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PD E PDL CONTI IN ROSSO: CASSE VUOTE E TIMORE DI DOVER LICENZIARE I DIPENDENTI

Maggio 31st, 2013 Riccardo Fucile

PREVISTO UN ADDIO GRADUALE, MA LE SEDI LOCALI VENGONO DISMESSE

Mentre sui principii guida Pd e Pdl sono d’accordo tra di loro e col presidente del Consiglio, ad una cosa non possono e non vogliono rinunciare: ad una applicazione «graduale» della nuova normativa.
E su questo si batteranno. Pur avendo incassato negli ultimi 19 anni una quantità  enorme di denaro pubblico, i due partiti principali sono entrambi in «rosso».
Dati ufficiali non se ne conoscono. Ma fatti eloquenti sì.
Recentemente dalla sede nazionale del Pdl è partita una raffica di lettere di disdetta di tutte le sedi periferiche in affitto.
Una disdetta «lineare» destinata a recuperare risorse.
Tanto più che prima delle elezioni Politiche, Silvio Berlusconi per sopperire a casse di partito svuotate, si è dovuto esporre con una cifra di tutto rilievo: 15 milioni di euro.
Anche il Pd non naviga in buone acque, come riconosce Antonio Misiani, il tesoriere del Pd stimato anche fuori dal partito: «Abbiamo incassato nel 2012 29 milioni di rimborsi e per il 2013 avremmo dovuto prenderne 24-25, perchè da più di un anno stiamo facendo uno sforzo intenso di riduzione delle spese, circa il 25%, dopo che l’anno scorso è stato deciso il dimezzamento dei rimborsi».
In questo quadro la parola-chiave si chiama «gradualità »: la propone proprio Misiani, va benissimo al Pdl e, a quanto pare, sarebbe stata recepita nella bozza di Ddl preparata a palazzo Chigi e distribuita ai ministri: prima di entrare a regime, si prevede un rodaggio graduale fino al 2016.
Contromisura per evitare il licenziamento di una parte degli attuali dipendenti dei partiti.
Sul resto continuano ad essere in campo diverse opzioni, come ha riconosciuto il presidente del Consiglio Letta.
Ma il via libera dei partiti, confermato dal vicepremier Angelino Alfano («un grande risultato» l’intesa in Cdm) non significa che non possano presentarsi in Parlamento obiezioni motivate. Sostiene Pino Pisicchio, presidente del Gruppo misto: «Nessuno si illuda che gli italiani faranno per i partiti ciò che fanno con l’otto per mille con le opere di bene. Nel 1993 Amato provò a sperimentare questa formula, ma la partecipazione non fu entusiasta e il principio fu dismesso».
E anche sulla gradualità  nell’applicazione della nuova normativa, Pisicchio non segue la corrente: «Quali che possano essere le scelte finali, la legge parta da oggi e non a babbo morto».
Altro punto sul quale il Pd finora ha resistito è stato il riconoscimento della personalità  giuridica dei partiti, «e invece – sostiene Gregorio Gitti, uno degli autori della bozza governativa – è essenziale trasformare i partiti in associazioni riconosciute e perciò sottoposte a stringenti vincoli statutari di democrazia interna e di trasparenza dei conti».

Fabio Martini
(da “La Stampa“)

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“SI VA DA UN ESTREMO ALL’ALTRO”: SUL FINANZIAMENTO IL NO DI PEZZI DEL PDL

