Destra di Popolo.net

GASPARRI, FORMIGONI E SANTANCHE’: IL TRIO DI POLITICI PIU’ PRESENTI IN TV NEL 2013

Gennaio 1st, 2014 Riccardo Fucile

LA CLASSIFICA COMPLETA DEI 15 POLITICI CHE HANNO INVASO I SALOTTI TELEVISIVI

IL PODIO
Il podio del 2013 è tutto di centrodestra anche se, dopo le ultime vicende politiche, diviso in due partiti.
Al primo posto a pari merito, con un bottino di ben 22 ospitate a testa, troviamo Maurizio Gasparri di Forza Italia e Roberto Formigoni del Nuovo Centrodestra, una volta entrambi esponenti del Pdl.
Dietro la coppia di testa, medaglia di bronzo con 20 ospitate, la pitonessa Daniela Santanchè.
Tesoretto di presenze di prima mattina tra Agorà  e Omnibus per Gasparri e Formigoni, mentre Daniela Santanchè spalma la propria visibilità  su diverse reti, orari e conduttori.
Strategie diverse legate anche a personalità  e capacità  di accendere le discussioni (e attirare share), differenti.
LA TOP TEN
Dietro il trio di testa, senza grandi sorprese, i tre candidati alle primarie del Pd: Gianni Cuperlo (17 ospitate), Pippo Civati (16 ospitate) e Matteo Renzi (14 ospitate, ma con una strategia tutta particolare).
Probabile che nei prossimi mesi Cuperlo e Civati finiranno per cedere qualche posizione, magari a favore di esponenti renziani.
Completano la top ten le forziste Renata Polverini (15), Laura Ravetto (15) e Lara Comi (12), la lettiana del Pd Paola De Micheli (13 presenze, ma un po’ in flessione dopo la vittoria di Renzi), l’alfaniano Fabrizio Cicchitto (12 presenze).
Primi tra le forze di opposizione “della prima ora” (cioè all’opposizione anche quando Pd e Pdl governavano insieme) sono Giorgia Meloni e Guido Crosetto dei Fratelli d’Italia, entrambi con dodici presenze e in decima posizione.
Nessun esponente del Movimento 5 Stelle in posizioni di rilievo, che sulla presenza nei talk show ha una politica piuttosto restrittiva.
Primo dei legisti è Matteo Salvini con nove presenza.
Le stesse del primo di Sinistra e Libertà  Gennaro Migliore.
COME FUNZIONA LA CLASSIFICA?
Il monitoraggio di OccupyTv tiene in considerazione le ospitate dei politici in 14 diversi talk show in onda sui canali in chiaro.
Nel monitoraggio sono inclusi tutti i programmi di approfondimento di prima serata (Ballarò su Rai3, Piazza Pulita, Servizio Pubblico e La Gabbia su La7, Quinta Colonna su Rete 4.
Più alcune intervste di Che Tempo che fa su Rai3), tutti i talk in onda in seconda serata (Porta a Porta su Rai 1, Virus su Rai2, Matrix su Canale 5), due talk mattutini (Agorà  su Rai3 e Omnibus su La7), il preserale Otto e mezzo su La 7, i domenicali In Mezz’ora di Rai 3 e L’Arena di Rai 1.
Il monitoraggio è iniziato lo scorso 9 settembre, con la partenza dei principali talk politici che nel frattempo, in alcuni casi, hanno cambiato orario o   giorno di messa in onda.
Importante: la classifica non monitora la maggiore esposizione mediatica dei singoli politici, ma la loro presenza fisica nelle trasmissioni.
Questo significa che, anche se tutti i tg parlano di Enrico Letta o Silvio Berlusconi, questi possono non essere presenti su OccupyTv poichè non sono “ospiti” in carne e ossa dei talk show.

(da “l’Espresso“)

