Destra di Popolo.net

LA GENERALESSA FA LE EPURAZIONI ALLL’UFFICIO STAMPA DELLA LEGA ALLA CAMERA

Settembre 5th, 2012 Riccardo Fucile

LA ISABELLA VOTINO, PLENIPOTENZIARA DI MARONI,   HA SOSTITUITO IL TEAM FEDELE A BOSSI CON UNA GIORNALISTA DI TELEPADANIA

Il governatore della Regione Veneto è stato chiaro: “Affidiamoci all’autunno, che è meglio, e finiamola con questa estate”.
Alla fine dell’estate però manca ancora un po’ di tempo e i colpi di coda potrebbero riservare ulteriori sorprese.
E non sarà  di certo l’addio alle folkloristiche feste Popoli padani a tenere con il fiato sospeso i militanti della Lega quanto l’incessante opera di epurazione che i “barbari sognanti” fedelissimi di Roberto Maroni stanno mettendo a segno a scapito degli ormai pochi duri e puri sostenitori dell’Umberto.
Così è accaduto a Padova per esempio dove è stato dato il benservito al segretario provinciale, il bossiano Roberto Marcato, da parte del direttivo regionale guidato dal maroniano Flavio Tosi.
Ma così sta capitando anche nella Capitale dove, proprio nell’ufficio stampa del Gruppo di Montecitorio, si sta per preparare un rientro dalle ferie al vetriolo.
Ma andiamo con ordine.
La tanto declamata “pulizia” decantata da Maroni si è scagliata sull’ufficio stampa già  a fine luglio.
La vittima designata era Giulia Macchi, giornalista, consigliere comunale della Lega a Solaro (Mi), bossiana al 100% (tanto per dirne una l’immagine del suo profilo Facebook è una foto del Senatur)   e chiamata a Roma da Roberto Cota all’epoca capogruppo del Carroccio.
Una personalità  troppo schierata, troppo fedelissima dell’ex Capo e quindi scomoda tanto che Giampaolo Dozzo, attuale capogruppo,   non ha esitato a prendere carta e penna e mettere per iscritto il buon servito per essere venuto meno “il rapporto fiduciario” tra le parti.
Appena quindici giorni dopo, alla vigilia di Ferragosto, la scure delle purghe leghiste ha colpito un’altra addetta stampa del Gruppo.
Si tratta di Alessia Quiriconi, anche lei, come la collega Macchi, arrivata alla Camera per volontà  del capogruppo diventato nel frattempo Marco Reguzzoni e inquadrata con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa di legislatura, quindi   valido fino a nuove elezioni.
Altra storia, visto che la Quiriconi è toscana di nascita e giornalista da oltre dieci anni sia alla Padania che al Federalismo, ma terminata nello stesso e identico modo: è venuto meno il rapporto di fiducia.
Questo almeno per quello che c’è scritto nelle lettere spedite alle due interessate, eppure poi, basta vedere le dichiarazioni ufficiali di Dozzo e Maroni alle agenzie di stampa per leggere un’altra versione: è in atto una politica di “ taglio dei costi”.
Taglio dei costi?
Beh se fosse stato così perchè non proporre alle due giornaliste di restare all’Ufficio Stampa magari rivedendo al ribasso gli stipendi?
E se veramente bisognava tagliare allora perchè aspettare luglio e non attuare il tutto già  a gennaio ovvero dal momento dell’elezione di Dozzo a capogruppo e invece si è preferito mettere in atto l’epurazione immediatamente dopo l’elezione di Maroni a segretario del movimento?
Ma gli interrogativi di certo in queste occasioni si sprecano e quindi ecco che, con questi, arriva anche qualche frecciata agli altri componenti dell’Ufficio stampa.
E così sul banco degli imputati è salito il romano Federico De Cesare che, attento all’evoluzione maroniana all’interno del movimento si è legato al deputato e segretario leghista del Trentino Maurizio Fugatti salvando così il posto.
Eppure, se di spending review si tratta, non si capisce come mai si sia permesso in questi anni che l’ex ministro dell’Interno Maroni imponesse l’assunzione di Isabella Votino al Gruppo (insieme alla sua segretaria Daniela Propersi e all’ex sottosegretario Sonia Viale) alla modica cifra di 4000 euro netti al mese per lavorare solo per lui.
E proprio ora che Maroni è diventato segretario, la sua “portasilenzi” come ormai viene soprannominata la Votino, ha preso il comando di tutto l’apparato comunicativo del Carroccio: la Padania è così data sempre più vicino alla chiusura o almeno alla trasformazione, il sito del movimento completamente da rifare, come l’ufficio stampa.
E così se l’ufficio è da rifare, a fronte di imminenti uscite ecco che i rumors di palazzo danno già  per scontate le prossime nomine.
Rumors che il deputato bossiano Davide Chiappori aspetta siano smentiti dal capogruppo Dozzo (“se così fosse si sarebbe trattato di vere e proprie epurazioni che non hanno niente a che vedere con il taglio dei costi’”) ma che invece trovano rispondenza sentendo i commenti di qualche collega giornalista.
“Sì, da quello che so, mi spiaga un amico, al posto della Macchi e della Quiriconi, dovrebbero arrivare   un collaboratore con il quale la Votino lavorava al Viminale e la maroniana Camilla Vanaria, addetta stampa del partito a Brescia, consigliere comunale a Lonato, dipendente di tele Padania e figlia di Roberto, componente del Cda di Csmt ed ex consigliere regionale della Lombardia per la Lega”.
Insomma, la bollente estate leghista e ben distante dall’essere chiusa e quest’anno non ci sarà  nemmeno l’acqua del Po a sedare i bollenti spiriti.

