Destra di Popolo.net

A BOLOGNA FACCHINI IN PIAZZA: “VOGLIAMO DIGNITA’, NESSUNO CI DIFENDE: SINDACATI COLLUSI CON LE AZIENDE E LE COOP”

Giugno 1st, 2013 Riccardo Fucile

“LAVORIAMO COME SCHIAVI PER 700 EURO AL MESE E CHI PROTESTA VIENE LICENZIATO”… PD, PDL E GRILLO TUTTI ZITTI E INQUADRATI

In cinquecento per difenderne quarantuno. Hanno risposto con una manifestazione nazionale i lavoratori della logistica alle lettere di licenziamento piovute su quei facchini che decisero di scioperare contro la Sgb, consorzio che gestisce i magazzini della Granarolo, “per chiedere un salario onesto e un trattamento dignitoso”.
In piazza c’erano dipendenti delle cooperative provenienti da tutta Italia, da Milano a Napoli, giovani e lavoratori, studenti e precari, perchè “il trattamento ricevuto a Bologna dai nostri colleghi avviene in tutto il paese: cose da terzo mondo. E pensare che Granarolo e Coop Adriatica sono due fiori all’occhiello della sinistra di questa città , storicamente rossa”.
“La nostra categoria lavora duramente, ci spacchiamo la schiena nei magazzini dove transita la merce che finisce nei supermercati, eppure siamo invisibili — racconta Abdel Ghani, ex dipendente della Sgb, licenziato per aver protestato contro l’azienda — il padrone ha inventato una fantomatica crisi che però sui bilanci non c’è, mentre sulla busta paga si è tradotta in un — 35% di stipendio. Circa 600 euro in meno ogni mese. E quando abbiamo alzato la testa prima siamo stati sospesi, poi cacciati”. Licenziati, perchè per i lavoratori della logistica bolognese scioperare è diventato un “atto proibito”.
Secondo il parere della Commissione di Garanzia, che sugli scioperi si è pronunciata dopo la richiesta della prefettura, i prodotti Granarolo sarebbero “essenziali per la collettività ” quindi “lo sciopero nella logistica deve essere regolamentato e, di fatto, i licenziamenti sono giusti”. Un po’ come per il trasporto pubblico.
“Un pronunciamento per noi assurdo — spiega Eleonora del Laboratorio Crash — a parte che delle due, sono i lavoratori a essere essenziali, non lo stracchino della Granarolo. E poi è anche un limite al mercato. È come dire che senza il latte di quella marca si crea un problema per la collettività ”.
Con sè i facchini avevano portato anche degli scatoloni, ma impresso non c’era il marchio dell’azienda produttrice. “Noi che per anni abbiamo scaricato scatoloni per la Granarolo, ora siamo qui per scaricare loro” gridano i lavoratori, che hanno lanciato una campagna per boicottare i prodotti del colosso del latte.
“Non chiediamo la luna — spiegano — solo un salario sufficiente a vivere”.

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DELIRIO GRILLO: ” FAREMO I CONTI CON FLORIS, RODOTA’ E GABANELLI”

Giugno 1st, 2013 Riccardo Fucile

“PIU’   COLPEVOLI DEI LORO PADRONI, GLI FAREMO UN CULO COSI'”… MINACCE AI GORNALISTI RAI E A CHI “SI E’ RIVOLTATO CONTRO” … RODOTA’ COLPEVOLE DI NON ESSERE AL SERVIZIO DI BERLUSCONI COME LUI