Maggio 31st, 2013 Riccardo Fucile

MATTEOLI E CICCHITTO PARLANO DI “ERRORE DEL GOVERNO”: NEL PDL 200 POSTI A RISCHIO

Altero Matteoli lo dice con pienezza di voce: “Sono contrario”. Fabrizio Cicchitto non è molto differente: “L’abolizione dei rimborsi avrà  solo effetti negativi”.
Il ministro Nunzia De Girolamo dopo il consiglio dei ministri usa toni di significativa cautela: “C’è una riserva su tutto”.
Mentre il Pd ha già  annunciato che l’eliminazione dei rimborsi elettorali porterà  alla cassaintegrazione dei suoi dipendenti (circa 180) nel Pdl non sembrano proprio tutti d’accordo con la linea decisa dal governo, riprodotta poi nella bozza di disegno di legge che sarà  poi presentata in Parlamento.
Matteoli lo considera un errore: “Leggerò il testo del disegno di legge ma sin d’ora desidero annunciare la mia decisa contrarietà  all’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti. E’ un errore che potrà  avere serie ripercussioni sulla qualità  della nostra democrazia e spero che il Parlamento possa correggerlo evitando di cedere alla demagogia e al clima attuale”.
Secondo l’ex capogruppo di Montecitorio Cicchitto “si passa da un estremo all’altro. Da un eccesso di finanziamento pubblico alla sua sostanziale abolizione che a mio avviso avrà  solo effetti negativi. Mi auguro anche che il finanziamento dei privati non dia luogo a nuove iniziative giudiziarie come è già  avvenuto in alcuni casi, Puglia docet”.
Sibillino l’avvertimento del ministro De Girolamo: “Sarà  il Parlamento a decidere” chiarisce, perchè “c’è una discussione in atto, c’è una riserva”.
Dall’altra parte altri due ministri esultano.
Uno, con tanto di punti esclamativi, è Gaetano Quagliariello (Riforme): “Promessa mantenuta! — scrive su Twitter — L’attuale finanziamento pubblico è stato abrogato senza uccidere i partiti. Più potere ai cittadini!”.
Il ddl, aggiunge il collega Maurizio Lupi (Infrastrutture), è “l’attuazione dei principi che avevamo approvato in Consiglio dei ministri, una completa e assoluta rivisitazione del finanziamento dei partiti, dove non ci sarà  più il finanziamento pubblico ma il contributo da parte dei privati con agevolazioni fiscali”.
Sullo sfondo la situazione dei dipendenti del Pdl che non è molto diversa da quella dei lavoratori del Pd per i quali il tesoriere del Partito Democratico ha dipinto già  un orizzonte a tinte più che fosche.
“La cassa integrazione per i partiti non è prevista — dice Maurizio Bianconi, amministratore delle “casse” del Popolo delle Libertà  — perchè non sono aziende, quindi bisognerebbe fare una legge: ci vengono tolti i soldi da una parte e ci vengono ridati dall’altra. Noi in previsione abbiamo disdettato tutte le sedi territoriali e regionali e non abbiamo rinnovato i contratti a termine o a progetto, in questo ci ha aiutati la Fornero”.
Secondo Bianconi “l’incidenza è minima e i danni sono massimi. Bisogna domandarsi se si vuole migliorare al condizione dei partiti o se c’è volontà  di ucciderli. E’ un’operazione mediatica, Letta ha bisogno di una fiducia popolare che teme di non avere quindi ricorre a queste cose un pò da carosello. Io sono per il governo Letta, ma non porto il cervello all’ammasso. Sotto il profilo pratico non c’è alcuna incidenza ma fa effetto, quindi lo fa”.
Anche il Pdl è costretto a tirare la cinghia, alle prese con budget ridotto all’osso, gli affitti delle numerose sedi da pagare e il nodo degli esuberi.
A rischio, si racconta, potrebbero essere in futuro anche gli stipendi dei circa 200 dipendenti del partito e se non si trovano le risorse necessarie, in qualche modo bisognerà  correre ai ripari.
Tra i primi a lanciare l’allarme rosso, già  con i tagli di bilancio decisi un anno fa, Bianconi lancia un nuovo allarme: “I problemi del Pd sono uguali ai nostri, il Pdl si trova nella stessa situazione, vediamo prima quanti soldi ci tolgono e poi decideremo”.
Il Pdl ha già  congelato i contratti a termine e a progetto dei propri dipendenti (quasi tutti in scadenza) senza nemmeno che si parli di cassaintegrazione.
La prossima settimana potrebbe tenersi un summit decisivo tra i segretari amministrativi e rappresentanti legali del partito, Rocco Crimi e Bianconi, alla quale dovrebbe prendere parte Silvio Berlusconi. L’input da palazzo Grazioli è risparmiare, ridurre le spese inutili.
Sono stati disdetti, raccontano, quasi tutti i contratti per le sedi regionali e provinciali con annessi servizi.
Questo significa che sul territorio non arriveranno più soldi da via dell’Umiltà .
Anche l’affitto della sede storica al numero civico 36 è agli sgoccioli (scadrà  il 30 giugno) e si sta cercando una nuova location.
Ci saranno tanti esuberi come annunciato dal Pd? “Anche il Pdl ha circa 200 dipendenti — assicura Bianconi — Vediamo quanti soldi ci tolgono, stiamo lavorando e approfondendo la questione”.

(da “La Repubblica”)

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INTERVISTA A SPOSETTI, EX TESORIERE DS: “L’ESECUTIVO SBAGLIA, LA POLITICA ORA LA FARANNO SOLO I RICCHI”

Maggio 31st, 2013 Riccardo Fucile

“FA COMODO ABOLIRE IL FINANZIAMENTO AI PARTITI COSI’ SI DISTRAGGONO GLI ITALIA DAI VERI PROBLEMI DEL PAESE”