(da “Il Portaborse”)

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TREMONTI PROVA A NON TRAMONTARE: “RITORNO IN POLITICA, FARO’ UNA LISTA TUTTA MIA”

Settembre 5th, 2012 Riccardo Fucile

L’EX MINISTRO ROTTAMA LEGA E CAVALIERE: “STO FUORI DAI VECCHI PARTITI”

Giulio Tremonti lo aveva annunciato ripetutamente nei mesi scorsi, aveva anticipato una sua discesa in campo e in un’intervista sul Corriere della Sera scopre le sue carte.
Rivela che intende fare una lista “aperta” “non dentro i vecchi partiti, non con i generali di armata morta, non con le marionette di se stessi. Comincerò con un manifesto, una lista collettiva, aperta soprattutto ai giovani”.
L’ex ministro cita l’Inno di Mameli per spiegare la situazione dell’Italia e degli italiani: “Noi siamo da secoli calpesti derisi perchè non siamo popolo perchè siam divisi” e spiega che l’obiettivo del suo manifesto (che non porterà  il suo nome) è il recupero della sovranità  nazionale e della dignità  personale.
Tremonti commenta l’esternazione di Angela Merkel di lunedì scorso secondo cui i mercati non sono amici del popolo.
“Questo segna un progresso nella filosofia politica della Germania dove i socialisti avevano già  espresso questo concetto ma la Cancelliera aveva detto l’opposto. E cioè che era la democrazia a doversi adattare al mercato finanziario”.
E quando il giornalista gli fa notare che anche Beppe Grillo critica i mercati finanziari, lui risponde: “Diciamo allora che la Merkel sta convergendo su posizioni alla Grillo, ma sarebbe meglio dire che è diventata tremontiana.
Attacco a Monti
Tremonti sostiene che il governo Monti non stia agendo nel senso di arginare lo strapotere dei mercati, la sua ricetta in questo senso, oltre alla separazione bancaria (le banche che raccolgono risparmi possono usarlo solo per finanziare imprese, lavoratori e famiglie non per le scommesse sul casinò finanziario), prevede di tagliare i derivati, stabilire che i bonus vengano lasciati a garanzia per un po’ di anni.
E sul piano anti-debito lanciato dal Pdl, Tremonti è sferzante: “Pensato come un pilastro della campagna elettorale, si presenta come un piano P come Pinocchio: il patrimonio deve essere venduto ma non è possibile farlo nei tempi e nei numeri che sono stati calcolati alla carlona”. E lancia l’allarme: “O abbiamo la forza di tornare a essere padroni a casa nostra o verremo colonizzati”.

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GIOVANI: PER APRIRE LA PRIMA SOCIETA’ BASTA UN EURO, MA LA BANCA CHIEDE LA GARANZIA DI PAPA’

Settembre 5th, 2012 Riccardo Fucile

DUE SORELLE MILANESI AVEVANO SFRUTTATO L’OPPORTUNITA’ OFFERTA DAL DECRETO LIBERALIZZAZIONI DI MONTI… MA RESTA IL PROBLEMA DELL’ACCESSO AL CREDITO E DEGLI AFFITTI TROPPO ALTI

