Gennaio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
IL BLITZ DELLA FINANZA NEGLI UFFICI DEL GRUPPO REGIONALE LIGURE SVELA SPESE NON PROPRIO ORTODOSSE CON I SOLDI PUBBLICI
Biancheria intima, cravatte, regali di Natale, cene, viaggi. Persino cibo per gatti. 
La spesa, i consiglieri dell’IdV, la pagavano con i finanziamenti pubblici ai partiti. Scontrini e ricevute per spese non proprio “ortodosse” stavano per essere sostituiti con altri più “consoni”.
Il blitz della Guardia di Finanza stamani, negli uffici del gruppo regionale ligure dell’Idv ha svelato una gestione “allegra” del bilancio.
Quattro i consiglieri indagati: Maruska Piredda, l’ex hostess Alitalia, rimasta ancora sotto la bandiera di Antonio Di Pietro; Marylin Fusco, ex vice presidente della giunta regionale, e Niccolò Scialfa, che ha preso il suo posto dopo che la compagna di partito indagata per irregolarità nell’appalto per la costruzione del porto di Ospedaletti, nel ponente ligure.
Entrambi ex IdV, oggi passati a Diritti e Libertà .
Indagato anche Stefano Quaini, oggi al Sel.
E poi c’è il il tesoriere dell’Idv, Giorgio De Lucchi e la compagna, una funzionaria dell’Agenzia delle Entrate in servizio alla Spezia.
Il primo è accusato di appropriazione indebita ai danni dell’Idv, mentre lo stesso e la compagna sono accusati di favoreggiamento personale nei confronti degli altri quattro indagati.
L’ammontare delle cifre spese non è alto ma davvero insolito e inopportuno per un politico.
Spese registrate però nel bilancio dell’anno scorso con giustificazioni imbarazzanti che potrebbero avere riflessi pesanti sulla stabilità della giunta di Claudio Burlando.
La posizione del vice presdiente Niccolò Scialfa, coinvolto in questa tornata di controlli della Finanza, mette a disagio il Governatore che, per la seconda volta in pochi mesi, deve fare i conti con la presenza di una persona indagata in Giunta.
Era capitato nell’ottobre scorso quando, ad essere indagata fu la precedente vice presidente Marylin Fusco.
Scialfa è molto amareggiato: “Chi mi conosce sa come mi posso sentire”, ha detto. “Sono a disposizione dell’autorità giudiziaria e confido nell’operato della magistratura convinto di poter spiegare tutto”.
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
UNO IN PIEMONTE, L’ALTRA IN TOSCANA… LA MOGLIE DEL PIANISTA CHE SI ESIBIVA AD ARCORE E IL CONSIGLIERE DIPLOMATICO DI PALAZZO CHIGI
L’uno candidato in Piemonte, l’altra in Toscana alla Camera. Entrambi sono stati testimoni a difesa nel processo Ruby.
Dopo lo psicodramma terminato in farsa sul caso Cosentino e dopo il ritiro di Marcello Dell’Utri il Pdl di Silvio Berlusconi inserisce nelle liste nuovi amici.
Ed ecco che — come racconta Dagospia — agguantano una candidatura Simonetta Losi, moglie del pianista Danilo Mariani (anche lui sentito come teste nel processo bis) che si esibiva nelle cosiddette cene eleganti di Arcore insieme al cantautore Mariano Apicella (il Cavaliere ha comprato le case di entrambi, ndr), e Bruno Archi, già diplomatico di Palazzo Chigi.
Simonetta Losi, già vicecoordinatrice del Pdl senese e già candidata a sindaco a Sarteano, è stata inserita al sesto posto nella sua regione.
Ed ecco cosa avev detto ai giudici il 31 ottobre scorso: ”Non riuscivamo a vendere il nostro appartamento e abbiamo quindi chiesto aiuto al Presidente e abbiamo venduto la casa a una delle sue società ”.
La signora, che cantava accompagnata dal marito al piano nella residenza dell’ex premier, aveva tinteggiato in toni pastello le serate di Arcore come ”cene normali” e aveva chiarito di non aver ”mai visto atteggiamenti di natura sessuale, nè spogliarelli, nè toccamenti”.
A proposito di una serata del 22 agosto 2010, nella quale erano presenti anche Chiara Danese e Ambra Battilana (le due ex miss che, stando al loro racconto, se ne andarono poi disgustate), la Losi aveva risposto al pubblico ministero di avere visto ”le due giovani tranquille e serene”. L’ormai famosa ‘statuetta di Priapo’ che venne portata al tavolo quella sera, secondo la testimone, ”era solo uno scherzo e non mi risulta che le ragazze abbiano simulato rapporti orali”.
Non era stata diversa la testimonianza e anche su un altro tema del procedimento di Bruno Archi, diplomatico in servizio presso la presidenza del Consiglio che, il 5 ottobre scorso, aveva confermato che al pranzo istituzionale con l’allora presidente egiziano Hosni Mubarak del 2010 si parlò di di Ruby.
Alle domande del procuratore aggiunto Ilda Boccassini, Archi aveva risposto: ”Il presidente Berlusconi disse che aveva conosciuto una ragazza egiziana e chiese a Mubarak se fosse una sua parente e se facesse parte della sua cerchia familiare”.
Alla richiesta di chiarimento su quale fosse stata la risposta di Mubarak Archi aveva spiegato: ”Rimase incuriosito, ma a mio avviso non capì bene, c’era confusione. Non ricordo, però, se rispose a questa domanda”.
Mentre i componenti della sua delegazione, secondo il diplomatico, ”cominciarono a interloquire affermando che, con questo nome, conoscevano una cantante egiziana” .