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BEPPE GRILLO NON CACCIA LE FATTURE E I BILANCI DEL VDAY DI GENOVA

Gennaio 1st, 2014 Riccardo Fucile

VOGLIONO LA TRASPARENZA, MA SOLO DEGLI ALTRI

Basterebbe copiare il modello Obama, che ha pubblicato online l’elenco completo dei donatori per le elezioni americane.
O anche Matteo Renzi, che fece lo stesso dopo le primarie contro Bersani e ora invita proprio Beppe Grillo a unirsi nella battaglia contro i costi della politica.
A due settimane dal Vday di Genova, invece, nel blog di Beppe Grillo non c’è traccia di quali spese siano state sostenute per organizzare l’evento.
Compaiono soltanto due dati: l’importo delle donazioni ricevute fino a oggi (oltre 250mila euro) e il numero di simpatizzanti che hanno versato una quota al Movimento 5 Stelle per il Vday (circa 11mila).
Mancano dunque i nomi di coloro che hanno versato una quota al M5S, e mancano le fatture che, sempre secondo la pagina web dedicata alle donazioni, dovrebbero spiegare i costi organizzativi della manifestazione di Genova del 1 dicembre.
Il bilancio dello Tsunami Tour, culminato con l’imponente mobilitazione di piazza San Giovanni a ridosso delle elezioni di febbraio, fu pubblicato online soltanto ad aprile – senza però rendere note le fatture.
Allora quello che non era stato speso per il Tour venne donato alle popolazioni colpite dal terremoto dell’Emilia.
Le rimanenze del Vday invece saranno utilizzate, sempre secondo quanto promette il M5S, alle spese elettorali per le europee del 2014.
Dunque questa volta niente solidarietà  caritatevole.
Dall’esordio in Parlamento e nella scena politica nazionale il tema della trasparenza grillina torna ciclicamente a turbare i militanti. O a farli arrabbiare.
Come accadde per la puntata di Report andata in onda lo scorso maggio, quando Milena Gabanelli si chiedeva quando il M5S avrebbe reso pubblico il bilancio del Movimento — compresi il costo della gestione del sito nazionale, gli eventuali proventi a Gian Roberto Casaleggio, la web-tv La Cosa.
Da allora sono stati pubblicati sulle rete solo i giustificativi delle spese sostenute dai gruppi parlamentari pentastellati alla Camera e al Senato, così come richiedono i regolamenti parlamentari.
Ma del resto, a partire dalle fatture del Vday, ancora nulla.

(da “Huffingtonpost”)

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TUTTO QUELLO CHE NON HA FATTO LA POLITICA DEL “NOI FAREMO”