L’intervista va avanti ormai da dieci minuti.
Il senatore del Pd Ugo Sposetti – 66 anni, potente ex tesoriere dei Ds, conoscitore di un bel mucchio di segreti della sinistra italiana, un politico astutissimo, ruvido, leale – ha misurato con saggezza, fino a questo momento, ogni parola, ogni aggettivo
Sì, va bene, d’accordo. Il punto però è che…
«Uff!… Guardi, è molto semplice, glielo spiego io qual è il punto. Sono settimane che il Paese aspetta di conoscere il destino di migliaia di giovani disoccupati, che invoca proposte di sviluppo economico, che ogni giorno spera di avere notizie sull’apertura di nuovi cantieri… Ma niente, niente di niente. La politica non riesce a dare risposte. E allora cosa fa la politica quando non riesce a dare risposte?».
Cosa fa?
«Occupa le prime pagine dei giornali in modo alternativo. Avvia il dibattito sui matrimoni gay e se la prende con i partiti. In questo caso, annunciando il taglio dei loro finanziamenti».
Converrà  che qualche sforbiciata all’opulenza di questa politica, male, comunque non fa.
«Lo vede? Continuate a dire sciocchezze, voi giornalisti!».
Ci spieghi lei la verità .
«Allora, mi ascolti, ora le dirò un po’ di cosette che non riguardano solo i 180 dipendenti del Pd che rischiano il posto di lavoro… nel luglio scorso, infatti, il Parlamento ha già  approvato una norma che dimezza le risorse destinate ai partiti, che sono così passate da 182 milioni di euro a 91. Cosa è accaduto quindi da luglio ad oggi? Beh, semplice: i partiti, pensando di poter contare su quei denari, hanno sottoscritto contratti per forniture varie, dalla luce delle sedi alla carta igienica, e hanno firmato e rinnovato contratti di lavoro o collaborazione… Mi segue?».
La seguo, continui.
«Bene. Adesso che fa il governo? Dice: io non riesco a dare risposte ai temi drammatici del lavoro, no, proprio non ci riesco… in compenso però taglio altri soldi ai partiti, e così decine di persone se ne vanno a casa. E lei lo sa chi è che se ne va a casa? Ha voglia di scriverlo sul suo giornale? Non se ne vanno a casa quelli che girano con l’auto blu… a restare senza lavoro è gente che guadagna tra i mille e i 1.500 euro al mese… quelli che fanno le pulizie alle 5 del mattino, quelli che rispondono al telefono, quelli che scrivono i comunicati al computer…».
Capito. Pagano le colpe della grande politica…
«Non è esattamente così. Diciamo che loro sono le vittime di una battaglia che i gruppi dirigenti non vogliono o non riescono a condurre… la battaglia contro la demagogia e il populismo».
È demagogia e populismo dire che in questo Paese la politica ha costi troppo alti?
«Vorrei mettermi a urlare, giuro… ma resto calmo e le rispondo con dati precisi. In Italia, lo Stato destina ai partiti una somma pari a 1 euro e 52 centesimi di denaro pubblico per abitante. Lo sa a che cifra siamo in Francia? A 2,45 euro. E in Spagna? A 2,84. E lasciamo stare la Germania, dove ciascun abitante devolve alla politica 5,64 euro…».
Forse è possibile sostenere che altrove i soldi vengono spesi meglio.
«E no! Non possiamo dirlo con tanta leggerezza… Perchè in Italia la politica non è rappresentata solo dai partiti. Dentro la politica ci sono anche i costi enormi della burocrazia, ci sono gli enti che si sovrappongo per qualsiasi decisione, ci sono le risorse che in tutti questi anni sono state destinate ai mezzi di informazione… Sto sbagliando? O preferisce che mi metta a parlare dell’associazione dei maggiori imprenditori italiani?».
Lei perciò dice che…
«Mi faccia finire. Io adoro la democrazia e difendo i partiti: se gli togliamo i soldi, a poter fare politica saranno solo i ricchi e quelli che già  posseggono tv e giornali».
Quando segnaleranno a Enrico Letta questa intervista, non sarà  contento.
«E allora non la pubblichi!».
Ormai…
«Io non voglio fare del male a nessuno! E tantomeno al premier, al quale sono legato da stima e affetto. Ma se dico queste cose, è perchè penso al futuro democratico di tutti, di mia figlia e anche dei figli di Enrico».

Fabrizio Roncone
(da “il Corriere della Sera”)

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“MINETTI FECE SESSO A PAGAMENTO ALLE FESTE DI ARCORE, FEDE E MORA ERANO ASSAGGIATORI”

Maggio 31st, 2013 Riccardo Fucile

SECONDO IL PM DEL PROCESSO PER SFRUTTAMENTO DELLA PROSTITUZIONE A FEDE, MORA E MINETTI “RUBY TENTA DI SCREDITARE SE STESSA PER UN VANTAGGIO ECONOMICO”