La Rai nel mirino di Beppe Grillo. Non è la prima volta che il leader del M5S critica la tv pubblica sul suo blog, ma oggi minaccia direttamente i giornalisti che lavorano nella televisione di stato, definendoli più colpevoli dei loro padroni.
“Rai1, Rai2 e Rai3 sono occupate dai partiti – scrive Grillo sul suo sito – Non è una notizia. Non è una novità . Il vero scandalo è che questo non dà  più scandalo. Si dà  ormai per scontato che plotoni di addetti stampa raccontino le balle dei partiti senza vergogna pagati dal canone, dalla pubblicità  e dalle tasse. Molti giornalisti della Rai dovranno in futuro rendere conto della loro omertà , dei loro attacchi telecomandati, dei loro silenzi. Sono responsabili più dei loro padroni, di chi li ha assunti, di chi gli telefona (ma sovente non è neppure necessario) per dettargli palinsesto, contenuti e persino le parole e le pause”.
Poi, aggiunge: “Non ci sono più le veline, si è passati direttamente alla dettatura. Scandalo nello scandalo, la Rai è un pozzo senza fondo. In un’Italia che non ha più neppure gli occhi per piangere ha perso 200 milioni nel 2012. Il direttore generale Gubitosi e la presidente Tarantola rimangono imperterriti ai loro posti e dai consiglieri di amministrazione non un fiato. Cosa fanno dalla mattina alla sera questi signori ben pagati dagli italiani? Una Rai lottizzata. Un non luogo dell’informazione che fa rimpiangere persino l’era socialista, quando di tre assunti uno era democristiano, l’altro socialista e il terzo bravo. Ora il terzo viene spartito tra Sel e Lega. Quando c’è un colpo di Stato, la prima cosa messa in atto è il controllo dei mezzi di informazione”.
Dato che lui non è interessato alle poltrone rivendica per il Movimento la presidenza della Commissione di Vigilanza Rai: “Tre commissioni sono ancora senza presidente – ricorda – Giunta per le elezioni (bloccata in attesa di una persona gradita a Berlusconi), Copasir e Vigilanza Rai”
Più tardi, nel corso di un’iniziativa elettorale nel Catanese, a Mascalucia, Grillo in pieno delirio urla sul palco: “Non ce l’ho con i giornalisti, ma io non dimentico niente” e un giorno “faremo un c… così all’informazione collusa“.
Il leader dei 5 Stelle annuncia che “faremo i conti con i Floris e i Ballarò…”.
Ma anche con i “Rodotà  e la Gabanelli, quelli che “ci si sono rivoltati contro”.
Ai presenti che lo hanno applaudito, Grillo concede una battuta: “Loro le mani loro non le battono, le baciano…”.
Si sofferma poi ancora su Rodotà  e chiarisce: “Non ce l’ho con lui, ma vuole fare una sinistra con i rossi, gli arancioni… Noi abbiamo la nostra natura siamo sopra”.
Certo lui è al servizio di Berlusconi…molto sopra.
Poi cerca di spiegare   il motivo del suo no all’ex segretario Pd per la formazione di un governo con il sostegno del M5S e qui torna davvero un comico: “Bersani non voleva governare con noi voleva i nostri voti per governare senza di noi”
“Non ci hanno dato nessuna carica, nessuna presidenza di una commissione speciale. Nè il Copasir, nè la Vigilanza Rai.   Voi pensate che la daranno a noi? Ci andrei io…”.
Giusto perchè non ci tiene alla poltrona…
Ritorna anche sul tema delle diarie: gli esponenti 5 Stelle “sbaglieranno, ma sono persone perbene” e “i soldi li restituiranno – ha detto – o li caccio a calci….”.
Evviva la democrazia diretta…
“La prossima volta – ha aggiunto – ci saranno in campo soltanto 5 Stelle e Berlusconi, ve lo metto per iscritto…”.
Bene, a quel punto potrà  ritirarsi e far vincere il suo mandante, insomma…

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SECONDO ROUND, MARONI VUOLE TAGLIARE I VIVERI A BOSSI: LA MINACCIA DI RIDURGLI DI UN TERZO L’APPANNAGGIO DI 850.000 EURO

Giugno 1st, 2013 Riccardo Fucile

DOPO L’ATTACCO DEL SENATUR CHE VUOLE UN CONGRESSO PER “RIPRENDERSI” IL CAROCCIO, IL “CERCHIO MAGICO” DI MARONI PASSA ALLE RITORSIONI