Gennaio 1st, 2014 Riccardo Fucile

UN BREVE VIAGGIO TRA COSE PROMESSE E MAI REALIZZATE

Il peso delle tasse, la giustizia lenta, le difficoltà  di imprese e lavoratori, i tagli alla Rai
Il capo dello Stato fa il suo discorso, quello del governo ricicla le dichiarazioni di sei mesi fa in occasione del decreto del fare, con l’enfasi di un brindisi: «Faremo». Vorremmo un governo che a fine anno dica «abbiamo fatto» senza dover essere smentito. Il ministro Lupi fa l’elenco della spesa: 10 miliardi per i cantieri, «saranno realizzate cose come piazze, tutto ciò di cui c’è un bisogno primario».
C’è un bisogno primario di piazze e di rotatorie? «Trecentoventi milioni per la Salerno-Reggio Calabria». Ancora fondi per la Salerno Reggio-Calabria?
Fondi per l’allacciamento wi-fi. Ma non erano già  nel piano dell’Agenda digitale?
E poi la notizia numero uno: «Le tasse sono diminuite». Vorrei sapere dal premier Letta per chi sono diminuite, perchè le mie sono aumentate, e anche quelle di tutte le persone che conosco o che a me si rivolgono.
È aumentata la bolletta elettrica, l’Iva, l’Irpef, la Tares.
L’acconto da versare a fine anno è arrivato al 102% delle imposte pagate nel 2012, quando nel 2013 tutti hanno guadagnato meno rispetto all’anno prima. Certo l’anno prossimo si andrà  a credito, ma intanto magari chiudi o licenzi.
E tu Stato, quando questi soldi li dovrai restituire dove li troverai? Farai una manovra che andrà  a penalizzare qualcuno.
I debiti della pubblica amministrazione con le imprese ammontano a 91 miliardi. A giugno il governo dichiara: «Stanziati 16 miliardi». È un falso, perchè quei 16 miliardi sono un prestito fatto da Cassa depositi e prestiti agli enti locali.
E per rimborsare questo mutuo, i Comuni, le Province e Regioni hanno aumentato le imposte.
L’assessore al Bilancio della Regione Piemonte in un’intervista a Report ha detto: «Per non caricare il pagamento dei debiti sui cittadini, si doveva tagliare sul corpo centrale delle spese del governo, e se non si raggiungeva la cifra… non so… vendo la Rai!».
Privatizzare la Rai è un tema ricorrente. Nessun Paese europeo pensa di vendersi il servizio pubblico perchè è un cardine della democrazia non sacrificabile.
In nessun Paese europeo però ci sono 25 sedi locali: Potenza, Perugia, Catanzaro, Ancona. In Sicilia ce ne sono addirittura due, a Palermo e a Catania, ma anche in Veneto c’è una sede a Venezia e una a Verona, in Trentino Alto Adige una a Trento e una a Bolzano.
La Rai di Genova sta dentro a un grattacielo di 12 piani… ma ne occupano a malapena 3. A Cagliari invece l’edificio è fatiscente con problemi di incolumità  per i dipendenti.
Poi ci sono i centri di produzione che non producono nulla, come quelli di Palermo e Firenze.
A cosa servono 25 sedi? A produrre tre tg regionali al giorno, con prevalenza di servizi sulle sagre, assessori che inaugurano mostre, qualche fatto di cronaca.
L’edizione di mezzanotte, che è una ribattuta, costa 4 milioni l’anno solo di personale. Perchè non cominciare a razionalizzare? Se informazione locale deve essere, facciamola sul serio, con piccoli nuclei, utilizzando agili collaboratori sul posto in caso di eventi o calamità , e in sinergia con Rai news 24.
Non si farà  fatica, con tutte le scuole di giornalismo che sfornano ogni anno qualche centinaio di giornalisti! Vogliamo cominciare da lì nel 2014?
O ci dobbiamo attendere presidenti di Regione che si imbavagliano davanti a viale Mazzini per chiedere la testa del direttore di turno che ha avuto la malaugurata idea di fare il suo mestiere?
È probabile, visto che la maggior parte di quelle 25 sedi serve a garantire un microfono aperto ai politici locali
Le Regioni moltiplicano per 21 le attività  che possono essere fatte da un unico organismo. Prendiamo un esempio cruciale: il turismo.
Ogni regione ha il suo ente, la sua sede, il suo organico, il suo budget, le sue consulenze, e ognuno si fa la sua campagna pubblicitaria.
La Basilicata si fa il suo stand per sponsorizzare Metaponto a Shanghai. Ognuno pensa a sè, alla sua clientela (non turistica, sia chiaro) da foraggiare. E alla fine l’Italia, all’estero, come offerta turistica, non esiste
Dal mio modesto osservatorio che da 16 anni verifica e approfondisce le ricadute di leggi approvate e decreti mai emanati che mettono in difficoltà  cittadini e imprese, mi permetto di fare un elenco di fatti che mi auguro, a fine 2014, vengano definitivamente risolti.
Punto 1. La ridefinizione del concetto di flessibilità .
Chi legifera dentro al palazzo forse non conosce il muro contro cui va a sbattere chi vorrebbe dare lavoro, e chi lo cerca. Un datore di lavoro (che sia impresa o libero professionista) se utilizza un collaboratore per più di un mese l’anno, lo deve assumere. Essendo troppo oneroso preferisce cambiare spesso collaboratore.
Il precario, a sua volta, se offre una prestazione che supera i 5.000 euro per lo stesso datore di lavoro, non può fare la prestazione occasionale, ma deve aprire la partita Iva, che pur essendo nel regime dei minimi lo costringe comunque al versamento degli acconti; inoltre deve rivolgersi a un commercialista per la dichiarazione dei redditi, perchè la norma è di tre righe, ma per dirti come interpretare quelle tre righe, ci sono delle circolari ministeriali di 30 pagine, che cambiano continuamente.