Aprire una società  al costo di un caffè, o quasi.
E’ la nuova opportunità  per i giovani under 35, grazie all’istituzione delle srl semplificate: un solo euro di capitale sociale, anzichè 10mila o più, e con la firma dal notaio un nuovo imprenditore è nato.
E fa niente se poi, in tempi di crisi, per pagare i primi fornitori o un minimo di attrezzature chiedi un prestito in banca e lì fanno spallucce.
Stefania e Serena Pasquali, due sorelle di Corsico, nell’hinterland milanese, hanno deciso di provarci lo stesso: “Parteciperemo ai bandi regionali o europei per l’imprenditoria giovanile e femminile. Ci finanzieremo così”, assicurano.
Sono loro le prime in Italia ad avere sfruttato le nuove regole inserite dal governo Monti nel decreto sulle liberalizzazioni di gennaio, nel tentativo di favorire i giovani imprenditori.
Ci sono voluti sette mesi e alla fine sono arrivati anche i decreti attuativi.
Così la settimana scorsa Serena (22 anni) e Stefania (20 anni) sono corse dal notaio per siglare il modello standard di atto costitutivo predisposto dal ministero.
E la nuova società  è nata: si chiama ‘La casa delle fate’, come i quattro negozi che i loro genitori hanno già  a Bologna, Parma, Bergamo e Vigevano.
Sono figlie d’arte, le due sorelle: tra un esame di Relazioni Pubbliche allo Iulm per Serena e uno alla facoltà  di Economia in Bicocca per Stefania, in passato hanno lavorato nei punti vendita dove mamma e papà  commercializzano oggetti di design per la casa.
Ma ora vogliono staccarsi, “essere indipendenti”.
E aprire altri negozi simili, da gestire da sole. “Prima in Italia, poi anche all’estero — spiega Serena -. Di sicuro negli Stati Uniti, perchè lì c’è un mercato ampio che dà  spazio a nuove idee e a prodotti di design”.
Ora la società  è formalmente costituita.
Per il primo negozio puntano su Milano e la ricerca di un locale da affittare è già  partita.
Solo che qui iniziano i primi problemi: “I costi sono molto alti”.
E tutti i limiti della nuova forma societaria vengono fuori: in banca non concedono certo prestiti a un’impresa che sul piatto mette in garanzia appena un euro di patrimonio.
“Per noi dovrebbero garantire i genitori”, proprio quello che le due sorelle non vogliono, alla ricerca come sono della loro indipendenza. “Ci hanno già  regalato il loro marchio e la loro storia — spiega Stefania -. Ora tocca a noi”.
“Quello delle società  a un euro è un primo passo positivo per i giovani.
Ma tutto rischia di essere inutile, se non ci saranno cambiamenti che facilitino l’accesso al credito”, ammette Serena.
Insomma, per dar vita a una nuova attività  non bastano una buona idea e un solo euro. Serena e Stefania proveranno a vincere qualcuno dei bandi che Regione Lombardia e Unione europea mettono a disposizione di giovani donne imprenditrici.
E su questo la società  a responsabilità  limitata semplificata qualche vantaggio lo dà : “Altrimenti per cercare di ottenere un finanziamento avremmo dovuto costituire una srl normale. Ma noi non avevamo un capitale nostro”.
Con il notaio gratis, a loro sono bastati 368 euro tra imposta di registro e diritti camerali. E poi un euro di capitale sociale.
Chi l’ha messo? “Cinquanta centesimi a testa”, risponde Serena.
“No, in realtà  l’ha messo mia sorella — smentisce Stefania -. Dice così per farmi fare bella figura. Siamo molto affiatate: lei è più portata per l’organizzazione e per le cose quadrate. Io ho una passione incredibile per l’allestimento di vetrine e per il design: delle due sono quella creativa”.
Il sogno ora qual è? “Creare negozi che siano apprezzati dalla gente e che a noi consentano di fare un minimo di utili”, inizia Serena.
“Girare il mondo — aggiunge Stefania — scoprire un prodotto, in Thailandia magari, commercializzarlo qui e farlo crescere”.

Luigi Franco

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A RISCHIO L’IMU ALLA CHIESA: MANCA IL DECRETO ATTUATIVO

Settembre 5th, 2012 Riccardo Fucile

IL TESORO CONFERMA: “CI LAVORIAMO, MA LA MATERIA E’ COMPLESSA”… IL GETTITO STIMATO DAI COMUNI E’ DI 600 MILIONI DI EURO, CIFRA CONTESTATA DALLA CEI

Doveva essere una svolta storica.
Per ragioni di equità , ma anche per evitare la procedura d’infrazione dell’Unione europea per aiuti di Stato.
Eppure la tanto invocata estensione dell’Imu alla Chiesa rischia di trasformarsi in un clamoroso flop.
Il decreto del ministero dell’Economia, atteso per la fine di maggio, ancora non esiste. E senza, dal primo gennaio 2013, la Chiesa continuerà  a non pagare l’Imu.
Così partiti, sindacati, fondazioni, associazioni.
Una beffa.
La notizia, rilanciata dal quotidiano Milano Finanza, rimbalza nei corridoi di via Venti Settembre.
L’imbarazzo è palpabile. “Nessuna proroga all’imposta, il decreto arriverà  a breve e poi dovrà  passare l’esame del Consiglio di Stato”, si affrettano a precisare, nel tentativo di stemperare il ritardo cronico del ministero dell’Economia.
E non solo su questa materia, visto che il dicastero guidato da Grilli deve varare ancora tre quarti dei provvedimenti attuativi delle sette grandi riforme targate Monti. “Il ritardo si deve all’esame complesso della materia”, spiegano. “Ma questo non pregiudica la corretta applicazione della norma, anche perchè la scadenza della prima rata è il 16 giugno 2013”.
Tutto vero.
Peccato però che in base all’articolo 91 bis del Cresci-Italia, aggiunto con un emendamento firmato da Monti in persona e presentato dal premier in Senato lo scorso 27 febbraio, l’esenzione all’Imu “si applica in proporzione all’utilizzazione non commerciale dell’immobile quale risulta da apposita dichiarazione”.
Dichiarazione da presentare entro il 2012 per pagare nel 2013, in base al modello disposto dal decreto del ministero.
Che ancora non c’è.
La Chiesa – e gli altri enti – non devono alcuna Imu sugli edifici o loro porzioni nei quali si svolge attività  no profit, che non dà  lucro, come il culto o il volontariato. Mentre “alla frazione di unità ” in cui si fanno utili si applicano le regole valide per tutti gli altri proprietari.
Il punto è proprio questo.
Un bar in parrocchia deve essere accatastato ex novo. Senza bisogno di decreto.
Ma per tutte le superfici meno individuabili (la maggior parte) si procede in base a “un rapporto proporzionale” (il 10% commerciale, il resto no, ad esempio), secondo le modalità  del regolamento “fantasma”.
Il decreto, tra l’altro, dovrebbe precisare anche tutti i casi in cui escludere scuole e ospedali cattolici (ma anche altri enti) dall’Imu, come anticipato da Monti a febbraio. Esentati solo se non iscrivono utili a bilancio.
Il gettito stimato (Anci) da questa porzione di Imu è pari a 600 milioni.
Cifra sempre contestata dalla Cei (vescovi).