«I nostri imputati sapevano che Karima El Mahroug era minorenne». Lo ha detto il pm Antonio Sangermano in un passaggio della sua requisitoria al processo sul caso Ruby a carico di Lele Mora (presente in aula), Emilio Fede e Nicole Minetti.
«Non è credibile – è la tesi dell’accusa – ritenere che la persona che presenta la minore al Presidente del Consiglio e la mette nelle mani di Mora taccia la minore età ».
Quando Emilio Fede ha visto Ruby nell’ormai famoso concorso di bellezza in Sicilia, nel 2009, «non si è certo limitato alla solidarietà  morale per la sua storia di disagio, ma ha rilevato la sua gradevolezza estetica e l’ha ritenuta idonea e perfetta per le serate di Arcore».
Secondo il pm, «è Emilio Fede che porta Ruby ad Arcore, da quel momento in poi Mora si prende cura della minore, come un segugio che la segue e la protegge».
Sangermano definisce «un apparato militare quello che si scatena per salvare e accudire il soldato Ryan che è Ruby».
MINETTI
A margine dell’«apparato complesso per remunerare giovani donne» l’ex consigliere regionale Nicole Minetti «non svolgeva solamente un’attività  di intermediazione con loro, ma partecipava attivamente alle serate di Arcore compiendo atti sessuali retribuiti», ha sostenuto il pm Sangermano.
«Non rifarò il processo a Berlusconi. – ha aggiunto il pm. – Qui Berlusconi è la persona a favore della quale viene apparecchiato un sistema».
Nicole Minetti non era presente in aula, ma ha annunciato dichiarazioni spontanee nella prossima udienza.
BUNGA BUNGA
«Il bunga bunga non è il parto della torbida mente degli inquirenti, ma un contesto dell’ attività  di prostituzione», ha affermato Sangermano.
«Le prove dimostrano irrefutabilmente come le cene di Arcore fossero espressione di un sistema prostitutivo organizzato per il soddisfacimento del piacere di una persona, Silvio Berlusconi, e che abbia potuto funzionare grazie alla intermediazione fornita da Fede, Minetti e Mora. Era un sistema, un apparato complesso volto a individuare, reclutare, compattare e remunerare un nucleo di giovani donne dedito al compimento di atti sessuali a pagamento con Berlusconi, che elargiva direttamente o tramite Nicole Minetti esborsi in denaro».
Le ragazze che partecipavano alle serate di Arcore, secondo il pm, erano assatanate di soldi» e «avevano l’esatta percezione del favor economico di cui beneficiava Ruby» ed erano gelose perchè prendeva più di loro.
FEDE E MORA
«Non diciamo compari, perchè è un termine dispregiativo, ma definiamoli sodali e complici», ha detto Sangermano riferendosi a Fede e Mora.
Secondo il pm, i due seguivano sempre lo stesso schema nell’individuare le ragazze da portare ad Arcore e nell’inserirle all’interno del circuito.
Si comportavano «come assaggiatori di vini pregiati» che valutavano la gradevolezza estetica delle giovani, poi le facevano «un minimo esamino di presentabilità  socio-relazionale» e le immettevano nel circuito.
«A volte la disperazione rende gli uomini pericolosi e capaci di tutto», ha detto il pm, riferendosi al fatto che Mora avesse necessità  di procurarsi denaro per fare fronte alle difficoltà  imprenditoriali in cui versava.
Il pm ha sottolineato la «valenza pressoria nei confronti di Berlusconi» che i due imputati potevano avere, anche perchè «conoscevano tutti i segreti» delle serate di Arcore.
Emilio Fede e Lele Mora avrebbero ottenuto anche «vantaggi economici in danno, e sottolineo in danno, di Berlusconi», ha detto il pm.
BERLUSCONI
«Ad altre sedi democratiche spettano i giudizi su Silvio Berlusconi, la vicenda di quest’uomo la giudicheranno le urne e la storia, qua si tratteranno i profili comportamentali in relazione alla valenza probatoria in questo processo», ha detto il pm.
Per il pm «il fulcro del processo non è affatto la riservatezza delle persone o la libertà  dell’individuo di vivere come meglio crede. In gioco c’è il primato della legge Merlin.
La legge Merlin è la madre di questo processo che nasce da una sequela di azioni anomale». «Nella vicenda Ruby – sono le sue parole – la legge è stata violata e la dignità  di una minorenne è stata violentata».
«SCREDITA SE STESSA»
Quanto alle dichiarazioni fatte dalla stessa Karima El Mahroug nel processo «parallelo» contro Silvio Berlusconi, Sangermano è stato tagliente: «Ruby ha tentato una impresa ragguardevole, e cioè di screditare se stessa miscelando verità  e bugie, come in un videogame».
La ragazza infatti ha ritrattato i suoi precedenti racconti definendoli «cavolate, panzanate, fandonie, bugie e balle». «Ruby ha mescolato verità  e menzogna» ha affermato il pm aggiungendo che nella ragazza «hanno agito diversi impulsi, tra cui la prospettiva utilitaristica di ritrattare e trarne un vantaggio economico. Può avere pesato un calcolo».
«Ha sempre negato dichiaratamente di avere avuto rapporti sessuali tanto meno a pagamento con Silvio Berlusconi, ha sempre negato di essersi prostituita».
SPIONI –
«Questo processo «è stato dipinto come una farsa e una maxi intrusione nella vita di una persona e i magistrati sono stati dipinti come accaniti spioni», ha esordito il magistrato, ma «noi abbiamo adempiuto con onore al nostro dovere istituzionale».
Il pm ha più volte ribadito che gli inquirenti hanno indagato «per dovere istituzionale» e basandosi «sulle prove».
«Abbiamo ricevuto una macroscopica notizia di reato, riguardante una ragazza minorenne che girava per le strade di Milano con pacchi di denaro, che frequentava alberghi di lusso, che viveva con una prostituta e andava a casa di un uomo ricco e potente da cui diceva di ricevere denaro dopo essere fuggita da una comunità », ha detto Sangermano, per sottolineare il «nostro dovere di indagare».
Il bunga – bunga «non è il parto della mente degli inquirenti» ma «un contesto ambientale» nel quale si svolgeva «un complesso sistema prostitutivo».

(da “il Corriere della Sera“)

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DA RUDERE A VILLA A DUE PIANI: LA CASA CONDONATA A LAVITOLA A POSITANO

Maggio 31st, 2013 Riccardo Fucile

NEL 2005 FU IL PRIMO AD OTTENERE UN CONDONO IN UN TERRITORIO VINCOLATISSIMO IN CUI E’ VIETATO COSTRUIRE…RISULTA AFFITTATA ALLA SOCIETA’ EDITRICE DELL’AVANTI ANCHE SE E’ IN DISUSO