Il principio di spingere le persone a mettersi in proprio è buono, ma poi le regole vengono rimpinzate di lacci e alla fine la partita Iva diventa poco utilizzabile.
Perchè non alzare il tetto della «prestazione occasionale» fino a quando il precario non ha definito il proprio percorso professionale? Il mondo del lavoro non è fatto solo da imprese che sfruttano, ma da migliaia di micropossibilità  che vengono annientate da una visione che conosce solo la logica del posto fisso.
Si dirà : «Ma se non metti dei paletti ci troveremo un mondo di precari a cui nessuno versa i contributi».
Allora cominci lo Stato a interrompere il blocco delle assunzioni e smetta di esternalizzare. Oggi alle scuole servono 11 mila bidelli che costerebbero 300 milioni l’anno.
Lo Stato invece preferisce dare questi 300 milioni ad alcune imprese, che ricavano i loro margini abbassando gli stipendi (600 euro al mese) e di conseguenza i contributi.
Che pensione avranno questi bidelli? In compenso lo Stato non ha risparmiato nulla… però obbliga un libero professionista o una piccola impresa ad assumere un collaboratore che gli serve solo qualche mese l’anno.
Il risultato è un incremento della piaga che si voleva combattere: il lavoro nero.
Punto 2 . Giustizia.
Mentre aspettiamo di vedere l’annunciata legge che archivia i reati minori (chi falsifica il biglietto dell’autobus si prenderà  una multa senza fare 3 gradi di giudizio), occorrerebbe cancellare i processi agli irreperibili.
Oggi chi è beccato a vendere borse false per strada viene denunciato; però l’immigrato spesso non ha fissa dimora, e diventa impossibile notificare gli atti, ma il processo va avanti lo stesso, con l’avvocato d’ufficio, pagato dallo Stato, il quale ha tutto l’interesse a ricorrere in caso di condanna.
Una macchina costosissima che riguarda circa il 30% delle sentenze dei tribunali monocratici, per condannare un soggetto che «non c’è». Se poi un giorno lo trovi, poichè la legge europea prevede il suo diritto a difendersi, si ricomincia da capo.
Perchè non fare come fan tutti, ovvero sospendere il processo fino a quando non trovi l’irreperibile?
Siamo anche l’unico Paese al mondo ad aver introdotto il reato di clandestinità : una volta accertato che tizio è clandestino, anzichè imbarcarlo subito su una nave verso il suo Paese, prima gli facciamo il processo e poi lo espelliamo. Una presa in giro utile a far credere alla popolazione, che paga il conto, che «noi ce l’abbiamo duro».
Punto 3 . L’autorità  che vigila sui mercati e sul risparmio.
Dal 15 dicembre, scaduto il mandato del commissario Pezzinga, la Consob è composta da soli due componenti. La nomina del terzo commissario compete al presidente del Consiglio sentito il ministro dell’Economia e avviene con decreto del presidente della Repubblica.
Nella migliore delle ipotesi ci vorranno un paio di mesi di burocrazia una volta che si saranno messi d’accordo sul nome. Ad oggi l’iter non è ancora stato avviato e l’Autorità  non assolve il suo ruolo indipendente proprio quando si deve occupare di dossier strategici per il futuro economico-finanziario del Paese come Mps, Unipol-Fonsai e Telecom.
Di fatto Vegas può decidere come vigilare sui mercati finanziari e sul risparmio, direttamente da casa, magari dopo essersi consultato con Tremonti (che lo aveva a suo tempo indicato), visto che il voto del presidente vale doppio in caso di parità , e i commissari hanno facoltà  di astensione. Perchè il Governo non si è posto il problema qualche mese fa, e perchè non si è ancora fatto carico di una nomina autorevole, indipendente e in grado di riportare al rispetto delle regole
Punto 4 . Ilva.
È alla firma del capo dello Stato il decreto «terra dei fuochi», dentro ci hanno messo un articolo che autorizza l’ottantenne Commissario Bondi a farsi dare i circa 2 miliardi dei Riva sequestrati dalla Procura di Milano. Ottimo.
Peccato che non sia specificato che quei soldi devono essere investiti nella bonifica. Inoltre Bondi è inadempiente, ma il decreto gli dà  una proroga di altri 3 anni, e se poi non sarà  riuscito a risanare, non è prevista nessuna sanzione.
Nel frattempo che ne è del diritto non prorogabile della popolazione a non respirare diossina? Ovunque, di fronte a un disastro ambientale, si sequestra, si bonifica e i responsabili pagano. Per il nostro governo si può morire ancora un po’
Come contribuente e come cittadina non mi interessa un governo di giovani quarantenni. Pretendo di essere governata da persone competenti e responsabili, che blaterino meno e ci tirino fuori dai guai.
Pretendo che l’età  della pensione valga per tutti, che il rinnovo degli incarichi operativi non sia più uno orrendo scambio di poltrone fra la solita compagnia di giro.
Pretendo di essere governata da una classe politica che non insegni ai nostri figli che impegnarsi a dare il meglio è inutile.