Anche Mariani, come del resto Apicella: “Niente sesso, cene normali”, è stato teste a discarico nel processo Ruby bis, nel quale sono imputati Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti.
La statua di Priapo era definita una ”bischerata”.
Anche per Mariani le feste, naturalmente, non avevano nulla di scandaloso: si cenava, si chiacchierava, si ”faceva musica” e si ballava. Mai spogliarelli, nè baci saffici e men che meno palpeggiamenti o toccamenti.
Il manufatto ”era una cosa simpatica e aveva una protuberanza in stile africano. Ho visto questa statua con questo coso che ha portato, come scherzo, un cameriere che aveva il padre che lavorava in Angola”.
Il pianista, che era stato anche ripreso dal presidente del collegio, aveva aggiunto che era “passata” di mano in mano tra le ospiti, ed era “ritornata al cameriere che l’ha riposta.
Quando passava si facevano battute, una bischerata, ma nessuna ha mimato gesti di natura sessuale. ‘Non ho mai visto alcuna denudarsi. Semmai qualche balletto, magari per festeggiare la vittoria del Milan.
“In caso di elezione le due new entry si i ritroveranno in Parlamento anche Mariastella Gelmini, Mara Carfagna, Maria Rosaria Rossi, Paolo Bonaiuti, Valentino Valentini, Daniela Santanchè e Giancarlo Galan, tutti sentiti come testi nel processo Ruby ma già parlamentari di lungo corso” chiosa Dago.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
SE RINUNCIA DELL’UTRI, RESTANO IN POLE POSITION D’ALI’, SCHIFANI, CAPUTO, ROMANO E MINARDO
Nessuna fuga e tutti al proprio posto, inclusi gli “impresentabili”. 
Se in Campania l’esclusione di Nicola Cosentino dalle liste per le prossime elezioni politiche ha causato un vero e proprio terremoto nel Pdl, a metà tra la farsa e la tragedia, in Sicilia il partito di Silvio Berlusconi non ha riservato grosse sorprese.
Nelle liste presentate dal Pdl sull’Isola, infatti, sono inclusi tutti gli esponenti del partito del predellino che nelle scorse settimane avevano rischiato di rimanere fuori dalla corsa per un seggio in Parlamento.
In forse fino all’ultimo era il senatore Antonio D’Alì, attualmente imputato con il rito abbreviato per concorso esterno in associazione mafiosa.
D’Alì è un fedelissimo di Berlusconi: a Palazzo Madama dal 1994, è stato sottosegretario all’Interno fino al 2006.
Dopo anni d’indagini, nell’ottobre scorso è iniziato il processo che lo vede accusato di concorso esterno a Cosa Nostra: secondo la procura di Palermo il senatore ha intrattenuto rapporti con i Messina Denaro, storica famiglia mafiosa trapanese.
Don Ciccio Messina Denaro, capostipite del clan, era stato campiere proprio nelle terre della famiglia D’Alì, mentre secondo alcuni collaboratori di giustizia lo stesso Matteo Messina Denaro, l’ultimo grande latitante di Cosa Nostra, si sarebbe adoperato attivamente per fare votare il senatore alle elezioni del 1994.
D’Alì ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento, ma quel processo per mafia rischiava di far depennare il suo nome dalle liste per il Senato.
Berlusconi però non poteva permettersi di escludere l’esponente principale del suo partito a Trapani, storica roccaforte di Forza Italia prima e del Pdl poi.
D’Alì è quindi stato inserito in sesta posizione nella lista per il Senato.
A guidare i candidati siciliani per Palazzo Madama sarà lo stesso Berlusconi, dietro di lui l’attuale presidente del Senato Renato Schifani, recentemente archiviato dalla procura di Palermo che lo indagava per concorso esterno a Cosa Nostra.
All’ottavo posto nella lista del Pdl al Senato anche Antonio Scavone, braccio destro di Raffaele Lombardo: già condannato a 400mila euro di risarcimento dalla corte dei conti per la gestione della Asp 3 di Catania, Scavone è accusato di abuso d’ufficio per aver affidato senza gara un appalto da due milioni di euro a Melchiorre Fidelbo, marito di Anna Finocchiaro.
Candidato al Senato, ma con la lista Fratelli d’Italia, è invece il deputato regionale del Pdl Salvino Caputo, condannato in appello a un anno e cinque mesi per tentato abuso d’ufficio.
E se, il 20 gennaio, il senatore Marcello Dell’Utri, l’amico di una vita di Berlusconi, annunciava il ritiro della sua candidatura (“non mi serve più”, diceva a Il Fatto Quotidiano), trova posto nelle liste del Pdl per la Camera dei Deputati, anche l’ex ministro dell’agricoltura Saverio Romano.
Al leader del Cantiere Popolare è stata garantita la seconda posizione in Sicilia Occidentale, subito dietro Angelino Alfano: l’elezione del fedelissimo di Totò Cuffaro è dunque blindata. Romano è stato di recente assolto per concorso esterno in associazione mafiosa, nel processo che in primo grado è stato celebrato con il rito abbreviato.
Di recente la Procura di Palermo per lui ha chiesto l’archiviazione anche per un’altra indagine che vede Romano indagato per corruzione: avrebbe ricevuto 50mila euro da Gianni Lapis, storico tributarista di Vito Ciancimino, per inserire in finanziaria una norma a favore della Gas spa, l’azienda energetica che avrebbe fatto capo all’ex sindaco mafioso di Palermo e a Bernardo Provenzano.
