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ILVA TARANTO, L’AVVOCATO MI DISSE: “IL TUO COLLEGA MORTO? DI’ CHE FUMAVA MOLTO”

Luglio 16th, 2013 Riccardo Fucile

UN OPERAIO DI UNA DITTA APPALTATRICE: “IL LEGALE CHE ASSISTEVA ANCHE L’ILVA MI CONSEGNO’ UN PROMEMORIA PER TESTIMONIARE IL FALSO, MA MI RIFIUTAI”… UN LAVORATORE: “ERAVAMO 60, SONO L’UNICO RIMASTO VIVO DELLA MIA SQUADRA”

“Quando ho sentito dire da Bondi che qui si muore di fumo di sigarette, come un lampo mi è tornato davanti agli occhi il momento in cui l’avvocato mi chiese di testimoniare che il mio compagno, morto di tumore, fumava due pacchetti di sigarette al giorno”.
Franco Caramia, oggi in pensione, una vita passata come capocantiere in una ditta appaltatrice dell’Ilva. Di compagni ne ha persi tanti senza poter fare nulla, ma a uno ha reso giustizia con il suo coraggio.
“I familiari del mio amico fecero causa e l’avvocato, che difendeva la ditta e anche l’Ilva, mi consegnò un promemoria chiedendomi di leggerlo. Avrei dovuto dire al giudice che il mio amico era un accanito fumatore, mentre ne fumava al massimo 5 di sigarette. Lo guardai in faccia e gli risposi: io sono un uomo e su quella pedana dirò la verità  come da giuramento. Restò di sasso. Il Tribunale sentenziò che la causa della morte era stata l’inquinamento”.
Ha lo sguardo fiero Franco, aver reso pubblico un fatto rimasto per tanto tempo segreto è come aver riscattato la memoria di quell’operaio con cui ha condiviso pane e fatica.
“Era un pezzo d’uomo, aveva fatto il paracadutista, lavorava per tre e il cancro lo ha divorato. Bondi ripete quello che gli dicono di dire, ma così fanno i pappagalli non gli uomini”.
Ricordi pesanti che come fili legano le vite di chi è rimasto.
“Sono un superstite. I miei colleghi sono morti tutti”.
Parla come fosse un reduce di guerra Giuseppe Di Bello, 65 anni.
La sua battaglia è durata 30 anni. Impiegato capoturno, 12 anni in acciaieria e 18 al porto. “Ogni mattina ringrazio il Signore per essere ancora vivo”.
Giuseppe, tre figli e tre nipoti, abita a Mottola sulla collina a 30 km dall’Ilva. “Questo mi ha aiutato, io finito il turno tornavo qui mentre gli altri rientravano nelle loro case vicino alla fabbrica continuando a respirare veleni”.
Assunto nel ’72 all’Italsider, “quando nel’95 è arrivato Riva la situazione è peggiorata. Prima nell’azienda di Stato, nei reparti, c’era polvere di amianto, ma anche umanità . Poi è rimasto solo l’amianto e noi siamo diventati vuoti a perdere. Riva ha soppresso i reparti recupero dei convertitori, che servivano a eliminare le polveri perchè non erano produttivi. Ai sindacati ha detto: voi fate i sindacalisti, io faccio il padrone. Ha costruito la famigerata Palazzina Laf (laminatoio a freddo) dove spediva chi non si adeguava, operai, funzionari, sindacalisti. Questi sono fatti — prosegue — a raccontarli tutti altro che i neri del 1700! Andavano avanti solo quelli che erano funzionali con il sistema Riva, chi si ostinava a conservare dignità  diventava carne da macello”.
Sospira, riprende fiato spezzato dalla commozione e aggiunge altri ricordi: “Quando si colava l’acciaio liquido si spruzzava il Nalco, simile a una calce bianca di cui nessuno conosceva il contenuto. Chiedevamo spiegazioni, ci rispondevano che era una formula segreta. Il Nalco conteneva amianto al 40% e siccome le placche erano bollenti sprigionavano vapore che respiravamo . In quel reparto lavoravano in 60, sono morti tutti, come quelli che lavoravano alle siviere, i mattoni refrattari erano pieni di amianto”.
Accanto a Giuseppe, un altro amico caro, Piero Barulli, medico di famiglia a Mottola da più di 30 anni: “Il nesso di connessione diretto tra esposizione e insorgenza delle malattie è un dato certo. Quando vengono da me la prima cosa che chiedo è: in che reparto hai lavorato o lavori, per quanto tempo? E in base alla risposta decido a quali accertamenti sottoporli. I tempi di incubazione sono lunghi, nessuno può dirsi salvo, è una bomba a orologeria che non sappiamo quando scoppierà . Nulla è cambiato se non la consapevolezza: prima gli operai non sapevano con quali sostanze venivano a contatto, ora lo sanno”.
Le parole del medico trovano riscontro in quelle di un altro operaio in pensione, Salvatore Perrone 64 anni, 30 all’Ilva, all’acciaieria: “Io mi controllo ma serve a poco, due miei colleghi lavoravano alla manutenzione, tutti due di 62 anni sono morti di leucemia fulminante quando i medici dicono che colpisce in età  giovanile. Il solo fine di Riva è il profitto. Con lui in poche settimane ci siamo trovati a eseguire gli ordini senza poter discutere mentre prima in ogni reparto i delegati, e io lo sono stato, concordavano con i responsabili dell’azienda come ridurre i rischi delle attività  più pericolose”.
Poi racconta come si lavorava all’epoca: “ Io ho avuto la sfortuna di lavorare anche nel reparto preparazione lingottiere quando l’acciaio si colava in lingotti, eliminato con l’ingresso delle colate continue. C’erano sostanze chimiche che quando venivano spruzzate era come fare l’aerosol con il veleno. Molti miei amici sono morti a 40 anni. Non fumavano e non bevevano ma facevano i saldatori e respiravano i fumi. Ditelo al professore Bondi. E ditegli pure che io dopo 30 anni all’Ilva non arrivo a 2 mila euro di pensione, ma capisco quello che lui non capisce per 300 mila euro all’anno”.