Milena Gabanelli
(da “il Corriere della Sera“)

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EXPO, L’ULTIMA SCOMMESSA DI LETTA & SOCI PER GALLEGGIARE

Gennaio 1st, 2014 Riccardo Fucile

L’INCIUCIO FRA PREMIER, I CIELLINI LUPI E FORMIGONI E LA DE GIROLAMO IN NOME DEGLI APPALTI

Enrico Letta lo ha detto apertamente: “Voglio che Expo sia considerato un grande punto di riferimento della vita di questo governo”. Due messaggi in una frase.
Il primo: c’è un filo che lega Roma e Milano, il governo e l’Expo; e i risultati dell’esposizione universale saranno un metro per misurare anche lo stato di salute del governo.
Il secondo: Expo è un evento del 2015, dunque Letta si è prenotato a mangiare il panettone per (almeno) altri due anni.
“Il successo di Expo sarà  una cartina di tornasole per valutare l’operato di questo governo”, ha ripetuto il presidente del Consiglio quando ha ufficializzato a Milano la nomina di Giuseppe Sala a commissario unico, “e rappresenta lo snodo attraverso il quale il Paese può agganciare la ripresa. Expo, sette anni fa quando ci ho creduto, era un sogno, ma ci vuole una follia visionaria. E i sogni servono anche a una politica arida”.
La “follia” del premier
Sogno, visioni, follia: se la ricetta psichedelica contro la “politica arida” è Expo, Letta non è messo proprio benissimo.
Più concreti però gli appalti e gli affari di una partita in cui sono molti, ormai, a rischiarci la faccia: il governo Letta, certo (“Siamo una squadra che vuole vedere Milano come una grande capitale d’Europa”), ma anche il sindaco Giuliano Pisapia e la task force ciellina rappresentata da Maurizio Lupi e Roberto Formigoni.
L’uomo forte dell’operazione
Dopo anni di contese e litigi, Letta ha semplificato la governance di Expo. Decaduti i due ex commissari (il sindaco Pisapia e il presidente Formigoni), il commissario unico Giuseppe Sala è diventato l’uomo forte dell’operazione: “Per evitare i problemi di governance del passato, c’era bisogno di più fluidità ”, dice Letta.
Sala dovrà  fare però i conti con la “squadra” di governo, che sulla partita Expo schiera, oltre allo stesso presidente del Consiglio, ben tre ministri: quello dell’agricoltura, Nunzia De Girolamo; quello di trasporti e infrastrutture, Maurizio Lupi; quello dei beni culturali e del turismo, Maurizio Bray.
Più un sottosegretario, l’ex dirigente del Pd lombardo Maurizio Martina, a cui Letta ha affidato la delega all’agricoltura e all’Expo, con ufficio a Palazzo Chigi affinchè possa “garantire un contatto costante e una continua collaborazione con i ministri”.
Un mix da larghe intese, dunque, a coordinamento Pd.
Si è così un po’ allentata su Expo la presa di Cl, fortissima nelle prima fase dell’operazione sulle aree.
I ciellini possono comunque contare sull’asse tra il ministro Lupi e il senatore Formigoni, che ha perso sì il posto di commissario, ma a Roma ha subito occupato la poltrona di presidente della commissione agricoltura del Senato: il posto giusto per restare in partita , perchè Expo vuol dire agroalimentare, visto che il tema assegnato dal Bureau International des Expositions è “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.
Maroni attende, la magistratura no
La Lega, da sempre exposcettica (come, ai suoi tempi, l’ex ministro Giulio Tremonti), non ha per ora grande voce su Expo.
Vedremo come il presidente della Regione Roberto Maroni cercherà  di rientrare in partita, con il rimpasto e le nomine regionali attese per l’inizio del 2014.
Per ora, insieme a Pisapia batte sul tasto della legalità  e degli scudi da alzare contro le infiltrazioni mafiose.
È un bel rebus tenere insieme, da una parte, procedure snelle e leggi speciali e, dall’altra, barriere contro le cosche che da anni si preparano al banchetto di Expo.
Gli investigatori hanno occhi puntati sui lavori, ma intanto entrambi gli appalti più grossi già  assegnati (pulizia dell’area e costruzione della “piastra” di base) sono sotto indagine delle procura di Milano.
Quello che rischia di più, comunque, sembra essere il sindaco Pisapia.
Sta scommettendo molto su Expo: “Sarà  la nostra grande speranza per il futuro”, ha dichiarato, “fra tre anni la città  sarà  più bella”.
Dopo le interminabili contese dell’era Moratti-Formigoni per decidere chi comandava in Expo, Pisapia oggi rivendica di “averla rimessa in carreggiata”, ponendo fine ai litigi, alle lotte di potere, all’immobilismo e ai ritardi della gestione precedente.