Bossi rilascia un’intervista di fuoco al Fatto quotidiano .
Giusto per capire, basta il titolo: «Maroni l’ha distrutta. Ora mi riprendo la Lega». L’interessato non ci pensa due volte. E taglia i viveri al «fondatore».
Di quanto, ancora, non è dato sapere: in realtà , non è stato deciso. Certo è che l’appannaggio bossiano non è una mancetta: lira più lira meno, qualcosa come 850 mila euro all’anno.
Ieri mattina, sul giornale diretto da Antonio Padellaro, è stata pubblicata un’intervista che ha rovinato la giornata a buona parte dei nordisti.
Il fondatore parte lamentandosi del trattamento riservato ai figli, poi attacca duro: ora devo pensare alla Lega, me lo chiedono tutti. Aspetto il congresso, mi candiderò prima che non ne rimanga nulla».
Nessun nuovo partito, racconta Bossi al giornalista Davide Vecchi: «Volevamo e potevamo farlo. Per recuperare i tanti che sono stati cacciati, allontanati, emarginati ingiustamente dopo aver dato la loro vita per la Lega».
Un rapido passaggio sull’ex tesoriere Francesco Belsito («Uno str… »), per passare a parlare di «tutti gli ingrati che ho cresciuto». Bossi, è vero, non include Maroni nel novero. Fa di peggio.
Ne demolisce la proposta dalle fondamenta: «Ha trasformato i nostri ideali in burocrazia, non puoi collegare un progetto politico solo alle poltrone».
E soprattutto: «La Macroregione è un progetto irrealizzabile». Che è un po’ l’architrave del progetto della Lega 2.0.
Quanto alla figura di Maroni come leader, Bossi la liquida in tre parole. Micidiali: «Non è riconosciuto».
Maroni non ha gradito. «Ma come? – avrebbe detto agli amici -. Lunedì l’ho visto, abbiamo riso e scherzato. E il giovedì se ne esce con robe del genere?».
Per il pomeriggio era fissato il consiglio federale a cui avrebbero dovuto partecipare i due contendenti.
Come in una commedia di Goldoni, nella Lega in mattinata era tutto un trepidare: «Chissà  cosa mai si diranno». In realtà , poco. Pochissimo.
Una volta in via Bellerio, Maroni si è limitato a chiedere pubblicamente a Bossi «cosa cavolo sei andato a dire sui giornali?».
Il fondatore non ha risposto. E dopo alcuni istanti ha abbandonato il federale.
A quel punto, il segretario dagli occhiali rossoneri si è messo a presentare il bilancio consuntivo 2012 che sarebbe stato approvato di lì a poco: entrate da finanziamento pubblico, entrate da tesseramento, spese di gestione, conto economico…
Poi, la frase che conta: «Come sapete, oggi il governo ha approvato il ddl per il superamento in tre anni del finanziamento ai partiti. Oggi noi abbiamo un attivo patrimoniale di quaranta milioni. Ma il conto economico è in passivo di quasi undici. In pochi anni, potremmo trovarci in gravi difficoltà . E dunque, la proposta è quella di tagliare qualsiasi spesa che non abbia a che fare con il nostro core business, che è soltanto l’attività  politica». Tutti d’accordo, e si prosegue senza che si parli di vile moneta.
A consiglio finito, però, si apprende in che cosa consista il taglio: in soldoni, circa sei milioni in totale «per contributi decisamente troppo generosi alle associazioni del partito».
Ma nella cifra è incluso anche l’appannaggio di Bossi.
Che viene così riassunto: «Circa 500 mila euro per le spese di segreteria e di cura di Bossi: assistenti per la malattia, autisti, aiutanti».
Poi, «150 mila euro senza causali particolari. Una sorta di stipendio per Bossi».
Infine, «circa 200 mila euro per la scuola Bosina», l’istituto fondato a Varese dalla moglie di Bossi, Manuela Marrone. Che peraltro nell’ultimo anno del governo Berlusconi aveva ricevuto con la «legge mancia» la bellezza di 800 mila euro.
Tutto tagliato? Ancora non si sa.
A sentire coloro che godono della fiducia di Maroni, l’idea sarebbe quella di ridurre la cifra complessiva a circa un terzo di quella attuale.
Ma, appunto, ci sono parecchi conti da fare.

Marco Cremonesi

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PRIMO ROUND, INTERVISTA A BOSSI: “MARONI HA DISTRUTTO IL PARTITO, ORA ME LO RIPRENDO”

Giugno 1st, 2013 Riccardo Fucile

“MARONI NON E’ RICONOSCIUTO COME CAPO, AVEVO LA FILA DI GENTE CHE MI CHIEDEVA DI CACCIARLO”… “ASPETTO IL CONGRESSO, MI CANDIDERO’ PRIMA CHE NON RIMANGA PIU’ NULLA”…”I GRILLINI SONO COME MARONI: SENZA SOSTANZA, SENZA IDEALI E SENZA UN PROGETTO”