Confermato tra i candidati alla Camera, ma in Sicilia Orientale, anche Nino Minardo, condannato nel 2011 in primo grado con il rito abbreviato ad un anno di reclusione per abuso d’ufficio.
Minardo è il giovane rampollo di una dinastia di petrolieri con la passione per la politica: suo zio Riccardo, già deputato nazionale e regionale con il Movimento per l’Autonomia, è stato arrestato nell’aprile del 2011 per associazione a delinquere, truffa aggravata e malversazione ai danni dello Stato proprio mentre sedeva all’Assemblea regionale Siciliana.
Si affida a candidature familiari anche Gianpiero Samorì che nei suoi Moderati in Rivoluzione candida i fratelli Ruggirello: Paolo, deputato regionale proveniente dal Movimento per l’Autonomia è numero due alla Camera, mentre Bice, già candidata alle regionali del 2006 con il Ccd, è numero 2 al senato.
Sono i figli di Giuseppe Ruggirello, banchiere trapanese proprietario negli anni ’70 della Banca Industriale, storico sponsor del leader socialista Bartolo Pellegrino, vice presidente della Regione Sicilia governata da Cuffaro, arrestato per mafia nel 2007 mentre al telefono chiamava i carabinieri “sbirri e infami” e poi assolto in via definitiva.
Curiosa invece la seconda piazza al Senato che la lista Monti per l’Italia ha riservato allo “sconosciuto” Rosario Sidoti.
L’ex consigliere provinciale del piccolissimo comune messinese di Montagnareale ha infatti superato a sorpresa nomi di peso come quello del senatore uscente Benedetto Adragna, che per seguire Monti ha lasciato il Pd, e quello di Antonino Recca, rettore dell’Università di Catania, piazzandosi dietro soltanto al capolista Pierferdinando Casini, e dunque in posizione utilissima per l’elezione.
Sidoti però è indicato come uomo di fiducia dell’ex tesoriere dell’Udc Pippo Naro, già condannato in via definitiva a sei mesi per abuso d’ufficio e sotto processo per le tangenti Enav: il partito di Casini ha dunque preferito non riproporlo.
Almeno non in prima persona.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
SI APRE IL PROBLEMA FITTO.. PROTESTE PER I CATAPULTATI E PER QUALCHE INQUISITO… ENTRANO IL CHIRURGO PLASTICO DEL CAVALIERE E LA DAMA BIONDA
Si chiamano «catapultati» e ogni volta che atterrano in un collegio provocano piccole scosse telluriche.
Ma una sorta di bradisismo più o meno intenso ha interessato buona parte delle liste del Pdl.
Turbolenze causate da «trombati» eccellenti, da innesti spericolati e rivolte dei dirigenti locali.
Dalle Marche all’Abruzzo, dalla Liguria alla Toscana, dalla Lombardia alla Calabria, sono molti i casi.
A cominciare dall’esclusione degli ultimi ex an restati nel Pdl: nessun posto in lista per Andrea Ronchi, Adolfo Urso e Pasquale Viespoli (salvi invece Andrea Augello e Barbara Saltamartini).
Tanto che Mario Landolfi arriva a parlare di «pulizia etnica». E Viespoli: «Non partecipo al suicidio del centrodestra».
Un caso quello degli ex An, come è un caso quello che accade in Puglia, dove il capolista alla Camera, il governatore Raffaele Fitto, è stato raggiunto dalla notizia della richiesta di una condanna a 6 anni e 6 mesi per corruzione, finanziamento illecito, peculato e abuso d’ufficio, in un’inchiesta sugli appalti.
Il «direttorissimo» Augusto Minzolini è planato come numero 2 al Senato in Liguria, regione dove la composizione delle liste ha scontentato tutti, a partire dagli scajoliani. L’ex direttore del Tg1, accusato di peculato per le spese con la carta di credito aziendale, ha accolto con sollievo la candidatura: «Mi sentivo emarginato, come se qualcuno mi avesse messo il bavaglio: ora finalmente potrò dire la mia».
Il coordinatore regionale Michele Scandroglio ha protestato contro «un’invasione eccessiva e inopportuna». Per Angelo Vaccarezza, presidente della Provincia di Savona, «questa terra è diventata l’Abissinia del partito, con i coloni Minzolini e Lainati».
In Piemonte, nella prima circoscrizione del Senato, ecco il romanissimo Daniele Capezzone.
Non è l’unico che ha scarsa dimestichezza con il Piemonte: ci sono anche Elio Vito, Annagrazia Calabria e Bruno Archi.
Rientra la protesta nelle Marche, dove il deputato uscente Remigio Ceroni aveva annunciato il ritiro dalla politica, avendo visto «le Marche massacrate».
Ieri Ceroni è tornato in lista.
Ma rientrata la sua protesta, è arrivata quella del coordinatore di Pesaro-Urbino Alessandro Bettini, che a sorpresa ha ritirato la candidatura.
La presenza di Domenico Scilipoti e Antonio Razzi, i due ex Idv decisivi per la sopravvivenza del governo Berlusconi, ha provocato più di una protesta.
La riconoscenza berlusconiana è valsa un posto in Calabria a Scilipoti, dirottato dall’Abruzzo dopo le proteste.
Posto numero 6: poltrona non garantita.
Ancora più in bilico quella di Razzi, in Abruzzo.
Il governatore Giovanni Chiodi ha protestato, l’ex Idv ha fatto valere la residenza a Pescara, ma è sceso al quarto posto in lista.
Infuriato il presidente del consiglio regionale, Nazario Pagano, che parla di «sfregio».