Sandra Amurri
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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DIPENDENTI PUBBLICI: CANCELLATI CENTO POSTI AL GIORNO

Luglio 16th, 2013 Riccardo Fucile

CRESCITA RECORD PER IL SETTORE NO PROFIT

Cento in meno al giorno, dal 2001 al 2011.
Una vera e propria emorragia di dipendenti pubblici quella evidenziata dall’Istat nel nono Censimento su Industria e servizi, Istituzioni pubbliche e No Profit.
In dieci anni gli addetti della Pa, se si escludono i militari e gli appartenenti alle forze dell’ordine, sono scesi dai 3 milioni e 209 mila unità  del 2001 ai due milioni e 840mila calcolati nel 2011.
Il calo stimato è dunque pari a 368 mila persone, un taglio secco dell’11,5%.
Più di una persona su dieci, quindi, ha lasciato gli uffici della pubblica amministrazione nel corso di questi dieci anni.
La cura dimagrante ha alleggerito soprattutto il personale in servizio presso i Comuni, dove la discesa è stata del 10,6% contro un calo dell’8,6% delle Regioni
I tagli sono stati profondi anche in quelle che l’Istat definisce le Altre istituzioni pubbliche che includono Camere di commercio, ordini e collegi professionali, università  ed enti di ricerca dove sono stati persi un quarto dei posti (-25%).
Significativa (meno 14%) anche la contrazione del numero di addetti negli Organi costituzionali, a rilevanza costituzionale e nelle amministrazioni dello Stato come ministeri, agenzie dello Stato, presidenza del Consiglio.
Oltre al personale mostrano una riduzione importante pure le singole istituzioni che a fine 2011 erano 12.183, ovvero il 21,8% in meno rispetto alla rilevazione del 2001.
Questa contrazione è dovuta ad una serie di interventi normativi e di processi di razionalizzazione che hanno portato negli anni alla trasformazione di enti da diritto pubblico a diritto privato e all’accorpamento tra istituzioni diverse
Ma non tutti gli Enti locali hanno limato le spese per il personale: anzi, più che di dieta si deve parlare di bulimia visto che in alcuni casi i dipendenti sono aumentati in maniera esponenziale. Come nelle Province (passate da 102 a 109), dove va registrato un incremento dell’11,3% del personale, così come nelle Comunità  montane e isolane e nelle Unioni di Comuni gli assunti, dove sono lievitati del 43%. Ci sono poi i casi della Valle D’Aosta, della icilia e della Provincia autonoma di Trento dove è cresciuto il numero degli addetti in rapporto alla popolazione.
C’è poi un mondo quello del no profit, che invece si espande e crea valore per il Paese.
E lo fa soprattutto al Nord e al Centro con picchi di presenza e di attività  in Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana e Lazio.
Un settore che può contare sul contributo lavorativo di quasi 5 milioni di volontari, sul lavoro quotidiano di 681mila dipendenti, di 270mila lavoratori esterni e di 5mila lavoratori temporanei.
Nel tessuto produttivo il no profit occupa ormai una posizione rilevante e pari al 6,4% di tutte le unità  economiche attive sul territorio nazionale.
Il settore della cultura e dello sport assorbe da solo circa il 65% del totale delle istituzioni no profit, seguito dall’assistenza sociale con 25mila istituzioni, delle relazioni sindacali e di rappresentanza (16mila), dell’istruzione e ricerca (15mila).
Il peso della componente no profit nell’assistenza sociale è significativo anche in termini di occupazione.
Quasi la metà  dei dipendenti impiegati in questo comparto è concentrata in Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna.

Lucio Cillis
(da “La Repubblica”)

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“DIRITTI TRASCURATI PER IL PETROLIO, IMPOSSIBILE CHE IL MINISTRO NON SAPESSE”: LA DENUNCIA DELL’INTERNATIONAL BUREAU FOR HUMAN RIGHTS

Luglio 16th, 2013 Riccardo Fucile

“DOPO L’ESTRADIZIONE FORZATA SHALABAYEVA RISCHIA IL CARCERE, LE TORTURE E I PESTAGGI”: ARRIVA LA CONDANNA DEL PRESTIGIOSO ORGANISMO INTERNAZIONALE