“Devo ricostruire la Lega, l’hanno distrutta”. Umberto Bossi ha gli occhi lucidi. L’inseparabile mezzo toscano Garibaldi tra le dita, il vecchio Capo è seduto sul divano nel suo ufficio a Montecitorio.
Guarda la foto accanto alla scrivania che lo ritrae assieme a Renzo. “Loro non c’entravano niente in questa battaglia”.
Quel loro sono i figli, fra cui il Senatùr, oggi deputato, mette anche la Lega. “Renzo è in America, sta finendo gli esami. Ora posso e devo pensare alla Lega, me lo chiedono tutti. Aspetto il Congresso, mi candiderò prima che non ne rimanga più nulla”.
Quindi l’ipotesi di dar vita a un nuovo partito è stata accantonata o non è mai esistita?
“Volevamo e potevamo farlo. Per recuperare i tanti che sono stati cacciati, allontanati, emarginati ingiustamente dopo aver dato la loro vita per la Lega. Una vergogna. Poi però ho preferito non spaccarla e ora tenteremo di riprenderla, Maroni non è riconosciuto come capo.”
Belsito ai pm ha detto di aver spostato soldi in Tanzania su sua richiesta per finanziare un nuovo soggetto politico.
“Belsito è uno stronzo. Quando abbiamo scoperto che aveva investito a Cipro, un anno prima di leggerlo sui giornali, lo abbiamo convocato. Io e Castelli gli abbiamo chiesto di dimettersi, gli abbiamo tolto le deleghe e abbiamo iniziato a controllarlo, ma lui ha cominciato a fare i suoi trucchetti. Un ingrato, anche lui. Ma ho scoperto di averne cresciuti molti di ingrati, non lo immaginavo. Ora che è in carcere prova a dare la colpa ad altri, ma racconta solo balle.”
Tra gli ingrati c’è pure Maroni?
“Ha trasformato i nostri ideali in burocrazia, non puoi collegare un progetto politico solo alle poltrone. E poi l’idea delle Regioni del Nord è bella, certo, ma come si fa? In Piemonte l’esperienza di Cota è finita, in Lombardia abbiamo vinto solo grazie a Berlusconi, in Veneto Maroni ha permesso a Tosi di fare troppi casini. Piemonte e Veneto ero riuscito a ottenerli da Berlusconi, era stato un miracolo; non avremo mai più nostri candidati presidenti in quelle Regioni. La macroregione è un progetto irrealizzabile”.
Si rende conto di quel che significa ciò che dice?
“Quello che vedo e sento. Maroni ha troppe poltrone e si dimentica delle cose. Io la base non l’ho mai abbandonata. C’è ancora tutta e aspetta che torniamo a essere la loro Lega. Il voto nei Comuni ha confermato che Maroni ha allontanato moltissimi nostri elettori. Sono stati lasciati senza punti di riferimento, non hanno ricevuto spiegazioni dei cambiamenti e sono lì ancora a chiedersi cosa è successo.”
Il voto delle amministrative però sembra dire altro.
“I nostri militanti sono tutti nel-l’astensionismo, i nostri uomini che si sono sentiti traditi dal progetto, traditi nell’ideale padano, l’identità  scomparsa, cancellata.”
Il Carroccio ha toccato il dato più basso di sempre, sfiorando il due per cento.
“Non conta, si può ripartire. La base c’è ma vuole parlarci, vederci, sentirci. Sul territorio praticamente non esistiamo più da mesi. A Brescia è andato bene il vicesindaco , uno bravo, stimato e votato perchè so che parla con tutti, me ne dicono un gran bene anche i vecchi militanti. Poi il vuoto.”
Il sindaco sceriffo di Treviso, Giancarlo Gentilini, costretto al ballottaggio ha dato la colpa anche a lei.
“Sicuro non l’ha aiutato nessuno, anche lui è stato abbandonato, come tutti.”
La Lega 2.0 di Maroni insomma ha già  fallito.
“Il rischio c’era, dobbiamo ripartire ed è arrivato il momento di farlo. Io ho digerito gli attacchi alla mia famiglia, le false accuse ai miei figli, l’ultima quella della barca di Riccardo: una fesseria pilotata, una bugia montata e fatta uscire mentre girava la notizia della mia nuova Lega.”
Pilotata da chi?
“Sono qui dentro da trent’anni, sono sopravvissuto a Berlusconi tenendogli testa: insomma ne ho viste parecchie e so quel che dico. Ho imparato ad aspettare i momenti giusti per parlare e per agire, c’è tempo.”
Non crede che il movimento di Grillo abbia pescato nel vostro elettorato?
“Qualcosa alle politiche sicuramente, la protesta era giusta. Poi però son rimasti delusi. I grillini sono come Maroni, senza sostanza, senza ideali, senza un progetto forte e vero.”
L’ex ministro non sarà  contento di quello che sta dicendo.
“Sono cose che sa anche lui, fa politica con me da sempre, dietro. In via Bellerio avevo la fila di gente che mi chiedeva di cacciarlo. ‘Capo quello fa troppo di testa sua’, ‘Capo Bobo s’è montato la testa’, ‘Capo caccialo è un traditore’. Per anni è andata avanti questa processione, ma io l’ho sempre difeso. Dalla Lega non si caccia nessuno perchè è una famiglia e figurarsi se cacciavo uno come lui che ha dimostrato anche al Viminale, come sempre, di essere molto bravo in alcuni incarichi.
Ma non in quello di leader?
“Non è riconosciuto.”
Se dovesse cacciarla dalla Lega?
“A me? So che qualcuno glielo chiede, ma è mal consigliato”.
E in Lombardia il segretario è Matteo Salvini.
“Uno bravo, su cui scommettere. Non ha mai lasciato il territorio, i militanti, ci mette la faccia.”
Al congresso sosterrà  Salvini o davvero si candiderà  lei?
“Me lo chiedono tutti, io alla Lega ho dato la vita e continuerò a farlo. Io sono pronto.”

Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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UMBERTO CROPPI: “FLI NON ESISTE PIU’, MA C’E’ CHI GUARDA AL TESORETTO DI AN”

Giugno 1st, 2013 Riccardo Fucile

“FLI DOVEVA ESSERE UNA FASE PER NUOVE AGGREGAZIONI, NON UN PARTITO”… “FINI DOVEVA INDICARE LA ROTTA, NON LASCIARE LA GESTIONE AI COLONNELLI”…”400 MILIONI DI IMMOBILI E 80 MILIONI DI LIQUIDI: IL PATRIMONIO DELLA FONDAZIONE AN SONO CONGELATI DALLE DIVISIONI INTERNE: QUALCUNO ORA SPERA DI AVERE VOCE IN CAPITOLO NELLA SPARTIZIONE”

Dopo aver lasciato il posto di assessore alla Cultura nella giunta Alemanno, Umberto Croppi è stato uno dei più accesi sostenitori della terza via finiana, di un nuovo contenitore che andasse oltre le   appartenenze tradizionali.
Il fallimento di Futuro e Libertà  e l’appoggio al sindaco uscente al ballottaggio annunciato da Roberto Menia, dunque, non possono averlo lasciato indifferente. Intervistato da Intelligo, Croppi non si mostra sorpreso dagli ultimi sviluppi e, sul tentativo di ricomposizione della destra italiana, ha una teoria che farà  discutere.
Cosa pensa dell’appoggio di Fli ad Alemanno per il ballottaggio?
«Fli non c’è più, ammesso che ci sia mai stato. Mi fa solo sorridere la cosa. L’ho scritto anche quando ne ero un dirigente: la metafora del Fli era una esigenza di fase, che Fini aveva anche un po’subito, ma nessuno, Fini soprattutto, aveva mai immaginato che potesse diventare un partito».
In che senso?
«Già  prima del risultato elettorale, si era dimostrato che la consistenza politica di Futuro e Libertà  era inesistente. Dopo si è sostanzialmente sciolto, con l’abbandono di Fini. Fli non c’è più. La dichiarazione di un ex parlamentare, che aveva una carica in questo partito, senza una espressione diretta di chi a Roma aveva costituito Fli, non ha proprio nessun valore».
E allora che senso ha questo endorsement?
«È un’uscita che si giustifica alla luce di un altro motivo. Io non ho mai aderito ad An o al Pdl, quindi non faccio parte di questa storia, ma è in atto un tentativo di ricomposizione di un nucleo di vertice di ex esponenti di Alleanza Nazionale legato alla pura speranza di avere voce in capitolo sul patrimonio della Fondazione An, costituito da 400 milioni di immobili e 80 milioni di liquidi, oggi congelati dalla magistratura proprio a seguito delle divisioni che si erano verificate nel Cda».
I tre anni di vita di Fli, anche alla luce di questo epilogo, sono stati del tutto inutili?
«Sì, perchè Fini ha svolto un altro ruolo. Doveva diventare il coagulo di una aggregazione di tipo nuovo, più vasto, con altri protagonisti. La costituzione di un partito, che lui stesso ha subito, tant’è vero che più volte ha parlato di un superamento di Fli, era una necessità  di passaggio molto limitante, che conteneva già  nella sua nascita tutti gli elementi che l’hanno poi portato a diventare un frammento».
Qualche responsabilità  Fini ce l’ha?
«Certo, è chiaro. Lui aveva tutta la forza per indicare la rotta Invece lo ha fatto nel modo in cui aveva gestito An, cioè immaginando che i colonnelli potessero sgravarlo da responsabilità ».
Ma secondo lei questa “cosa” di destra nascerà ?
«Guardi, non mi riguarda».