Proteste anche in Toscana. E in Emilia-Romagna, dove è candidato l’ex sindaco socialista di Roma Franco Carraro.
Proprio l’uomo che, da presidente della Fgci ai tempi di Calciopoli, fu accusato dai tifosi del Bologna per la retrocessione della squadra.
Esclusi parlamentari storici come gli ex an Filippo Berselli e Fabio Garagnani.
Fuori anche Giampaolo Bettamio.
Forte malumore in Lombardia, dove ci sono innesti poco graditi.
Come Alessia Ardesi, una giovane che lavora al Mattinale del Pdl.
Nella stessa redazione cara a Berlusconi lavora anche Giovanna Del Giudice, ex meteorina. Ma in Lombardia i malumori riguardano anche l’arrivo di Salvatore Sciascia, condannato a 2 anni e 6 mesi per la corruzione di alcuni ex colleghi della Guardia di Finanza.
C’è anche Lucio Barani, craxiano a tal punto da erigere una statua a Bettino. Altro caso a Brescia, per Giuseppe Romele, indagato per false dichiarazioni.
È un caso anche la candidatura di Antonio Verro, attuale componente del Cda Rai.
E se in Campania, dopo l’esclusione di Cosentino, è stato caos liste, nell’elenco di Grande Sud spunta la nipote di Mara Carfagna, Maria Rosaria.
Tra le new entry del Pdl ci sono la giornalista Romana Liuzzo e il chirurgo plastico del Cavaliere Maria Rizzotti.
Alessandro Troncino
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
IL PRIMATO AL PDL, MA ANCHE NEL PD VI SONO INQUISITI IN CORSA
Ore d’ansia. Di pressioni per esserci a tutti i costi. 
Alla fine, anche nella XVII legislatura, il partito degli inquisiti rischia di aggiudicarsi un ruolo da protagonista.
A riprova che la legge sulle liste pulite, ancorata alla condanna definitiva per pene oltre i due anni per reati gravi, non ha raggiunto l’obiettivo.
Nè ha fatto scattare fino in fondo l’autodisciplina nei partiti.
A cominciare dal Pdl dove chi giudica se gli altri possono stare dentro o fuori detiene il primato dei processi, perfino quelli in corso.
Silvio Berlusconi, con tre dibattimenti aperti (Ruby, Mediaset, intercettazione Fassino), supera qualunque altro.
Anche stavolta, nel radiografare i candidati, tocca partire dal Pdl, dove la strumentale operazione pulizia («Togliamoli, senno i sondaggi ci danno in calo» dice l’ex premier) lascia in campo nomi noti alla giustizia.
Il primo è Denis Verdini, immarcescibile coordinatore toscano che sta facendo le liste.
Indagato per false fatture, mendacio bancario e per gli appalti del G8, si è auto assolto.
Terzo posto come inquisito eccellente per il governatore lombardo Roberto Formigoni, un’accusa di corruzione per il denaro in arrivo dalla Fondazione Maugeri e dal consulente- mediatore Pierangelo Daccò.
Nell’elenco non sfigura Luigi Cesaro, battezzato “Giggino a’ purpetta”, destinato al collegio Campania1, indagato per associazione camorristica.
Nonostante sia stato assolto per un caso di corruzione, è tuttora alle prese con un altro processo per lo stesso reato il leccese Raffaele Fitto, ex ministro per gli Affari regionali del governo Berlusconi.
Il dibattimento, che riguarda una tangente dell’imprenditore e prossimo candidato Pdl Antonio Angelucci, potrebbe arrivare a sentenza prima del voto.
Probabili in lista in Sicilia il senatore uscente Antonio D’Alì, di nobile lignaggio trapanese ma rinviato a giudizio per concorso esterno in 416bis, che ai suoi avrebbe detto: «Se eliminate me non credo che il partito possa contare su altri over 40 in grado di prendere il mio posto ».
L’ex sindaco di Palermo Diego Cammarata ha sulle spalle un rinvio a giudizio per aver usato un operaio del Comune come skipper della sua barca.
Correrebbero nomi noti del vecchio Parlamento come Renato Farina (pena di sei mesi patteggiata per aver favorito il sequestro di Abu Omar), Elvira Savino (concorso in riciclaggio), Pino Galati (416, truffa e associazione segreta), Sabatino Aracu (rinvio a giudizio).
In Sicilia sorprese arrivano dall’Mpa di Raffaele Lombardo, l’ex governatore rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa per i suoi rapporti con il clan Santapaola.
Con lui gareggiano Roberto Di Mauro, capogruppo all’Ars, con una richiesta di rinvio a giudizio per omissione d’atti d’ufficio (da assessore all’Ambiente non contrastò l’inquinamento atmosferico) e Giuseppe Federico, ex presidente della Provincia di Caltanissetta, indagato per voto di scambio in un’inchiesta sul clan Madonia da cui avrebbe chiesto e ottenuto voti.
Grande Sud di Gianfranco Miccichè, che doveva essere il contenitore di tutti gli inquisiti, al momento non ne conta.
Su fronti opposti la Lega di Maroni e l’Udc di Casini chiudono le liste con nomi chiacchierati. Lo sono quelli di Umberto Bossi e Roberto Calderoli nel Carroccio, ma pure quello del plenipotenziario centrista Lorenzo Cesa, una condanna per corruzione aggravata poi annullata per vizio di forma, su cui si è molto discusso tra Monti e Casini.
In Sicilia ecco Giovanni Pistorio, in arrivo dall’Mpa, condannato a 50mila euro per danno erariale (dèpliant inutile per l’influenza aviaria).
Nel Pd, dopo l’intervento del garante Luigi Berlinguer, resta una pattuglia di nomi chiacchierati.