Barbara Artù e Valentina Conte
(da “La Repubblica“)

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PREVIDENZA: LA GERMANIA LANCIA L’ALLARME SULLE PENSIONI FUTURE

Settembre 5th, 2012 Riccardo Fucile

PIU’ DI UN TERZO DEI PENSIONATI TEDESCHI, A PARTIRE DAL 2030, DOVRANNO CAVARSELA CON 688 EURO LORDI AL MESE A FRONTE DI UNO STIPENDIO ATTUALE DI 2500 EURO

Guadagnate 2.500 euro al mese e vi sembra poco?
Godetevela finchè potete, perchè il futuro potrebbe davvero grigio.
A fare i primi conti su come si trasformerà  l’importo una volta in pensione, ci hanno pensato i tedeschi che non la vedono affatto bene.
E se i ricchi piangono, o meglio, piangeranno, figuriamoci i poveri italiani che ancora stanno cercando di orientarsi nei meandri del labirinto della riforma previdenziale del ministro Fornero.
Ma partiamo con la Germania.
Secondo i dati elaborati dal ministero del Lavoro tedesco, a partire dal 2030 più di un terzo dei pensionati tedeschi dovranno cavarsela con 688 euro lordi al mese, una cifra che, per ammissione dello stesso ministro Ursula von der Leyen, costringerà  il pensionato “a chiedere il sussidio statale di povertà “.
E a ritrovarsi in questa situazione non saranno coloro che hanno svolto un part time o lavorato con discontinuità , ma lavoratori a tempo pieno che per 35 anni hanno percepito un salario lordo di 2.500 euro.
La colpa è della riduzione della percentuale di calcolo della pensione rispetto allo stipendio, che nel 2030 sarà  del 43% del salario netto, contro l’attuale 51%, che garantisce a parità  di stipendio una pensione di 816 euro.
Questi dati sono stati rivelati dall’edizione domenicale del quotidiano Bild, che scrive anche che, in una lettera inviata ai giovani parlamentari della Cdu, la von der Leyen sottolinea l’importanza di sottoscrivere una pensione aggiuntiva privata finanziata totalmente dal lavoratore.
Secondo l’Ufficio statistico federale, più di un terzo degli occupati tedeschi a tempo pieno guadagna meno di 2.500 euro lordi al mese.
Già  oggi in Germania, dove dal 1998 è stato più volte riformato il sistema previdenziale, si va in pensione a 65 anni (per poi salire progressivamente a 67) e il costo del sistema previdenziale è pari al 10,5% del prodotto interno lordo, contro il 14,1% fatto registrare dall’Italia.
Secondo i dati raccolti dall’istituto Hans-Bà¶ckler, infermieri, panettieri, imbianchini, educatrici, commesse, camerieri, operatori socio-sanitari e cuochi sono alcuni degli impieghi il cui stipendio lordo medio è inferiore ai 2.500 euro.
Tenuto conto del trend demografico la von der Leyen non intende però modificare l’attuale sistema pensionistico ma puntare sulle pensioni integrative.
“Molti lavoratori non si rendono conto che rischiano la povertà  in vecchiaia e che hanno assolutamente bisogno di una pensione integrativa per non cascare nella trappola della povertà  una volta andati in pensione“.
I calcoli del ministero del Lavoro di Berlino si basano però solo sul cosiddetto primo pilastro pensionistico, ovvero la pensione erogata direttamente dallo Stato, a cui lavoratori e imprese versano contributi mensili nell’ordine del 20% equamente distribuiti (10% il dipendente e 10% l’azienda, in Italia per contro il lavoratore versa il 10% e l’azienda il 32%).
Nel sistema previdenziale tedesco esistono però anche un secondo e un terzo pilastro, rispettivamente i fondi aziendali e i fondi pensionistici volontari.
Visto che i fondi aziendali sono molto diffusi e danno un deciso contributo al totale della pensione dei lavoratori, un confronto con l’Italia risulta estremamente difficile. Nel nostro Paese infatti mancano i fondi aziendali, mentre è stato da pochi anni avviato il conferimento del Tfr ai fondi pensioni.
Al di là  delle differenze dei due sistemi pensionistici, poi, c’è anche il fatto che in Italia oggi è impossibile calcolare in maniera realistica l’importo della pensione che un lavoratore percepirà  nel 2030.
“Posso solo dire che per avere una pensione dignitosa, il lavoratore dovrà  aver versato nel corso della sua vita lavorativa almeno 300-400 mila euro di contributi, una cifra molto alta — spiega Temistocle Bussino, docente della Bocconi in materia previdenziale — Una cifra del genere è difficilmente raggiungibile per un lavoratore dipendente, per chi ha altri contratti di lavoro è sostanzialmente impossibile“.
Per Bussino anche in Italia, dopo il passaggio a un sistema esclusivamente contributivo, è di fondamentale importanza una previdenza complementare che vada a integrare quella erogata dallo Stato: “Allo stato attuale delle cose,   ma è molto probabile che cambino da qui al 2030,   la pensione è inferiore al 50% dell’ultimo stipendio percepito“.
Secondo l’esperto, infatti, potrebbero cambiare i coefficienti legati alla speranza di vita, così come non sono da escludere nuovi interventi sulle pensioni.
“Non credo che i futuri governi interverranno sull’età  a cui poter andare in pensione, perchè la riforma Fornero prevede già  che nel 2050 si possa andare in pensione a 70 anni, però non sono affatto da escludere interventi sui coefficienti, in modo da ridurre l’enorme costo del sistema previdenziale“, conclude Bussino.
Insomma, anche i ricchi piangono ma i poveri di più.