Domenico Naso
(da “Intelligo news“)

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FONDI PUBBLICI AI PARTITI: TUTTI I TRUCCHI DELLA NUOVA LEGGE

Giugno 1st, 2013 Riccardo Fucile

I SOLDI USCITI DALLA PORTA RIENTRANO DALLA FINESTRA: SCONTI FISCALI AI DONATORI, SEDI E SPOT TV GRATIS… 2 PER MILLE FINO A 61 MILIONI L’ANNO

Abolizione del finanziamento pubblico? Mica tanto: con la riforma approvata ieri tra le fanfare in Consiglio dei ministri il sistema potrebbe arrivare a costare oltre 61 milioni di euro (contro i 91 attuali).
Nel ddl del governo, infatti, c’è il trucco, diciamo una nota creativa visto che — vuole la leggenda — il meccanismo (“una mostruosità  giuridica” fu definito all’epoca) lo creò Giulio Tremonti per l’8 per mille alla Chiesa.
Prima di entrare nello specifico, vediamo come funziona la faccenda.
Niente più contributi diretti ai partiti, dice il governo, da adesso in poi si reggeranno sui soldi dei privati con qualche aiuto “non monetario” dello Stato.
Enrico Letta — che ha fortemente voluto questa legge così com’è — parla di “promessa mantenuta” e spera che il Parlamento la “approvi rapidamente perchè ne va della credibilità  del sistema politico”.
Peccato che mantenere una quota di rimborsi elettorali sulle spese certificate (come al premier chiede gran parte del suo stesso partito) sarebbe costato meno essendo pure più trasparente del sistema scelto.
Ecco, per punti, di cosa stiamo parlando.
DETRAZIONI.
Dall’anno prossimo aumentano quelle per le erogazioni liberali ai partiti di persone e aziende: 52% fino a cinquemila euro, 26% — come le onlus — fino a ventimila. Cinquecento euro di sconto fiscale, al massimo, pure a chi si iscrive alle scuole di formazione politica.
Ovviamente questo comporta una quota di mancato gettito per lo Stato al momento non quantificato (al ddl manca la bollinatura della Ragioneria generale).
DUE PER MILLE.
Viene introdotta la possibilità  — a partire dal 2015 — di destinarlo ai partiti al momento della dichiarazione dei redditi o di lasciarlo all’erario: i soldi cominceranno a uscire, però, solo dal 2017.
SOSTEGNI STATALI.
I partiti avranno a disposizione spazi gratuiti sulla Rai per la messa in onda di messaggi politici; l’Agenzia del Demanio dovrà  concedergli “almeno in ogni capoluogo di provincia” una sezione.
TRASPARENZA.
Potranno accedere a queste facilitazioni solo quei partiti che hanno uno Statuto e regole di democrazia interna, fanno certificare i propri bilanci e rendono i dati accessibili ai cittadini.
Chi risponde a questi requisiti sarà  iscritto a un apposito registro.
Fa notare Fabrizio Cicchitto del Pdl: “Quale sarà  l’Autorità  che valuterà  se lo Statuto di un partito risponde a criteri di trasparenza e democraticità ? Quale che sia, avrà  poteri decisivi sull’assetto democratico”.
IL TRUCCO.
Sta nell’articolo 4, quello che disciplina il 2 per mille: al comma 2 si legge, infatti, che “in caso di scelte non espresse, la quota di risorse disponibili… è destinata ai partiti ovvero all’erario in proporzione alle scelte espresse”.
Chi non firma per nessuno, contribuisce lo stesso, proprio come accade nell’8 per mille alle confessioni religiose: per dare un’idea, solo il 43% circa dei contribuenti mette la propria firma sotto ad una delle caselle (Stato compreso), ma nel calderone finiscono i soldi di tutti e la Chiesa cattolica con meno del 40% delle opzioni si porta a casa ben oltre l’80% del fondo.
Nel caso dei partiti, a differenza che nell’8×1000, è prevista una soglia massima alle uscite e la previsione che “un decreto del ministro dell’Economia stabilisce annualmente l’importo massimo da destinare” al 2 per mille per evitare di spendere troppo.
GRADUALITà€.
Queste misure entreranno in vigore in tre anni, cioè saranno a regime dal 2017. Quest’anno, dunque, il fondo per i rimborsi elettorali rimarrà  di 91 milioni (al lordo dei soldi del M5S) per poi essere ridotto del 40, 50 e 60% nei tre anni successivi: in soldi significa che l’anno prossimo usciranno 54 milioni di euro, 45 quello dopo, trentasei nel 2016 e, infine, zero.
Quanti sono i soldi? Il governo ha chiarito che “il tetto massimo” di questo sistema è di 61 milioni di euro (senza tetto, infatti, varrebbe all’ingrosso 250 milioni).
Proviamo a simulare la ripartizione: se la metà  delle scelte espresse saranno per lo Stato (si tenga conto che, nel caso dell’8 per mille, superano di poco il 5%), ai partiti andrebbero comunque 30,5 milioni di euro.
È bene ribadirlo: quei soldi li avranno comunque, anche se le scelte espresse ammontassero in tutto a un milione di euro.
Come si vede, solo con una certa capacità  di astrazione si può definire “contribuzione volontaria” questo meccanismo.
“Al massimo ai partiti arriveranno 10-15 milioni”, minimizza però il ministro Orlando.

Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)

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IL PECCATO ORIGINALE: PERCHE’ SONO FAVOREVOLE AL FINANZAMENTO PUBBLICO AI PARTITI

Giugno 1st, 2013 Riccardo Fucile

IN ITALIA SE NE E’ FATTO UN USO ABNORME, MA ESISTE IN TUTTI I PAESI EUROPEI… SONO MANCATI CONTROLLI E SANZIONI

Partiamo da una premessa: in tutti i paesi europei ad eccezione della Svizzera vi sono forme di finanziamento pubblico ai partiti.
Eliminandolo del tutto, come viene ora ventilato dal progetto governativo, ancora una volta faremmo eccezione rispetto alle altre democrazie europee.
Questo furore iconoclasta contro i contributi pubblici si può ben capire perchè l’Italia, fino allo scorso anno faceva – di nuovo — eccezione per l’ammontare gigantesco di denaro pubblico dirottato verso i partiti.
Dal 1994 al 2013 sono stati elargiti quasi due miliardi e mezzo di rimborsi elettorali per ogni tipo di competizione, dalle regionali alle europee passando per le legislative (e in questo calcolo sono esclusi i contributi per i comitati organizzatori dei referendum).
Anche al di là  delle malversazioni e ruberie l’opinione pubblica non sopporta più di vedere i politici — di ogni livello — godere di retribuzioni e benefit inarrivabili per la maggioranza dei cittadini onesti.
Questo sentimento di discredito, tracimato fino all’ostilità , ha beneficato il M5S.
Ma la rincorsa al giacobinismo antipartitico non taglia l’erba sotto i piedi al movimento di Beppe Grillo perchè la disistima nei confronti dei partiti è ben radicata; e non cambia da un momento all’altro solo perchè si tolgono loro i soldi.
La ri-legittimazione dei partiti passa per una ripresa di attività  volontaria, magari intermittente ma incarnata da persone “disinteressate”, o quanto meno senza i privilegi derivanti dalla loro attività  politica o carica pubblica.
I partiti a livello locale, “ambasciatori” della società  civile presso idecision-makers, vivono una condizione di marginalità  e sudditanza rispetto ai vertici nazionali.
Mentre a Roma le strutture centrali sono opulente perchè lì arriva il finanziamento pubblico, in periferia stentano, perchè lì arrivano solo le briciole.
Addirittura in alcuni casi, come nel Pdl, anche i proventi derivanti dalle iscrizioni vengono risucchiati dal centro.
La concentrazione delle risorse nei quartieri generali dei partiti ha isterilito la loro vita alla base.
Ne consegue che, da molti anni, la quota di finanziamento pubblico supera nettamente quella autoprodotta: Pdl e Pd dipendono dal 70% al 90% dai contributi dello Stato.
Comunque, passare dall’abbondanza senza limiti e totale irresponsabilità  all’abbattimento di ogni forma di sovvenzione pubblica è rispondere ad un eccesso con un altro.
Invece di cancellare del tutto il finanziamento, peraltro già  dimagrito e modificato con una nuova legge, approvata nel luglio dell’anno scorso ma passata del tutto inosservata, travolta dallo tsunami antipartitico, meglio sarebbe prendere spunto dalle buone pratiche adottate all’estero.
E, in particolare, concentrarsi sulla triade virtuosa della limitazione degli importi di entrata e di spesa, dell’efficacia dei controlli, del rigore nelle sanzioni.
I versamenti dello Stato sono già  stati ridotti dalla legge del 2012 a 91 milioni l’anno, di cui un terzo co-finanziato sulla base di quanto i partiti autonomamente raccolgono. 91 milioni sono ancora molti, forse troppi.
Ma certo troppo bassa è la quota di autofinanziamento: il rapporto 30/70 va invertito. Per avere soldi dallo Stato i partiti devono dimostrare di essere in grado di attivare una massa importante di contributi (ovviamente certificati, pubblici e di piccoli importi). A fianco della riduzione degli importi e della loro modulazione in rapporto ai contributi pubblici va poi introdotto un tetto alle spese.
Fin qui i partiti hanno guadagnato grazie alla generosità  dei rimborsi, e i bilanci sono in molti casi attivi; ma riducendo le entrate vanno tenute a freno le spese, con plafond ben definiti.
I controlli, anche nell’ultima norma, sono soprattutto formali e nelle mani dei controllori-controllati, con un intervento non ben definito — e quindi inefficace — della Corte dei Conti.
Società  esterne di auditing e indicazioni precise sull’intervento dei giudici, nonchè una ampia pubblicità  dei bilanci, rappresentano alcuni passaggi minimi per una maggiore efficacia neicontrolli.
Infine, le sanzioni.
Fin qui, al di là  dei casi clamorosi alla Belsito, l’opacità  dei bilanci ha nascosto di tutto e non ha consentito che venissero individuati responsabili di abusi e mal practice.
La decadenza dall’incarico per quel candidato che sforasse il tetto di spesa, ad esempio, costituirebbe un deterrente importante.
I soldi in politica sono ad alto rischio e inducono in molte tentazioni. Ma non vanno demonizzati. Vanno limitati e controllati.
Con un intervento dello Stato, severo e calmierante allo stesso tempo.