Nicodemo Oliverio, Crotone, ex tesoriere della Margherita, sotto inchiesta per bancarotta fraudolenta per la cessione di palazzo Sturzo.
Francantonio Genovese, ex sindaco di Messina, un abuso d’ufficio per un affidamento illegittimo a una società di servizi.
Il toscano Andrea Rigoni, una condanna prescritta a 8 mesi per un abuso d’ufficio.
L’ex capogruppo Pd alla Regione Puglia Antonio De Caro, imputato per un concorso in tentato abuso d’ufficio per aver raccomandato un cugino.
Un altro De Caro, ma di nome Umberto, avvocato ex Psi, legale di Nicola Mancino, condannato dalla Corte dei Conti.
Nell’elenco figurano Giovanni Lolli (un favoreggiamento prescritto) e la giornalista anti-camorra Rosanna Capacchione (calunnia).
Liana Milella
(da “la Repubblica”)
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Gennaio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
“QUI CI DANNO DEI CAMORRISTI”…”MI VOLETE VEDERE IN GALERA? IO NON HO PAURA, MI FATE SCHIFO”
«Tu sei innocente, ma userebbero te per attaccare noi, saremmo massacrati dai giornali: lo vedi che ci danno già dei camorristi? ».
Silvio Berlusconi tiene gli occhi bassi ma è la sentenza di condanna.
Il processo può finire qui. Nick o’ mericano si alza, gira i tacchi e lascia Palazzo Grazioli, lo fa solo quando è tutto finito, quando la battaglia è persa e non può crederci nemmeno lui.
Non può credere che a «tradirlo» sul traguardo sia stato proprio il Cavaliere.
Non era Alfano, non era il governatore Caldoro, il suo «nemico». Lo scopre solo ai titoli di coda. Quando da quei titoli è stato cancellato a sorpresa il suo nome: Nicola Cosentino non serve più.
«Una campagna cannibalesca contro di me, ma io non ho paura del carcere» si sfoga mentre rientra a Caserta.
È pomeriggio inoltrato.
È il centesimo ma stavolta davvero ultimo vertice sul caso Campania, nella residenza del leader. Ed è uno psicodramma a tinte fosche.
I fedelissimi del Cavaliere raccontano di un’operazione chirurgica meditata da tempo e portata a compimento solo nell’ultimo istante utile.
Solo quando il deputato di Casal di Principe non avrebbe potuto più fare male, non avrebbe più potuto mettere su una sua lista in poche ore.
Era già tutto previsto, ma Cosentino – sotto inchiesta per concorso esterno e sul quale pendono due ordinanze di arresto – lo realizza quando viene lasciato solo.
Quando nemmeno gli amici Denis Verdini e Francesco Nitto Palma alzano il dito in sua difesa, in quella sala con Alfano, Schifani, Bondi, con Berlusconi.
Esce dal Palazzo e forse dall’avventura pidiellina ma non si arrende, «non finisce qui».
Chiama uno dietro l’altro i deputati, la gran parte fatti fuori come lui, e organizza la controffensiva.
«Secondo questi signori andavo bene solo quando vincevo: hanno usato il mio consenso per buttare giù venti anni di centrosinistra in Campania, andavo bene se si trattava di vincere alla Provincia e di mandare Stefano Caldoro a fare il governatore, e ora non servo più», mormora livido di rabbia.
E dire che Cosentino ieri mattina era di nuovo dentro. Recuperato in extremis.
Invece nel giro di poche ore, in quello che poi si rivelerà un gioco delle parti, Angelino Alfano fa sapere che non avrebbe firmato la lista campana se in lista ci fosse stato anche quel nome. Verdini e Nitto Palma riconvocano Cosentino. Si apre il processo.
Il Cavaliere agita sotto gli occhi di tutti l’agenzia di stampa che riprende la pesante dichiarazione di Nichi Vendola: «A destra si sente ancora puzza di camorra», seguita alle voci del mattino sull’inserimento in lista dell’ex sottosegretario.
«Nicola, noi crediamo che sei vittima di una persecuzione giudiziaria, siamo certi che sarai assolto, ma vedi? Ci danno già dei camorristi, verremmo massacrati in campagna elettorale dai giornali di sinistra, userebbero te per attaccare noi».
E poi, ci sarebbero Scajola e Dell’Utri che hanno accettato il sacrificio. Verdini e Nitto Palma stavolta tacciono. È la fine. Ma che fatica.
Mettere all’angolo il più astuto dei ras meridionali e infilzarlo solo quando non avrebbe potuto più riorganizzarsi con una lista last minute.
«È un tradimento, una pugnalata alle spalle» mastica amaro Cosentino prima di andare via. Ma non ci sono reazioni scomposte. Non sul momento.
Certo, succede che da lì a un paio d’ore l’uomo incaricato di portare materialmente le liste in Corte d’Appello con tutti i documenti belli e pronti diventi irrintracciabile. Nitto Palma è già partito per Napoli, raggiunge il tribunale ma non ha niente in mano, sono momenti di panico che rimbalzano fino a Palazzo Grazioli.
Poi tutto si risolverà , ma molto tardi.
L’apprensione continua, invece, soprattutto da quando da Napoli arriva la notizia che Nick ha convocato per oggi una conferenza stampa per cantarle, per dire la sua.
Cantare cosa?
L’uomo dal sorriso affilato, il politico che si porta addosso la fama di intoccabile e il marchio di
Gomorra, all’improvviso lascia Roma e sparisce, come le liste campane Pdl. «
Non ho mai avuto paura del carcere, sono sicuro delle mie condotte e mi difenderò con tutte le mie forze nei processi» si sfoga rientrando.