“Dietro quel crinale. Proprio lì su quella collina”. Tutti gli abitanti di Positano conoscono l’ubicazione della villa di Valter Lavitola, il faccendiere ed ex direttore dell’Avanti ora agli arresti domiciliari per tentata estorsione ai danni di Silvio Berlusconi e per la gestione dei fondi per l’editoria.
Si tratta di una struttura a due piani intestata alla Immobiliare Italiana srl, di cui Lavitola è amministratore unico, che si trova nella frazione di Montepertuso e domina dall’alto il panorama della costiera amalfitana.
In un territorio vincolatissimo, dove è vietato costruire e dove le pratiche di sanatoria camminano a rilento.
Ma questo, tra il 2004 e il 2005, non ha impedito a Lavitola di ottenere un ‘condono con completamento’, procedura molto rara grazie alla quale gli fu consentito di trasformare un vecchio rudere con lamiere in un villino a due piani.
I giornali locali scrissero allora che Lavitola “ottenne il primo condono di Positano” mentre in quegli anni la giunta comunale era stata sciolta per crisi politica e l’amministrazione era retta da un commissario prefettizio venuto da Roma.
Intanto l’investimento dell’ex direttore dell’Avanti, che dalle inchieste in cui è coinvolto “traspare come uno scaltro e accorto imprenditore”, non ha prodotto frutti. La villa, ufficialmente affittata all’International Press (società  editrice dell’Avanti) e probabilmente destinata a struttura turistica, è in disuso e sta marcendo perchè inaccessibile se non attraverso un tortuosissimo sentiero.
Un vicino rifiuta di concedere un più comodo passaggio dalla sua proprietà .
Di qui la causa con cui Lavitola chiede ai vicini i danni per il mancato rilascio del diritto di transito.
Insomma un “problemone”, così come lo ha descritto Lavitola parlandone al telefono con il senatore del Pdl, Giuseppe Esposito, in una conversazione intercettata .

Vincenzo Iurillo e Andrea Postiglione

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IL FACCENDIERE BISIGNANI RIVELA: “PRESSIONI DEGLI USA SU GRILLO PER NON FAR ELEGGERE PRODI”

Maggio 31st, 2013 Riccardo Fucile

“GRILLO HA L’APPOGGIO DELLA GOLDMAN SACHS E DEL FINANZIERE SOROS”… “CINQUE ANNI FA UNO COME GRILLO NON ANDAVA DA NESSUNA PARTE, ORA VA A FAR COLAZIONE ALL’AMBASCIATA AMERICANA”

“Gli Americani certamente non volevano Prodi come presidente della Repubblica e hanno fatto su Grillo qualche pressione“.
Sono le parole di Luigi Bisignani, intervistato in esclusiva da Gianluigi Nuzzi nel suo ultimo appuntamento col ciclo “Le Inchieste”, su La7.
Il faccendiere milanese racconta alcuni passaggi del suo libro-intervista “L’uomo che sussurrava ai potenti”, nel quale parla anche dell’interesse degli Stati Uniti per il Movimento 5 Stelle.
“Uno come Grillo cinque anni fa non andava da nessuna parte e ora è andato a far colazione all’ambasciata americana. E’ la stessa attenzione che c’era stata verso Di Pietro all’inizio di Mani Pulite. Certamente gli Americani” — continua — “hanno interesse a indebolire l’area dell’euro, l’euro e l’Italia. E il M5S è stato fondamentale per non fare eleggere Prodi, che è il più europeista dei candidati”.
Bisignani afferma anche che un appoggio notevole al M5S è dato dalla Goldman Sachs e dall’ex lupo della finanza George Soros.
Ma la sconfitta della nomina di Prodi è anche merito di Berlusconi: “Ha fatto una mossa decisiva e geniale quando ha deciso di non mandare in Parlamento a votare Pdl e Lega, perchè c’era un bel gruppetto di ciellini dei due schieramenti che avrebbero votato certamente Prodi. In quel modo non si sono più potuti confondere i voti”.
Bisignani ne ha per tutti: dai “questuanti” che sono ricorsi a lui per promozioni o raccomandazioni agli autori della congiura ai danni di Berlusconi (o meglio “una banda di sbandati e disperati”, come Alfano, Sacconi, Lupi e Schifani, per i quali “Berlusconi è l’unico salvacondotto e l’unica garanzia di stipendio“).
Sferzante il giudizio su Ferruccio De Bortoli, direttore del ”Corriere della Sera”: “Era un amico, è stato un po’ vigliacco. Pochi giorni fa ha detto che dal 2007 mi ha visto quattro volte. E invece lo conosco da trent’anni e l’ho incontrato da decine, decine e decine di volte”.
Il faccendiere milanese parla anche dei suoi rapporti con Giulio Andreotti, del quale era il pupillo, con Licio Gelli, con Marcello Dell’Utri.
E su Gianni Letta dichiara: “E’ sempre stato un uomo delle istituzioni, il Pdl e Forza Italia non lo hanno mai amato. Enrico Letta certamente non ha il carisma dello zio, forse in futuro ne avrà ”.
A riguardo, Bisignani si esprime sul governo Letta: “Berlusconi è convinto di aver fatto un’operazione con cui diventa De Gasperi e invece gli hanno organizzato la forca, il trappolone“.
E spiega: “Nell’ultimo momento della trattativa per formare il nuovo governo Berlusconi andò da Enrico Letta con Angelo Alfano e a Gianni Letta. Tornò a Palazzo Grazioli, convinto di aver ministro in piedi un governo di 18 ministri, di cui 5 del Pdl. Ma poi si rese conto” — continua -”che invece i ministri erano diventati 22 e quelli del Pdl erano sempre 5. Gianni Letta non mi ha detto niente, forse è in conflitto d’interessi col nipote“. Bisignani parla anche del suo ruolo di “suggeritore di nomine”: ” Sono sempre cinque o sei persone quelle che poi determinano la nomina di un generale o di un banchiere. Il sistema è sempre lo stesso, vale anche per la nomina dei direttori dei giornali. E’ un lavoro scientifico”.
E rivela: “Durante il governo Berlusconi, quelle persone erano Gianni Letta, Giulio Tremonti, il segretario del Pd, il presidente della Repubblica. Berlusconi no, non si è mai occupato di nomine”.
Nel finale, il “consigliere” di Gianni Letta, così come l’ha definito Berlusconi, azzarda una previsione: “Ci sarà  un’implosione del Pd e del Pdl. Si andrà  a nuove elezioni, probabilmente il Cavaliere rifarà  Forza Italia e forse vincerà  di nuovo“