Giorgio Faunieri
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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COMPRAVENDITA DEI PARLAMENTARI: UN POLITICO HA CANTATO

Settembre 5th, 2012 Riccardo Fucile

VOCI DI CORRIDOIO IN PARLAMENTO SULLA TESTIMONIANZA DAVANTI AI MAGISTRATI DI UN POLITICO CAMPANO CHE AVREBBE AVUTO UN RUOLO DIRETTO NELLA CAMPAGNA ACQUISTI POSTA IN ESSERE DALL’EX PREMIER BERLUSCONI PER SALVARE IL SUO GOVERNO

Tira una strana aria ultimamente dalle parti di Palazzo Grazioli.
Un’ariaccia al sapor di giustizia.
E qual è la novità ?, direte voi. Il fatto è che pare che stavolta il venticello potrebbe non fermarsi allo stato di “tempesta mediatica”.
Potrebbe andare oltre.
Ne parlano i deputati più vicini alle istituzioni, più vicini alle forze dell’ordine.
Lo dicono sottovoce, per ora. Ma lo dicono.
A quanto pare su Silvio Berlusconi si starebbero per scagliare accuse senza precedenti.
Anzi, di più.
Le accuse sarebbero state già  formalizzate.
Mancherebbero le verifiche e poi sarà  un gran casino.
Ora starete pensando: “Vabbè, parla chiaro!”. Ok, ma con cautela.
La voce che circola è che un politico napoletano sia andato dai magistrati per riferire tutta la storia della compravendita dei parlamentari.
Un politico, quindi scordatevi Lavitola, anche se lui nella storia un poco c’entra.
Un politico napoletano che avrebbe partecipato in prima persona all’operazione, uno incaricato da Silvio Berlusconi a trattare direttamente per portare quanti più parlamentari “indecisi” dalla sua parte.
La testimonianza sarebbe travolgente, rischierebbe di dare il colpo, macchè, la batosta finale al Cavaliere alla vigilia delle elezioni 2013.
Non a caso proprio lui negli scorsi giorni è tornato a parlare di procure e giustizia a orologeria.
Non a caso il lancio di un ipotetico nuovo partito sembra da mesi un annuncio che non si concretizza.
Non a caso non è ancora chiaro se si candida o no, se farà  un passo indietro o un balzo in avanti.

(da “Il Portaborse“)

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IL GRANDE PATTO DEI MAGGIORENTI DEL PD: BERSANI PREMIER, VELTRONI ALLA PRESIDENZA DELLA CAMERA, D’ALEMA MINISTRO

Settembre 5th, 2012 Riccardo Fucile

IL NUOVO ORGANIGRAMMA BLINDEREBBE I BIG DEL PARTITO… PRIMARIE A RISCHIO, FRANCHESCHINI VERSO LA SEGRETERIA, FIORONI E BINDI AL GOVERNO