Sta cercando di utilizzarla al massimo per portare risorse alla città , in tempi di risorse scarse. I lavori sul sito sono finalmente partiti e la promessa — non del tutto scontata — è che finiranno in tempo, per l’inizio dell’esposizione nel fatidico 2015.
Il progetto è ridimensionato, non è più faraonico come nei piani di Letizia Moratti, ma il sindaco spera possa portare qualche beneficio a Milano, visto anche l’impegno garantito dal governo Letta.
Intanto con parte dei fondi Expo (30 milioni di euro) sono finalmente partiti i lavori per risistemare la Darsena: sventato il piano del centrodestra che l’avrebbe trasformata in un parcheggio, la Darsena tornerà  a essere quella che era, cioè il “porto” d’acqua d’approdo dei Navigli.
La scommessa del sindaco Pisapia
Certo Pisapia sa che l’Expo peserà  sul suo futuro. Si concluderà  il 31 ottobre 2015, a sei mesi dalla scadenza del suo mandato: se sarà  un successo sarà  la migliore delle campagne elettorali, se sarà  un flop potrebbe trascinare alla disfatta anche il sindaco. Non si sono sopite del tutto le vecchie polemiche e qualche critica continua ad arrivare ancora, anche dall’interno della maggioranza di centrosinistra che governa la città .
“Temo che la giunta abbia troppo legato le sue sorti all’Expo”, dice Basilio Rizzo, ala sinistra e presidente del Consiglio comunale, “ho paura che nei prossimi anni l’attenzione sarà  tutta concentrata sulla vivacità  del centro città , dimenticando le periferie e le povertà , che sono purtroppo in aumento”.
Ma Pisapia va avanti: ha trovato il progetto di esposizione universale già  assegnato a Milano, l’ha accettato e ora lo sta usando per far arrivare soldi alla città .
Addio all’idea di sostenibilit�
Nel suo programma elettorale vi erano accenni a un Expo diverso. “Al punto 8 del programma del candidato sindaco”, ricorda l’architetto Emilio Battisti, “era scritto che si doveva realizzare un Expo diffuso e sostenibile.
Un’alternativa all’esposizione tradizionale, concentrata in un sito, con padiglioni da costruire e poi smantellare dopo sei mesi, con grande spreco economico e ambientale. Avevamo studiato invece una manifestazione da fare in giro per la città  e l’area metropolitana, utilizzando strutture, siti, monumenti già  esistenti, da sistemare e ampliare, lasciandoli poi, rinnovati, alla città ”.
Dopo la vittoria, continua Battisti, “Pisapia ha accantonato il punto 8 ed è volato a Parigi, alla sede del BureauInternational des Expositions, insieme a Letizia Moratti e a Roberto Formigoni. Ha accettato la continuità ”.
Si farà  un’esposizione più tradizionale, una grande fiera internazionale il cui cuore sarà  rappresentato dai padiglioni dei vari Paesi partecipanti, che già  sono più di 140.
Il dopo: rischio mattone selvaggio
Ma è soprattutto il “dopo Expo” a essere un nodo difficile da sciogliere.
L’Expo 2015 è nato come una grande operazione immobiliare, su aree della Fondazione Fiera e del gruppo Cabassi che erano agricole, ma che sono state pagate 160 milioni di euro dai soci dell’operazione (Regione Lombardia, Comune di Milano, Fondazione Fiera, Provincia di Milano e Comune di Rho).
Il Comune, per la sua quota del 34,6 per cento, ha sborsato 32 milioni, di cui 28 cash e 4 in terreni conferiti. Questi soldi dovranno rientrare.
L’amministrazione comunale dunque, per la sua parte, passati i sei mesi di festa sarà  costretta a valorizzare le aree. Dovrà  far costruire. Che cosa, non si sa.
La speranza (alimentata da qualche trattativa in corso) è che non sorga l’ennesimo quartiere residenziale, con l’ennesima colata di cemento, ma che i terreni di Expo dopo il 2015 restino a prevalente uso pubblico. Potrebbe sorgere qui il nuovo stadio, spera Ada Lucia De Cesaris, vicesindaco e assessore all’urbanistica, pagato da una delle due squadre di calcio della città , l’Inter o il Milan, e utilizzabile anche per concerti e grandi spettacoli.
Comunque, il 56 per cento dell’area, promette il Comune, sarà  mantenuta a verde e diventerà  il più grande parco tematico d’Italia. Ma il traguardo è ancora lontano e del futuro non c’è certezza.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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BRUTTA FIGURA DEL GRILLINO FRACCARO: “PORCATA SUGLI AFFITTI D’ORO”, MA PALAZZO CHIGI LO GELA: “O MALAFEDE O NON CAPISCE QUELLE CHE LEGGE”