Altro che rientro in Italia. Adesso Alma Shalabayeva rischia grosso.
Secondo una delle più accreditate ong del Kazakistan, l’International Bureau for Human Rights, la donna «ha buone probabilità  di finire in galera» dove «le condizioni di detenzione sono orribili» e dove «i pestaggi e le torture sono frequenti».
Si profila un epilogo drammatico per la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, prelevata dalla propria abitazione romana il 29 maggio con inusuale dispiegamento di forze e immediatamente rimpatriata con un volo speciale.
Non soltanto un clamoroso errore diplomatico: adesso le autorità  italiane rischiano di avere sulla coscienza anche il destino carcerario di una persona innocente.
USATA COME OSTAGGIO
Secondo Andrey Grishin – responsabile dell’associazione che da venti anni lotta per la tutela dei diritti umani nel Paese asiatico — «è praticamente impossibile che Alma Shalabayeva possa rientrare in Italia, il Governo kazako farà  di tutto per impedirlo. La donna sarà  perseguitata da pesanti accuse di ogni genere, rischia di essere imprigionata e sarà  utilizzata come ostaggio per far rientrare in patria il marito, il dissidente Mukhtar Ablyazov».
Uno sforzo minimo, quello del Governo italiano, che permetterà  di massimizzare i risultati del satrapo kazako Nursultan Nazarbayev: adesso il presidente del Kazakistan ha il coltello dalla parte del manico e «potrà  fare leva sulla prigionia di Alma per far rientrare in patria anche il marito», il pesce più grosso per il Governo kazako, fuggito dal suo Paese nel 2009 perchè inviso al presidente Nursultan Nazarbayev e residente a Londra dove ha ottenuto asilo politico.
DIRITTI UMANI E INTERESSI ECONOMICI
Numerose le battaglie che l’International Bureau for Human Rights conduce in Kazakistan come baluardo a difesa della libertà  d’espressione e della libertà  di stampa, che «praticamente nel nostro Paese non esistono» dice Grishin, un Paese dove «i risultati delle elezioni si sanno con mesi di anticipo e i partiti d’opposizione rischiano di essere chiusi con la prepotenza».
E anche nella vicenda che ha coinvolto l’Italia, dice l’attivista, «i diritti umani sono stati trascurati a scapito degli interessi economici».
Quali? Quelli relativi alle risorse energetiche, quelli che Grishin etichetta come «il grande business dell’oro nero» che lega visceralmente Kazakistan e Italia, le cui compagnie petrolifere sono tra l’altro accusate da Human Rights Watch di «violare sistematicamente i diritti dei lavoratori».
IL MINISTRO DELL’INTERNO ERA AL CORRENTE
Sottinteso dunque, secondo Andrey Grishin, che il presidente kazako Nazarbayev abbia avuto «un ruolo determinante nella vicenda Shalabayeva».
Ricostruendo invece il comportamento del Governo italiano, Grishin sostiene che «gli accordi sono stati presi soltanto da alcune autorità  italiane» ma è «praticamente impossibile che il ministro dell’Interno italiano non fosse al corrente di questo tipo di operazione che ha coinvolto numerosi agenti e un aereo speciale».

(da “il Corriere della Sera“)

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SALVATE IL SOLDATO ALFANO: IL SUO CAPO DI GABINETTO SI IMMOLA PER LA “GIUSTA CAUSA”

Luglio 16th, 2013 Riccardo Fucile

SI E’ DIMESSO PROCACCINI, “L’UOMO CHE NON RIFERISCE AL SUO SUPERIORE”… ALLE 18 IL MINISTRO DEGLI INTERNI RISPONDERA’ IN SENATO