Testa bassa, sguardo livido. «Io ora non vedo nè politica, nè idee, nè niente: vedo solo una campagna cannibalesca contro di me, vedo solo violenza e gente che parla a vanvera». Direzione Caserta: ha bisogno di andare a casa, Nicola, forse vedere sua moglie e i due figli, è l’epilogo della sua carriera politica.
C’è chi dice che lo stesso Nitto Palma lo insegua letteralmente verso Sud. Cosentino smentisce seccamente, attraverso il suo avvocato Stefano Montone, di aver mai fatto sparire, o quanto meno «rubato» quelle firme di accettazione. E minaccia querele.
La tragedia si risolve in farsa nel pomeriggio napoletano.
Dal partito partono i primi sms già alle 15, danno a tutti candidati e sostenitori appuntamento al Terminus, l’albergo affacciato proprio di fronte alla Stazione Centrale.
Arrivano alla spicciolata parlamentari e segretari, consiglieri e capibastone. Tutti armati del proprio certificato elettorale, pronti a ripresentare tutto. La fotocopiatrice del grande hotel va in tilt.
Per ironia della sorte quel popolo di aspiranti e confusi parlamentari si incrocia con tanti giovani che vogliono partecipare al cast per la trasmissione «Uomini e donne».
Ci sono tutti gli amici di Nick, da Laboccetta a Cesaro, usano tutti la stessa parola: «tradito, è stato tradito, anche da Berlusconi».
Carmelo Lopapa e Conchita Sannino
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
BERLUSCONI : “UN TAGLIO DOLOROSO, ORA AL NORD VOLEREMO”… QUANDO COSENTINO DEFINI’ LA PASCALE “EQUIVOCA E SGUAIATA BOCCHINIANA”
Alfano canta vittoria, ma è Silvio Berlusconi il vero mandante dello sbianchettamento delle
liste del Pdl dai cosiddetti “impresentabili”: Dell’Utri, Scajola e Cosentino.
Non per scrupoli morali, sia chiaro.
Anzi, la rinuncia a Marcello Dell’Utri per il Cavaliere è stata un vero dolore.
Lui stesso l’ha raccontata mimando il gesto dell’ascia che mena il fendente: «È stato come se mi avessero tagliato la mano destra».
Ma le ragioni della politica e del consenso hanno prevalso su quelle del cuore. Nell’ultima riunione della cabina di regia di palazzo Grazioli, Berlusconi alla fine ha confessato con un sorriso: «Senza quei nomi in lista possiamo recuperare due milioni e mezzo di voti. Al Nord adesso voliamo».
Un ragionamento che tutti, con l’eccezione di Denis Verdini, hanno condiviso.
Da almeno una settimana il Cavaliere in realtà aveva preso la sua decisione. Provando a testarla, come sempre, in televisione.
Prima da Bruno Vespa, con il caso Dell’Utri. Poi con Cosentino, mollato in diretta nell’intervista a Maria Latella.
Erano carotaggi, anche per indebolire le resistenze degli interessati.
L’ex sottosegretario all’Economia e leader del Pdl in Campania alla fine è dovuto soccombere alla logica dei sondaggi.
Ma contro di lui ha giocato anche un micidiale cocktail di veleni e veti personali. Angelino Alfano ha fatto la sua battaglia contro Cosentino sbandierando lo slogan del “partito degli onesti”, ben contento in realtà di poter silurare il più forte alleato interno di Denis Verdini.
Cioè dell’uomo che, ancora oggi, è il vero dominus del partito.
E tuttavia c’è anche una mano insospettabile dietro l’omicidio politico di Cosentino. Una mano gentile, armata di stiletto.
Cherchez la femme, visto che si tratta di Francesca Pascale.
La sfortuna di “Nick o’ mericano”, quella che ne ha determinato infine la sorte, è stata infatti di essere la persona più sgradita alla nuova fiamma di Berlusconi.
Che in questi giorni ha sussurrato nell’orecchio del “fidanzato” ogni sorta di maleficio nei confronti di Cosentino.
E se il Cavaliere aveva ancora qualche scrupolo a sbarazzarsi dell’ingombrante ex coordinatore della Campania, la Pascale glieli ha fatti passare tutti.
Un odio antico quello di Cosentino per la giovane ex consigliera provinciale di Napoli. Cordialmente ricambiato.
Coltivato fin dai tempi delle regionali in Campania, quando Cosentino sfiorò d’un soffio la candidatura a presidente della Regione.
Sembrava fatta, poi la Pascale – che già ai tempi aveva un posto speciale nel cuore del “Presidente” – prese un treno e corse a Roma.
A un ricevimento al Gianicolo organizzato per i circoli della libertà di Valducci. Durante tutta la serata la ragazza non si staccò un minuto da Berlusconi.
Fu poi lei stessa a raccontare a Repubblica l’oggetto del suo pressing: «Ero molto curiosa di sapere come andrà a finire in Regione.
E Berlusconi mi ha detto che Cosentino farà un passo indietro. Aggiungendo che, in fondo, è già stato abbondantemente ripagato: conserva infatti varie cariche. Diciamolo, in molti, al suo posto, avrebbero già rinunciato».
Letto del ruolo della Pascale dietro il suo siluramento, Cosentino non stette con le mani in mano.