Gennaio 1st, 2014 Riccardo Fucile

IL DECRETO PREVEDE CHE DAL 1 GENNAIO AL 30 GIUGNO SI POSSANO DISDIRE I CONTRATTI TROPPO ONEROSI, DANDO I CONSUETI SEI MESI   DI PREAVVISO… LUI AVEVA CAPITO CHE L’ULTIMO GIORNO FOSSE IL 1 GENNAIO E IL GRUPPO GLI E’ ANDATO DIETRO

Si era riaparta e si è chiusa l’ennesima polemica sulla norma “affitti d’oro”, che permette alle amministrazioni pubbliche di recedere dai contratti di locazione passiva entro il 30 giugno.
“Una legge truffaldina“, aveva attaccato il Movimento 5 Stelle, cui ha risposto a stretto giro il governo, per bocca del sottosegretario Pierpaolo Baretta: “Non c’è nessun errore, qualcuno non capisce quello che legge”
“Abbiamo scoperto una nuova porcata sugli affitti d’oro: il milleproroghe non dà  il tempo materiale per poter esercitare il recesso dai contratti”, aveva incautamente scritto in una nota il gruppo M5s della Camera facendo riferimento ad un post del portavoce Riccardo Fraccaro.
“È una legge truffaldina che ha l’effetto di neutralizzare la norma anticasta del M5S. L’articolo 2 del provvedimento prevede che si possa rinunciare alle locazioni degli immobili entro il 30 giugno 2014 ma con un preavviso di 180 giorni. Il recesso, quindi, dev’essere chiesto entro 6 mesi, ma bisogna dare un preavviso di 6 mesi per poterlo esercitare: i due termini coincidono, facendo così saltare i tempi tecnici per il recesso”.
Ai microfoni di SkyTg24, il sottosegretario all’Economia è stato costretto a precisare quello che era evidente a tutti gli altri gruppi e a chi sa leggere:   che quei 180 giorni indicano l’arco di tempo minimo che deve passare tra la richiesta di recesso e la scadenza del contratto. Una richiesta che è possibile avanzare nella finestra compresa tra l’approvazione del decreto e il 30 giugno 2014.
”Il decreto — conferma poi Palazzo Chigi con un tweet — prevede 6 mesi da 1 gennaio 2014 per disdire. Da quel giorno scattano 6 mesi entro cui rilasciare immobile”.
E poi il colpo finale:   “Chi definisce truffaldina la norma contenuta nel decreto del 27/12, ammesso che sia in buona fede, non capisce quel che legge”.

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VIAGGI E SOLDI PER COMPRARE LE SENTENZE DEI GIUDICI FALLIMENTARI

Gennaio 1st, 2014 Riccardo Fucile

“A ROMA ERA UNA PRASSI DIVIDERE IL COMPENSO CON IL MAGISTRATO, 3 SU 4 SONO CORROTTI”

In un interrogatorio di 60 pagine, reso ai pm Nello Rossi e Rocco Fava il 29 settembre scorso, l’ex giudice Chiara Schettini, arrestata a giugno dal gip di Perugia per corruzione e peculato, offre uno spaccato devastante del sistema di corruzione del Tribunale fallimentare di Roma.
Perizie affidate a consulenti dall’ampio potere discrezionale e dai compensi stratosferici, mazzette spartite anche con i giudici.
Un crocevia affaristico in cui è coinvolto il vertice dell’ufficio. Il giudice Schettini non risparmia neppure i magistrati umbri competenti su inchieste che coinvolgono i colleghi romani accusandoli di insabbiare gli esposti.
Spiega anche il meccanismo delle truffe e i trucchi per pilotare i fallimenti milionari: “Si entrava in camera di consiglio e si diceva questo si fa fallire e questo no”.
I soldi delle consulenze venivano poi ripartiti tra giudici delegati, curatori, periti e avvocati facendo levitare oltre misura le parcelle.
Chiara Schettini tenta di scrollarsi di dosso le accuse pesantissime che l’hanno portata in carcere, aggravate da intercettazioni che la inchiodano a minacce, a frasi sorprendenti come: “Io se voglio sono più mafiosa dei mafiosi”.
Di fronte ai pm romani, provata dai mesi in cella, cambia registro, ridimensiona il proprio ruolo e punta in alto, accuse che non risparmiano i vertici dell’ufficio, in particolare un magistrato che tirerebbe le fila del sistema: “Il più corrotto di tutti”. Afferma di aver ricevuto minacce di morte, anche dopo l’arresto: “L’ambiente della fallimentare è ostile, durissimo, atavico, non ci sono soltanto spartizioni di denaro ma viaggi, regali, di tutto di più, una nomina a commissario giudiziale costa 150 mila euro, tutti sanno tutto e nessuno fa niente”.
Ancora: “Era una prassi dividere il compenso con il giudice, tre su quattro lì dentro sono corrotti”.
Dito puntato anche contro il padre di suo figlio, l’ex compagno Piercarlo Rossi che accusa di avere conti all’estero. “Mi sono fidata, ero innamorata, lui trafficava anche con il direttore di una filiale di Unicredit su 900 mila euro gliene dava 200 mila”.
La percentuale per coprire la tangente. Un j’accuse a tutto campo che non risparmia il giudice fallimentare Tommaso Marvasi: “Piercarlo era l’ideatore e promotore, ma ripeto cresce come curatore di Marvasi… perchè è troppo penetrante il suo controllo… poi veniva a chiedere a me ‘hai fatto questo? hai fatto quello’.
‘Non ti preoccupare sarà  rimesso tutto perfettamente’… Io non l’ho più nominato Federico che rischia di far esplodere lo scandalo del tribunale fallimentare ai massimi vertici”.
È un fiume in piena questa signora bionda che al momento opportuno parla come un facchino: “Io a Di Lauro l’avrei investito con la macchina… Lui lavorava con la banda della Magliana”.
Descrive il meccanismo della corruzione: “C’era chi si faceva pagare le cene, chi i viaggi, chi smezzava il compenso, sul netto”. Uno in particolare non mollava mai l’osso: “Anche se era in un’altra sezione ha continuato a governare la fallimentare, è il capo della cupola”.
Di un altro pezzo grosso dice: “Si sapeva tranquillamente e serenamente che per una nomina a commissario giudiziale andava a via Ferrari con la valigetta e prendeva 150 mila euro da un famoso studio, tutti sanno e ma nessuno fa niente, ha dato tre quarti delle nomine a quello studio”.
Tira in ballo anche l’ex ministro Franco Frattini: “Mi telefonò dicendo che un suo amico, tale Maurizio Bonifati, aveva bisogno di consigli perchè aveva questa società , la Mining, che stava per fallire…”.
Ogni fallimento è organizzato con modalità  predatorie. Crediti inesistenti attribuiti a soggetti inesistenti, sul piatto 2 milioni e mezzo di euro, ma prima di arraffarli è stata arrestata.