(da “il Fatto Quotidiano“)

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LA FIAMMATA DEI CINQUESTELLE, IL TRACOLLO D’IMMAGINE E I TRE EQUIVOCI DEI GRILLINI

Maggio 31st, 2013 Riccardo Fucile

LA DEMOCRAZIA DIRETTA E QUELLA RAPPRESENTATIVA

Quando votano in pochi, come è successo alle recenti amministrative, c’è sempre il rischio di sovrainterpretare, di vedere nel voto più di quello che contiene.
A me i segnali chiari sembrano solo due: gli elettori di sinistra che avevano votato Grillo stanno cominciando a tornare a casa, il movimento di Grillo ha subito un tracollo d’immagine.
Gli italiani saranno pure ingovernabili, come pensava Mussolini e ora ripete il commissario europeo Gà¼nther Oettinger, ma non sono ciechi.
Se per qualche motivo le cose precipitano, come è successo in vari passaggi della storia nazionale, può succedere che una parte dell’elettorato improvvisamente divenga pronta a votare una forza politica nuova, che promette un cambiamento radicale, o anche semplicemente rappresenta un modo d’essere diverso, una qualche rottura con il passato o con il presente.
Ma altrettanto improvvisamente i medesimi elettori che hanno scommesso sul nuovo o sul diverso sono pronti a ritirare il loro consenso.
Nella storia elettorale italiana degli ultimi 70 anni è già  successo due volte, con il movimento dell’Uomo Qualunque (fra il 1946 e il 1948) e con la mai veramente nata Alleanza democratica, che subito prima della discesa in campo di Berlusconi era arrivata (nei sondaggi) a sfiorare il 20% dei consensi.
Vedremo presto se il caso del Movimento Cinque Stelle somiglierà  più a quello dei movimenti-fiammata (come Uomo Qualunque e Alleanza democratica), o a quello dei movimenti-incendio, che nascono all’improvviso ma durano nel tempo, come sono stati la Lega e Forza Italia.
Personalmente propendo più per la prima ipotesi, quella di un raffreddamento del consenso al Movimento di Grillo, e questo non tanto per la batosta elettorale dei giorni scorsi, quanto per i comportamenti e gli equivoci che l’hanno preceduta e per molti versi preparata.
Primo equivoco.
Beppe Grillo pare non aver capito che la maggior parte degli elettori non sono nè fanatici, nè militanti. Sono sì disgustati dalla politica, vorrebbero sì mandare a casa una classe dirigente che li ha profondamente delusi, ma al tempo stesso vorrebbero che un governo ci fosse. E che fosse un governo decente.
Non è evidente, o almeno non lo è ancora, o non lo è alla maggioranza dei cittadini, che il governo Letta-Alfano sia un governo indecente.
Mentre è del tutto evidente che il Movimento Cinque Stelle ha ostacolato in ogni modo la nascita di un governo compatibile con il risultato elettorale.
Secondo equivoco.
Il Movimento Cinque Stelle pare non aver capito che molti elettori danno una notevole importanza a due virtù: la competenza e lo stile.
Molti elettori (la maggioranza, a mio parere) non si accontentano affatto di essere governati da gente «semplice e onesta», ma vorrebbero anche che i politici che li rappresentano fossero competenti, esperti, e persino educati.
Soprattutto quest’ultima cosa. Gli elettori possono anche perdonare la volgarità  del capo, che può mascherarsi dietro l’alibi della satira, ma apprezzano molto di meno la volgarità  dei sottoposti, sia quando si manifesta come amore per il vil denaro (vedi il surreale dibattito sugli scontrini e gli emolumenti dei parlamentari) sia quando si manifesta con le offese e il turpiloquio (giusto ieri le parole «merda» e «stronzo» erano al centro delle profonde riflessioni politiche di due grillini molto in vista, la capogruppo alla Camera Roberta Lombardi e l’uomostreaming del movimento Salvo Mandarà ; per non parlare delle offese di Grillo a Stefano Rodotà ).
Terzo (e fatale) equivoco.
Il Movimento Cinque Stelle pare non aver compreso nè la natura della Rete nè la natura della democrazia.
La Rete, che qui scrivo in maiuscolo perchè qualcuno la considera una divinità , è uno strumento comodissimo e utilissimo (posta elettronica, Wikipedia, migliaia di servizi gratuiti, velocizzazione delle comunicazioni, ecc. ecc.), ma è anche fonte di innumerevoli effetti collaterali negativi.
Grazie alla Rete può risultare più facile violare la privacy, umiliare le persone, indurre al suicidio un ragazzo o una ragazza, mettere in circolazione informazioni false o pericolose, truffare il prossimo, dare voce agli incompetenti, permettere l’espressione dei peggiori sentimenti, o anche semplicemente sottrarre tempo a chi potrebbe usarlo assai meglio.
Il Movimento Cinque Stelle non solo deifica la Rete, ma sogna un mondo in cui tutti possano partecipare a un innumerevole insieme di decisioni grazie al voto elettronico. Un mondo in cui la democrazia diretta, che qualche volta ha funzionato in piccole comunità , trionfa sulla democrazia rappresentativa, inventata per governare comunità  grandi e complesse.
E’ una sciocchezza, se non altro perchè la maggior parte di noi non vuole affatto mettere becco nell’innumerevole giungla di leggi e norme che vengono emanate ogni giorno da ogni sorta di consesso, ma preferirebbe potersi dedicare alle cose che ama con la serenità  che deriva dal fatto di avere dei decenti rappresentanti in parlamento e nelle istituzioni.
E’ a questo che serve la democrazia rappresentativa.
Ed è questo il motivo per cui, nelle democrazie che funzionano, a votare vanno in pochi, non in molti: perchè sanno che, chiunque vinca, non sarà  una catastrofe.