Il patto di potere tra i big a cui si riferisce Matteo Renzi è anche l’organigramma dell’ultimo giro.
È la spartizione di poltrone dei “vecchi”, come si evince chiaramente dalle parole del trenta-quarantenne Matteo Orfini, unito al sindaco di Firenze solo dalla voglia non di mandare tutti a casa ma di non vederli più in prima fila.
“Nessuno ex ministro dovrà  tornare al governo nel 2013”, avverte Orfini facendo capire che molti invece scaldano i muscoli.
Ma anche Antonello Soro, prudente e navigato ex capogruppo del Pd alla Camera ora transitato all’authority per la privacy, descriveva, alla vigilia dell’estate, una futuribile divisione dei compiti: “Franceschini spera nella presidenza della Camera, ma per quel posto è in corsa Veltroni. A Dario daranno la segreteria del Pd”.
Qualcosa più di una voce, dunque.
Qualcosa, anzi molto meno di un patto blindato che sarebbe comunque sottoposto a un numero infinito di variabili, la prima della quale non è irrilevante: vincere le elezioni e gestire il ricambio di governo. In questo caso, quello che il Foglio ha chiamato “papello” ma che in realtà  è vero un toto-poltrone, disegna così l’Italia del 2013.
Pier Luigi Bersani premier, Rosy Bindi vicepremier, Veltroni presidente della Camera, D’Alema ministro degli Esteri o commissario europeo, Franceschini segretario del Pd, Fioroni ministro.
Secondo Renzi questo tipo di intesa spiega l’insolita assenza di litigiosità  tra le correnti democratiche.
E sta alla base, per esempio, dell’equidistanza di Veltroni sulle primarie mentre gran parte dei veltroniani riconoscono nel sindaco di Firenze il vero erede del programma illustrato al Lingotto nel 2007.
Ma la pianificazione a tavolino è reale?
Pur coinvolto direttamente, sono mesi che Beppe Fioroni mette in guardia i suoi colleghi dalla sindrome dell’ultimo giro.
“E se alla fine ci spazzassero via tutti?”, dice.
In nome di quell’organigramma, si alzerebbero anche le dichiarazioni di chi vorrebbe evitare le primarie.
La Bindi (pronta a correre nella complicata gara per il Quirinale) dice che non sa se si faranno, lo stesso Fioroni chiede a Renzi di dimettersi da sindaco se davvero ha intenzione di correre, Veltroni – che in subordine potrebbe approdare ad un “megaministero” per i Beni culturali e le Comunicazioni – vuole capire “primarie per cosa”.
Il duello interno come grimaldello per rinnovare il partito e soprattutto far saltare “l’organigramma”, insomma.
È così? Orfini le interpreta anche in questa chiave: “È chiarissimo perchè qualcuno non le vuole. Scompaginano antiche consuetudini, rimettono in discussione big senza voti. Ma sono utili proprio per questo. Le primarie tra Renzi e Bersani si devono fare. Pier Luigi le vincerà “.
Con quali garanzie per i dirigenti più esperti?
Domande, dubbi, timori.
Persino qualche ironia sulla recensione fatta da D’Alema sull’Unità  al nuovo libro di Veltroni: sarebbe un’altra prova dell’entente cordiale.
Sulle indiscrezioni, sullo scontro generazionale, sulle insinuazioni di cui “l’organigramma” fa parte a pieno titolo perchè tira in ballo nomi molto conosciuti, Bersani rischia di vedere spaccarsi il partito.
Orfini sa essere diretto come un cazzotto: “Il segretario uscirà  da candidato premier nella sfida con Renzi. Ma io sarei ancora più sicuro della vittoria se fosse uno scontro diretto tra i due. Temo che il sostegno dei notabili a Pier Luigi si trasformi in una zavorra”.
È Bersani a dover sbrogliare la matassa di questo incredibile caso. Il leader ha già  annunciato un ricambio robusto delle liste per il Parlamento e ha spiegato la sua alchimia per un eventuale governo di centrosinistra.
“Qualche presidio di esperienza e tanti volti nuovi come ministri”, ha spiegato. Un identikit e non un organigramma. Da sempre Bersani è uno dei dirigenti democratici più attenti ai giovani. Ha creato una segreteria di quarantenni, “scopre” ragazzi sui territori e li appunta su un quaderno, non gli dispiace l’idea di avviare una ristrutturazione del centrosinistra per lasciare spazio al nuovo.
Ma, come dice D’Alema, Bersani deve anche tenere unito il partito.
E da qualche giorno, vedendo allargarsi la polemica generazionale, insiste sul tasto in ogni occasione, in ogni festa democratica.
“Non dimentichiamoci di chi ci ha portato fin qui”. Che sono gli stessi che lo hanno portato alla segreteria nel congresso del 2009.
Bindi gli ha chiesto di fermare la deriva del duello a distanza sull’età , gli anni in Parlamento, il limite dei mandati, gli “editti” di Renzi o di Orfini, l’epurazioni a mezzo stampa. Bersani farà  chiarezza.
Ma senza prendere la bandiera di una o dell’altra squadra.
Sapendo che il rinnovamento potrebbe essere dettato dall’esterno.
Dalle liste di Grillo, dai giovani che sceglierà  Nichi Vendola per il suo partito, dalle mosse di Berlusconi.

Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)

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“AMO LA RUSSIA ODIO PUTIN E SOGNO LA RIVOLUZIONE”: INTERVISTA ALLA LEADER DELLE PUSSY RIOT

Settembre 5th, 2012 Riccardo Fucile

“VOGLIAMO SVEGLIARE LA MAGGIORANZA SILENZIOSA”…”SIAMO ANARCHICHE, FEMMINISTE MA NON SIAMO CONTRO L’OCCIDENTE”