Piero Ignazi

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QUEL FINANZIAMENTO AI PARTITI MAI ABROGATO DAVVERO

Giugno 1st, 2013 Riccardo Fucile

GIA’ NEL LONTANO 1993 UN REFERENDUM CANCELLO’ LA VECCHIA LEGGE PICCOLI… MA I PARTITI RIMEDIARONO AUMENTANDO I RIMBORSI ELETTORALI

Formalmente i partiti italiani non godono più di un finanziamento pubblico.
Nel 1993 uno dei referendum proposti dai Radicali abolì – con il 90,3% di voti favorevoli – la vecchia legge Piccoli del 1973 che prevedeva il sostegno da parte dello Stato alle strutture di partito come forma per scongiurare forme di corruzione.
Di fatto, tuttavia, il finanziamento pubblico continua ad esistere: prima della fine dello stesso 1993, infatti, le forze politiche approvarono la legge 515 del 10 dicembre rivedendo la normativa per i rimborsi elettorali e reintroducendo in questa forma il sovvenzionamento pubblico alle forze politiche.
LE SOMME IN CAMPO
Le somme in campo sono tutt’altro che irrisorie. L’entità  del fondo è infatti stabilita dall’articolo 9 che prevede uno stanziamento pari alla «moltiplicazione dell’importo di lire 1.600 per il numero degli abitanti della Repubblica quale risulta dall’ultimo censimento generale», ovvero 59.433.744 stando ai dati della rilevazione del 2011.
Il che porta ad uno stanziamento di poco più di 95 miliardi di lire, pari a oltre 49 milioni di euro.
La ripartizione avviene tra le forze politiche in proporzione ai voti ottenuti (per quelli relativi al Senato la ripartizione è su base regionale e lo stanziamento è suddiviso in base alla popolazione delle singole regioni).
LE CIFRE ALL’ESTERO
Stando a uno studio elaborato proprio per la nostra Camera dei deputati e citato in un articolo di Sergio Rizzo e di Gian Antonio Stella nell’agosto 2007, i soldi che i partiti italiani incassano sono molti di più di quanti vengono distribuiti negli altri principali paesi occidentali.
In Francia per ogni cittadino vengono accantonati negli anni elettorali circa 2,54 euro. In Spagna, dove i parlamentari sono 575 (metà  dei nostri), la spesa pro-capite è di 2,13 euro.
In Germania, dove esiste un tetto massimo (133 milioni l’anno) agli stanziamenti statali, la quota personale è di 1,61.
Nel Regno Unito, spiega il dossier, «il finanziamento pubblico – se si escludono alcuni servizi messi a disposizione dallo Stato nel corso delle campagne elettorali – è limitato ai contributi concessi ai partiti di opposizione in Parlamento».

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