Luca Ricolfi
(da “La Stampa“)

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VARATI I TAGLI AI PARTITI, MA L’ABOLIZIONE DEI FONDI SARA’ GRADUALE

Maggio 31st, 2013 Riccardo Fucile

BENEFICI E SOLDI SOLO SE C’E’ LO STATUTO… SOLO FRA TRE ANNI IL FINANZAMENTO PUBBLICO SARA’ ELIMINATO DEL TUTTO…SPAZI TV E SEDI GRATIS, DESTINAZIONE VOLONTARIA DEL 2 PER MILLE

Sparisce il sistema dei rimborsi ai partiti.
Dopo due ore di riunione, il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge che introduce un nuovo sistema di finanziamento della politica basato sulle contribuzioni volontarie, che diventano detraibili.
Le misure verranno illustrate nel dettaglio durante la conferenza stampa prevista alle 16.30.
Ma il premier non rinuncia a comunicare la sua soddisfazione via twitter: “Il Cdm ha appena approvato il ddl di abrogazione del finanziamento pubblico partiti e passaggio a incentivazione fiscale contributi cittadini”, scrive Enrico Letta.
Ddl abolizione finanziamenti.
La bozza discussa in Consiglio dei Ministri prevede una norma destinata a far discutere, soprattutto il Movimento Cinque Stelle: solo i partiti che adotteranno un regolare statuto, garanzia di trasparenza e democrazia interna, saranno ammessi ai benefici: potranno ricevere erogazioni volontarie fiscalmente detraibili, somme destinate attraverso il due per mille e udufruire gratuitamente di spazi e servizi per la comunicazione.
La sfida è complessa, perchè la riforma dovrà  passare in Parlamento e costringerà  i partiti, in primo luogo Pd e Pdl, a ripensare (e tagliare) la loro organizzazione in termini di sedi, dipendenti e strutture.
Secondo quanto prevede il Ddl, l’Agenzia del demanio dovrà  attivarsi per individuare locali idonei all’attività  politica nei capoluoghi di provincia.
Nel testo è inoltre prevista la possibilità  di ‘scaricare’ la quota associativa ai partiti e l’iscrizione a scuole e corsi di formazione politica.
Due forme di finanziamento.
Come funzionerà  il nuovo metodo di finanziamento? Le misure specifiche verranno chiarite durante la conferenza stampa, ma si prevedono donazioni che saranno favorite da una serie di sgravi: secondo le informazioni circolate, fino a 5mila euro si potrà  detrarre il 52% dell’importo donato, fino a 10mila il 26%. Non è passata la richiesta di Pdl e Sc di alzare il tetto alle donazioni fino a 20mila euro.
E’ poi previsto il sistema del 2×1000 da destinare volontariamente a un singolo partito con la dichiarazione dei redditi.
Per ragioni tecniche comparirà  solo nella dichiarazione dei redditi 2014, ovvero quella che gli italiani compileranno nel 2015 e pertento ai partiti prima del 2016 non arriveranno soldi, il cui totale dovrà  comunque essere inferiore al tetto attuale del finanziamento pubblico per far risparmiare lo Stato (chi barra il 2×1000 togli soldi all’erario).
Fino al 2016, dunque, rimarranno in vita i rimborsi tradizionali, anche se drasticamente tagliati di anno in anno.
Dettagli nel pomeriggio.
Si svolgerà  alle 16,30 la conferenza stampa con il presidente del Consiglio, Enrico Letta, il suo vice e ministro dell’Interno, Angelino Alfano, e gli altri ministri interessati, sui provvedimenti decisi dal Consiglio dei ministri, a partire dal disegno di legge sul finanziamento.