A Mosca c’è un solo carcere per donne in attesa di giudizio. Ospita 1300 detenute ed è conosciuto col nomignolo di “Bastiglia”.
Qui le Pussy Riot, condannate in primo grado per aver realizzato un video nel quale cantavano “Madre di Dio, caccia Putin”, attendono l’esito dell’appello.
Nadezhda Tolokonnikova, 22 anni, è considerata la leader politica del gruppo, anche perchè vantava già  una considerevole militanza nei gruppi di opposizione a Putin.
Come sono le sue giornate in prigione?
Sopportabili. È pur sempre una prigione russa con tutto il suo charme sovietico. Il sistema carcerario russo rimane ancora oggi una via di mezzo tra una caserma e un ospedale. Sveglia alle 6, colazione e ora d’aria. Il resto della giornata lo passo scrivendo o leggendo. Oggi, ad esempio, ho letto la Bibbia e un libro del filosofo marxista sloveno Slavoj Zizek.
Si pente dell’iniziativa di protesta all’interno della Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca?
No, niente affatto. Il processo contro di noi è stato importante perchè, condannandoci a due anni di prigione senza che avessimo commesso alcun reato, il sistema putiniano ha emesso una sentenza contro se stesso.
Lei ha una figlia di 4 anni. Non pensa che il suo comportamento sia stato irresponsabile nei suoi confronti?
Chi ha paura dei lupi non si avventura nella foresta. Io non ho paura dei lupi. Lotto perchè mia figlia possa crescere in un Paese libero.
C’è chi vi considera delle eroine e c’è chi giudica di cattivo gusto le vostre iniziative. Quando era incinta prese parte completamente nuda a una manifestazione al Museo Biologico per protestare contro la politica demografica del Cremlino.
I gusti sono un fatto personale. Le nostre sono performance di arte moderna.
Cosa pensano i suoi genitori di queste performance?
Mio padre dopo la manifestazione al Museo Biologico non mi ha rivolto la parola per due mesi. Ma solo perchè non lo avevo invitato ad assistere.
Avete iniziato con il collettivo di artisti Voina, che significa “guerra”. Contro chi siete in guerra?
Le iniziative di Voina erano una prova di forza tra la società  civile e il governo.
Qual è l’obiettivo delle Pussy Riot?
La rivoluzione in Russia. Vogliamo una Russia diversa e lo facciamo traducendo in azione le nostre idee libertarie.
Ama il suo Paese?
Amo la Russia, ma odio Putin.
Putin è uno degli uomini più potenti della terra.
L’onnipotenza di Putin è una illusione. Lo si capisce dalla mastodontica macchina propagandistica che ha messo in piedi. In realtà  il presidente è patetico e spregevole.
Come mai avete suscitato l’interesse internazionale per il problema dei diritti umani in Russia più dell’assassinio di alcuni giornalisti o dell’approvazione di leggi repressive?
Perchè la nostra performance non era banale. Siamo state capaci di portare lo scontro tra governo e società  civile all’interno di un contesto religioso, politico e sociale. Il regime di Putin assomiglia alle società  tribali e ai regimi dittatoriali del passato.
Le vostre dimostrazioni non hanno come bersaglio solamente Putin, ma più in generale il capitalismo. Oleg Vorotnikov, un esponente di Voina, ha anche giustificato la “spesa proletaria”.
Sì, facciamo parte del movimento anti-capitalista internazionale nel quale si riconoscono anarchici, trozkisti, femministe ecc. Il nostro anti-capitalismo non è nè anti-occidentale nè anti-europeo. Ci consideriamo parte dell’Occidente e frutto della cultura europea. Ci dà  fastidio l’inefficienza del consumismo, ma non ci proponiamo di distruggere la società  consumistica. Il fulcro della nostra ideologia è la libertà  e il concetto di libertà  è un concetto occidentale.
Voi siete femministe. Cosa caratterizza le donne russe oggi?
Le donne russe sono stritolate da due stereotipi: quello occidentale e quello slavo. Disgraziatamente in Russia domina ancora la vecchia concezione della donna regina del focolare, della donna che cresce i figli senza alcun aiuto dell’uomo. È una concezione che la Chiesa ortodossa contribuisce a diffondere e che rende schiave. L’ideologia di Putin si muove nella medesima direzione. Sia la chiesa sia Putin rifiutano l’Occidente, femminismo compreso. Ma anche qui da noi il movimento di liberazione delle donne ha una tradizione e fu soffocato da Stalin. Speriamo risorga.
Sceglierebbe ancora un luogo di culto per tenervi una manifestazione di protesta?
Siamo artisti e gli artisti non si ripetono mai. Comunque il video e il testo non potevano in alcun modo offendere i sentimenti religiosi dei credenti. I media controllati dal governo hanno offerto una rappresentazione distorta della realtà  accusandoci di odio religioso.
Al processo ha citato il Vecchio e il Nuovo Testamento. Lei è religiosa?
Non credo in Dio, ma considero la religione un aspetto importante della cultura.
La chiesa ha chiesto clemenza per le Pussy Riot.
Non è vero. La chiesa ha chiesto clemenza solo dopo che era stata resa nota la sentenza. Perchè non ha parlato prima?
In tribunale si è paragonata a Fiodor Dostoevskij e Alexander Solgenitsin. La notorietà  le ha dato alla testa? Solgenitsin ha trascorso 8 anni in un gulag. E Dostoevskij fu condannato a morte e graziato quando si trovava già  dinanzi al plotone di esecuzione.
Non volevamo fare alcun paragone. Volevamo solo sottolineare che l’atteggiamento del governo nei confronti del dissenso è esattamente lo stesso.
Diversi oppositori pensano che con la performance nella cattedrale abbiate esagerato. Aleksey Navalny, il più noto politico di opposizione, ha definito la vostra performance “stupida”. Avete per caso diviso l’opposizione?
Navalny ci ha lodato quando sulla Piazza Rossa abbiamo detto che Putin era un vigliacco. Sì, è vero vogliamo dividere, ma non l’opposizione. Vogliamo svegliare quella parte della società  che finora è rimasta inerte e ha preferito rimanere tranquilla a casa invece di scendere in piazza a difesa dei diritti civili. La vera spaccatura al momento è quella tra il governo e la maggioranza silenziosa dei russi.
Dal giorno del vostro arresto c’è qualcosa che vi ha fatto particolarmente piacere o dispiacere?
La straordinaria pubblicità  data dai mezzi di informazione di tutto il mondo al nostro caso è stata una piacevole sorpresa. La reazione del governo ce l’aspettavamo. Mi ha fatto piacere il sostegno ricevuto da moltissima gente oltre che dagli amici.
Avete fatto appello. Vi aspettate una riduzione della pena?
Non mi interessa.
Teme per la sua vita una volta che vi manderanno in una colonia penale?
Sono le autorità  a dover avere paura non noi.
Una volta uscite di prigione sfrutterete la vostra fama per fare soldi? O magari entrerete in politica?
A che serve parlare di cose del genere fin tanto che in Russia ci sarà  un sistema autoritario?