Su due profili Facebook, riferibili all’area Cosentino-Cesaro, apparvero giudizi spietati sulla ragazza, «la civettuola telecafoncella», «l’equivoca e sguaiata “bocchiniana” Francesca Pascale pro domo sua», che «scaricata dai politici campani per incapacità , magnificando “pilotate” relazioni confidenziali con il premier», avrebbe fatto da «ventriloqua ai vari Bocchino, Vito, Pomicino, Martusciello & Company».
Un attacco in piena regola.
Con l’aggiunta del video di youtube in cui la ragazza cantava e ballava in bikini ai tempi di Telecafone.
Povero Cosentino, mai avrebbe immaginato che la risposta della Pascale sarebbe arrivata tre anni dopo.
Vendetta fredda, ma inesorabile.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
SALVA I SUOI INDAGATI, MA ESCLUDE DALLE LISTE STEFANI, BRICOLO, DAL LAGO, DOZZO, MARTINI, GOISIS E LUSSANA… ORA I LOMBARDI HANNO L’OCCASIONE DELLA VITA: RIMANDARLO A CURARE LE PRATICHE DI RECUPERO CREDITI ALLA AVON
“Bossiani” sul piede di guerra all’interno della Lega nord.
Le liste per le elezioni di febbraio, nate dalla ‘rivoluzione’ che porta il nome di Roberto Maroni e, almeno in Veneto, di Flavio Tosi, hanno creato più di un malumore.
Fra i nomi nelle liste saltano subito agli occhi i grandi esclusi, per lo più appartenenti al cosiddetto “cerchio magico“.
Tanto che qualcuno parla già di “epurazione politica” e c’è chi, come Carolina Lussana, non nasconde che la sua permanenza nel Carroccio potrebbe essere a rischio.
Dal partito però escludono che si tratti di una epurazione politica: “Le liste sono state fatte secondo un criterio di ricambio generazionale e di presenza sul territorio“, dice ad esempio Matteo Bragantini, capolista al Senato in Veneto.
I nomi degli esclusi però fanno rumore e sono del calibro di Stefano Stefani, il tesoriere della Lega subentrato a Francesco Belsito, una dei triumviri nominati dopo lo scandalo dell’estate 2012 Manuela Dal Lago, il presidente dei senatori del Carroccio Federico Bricolo, il capogruppo alla Camera Gianpaolo Dozzo, le deputate Francesca Martini, Paola Goisis e Carolina Lussana, nonchè il senatore e cofondatore del partito Giuseppe Leoni.
Tutti molto vicini a Bossi.
Se in Veneto le esclusioni sono state motivate dalla voglia di rinnovamento e “rottamazione” di Tosi (che ha imposto il limite di due mandati per essere ricandidati) in Lombardia non c’è stato nemmeno questo criterio a giustificare del tutto le esclusioni.
Tanto che ora il popolo degli ‘esclusi’ chiede chiarimenti.
Lo fa per esempio Carolina Lussana, bossiana, esclusa dalle liste in Lombardia, che non nasconde la rabbia e ipotizza una “epurazione politica nei confronti di quelli che sono rimasti leali e fedeli a Bossi per rispetto e riconoscenza”.
Tanto che sostiene: “Non mi stupisce la mia esclusione, me l’aspettavo”.
Lussana si dice però delusa “soprattutto dal punto di vista umano” perchè “nessuno mi ha spiegato nulla, nemmeno una telefonata, nemmeno da Roberto Maroni. E’ stato detto che si è voluto privilegiare nelle liste chi ha avuto maggior presenza sul territorio. Ma è un’accusa che rispedisco al mittente”.
Lussana quindi non esclude di uscire dal partito.
Alla domanda se resterà nella Lega nonostante tutto, risponde: “Questo vedremo, perchè bisogna essere in due per restare. Chiederò un chiarimento e dopo di che deciderò il da farsi”.
“Il mio — conclude — non è il problema della ‘cadrega’ (poltrona, ndr), ma di rispetto. Si parla tanto di Lega come una grande famiglia. Almeno in Lombardia avrei preferito un discorso tipo quello di Tosi, che motivasse le esclusioni con dei parametri. In Lombardia questi parametri non ci sono stati, tanto è vero che abbiamo candidati con cinque legislature. E inoltre ci sono pochissime donne in lista. Nella Lega 2.0 che critica tanto il celodurismo bossiano, forse qualche presenza femminile in più non avrebbe guastato”.
In Veneto una ‘vittima’ delle esclusioni è stata Manuela Dal Lago, già membro del ‘triumvirato’ del dopo Bossi, che pure aveva alle spalle una sola legislatura.
Racconta che ha rifiutato lei stessa il posto che le avevano offerto (“quinto o sesto al Senato”) e non maschera un velo di amarezza: “Evidentemente il partito non mi ritiene utile e io non sono disposta ad accettare tutto, costi quel che costi”, sostiene. Bragantini, capolista al Senato in Veneto, però replica: “La Dal Lago ha rifiutato per una candidatura alle comunali. Sul piano nazionale, da quello che so io Maroni ha fatto le scelte insieme ai commissari nazionali guardando le competenze dei candidati e la loro copertura territoriale, ovvero la presenza sul territorio”.
Sembra vero…
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Gennaio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
“LA RELAZIONE DEL COMITATO PARLAMENTARE DIMOSTRA CHE NON SI VOLEVA ARRIVARE ALLA VERITA’, TACENDO GLI INTERESSI DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA”
Angela Napoli, membro della Commissione parlamentare antimafia, commenta con parole
durissime la relazione finale del Comitato ristretto che si è occupato dei traffici via mare di rifiuti tossico-radioattivi: «Questo testo una vergogna! E’ la palese dimostrazione che non si voleva fare chiarezza e arrivare alla verità . Segnalerò alla mia Commissione che ritengo un simile documento non idoneo al benchè minimo accertamento dei fatti. Anzi, aggiungo pure che si sta tentando di silenziare uno scandalo di dimensioni spaventose».