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IL VIZIETTO DELLA SINISTRA: COME FARE LE SCARPE AL “MIO” PREMIER

Maggio 31st, 2013 Riccardo Fucile

D’ALEMA, VELTRONI, RENZI: QUEL “FUOCO AMICO” SU PALAZZO CHIGI

Innocente quesito, o malizioso che sia: in quanti mesi Matteo Renzi riuscirà  a fare le scarpe a Enrico Letta?
Si perdoni qui il brusco approccio e la predeterminazione dell’esito.
Ma l’esperienza, per non dire la recente storia del Pd, offre una tale e ricca e a questo punto persino scontata abbondanza di precedenti da poter rubricare la «sindrome del calzolaio», che appunto fa le scarpe, tra quelle che gli scienziati della politica, e in particolare del realismo, qualificano come le «regolarità » del potere.
E quindi: nel campo del centrosinistra un’irresistibile forza acchiappa sistematicamente il leader del partito, o aspirante tale, e comunque lo porta a desiderare la poltrona del capo del governo.
Il quale, a sua volta, non solo ne è consapevole, ma lo capisce benissimo e nel proprio intimo non essendo di rado lui stesso arrivato su tale poltrona spinto da quella stessa irrefrenabile smania.
Così è e così accade, incontestabilmente.
Il fatto che Renzi e Letta non perdano occasione per proclamare la propria amicizia non sposta di molto la questione, e semmai la rende più legittima eincalzante.
Sia l’uno che l’altro provengono infatti dai ranghi della Dc, e «amici» si chiamavano tra loro i democristiani anche e soprattutto quando facevano ricorso a veleni e pugnali.
Ora Renzi, nel cui linguaggio si sarà  notata negli ultimi due o tre mesi una certa ricorrenza di «coltelli » e «accoltellamenti», com’è ovvio per negarne ogni possibile utilizzo.
Fin troppo risoluti suonano anzi in pubblico i suoi propositi di fratellanza e lealtà : «E io mi auguro — così al Salone del libro — che il governo faccia bene per il bene di tutti. Non sono di quelli che sperano che faccia male perchè se cadesse potrebbe convenirmi a livello personale.
Se va bene, può governare anche fino al 2016».
Ma è fin troppo evidente che scalpita, morde il freno, ha fretta.
Come ne ebbe, a suo tempo (autunno 1998), D’Alema rispetto al governo Prodi; poi Prodi e Veltroni nei confronti del governo D’Alema (primi mesi del 2000); e infine Veltroni dinanzi alla seconda presidenza di Prodi (inverno 2007).
In tutti e tre i casi, nell’arco di appena nove anni, il sortilegio ha fatto in tempo a deliziare l’Ulivo, l’Unione e il Pd.
Il loro svolgimento merita uno sguardo disincantato, ma fino a un certo punto.
E dunque, per sommi capi.
La prima volta, dopo la vittoria di Prodi, certo propiziata da D’Alema, si disse che quest’ultimo, nemmeno invitato sul palco a festeggiarla, per la rabbia si fece venire i brufoli.
In parte gli passarono quando con tutti gli onori il segretario del Pds fu innalzato con tutti gli onori del caso alla presidenza della Bicamerale, ma allorchè fu chiaro che non portava da nessuna parte, ecco che il leader Maximo, con l’opportuna collaborazione di nuovi alleati e finti avversari (Marini, Cossiga, Rifondazione) riuscì a fare le scarpe al Prof — cosa che gli fu a lungo rinfacciata, e di cui sembra che un giorno addirittura si pentì.
Ma solo dopo che Prodi, con lapartecipazione straordinaria dell’Asinello (Parisi, Rutelli e Di Pietro), di un’altra più trascurabile entità  ribattezzata il Trifoglio e un po’ anche di Veltroni, gli fece lo stesso scherzetto, del resto annunciato dal Prof con la formula: «Competition is competition ».
In ballo c’erano un sacco di impicci (capilista alle regionali, referendum su legge elettorale, tfr), ma soprattutto la candidatura per la premiership del 2001.
Con l’aiuto della Swg (che quell’anno ebbe il premio per la Satira politica) D’Alema sbagliò previsioni, perse le amministrative e abbandonò Palazzo Chigi il giorno del suo 51° compleanno promettendo: «Non mi farò occhettizzare».
Nel 2007, nato finalmente il Pd, e affidato a furor di popolo nelle mani di Veltroni, subito Prodi, che già  guidava una compagine deboluccia assai, sentì puzza di bruciato. C’era anche allora in discussione, come sempre in Italia, una legge elettorale, sulla quale Veltroni stabilì corrispondenza d’amorosi sensi con Berlusconi. Già  questo era un affronto.
Ma quando Walter dichiarò il partito a «vocazione maggioritaria», il presidente del Consiglio comprese di avere i giorni contati. E infatti Mastella, che da quella vocazione era implicitamente escluso, si chiamò fuori.
Ecco fatto. Tutto torna.
La dinamica si ripete con una puntualità  tale da poterci caricare l’orologio.
Quello di oggi segnala pure che Renzi, quando viene a Roma, ha preso l’abitudine di fare ufficio e salotto in uno dei bar della galleria «Alberto Sordi», che in pratica sta di fronte a Palazzo Chigi.
Il nume della commedia all’italiana, da lassù, illumini governanti e aspiranti a non essere(troppo) ridicoli.

Filippo Ceccarelli
(da “La Repubblica”)

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