Giuseppe Procaccini, il capo gabinetto del ministro dell’Interno Alfano, si è dimesso “per senso delle istituzioni”.
E’ sua, quindi, la prima testa a cadere per il pasticciaccio brutto dell’espulsione della moglie e della figlia minorenne del dissidente kazako Ablyazov.
Il 28 maggio fu proprio Procaccini a ricevere l’ambasciatore kazako Andrian Yelemessov e il suo primo consigliere: al centro della riunione Ablyazov, dissidente kazako oppositore del regime, ricercato dal Kazakistan e anche da Mosca, come risulta dalla sua scheda inserita nel sito dell’Interpol. Muktar sarebbe a Casal Palocco.
Procaccini spiega ai kazaki che la competenza è della polizia e li invia al Dipartimento pubblica sicurezza.
Contestualmente al suo passo indietro, l’ormai ex capo gabinetto del Viminale, però, ha ‘protetto’ il vicepremier, assicurando che “il ministro non sapeva” dell’accaduto.
“La mia decisione non ha alcun collegamento con la relazione del capo della polizia Pansa, che non ho letto”, precisa Procaccini.
La decisione è maturata dopo “la lettura dei quotidiani e in particolare del Fatto, che mi riserva un attacco ingiusto”, afferma. “Ma per tutelare le istituzioni ho pensato fosse meglio fare un passo indietro”.
E sul ruolo del ministro Alfano? “Di questo non parlo, dico solo che non sono stato io a informarlo del caso”.
Strano comportamento, se fosse vero, per un fidato capo di gabinetto…
Fatto sta che più si avvicina il momento della verità  sul caso, più diventa elettrica la situazione del ministro dell’Interno Angelino Alfano, che riferirà  della questione in aula al Senato alle 18 di oggi.
Da una parte la relazione del capo della polizia Pansa, dall’altra la mozione di sfiducia presentata da M5S e Sel (che sarà  votata venerdì mattina nell’aula di Palazzo Madama).
Per quanto riguarda l’indagine interna, in mattinata il capo della polizia Alessandro Pansa, che ha convocato ieri nel suo ufficio i protagonisti di questa storia, ha consegnato oggi un rapporto sull’espulsione delle due persone.
Per le 15.30, invece, era stata fissata la riunione dei capigruppo al Senato, il cui compito è quello di calendarizzare la discussione della mozione di sfiducia in cui si parlerà  delle dimissioni del vice premier e numero uno del Viminale. M5S e Sel hanno chiesto il voto segreto: se la richiesta dovesse passare, Alfano rischierebbe il fuoco incrociato dei falchi Pdl e dei dissidenti interni del Pd.
Con sviluppi politici tutti da valutare anche sull’altare delle larghe intese.
Intanto il Copasir, il comitato di controllo sui servizi segreti, ha chiesto a Letta di riferire sulla mancata consultazione dei servizi per questa vicenda.
La relazione di Pansa, le accuse di Scajola e Maroni
Ritornando alla relazione del capo della polizia, a farne le spese rischiano di essere i vertici del dipartimento di Pubblica sicurezza, del Viminale, o della questura di Roma.
Tra i più a rischio oltre a Procaccini che ha già  annunciato le proprie dimissioni, ci sono il segretario del dipartimento di sicurezza, Alessandro Valeri; il capo della polizia pro tempore, Alessandro Marangoni.
Il vicepremier Angelino Alfano, intanto, continua a negare ogni responsabilità . Ma per il ministro dell’Interno i rischi sono concreti, soprattutto se dovesse passare la richiesta di un voto segreto. Il Popolo delle libertà  fa intanto quadrato attorno ad Alfano, con falchi e colombe schierati nelle ultime ore ufficialmente al suo fianco.
Ma c’è anche una voce fuori dal coro. “Come fa un ministro a non essere informato?”, si chiede l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola in un’intervista al Fatto Quotidiano, sottolineando l’importanza del rapporto di fiducia e del contatto costante con il proprio capo di gabinetto e concordando (“non ci sono spiegazioni alternative”) con l’ipotesi formulata dall’intervistatore, secondo cui Alfano sapeva e ha agito male oppure non sapeva e non controlla il ministero. Simile la presa di posizione di Roberto Maroni: “Non faccio valutazioni, dico solo da ex ministro dell’Interno che casi del genere erano gestiti dalla struttura con il coinvolgimento di tutti, anche ovviamente del ministro” ha detto il governatore della Lombardia, che poi, scendendo nel particolare, ha sottolineato che il governo non potesse non sapere.
“Mi pare difficile — ha sostenuto il leader della Lega — che un’operazione così complessa, rapida e spettacolare sia stata fatta senza che il governo sapesse. Io penso che il governo sapesse”.
La presa di posizione di Guglielmo Epifani. Franceschini: “La relazione di Pansa sia pubblica”
Più rivolta alle conseguenze politiche la presa di posizione del segretario del Pd Guglielmo Epifani. “Se sapeva e ci sono fatti acclarati va da sè; ma se non sapeva realmente, io mi domando perchè è stato fatto a sua insaputa, cosa c’è dietro e sarebbe stato più inquietante” ha detto il segretario democratico. Epifani, poi, ha commentato il passo indietro di Giuseppe Procaccini, sottolineando che le dimissioni del capo gabinetto di Alfano non sono “un fatto usuale, non ricordo uno con un ruolo così importante dimissionario”.
Per il resto, ha continuato il leader democratico, “vediamo le carte e capiamo cosa il governo decide di fare e poi faremo una valutazione corretta”.
Sulla mozione che chiede le dimissioni di Alfano, per l’ex sindacalista di tratta di un atto “comunque prematuro”: “Qui — ha detto — c’è la corsa a far subito”. Si sarebbe dovuto attendere che il governo riferisse e poi “sulla base di quello si decide la mozione di sfiducia verso chi e perchè”.
E se Alfano decidesse di dimettersi? A sentire Epifani, in tal caso ci potrebbe essere una crisi di governo: “Immagino che il Pdl trarrebbe qualche conseguenza, ma tutto sta a cose che emergeranno” sulla vicenda.
La nota che fa preoccupare Alfano
Un nuovo dettaglio, intanto, rischia di mettere i bastoni tra le ruote al ministro.
I riflettori sono ora puntati su una nota trasmessa dall’ambasciata kazaka alla questura di Roma che alimenta ulteriori dubbi sulla versione ufficiale.
La missiva, come spiega il Corriere della Sera, rivela nuovi punti oscuri nella procedura che ha portato all’espulsione delle due persone.
In quella lettera la donna viene infatti indicata con il suo nome da sposata e non con quello da nubile che invece era sul passaporto mostrato di fronte ai poliziotti.
Il documento ricostruisce la storia del dissidente, indicato come “ricercato inserito nel bollettino rosso internazionale”, e si conclude con la “richiesta di arresto”.
Gli addetti dell’ambasciata scrivono che “nel febbraio 2012 in Gran Bretagna, come una decisione della Corte suprema di Londra, gli è stata attribuita la detenzione in carcere per un periodo di 22 mesi per mancanza di rispetto della Corte, ma lui è fuggito dalla giustizia inglese”. Non solo. Nella missiva, dopo aver fornito l’indirizzo “dove Ablyazov attualmente soggiorna”, i kazaki chiedono di “identificare le persone che vivono nella villa. Non è escluso che nella villa conviva sua moglie, cittadina del Kazakistan, Alma Shalabayeva, nata il 15 agosto 1966″.
Alla luce del contenuto della nota ci si chiede quindi perchè non si decise di fare un ulteriore controllo trasmettendo anche il nominativo completo, così come compariva nei documenti ufficiali messi a disposizione dalla diplomazia, per verificare che si trattava della moglie del rifugiato molitico.
I punti da chiarire, quindi, si moltiplicano.
Mentre iniziano le scommesse su quali saranno le teste prossime a cadere.
Le nuove accuse del legale di Alma Shalabayeva
”In questa vicenda c’è stata una violazione evidente dei diritti umani e non mi pare neppure del tutto esatto quel che si dice nel decreto di revoca dell’espulsione, cioè che non si sapessero certe cose: chi operava aveva gli elementi per sapere chi fosse Alma Shalabayeva“.
Parola di Riccardo Olivo, legale della donna espulsa in Kazakistan, che oggi sarà  in audizione dalla commissione diritti umani del Senato.
Non solo. “Non abbiamo avuto un vero accesso agli atti e questo è un fatto grave” ha detto Olivo nel corso dell’audizione, in cui ha spiegato che da parte di Alma Shabalayeva ”nella fase precedente al blitz non è stata presentata una richiesta di asilo”, ma questo è stato fatto “nella fase topica, dopo che lei è stata fermata, ma è stato impossibile: questa possibilità  ce l’hanno sottratta oltre ad aver sottratto fisicamente la donna prima che iniziasse l’orario di ricevimento al Cie dove poter formalizzare” l’istanza.