Eppure il titolo del documento promette bene: “Relazione sui possibili interessi della criminalità organizzata sul traffico marittimo”.
«Soltanto che poi, all’interno, questi interessi non emergono assolutamente. Una cosa assurda. Pensare che io stessa, durante un’assemblea interparlamentare dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ho denunciato lo scempio dei rifiuti affondati in mare, e in quell’occasione i rappresentanti delle altre nazioni hanno subito riconosciuto la gravità del problema. In Italia invece si vuole rimuovere tutto, convincere gli italiani che niente è successo e che la salute collettiva non corre pericoli. Che amarezza…».
Un punto interessante, viste le polemiche sorte in passato, è quello che riguarda l’armatore Ignazio Messina.
Nella relazione del Comitato, infatti, si scrive che tre navi di questa compagnia (Rosso, Jolly Amaranto e Jolly Rubino) hanno avuto incidenti tra loro simili.
Nel senso che «tutte e tre le navi sono state colpite da maltempo in corso di navigazione, tutte e tre hanno subìto gravi avarie all’apparato motore che ne hanno determinato l’ingovernabilità , tutte e tre hanno perso una parte del carico durante il maltempo, e tutte e tre sono state abbandonate dall’equipaggio e assistite dalla stessa compagnia: la società olandese Smit Tak, specializzata nel recupero e messa in sicurezza di relitti “critici”».
Poi però il Comitato scrive anche che «non vi sono elementi che possano avvalorare la tesi dell’esistenza di connessioni tra gli eventi descritti, in particolar modo ove tale connessione venga ricercata nella finalità dell’affondamento delle navi per l’illegale smaltimento dei rifiuti». Discorso per sempre chiuso, dunque?
«Niente affatto. E’ evidente che il Comitato ha voluto sostenere il lavoro svolto finora dalla magistratura. Ma -con tutto il rispetto- io non l’ho vista tutta questa bontà del lavoro degli investigatori. Spero solo che emergano, a breve, nuovi indizi e testimonianze che permettano di svolgere ulteriori approfondimenti: sia a livello giudiziario sia a livello politico».
Nel documento si spiega tra l’altro che la nave Cunski (al centro dell’attenzione nazionale nel 2009, quando su segnalazione del pentito Francesco Fonti fu trovata un’imbarcazione sui fondali calabresi di Cetraro) non è stata smantellata in India come riferito dalla Capitaneria di Vibo Valentia, e dunque andrà capito dov’è finita.
«Il che non mi stupisce. Già nell’ottobre 2009, quando l’allora procuratore nazionale antimafia Piero Grasso parlò davanti alla Commissione parlamentare antimafia, posi una serie di domande precise. Chiesi, ad esempio, perchè il memoriale di Fonti fosse rimasto chiuso per anni dentro ai cassetti della Direzione nazionale antimafia. Chiesi come fosse riuscito, lo stesso Fonti, a indicare con precisione il punto di affondamento della nave davanti a Cetraro. E chiesi pure, a Grasso, che ruolo avessero avuto i servizi segreti nel groviglio delle navi dei veleni. Per la cronaca, nessuno di questi quesiti ha ricevuto una risposta».
E’ dunque fantascienza, o cronaca del reale, dire che lo scandalo dei traffici internazionali di rifiuti non può essere svelato perchè coinvolge alti livelli istituzionali?
«Usiamo le parole giuste: si tratta della classica ragion di Stato. Nel senso che è evidente che sono coinvolti importanti pezzi dello Stato italiano e di altre nazioni. Per non dire del legame con la fine di Ilaria Alpi, e di quello che aveva scoperto prima di essere uccisa in Somalia».
Lo dica con chiarezza: come valuta, nell’insieme, l’atteggiamento della politica italiana riguardo al capitolo delle navi dei veleni?
«I nostri politici tentano, come meglio possono, di coprire con il silenzio la questione. In primo luogo a livello locale, con gli amministratori che vogliono salvaguardare l’immagine, il turismo e la pesca. E in secondo luogo a livello nazionale, dove si approfitta del fatto che in sede locale non si voglia scoperchiare lo scandalo.
Nel frattempo lei, simbolo dell’antimafia non di facciata, e per giunta calabrese doc, è stata esclusa dal Comitato ristretto che ha messo a punto questa relazione finale. Come mai?
«Semplice: già dall’audizione di Grasso del 2009, ho fatto capire che non sarei stata disposta a farmi influenzare, e che avrei fatto il possibile per rivelare i retroscena dei traffici dei rifiuti. Un atteggiamento inconciliabile, mi rendo conto, con il clima generale.
Va riconosciuto, però, che nella relazione compaiono anche spunti interessanti. Per esempio si racconta che nei pressi del fiume calabrese Oliva, vicino a dove spiaggiò la motonave Rosso, è stata prima rilevata una radioattività cinque volte superiore alla norma, e poi questa radioattività è scomparsa… Come bisogna procedere, a suo avviso, d’ora in avanti?
«Mi auguro che nella prossima legislatura siano di nuovo istituite le commissioni antimafia e sul ciclo dei rifiuti. E spero, soprattutto, che non ci si giri dall’altra parte quando si parla di navi dei veleni. Altrimenti il messaggio, per la malavita organizzata, è lampante: continuate pure con queste pratiche immonde».
Riccardo Bocca
(da “L’Espresso“)
argomento: criminalità, denuncia, Giustizia | Commenta »