(da Il Fatto Quotidiano – Der Spiegel –   The New York Times)

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PASSERA NON ESCLUDE UN FUTURO IN POLITICA E NEL PD CONFERMANO: “C’E’ BISOGNO DI GENTE COME LUI”

Settembre 5th, 2012 Riccardo Fucile

IL SUPER MINISTRO DEL GOVERNO MONTI PER LA PRIMA VOLTA GUARDA OLTRE IL SUO INCARICO

Passera chiama, D’Alema e il Pd rispondono.
Non può che passare per la via Emilia il flirt che avvicina il ministro dello Sviluppo economico ed ex banchiere al partito di Pierluigi Bersani.
Giunto a Reggio per la Festa nazionale del Partito democratico, il capo del dicastero per lo sviluppo economico, Corrado Passera non ha escluso la possibilità  di scendere in politica e, perchè no, in un governo di centrosinistra dopo le elezioni del 2013. “Non me la sento di smentire Franco Marini, però quando quella decisione verrà  presa, se verrà  presa, lo dirò chiaramente, adesso devo fare al meglio il ministro dello Sviluppo per cercare di creare occupazione”, ha detto Passera incalzato dall’ex presidente del Senato che lo aveva invitato a partecipare a un prossimo esecutivo guidato dal Pd.
Dopo pochi minuti a dare man forte all’ex numero uno di Banca Intesa nel suo incedere a grandi passi verso la politica è arrivata, sempre dagli stand della festa, la voce dell’ex premier, Massimo D’Alema. “La politica italiana ha bisogno di persone che portino passione e competenza”.
Poi l’ex presidente del consiglio ha ricordato altri esempi illustri: “Anche in passato noi abbiamo promosso persone come Carlo Azeglio Ciampi e Tommaso Padoa Schioppa, che hanno portato un contributo straordinario. Marini fa bene a rivolgersi a Passera e ad altri membri dell’attuale governo”, ha concluso D’Alema.
Non è neppure un caso che il Partito democratico si sia esposto nei confronti di Passera attraverso la voce del cattolico Franco Marini.
Quello dell’ex banchiere (indagato dalla Procura di Biella per reati fiscali) infatti, fin dal’incontro di Todi del 2011, in cui buona parte del mondo economico di ispirazione cristiana profilò la nascita di un nuovo partito cristiano post-berlusconiano, era il nome di spicco.
Quella nata nella cittadina umbra   è una compagine (dal nome lunghissimo Forum delle persone e delle Associazioni di ispirazione cattolica nel Mondo del lavoro) che raggruppa potenze come la ciellina Compagnia delle opere, la Confcoperative, la Coldiretti, l’Acli, laCisl, la Confartigianato.
Un gruppo che potrebbe non disdegnare un ingresso di Passera in un governo di centrosinistra, fortemente bilanciato dalla presenza dell’Udc di Casini.
E senza l’ingombrante partecipazione di Nichi Vendola e compagnia.
Per il ministro dello Sviluppo economico l’occasione della festa è stata l’ennesima per parlare del tema del lavoro.
L’autunno caldo che si profila infatti potrebbe essere il banco di prova da leader.
Al termine del dibattito, prima di lasciare la festa del Pd alla domanda se quindi per l’Alcoa di Portovesme non ci sia nulla da fare, il ministro ha provato a tranquillizzare: “Assolutamente no”.
Ma ci ha tenuto a sottolineare come la situazione “sia difficile e quindi bisogna definirla come tale. A oggi — ha aggiunto — non abbiamo un impegno da parte di nessuno però lavoriamo, lavoriamo e continueremo a lavorare se necessario anche fino alla fine dell’anno e tutto l’anno prossimo”.
A D’Alema invece tocca suo malgrado parlare seppure indirettamente ancora di Matteo Renzi.
A chi gli chiedeva sulla sua lunga permanenza in parlamento e se si sentisse uno degli obiettivi delle rottamazioni del sindaco di Firenze, l’ex ministro degli Esteri risponde: “Non ho mai chiesto di essere candidato, è al partito che dovete chiederlo. Anche l’ultima volta fu Walter Veltroni a chiedermi di entrare in lista. Si candida chi porta i voti, non si fanno le liste solo per dare l’occupazione a una persona”.

David Marceddu
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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