Marco Lillo

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CASO SHALABAYEVA, ARRIVATA RELAZIONE DI PANSA, IL LEGALE: “LA POLIZIA POTEVA SAPERE”

Luglio 16th, 2013 Riccardo Fucile

A PAGARE SARANNO SOLO I FUNZIONARI, A RISCHIO PROCACCINI E MARANGONI… LE IMBARAZZANTI CONGRATULAZIONI DEL GOVERNO KAZAKO

Era un passaggio atteso da giorni la consegna, da parte del capo della polizia Alessandro Pansa, di un rapporto sul caso Ablyazov: sull’espulsione in tutta fretta dall’Italia di moglie e figlia del dissidente kazako.
La relazione è arrivata poco fa al Viminale.
Il capo della polizia, Alessandro Pansa, verrà  audito in commissione diritti umani in Senato, dopo l’informativa del governo.
Lo ha annunciato il senatore del Pd, Luigi Manconi.
Intanto la Farnesina “valuterà  i termini delle iniziative da assumere presso le aurotità  kazake”, in particolare per capire “come l’ambasciatore abbia potuto accedere agli uffici del Viminale. Sicuramente non si è rivolto a noi”, ha detto il viceministro degli Esteri Lapo Pistelli in Commissione Esteri della Camera.
Legale di Shalabayeva: “C’erano elementi per sapere”.
“In questa vicenda c’è stata una violazione evidente dei diritti umani e non mi pare neppure del tutto esatto quel che si dice nel decreto di revoca dell’espulsione, cioè che non si sapessero certe cose: chi operava aveva gli elementi per sapere chi fosse Alma Shalabayeva”.
Lo dichiara l’avvocato Riccardo Olivo, legale della donna espulsa in Kazakistan, che oggi sarà  in audizione dalla Commissione diritti umani del Senato.
Il legale spiega inoltre che l’audizione, seguito di una precedente convocazione da parte della Commissione, è stata indetta “su richiesta di alcuni componenti della Commissione stessa e in particolare esponenti del Pdl, che nel precedente incontro non hanno potuto fare tutte le domande che ritenevano necessarie e hanno chiesto una nuova convocazione per approfondimenti e ulteriori quesiti”.
Chi pagherà .
A farne le spese potrebbero essere proprio i vertici del dipartimento di Pubblica sicurezza, del Viminale, forse anche della questura di Roma. La linea del vicepremier, che insiste nel negare ogni responsabilità , è di sacrificare un’intera linea di comando.
Tra i più a rischio ci sono il capo di gabinetto del Ministro, Giuseppe Procaccini; il segretario del dipartimento di sicurezza, Alessandro Valeri; il capo della polizia pro tempore, Alessandro Marangoni. Ieri Pansa ha convocato nel suo ufficio i protagonisti di questa storia.
Il dossier servirà  a chiarire i dettagli tecnici di una storia peraltro già  ampiamente conosciuta. Ma i nodi politici restano tutti. E infatti alla politica, cioè al ministro, spetterà  decidere chi “sacrificare” tra i dirigenti.
La mozione di sfiducia.
Il governo aveva previsto di riferire sulla spinosissima vicenda in commissione Esteri, sulla base della relazione di Pansa. Ma il piano viene vanificato dall’arrivo della mozione di sfiducia congiunta di M5s e Sel.
Il dibattito sarà  dunque sulle dimissioni di Alfano. E per il ministro i rischi sono molti. Soprattutto se dovesse passare la richiesta di un voto segreto.
Nel Pdl tutti, falchi e colombe, nelle ultime ore si sono ufficialmente schierati a tutela del segretario Pdl.
Ma resa da capire cosa accadrà  nelle urne. Visti soprattutto i tanti mal di pancia nell’area Pd. Soprattutto nell’area renziana.
E i parlamentari socialisti, secondo indiscrezioni, sono orientati a votare la sfiducia ad Alfano sostenendo, quindi, la mozione Sel-M5s.
Le congratulazioni kazake.
A rendere complessa la situazione di Alfano c’è un ulteriore dettaglio, emerso in queste ore. Il 31 maggio, il giorno dopo l’espulsione di Alma Shalabayeva e della figlia, l’ambasciata kazaka mandò un fax all’ufficio immigrazione per congratularsi per il successo e la rapidità  dell’espulsione.
Possibile che anche questo documento sia rimasto sconosciuto al ministro e al suo gabinetto?
Ricordiamo che fu proprio Alfano, il 28 maggio al Viminale, a chiedere al suo capo di gabinetto di ricevere l’ambasciatore kazako e il suo primo consigliere per ascoltare le loro richieste. Ma – dice il responsabile del Viminale – lui non seppe più nulla di quella pratica.
Osservatorio diritti dei minori: “Grave violazione”.  
L’osservatorio sui diritti dei minori interviene sul caso Shalabayeva con una nota del vicepresidente, Antonino Napoli, nella quale si evidenzia come “lo Stato italiano abbia dimostrato che le leggi e le convenzioni sui minori sono solo carta scritta”.

