la possibilità di presentare una domanda d’asilo in Italia».
(da Open)
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