(da “La Repubblica“)

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KAZAKI & CAZZARI

Luglio 16th, 2013 Riccardo Fucile

CARI PD, AVEVE VOLUTO PACIFICARVI CON BERLUSCONI? ADESSO CIUCCIATEVELO

Ora ci spiegano che, sul ruolo dei ministri Alfano e Bonino nello scandalo kazako, bisogna attendere fiduciosi il rapporto del capo della Polizia appena nominato dal vicepremier e ministro Alfano a nome del governo Letta per conto del Quirinale.
Come se il nuovo capo della Polizia potesse mai sbugiardare il superiore da cui dipende e mettere in crisi il governo che l’ha nominato.
Suvvia, sono altre le indagini imparziali che andrebbero fatte.
Ci vorrebbe una Procura indipendente dalla politica, quale purtroppo non è mai stata, almeno nei suoi vertici, quella di Roma, che in questi casi si è sempre mossa come una pròtesi del governo di turno.
Quindi lasciamo stare le indagini e limitiamoci alle poche cose chiare fin da ora.
Se la polizia italiana ha cinto d’assedio con 40 uomini armati fino ai denti il villino di Casal Palocco per sgominare la temibile gang formata da Alma e Aluà , moglie e figlia (6 anni) del dissidente Ablyazov, e spedirle fermo posta nelle grinfie del regime kazako, è per un solo motivo: il dittatore Nazarbayev, che ne reclamava le teste e le ha prontamente ottenute, è uno dei tanti compari d’anello di Berlusconi in giro per il mondo.
Da quando Berlusconi è il padrone d’Italia, il nostro Paese viene sistematicamente prostituito ora a questo ora a quel governo straniero, in spregio alla sovranità  nazionale, alla Costituzione e alle leggi ordinarie.
I compari stranieri ordinano, lui esegue, il funzionario di turno obbedisce e viene promosso, così non parla.
Un ingranaggio perfettamente oliato che viaggia col pilota automatico, sul modello Ruby-Questura di Milano. La filiera di comando è tutta privata.
Governo e Parlamento non vengono neppure interpellati o, se qualche ministro sa qualcosa, è preventivamente autorizzato a fare il fesso per non andare in guerra, casomai venga beccato. Tanto si decide tutto fra Arcore, Villa Certosa e Palazzo Grazioli.
Sia quando lui sta a Palazzo Chigi, sia quando ci mette un altro, tipo il nipote di Letta.
Era già  accaduto col sequestro di Abu Omar per compiacere Bush (solo che lì una Procura indipendente c’era, Milano, e Napolitano dovette coprire le tracce graziando in tutta fretta il colonnello Usa condannato e latitante).
Ora, per carità , è giusto chiedere le dimissioni di Alfano e Bonino, per evitare che volino i soliti stracci e cadano le solite teste di legno: se i due ministri sapevano, devono andarsene perchè complici; se non sapevano, devono andarsene a maggior ragione perchè fessi.
Ma è ipocrita anche prendersela solo con loro.
La Bonino è uno dei personaggi politici più sopravvalutati del secolo: difende i diritti umani a distanza di migliaia di chilometri, ma in casa nostra e dei nostri alleati non ha mai mosso un dito (tipo su Abu Omar e su Guantanamo).
Alfano basta guardarlo per sospettare che non sappia neppure dov’è il Kazakistan e per capire che conta ancor meno di Frattini, che già  contava come il due a briscola: è l’attaccapanni di B. ed è persino possibile che i caporioni della polizia, ricevuto l’ordine dal governo dell’amico kazako, abbiano deciso di non ragguagliarlo sui dettagli del blitz.
Tanto non avrebbe capito ma si sarebbe adeguato, visto che non comanda neppure a casa sua.
Il conto però va presentato a chi ha nominato Alfano vicepremier e ministro dell’Interno e la Bonino ministro degli Esteri.
Cioè a chi tre mesi fa decise di riportare al governo B. nascosto dietro alcuni prestanome. E poi iniziò a tartufeggiare sul Pdl buono (Alfano, Lupi e Quagliariello) e il Pdl cattivo (Santanchè, Brunetta e Nitto Palma).
Il Pdl è uno solo e si chiama Berlusconi, con tutto il cucuzzaro dei Putin, Nazarbayev,Erdogan & C. Per questo l’antiberlusconismo, anche a prescindere dai processi, è un valore.
Chi — dai terzisti al Pd — lo accomuna al berlusconismo e invoca la “pacificazione” dopo la “guerra dei vent’anni”, non ha alcun diritto di scandalizzarsi nè di lamentarsi per gli effetti collaterali dell’inciucio.
Inclusi i sequestri di donne e bambine.
Avete voluto pacificarvi con lui? Adesso ciucciatevelo.

Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)

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OCCUPY AN: GIOVANI DI DESTRA DI “ADESSO NOI” OCCUPANO LA SEDE DELLA FONDAZIONE AN

Luglio 16th, 2013 Riccardo Fucile

” I NOTABILI FACCIANO UN PASSO INDIETRO: LA DESTRA ITALIANA LA DEVONO RICOSTRUIRE I GIOVANI”

Pochi minuti fa, la sede della Fondazione Alleanza Nazionale, in via della Scrofa a Roma, è stata occupata: autori di quest’azione politica pacifica e simbolica una ventina di rappresnetanti del movimento Adesso Noi (AN), nato dall’iniziativa di donne e uomini che hanno deciso d’intervenire nel dibattito sulla ricostituzione di un partito unico di Destra.
Provengono da varie regioni d’Italia e si sono dati appuntamento a Roma per stimolare una svolta, a fronte di una Destra italiana ridotta ormai ai minimi storici .
Chiediamo al loro portavoce (non esistono gerarchie all’interno del Comitato) Francesco Cantoro quali sono le proposte che avanza “Adesso Noi”.
“Intanto modificare la destinazione del patrimonio della Fondazione Alleanza Nazionale:   non deve servire a decantare una storia passata ma a scriverne una diversa, di prospettiva, divenendo la principale fonte di finanziamento per il nuovo partito di Destra”.
Quindi anche un sistema per uscire dalle polemiche sull’uso del tesoretto della Fondazione, pare sottinteso. Ma su che basi ideologiche ?
“Occorre convocare tutti gli intellettuali d’area   per scrivere una Carta dei valori non negoziabili, espressione delle idee e del percorso politico della Destra, ma non ghettizzate su posizioni fuori dal tempo, individuando come orizzonte una destra moderna, europea”
Un’aggregazione ad escludendum o aperta a tutti?
“Deve vedere protagoniste, non solo le forze politiche “figlie” di Alleanza Nazionale, ma anche tutte quelle persone e associazioni che si riconoscono nella Carta dei valori.
E della vecchia guardia che ne volete fare, la rottamate?
“Talvolta la Storia esige il patto generazionale, il passaggio del testimone. Pur riconoscendo la massima stima e ammirazione per dirigenti come Fini, La Russa, Alemanno, Storace, Nania, Viespoli, Menia, Urso, giusto per indicarne alcuni, riteniamo opportuno che di questo nuovo soggetto politico loro ne siano fautori e padri nobili, ma che lascino alle nuove generazioni la sfida della rappresentanza della Destra nel circuito democratico .

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INTERVISTA A SCAJOLA: “ALFANO NON POTEVA NON SAPERE”

Luglio 16th, 2013 Riccardo Fucile

L’EX MINISTRO DEGLI INTERNI SPIEGA: “VEDEVO TRE VOLTE AL GIORNO IL MIO CAPO DI GABINETTO E MI AGGIORNAVA SU OGNI COSA, PROCACCINI ERA IL VICE”…. “L’ENI HA INVESTITO MOLTO IN KAZAKISTAN E CI SONO AFFARI IN CORSO…”

Pronto, onorevole Claudio Scajola.
“Mi dica, cosa butta di nuovo? Io, l’uomo a sua insaputa, sono ancora di moda?”.
Il mezzanino al Colosseo non c’entra nulla.
Quanto ho sofferto. Ho aspettato tre anni per sapere che davvero non sapevo: in udienza, e giuravano, le sorelle Papa e l’architetto Zampolini hanno negato le accuse. Ammetto, mi è scesa una lacrimuccia.
Angelino Alfano, a buon diritto, è un uomo a sua insaputa?
Che devo rispondere? La questione kazaka è delicata. Io parlo, voi cosa scrivete?
Ascoltiamo.
Io conosco il Viminale, non vi faccio perdere tempo.
Quante stanze separano l’ufficio del ministro e quello del capo di gabinetto?
Non più di tre, pochi metri, pochi passi.
Giuseppe Procaccini riceve i diplomatici kazaki, vogliono cacciare un dissidente: come fa il ministro a essere informato
Aspetti.
Cosa?
La formulazione è sbagliata. Come fa un ministro a non essere informato?
Fatta la domanda, si dia una risposta.
Procediamo per esclusione ed esperienza. I due non si possono incontrare per caso, per esempio non possono ritrovarsi in bagno.
Perchè?
Il ministro ha uno spazio riservato, non condivide questo tipo di bisogni. Però, per dire, il capo di gabinetto è il filtro per i dipartimenti e, viceversa, il ministro non può che compulsare questo filtro.
Al giorno, quante volte
Io ricevevo il capo di gabinetto ogni mattina entro le 8: leggevo la posta privata, fissavo l’agenda e lui mi aggiornava sui fatti accaduti di notte. Poi ci vedevamo prima di pranzo per capire gli appuntamenti e le pratiche più urgenti. Non lasciavo il ministero, a tarda sera, se non avevo l’ultimo colloquio che faceva il punto conclusivo. Se non ci vedevamo di persona, era tassativo sentirci al telefono.
Conosce Procaccini?
Era il vice del mio capo di gabinetto, non avevo rapporti diretti con lui. Ma al Viminale conoscono la gerarchia e la fanno rispettare.
Perchè un prefetto dovrebbe assumersi una responsabilità  che va oltre i suoi poteri e mettere ai margini il ministro?
La gerarchia, le ripeto, la gerarchia è fondamentale.
I kazaki vanno al Viminale, la polizia organizza l’irruzione, la donna viene trasportata in un centro di accoglienza per immigrati e poi viene espulsa assieme a una bambina di sei anni. Passano 48 ore. Come può restare all’oscuro un ministro?
La sceneggiatura è ottima, convincente. Mi consenta, e utilizzo un’espressione berlusconiana, di fare una citazione. Diceva il mio maestro, ex ministro al Viminale, Paolo Emilio Tavani: “Quando ti accorgi di non avere la fiducia dei tuoi sottoposti, vattene via”.
Alfano o sapeva e ha agito male oppure non sapeva e non controlla il ministero
Concordo. Non ci sono spiegazioni alternative.
In sintesi: il vicepremier non è all’altezza per essere un erede di Taviani al Viminale?
Sì. Però le abitudini sono fondamentali. Io mi comportavo così, vedevo regolarmente il capo di gabinetto e i miei predecessori — da Cossiga a Taviani — mi hanno insegnato questo atteggiamento, non saprei onestamente valutare la gestione moderna di Angelino… Io me lo ricordo per la sua attività  politica.
Che deve fare, ora, Alfano?
Io me ne sono andato per un errore a mia insaputa, ma non posso suggerire una reazione di Angelino. Vengo da tre anni durissimi, botte da destra e sinistra, soprattutto da destra sì.
Quanto conta il Kazakistan per l’Italia?
Tantissimo. Al Viminale non ho avuto contatti, però allo Sviluppo Economico, era il 2009, ci fu un bilaterale con numerosi diplomatici. La nostra Eni ha investito somme ingenti in quel paese, c’è un giro d’affari molto importante. Mi creda: molto importante.

Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano“)

argomento: Alfano, Giustizia, governo | Commenta »

LO STRACCIO SPORCO DEI BARBARI RAZZISTI

Luglio 16th, 2013 Riccardo Fucile

POSSIAMO SOLO VERGOGNARCI PER LORO

Roberto Calderoli deve dimettersi dalla vice presidenza del Senato perchè chi parla come l’ex ministro non è degno di ricoprire alcuna carica istituzionale, tantomeno una così importante, in un paese civile.
Punto e basta.
Almeno in questo caso, per favore, non apriamo il solito dibattito da talk show, dove tutti hanno un po’ ragione e un po’ torto.
Qui la ragione sta tutta da una parte, il torto dall’altra.
Si dirà , ma qual è la novità ?
Sono ormai vent’anni che sopportiamo il continuo imbarbarimento del discorso pubblico, la progressiva perdita di dignità  culturale della politica, archiviando ogni passo verso il baratro dell’intolleranza come occasionale “gaffe”, prontamente seguita da svogliate, ipocrite scuse.
Il risultato concreto di questo vecchio che avanza è l’aver ridotto a pezzi l’immagine dell’Italia agli occhi del mondo, l’infelice laboratorio di una regressione collettiva. Allora, che cosa cambia una in più o in meno?
Il fatto è che esistono punti di non ritorno e questo dell’offesa di Calderoli al ministro Cècilie Kyenge segnala esattamente questo.
Sarebbe un tragico errore considerare la vicenda come un episodio isolato, per quanto deplorevole, o peggio una semplice voce dal senfuggita.
Da un lato l’offesa di Calderoli è il precipitato di un ventennio di sotto cultura politica.
Dall’altro, collegato agli altri fatti di questi giorni, annuncia il definito assalto agli ultimi baluardi di opinione pubblica democratica sopravvissuti nel nostro Paese.
Proviamo a guardarci un istante con lo sguardo degli altri.
Siamo una nazione finita nelle prime pagine dei giornali stranieri, soltanto nell’ultima settimana, per queste tre notizie.
Abbiamo bloccato i lavori del Parlamento in polemica contro una (forse) imminente condanna definitiva di un leader politico per evasione fiscale.
Seconda notizia, abbiamo espulso e consegnato nelle mani di un regime dittatoriale in qualche modo amico, o meglio amico degli amici, una donna e una bambina colpevoli soltanto di essere moglie e figlia di un dissidente.
Terza notizia, il vice presidente del Senato della Repubblica ha “scherzosamente” definito “un orango” una donna nera che è ministro del governo.
Non stiamo a far paragoni con nazioni di superiore civiltà  e quindi non staremo a raccontare che cosa sarebbe successo negli Stati Uniti se un vice presidente del senato americano avesse definito “un orango” Condoleeza Rice.
Ora, che cosa si può e si deve pensare di un paese in cui tutto questo passa in prescrizione in una sola settimana, senza alcuna assunzione di responsabilità  da parte di nessuno, senza conseguenze, confuso nel grigio pietrisco della cronaca quotidiana?
Enrico Letta ha fatto bene a rivolgersi a Roberto Maroni per chiedere le dimissioni di Calderoli.
Se Maroni fosse un vero leader politico, invece che un semplice erede, ne coglierebbe l’opportunità  istituzionale, politica e personale.
Istituzionale perchè il presidente della Regione Lombardia è uno dei principali registi dell’Expo 2015, un evento ad alto rischio, il cui (improbabile) successo è legato all’afflusso di “orango” e “bingo bongo” dai paesi emergenti dell’ex Terzo Mondo, dall’Africa, dall’Asia, dal Sud America.
Visto che un massiccio arrivo a Milano 2015 di milioni di visitatori californiani o tedeschi o scandinavi, ansiosi di scoprire le novità  tecnologiche dell’Italia è, per usare un eufemismo, piuttosto incerto.
Politico e personale perchè se davvero la Lega, dismessa la bandiera del federalismo, è ormai ridotta a sventolare lo straccio lurido del razzismo, allora non le serve un leader azzimato come Bobo Maroni.
È molto più adatto uno dei dobermann addestrati alla caccia allo straniero.
Naturalmente, Maroni tutto questo non lo capirà . L’ha già  dimostrato, anzi.
A non capire le cose è infatti rapidissimo.
Neppure il più acuto Enrico Letta sembra comprendere che la difesa del suo vice Alfano è insostenibile davanti agli elettori del Pd.
Quello che si scrive è dunque inutile, ma noi continueremo a farlo.
Perchè almeno, come diceva il titolo di un vecchio giornale satirico, possiamo vergognarci per loro.

Curzio Maltese

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