Rita Di Giovacchino
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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IL DISCORSO DI NAPOLITANO FA IL RECORD DI ASCOLTI: PEPPE CRILLO LO HO HAI SENTITO IL BOOM?

Gennaio 1st, 2014 Riccardo Fucile

I PATACCARI GOLPISTI SE LO SONO PRESA IN QUEL POSTO: GLI ITALIANI VOGLIONO SOLUZIONI E RIFORME VERE, NON DIVENTARE SERVI DI FORZE MONDIALISTE

All’indomani di un discorso preceduto e accompagnato da attesa e polemiche, sono i numeri a fornire una prima ‘risposta’.
Risultano in crescita, infatti, gli ascolti per il messaggio di fine anno del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, trasmesso a reti unificate dalla Rai, ma anche da Canale 5 e La7.
Il tradizionale intervento del capo dello Stato è stato seguito sui soli canali Rai da 7 milioni 149mila spettatori, con un aumento del 12,2% rispetto al messaggio pronunciato l’anno precedente.
Nel 2012, invece, gli ascolti si erano fermati a 6 milioni 373mila, vale a dire 776mila in meno rispetto a ieri.
Nel complesso, invece, su tutte le reti generaliste (e dunque Canale 5 e La7 comprese),   il messaggio ha interessato 9 milioni 981mila telespettatori, contro i 9 milioni 702 del 2012: sono stati pertanto registrati 279mila spettatori in più, con un incremento – più contenuto rispetto alle sole reti Rai – del 2,8 per cento.
Interessanti i dati scorporati: su Canale 5   gli spettatori sono stati 2 milioni 637mila, su La7 692 mila.
Ma raffrontando tali cifre, emerge che   quest’anno gli ascolti sono cresciuti sulla Rai e su La7 (più 14mila), mentre sulla sola Canale 5 hanno subìto una flessione di circa 460mila spettatori.
E’ fallito il tentativo di ‘boicottaggio’ messo in atto dalle forze politiche anti-Colle (da M5S a Forza Italia alla Lega), che alla vigilia di San Silvestro avevano invitato gli italiani a non ascoltare il messaggio di auguri del presidente.
E mentre Napolitano parlava, un altro discorso di fine anno faceva da ‘controcanto’: quello di Beppe Grillo, leader del Movimento 5 Stelle, che al capo dello Stato ha chiesto nuovamente di dimettersi.
Ma Napolitano il suo messaggio l’ha voluto incentrare su temi precisi: giovani, lavoro, coraggio e riforme, nuova legge elettorale compresa.
Perchè senza le riforme “la democrazia è a rischio destabilizzazione”. Ma Napolitano ha parlato anche sacrifici. Che devono coinvolgere “pure i politici”.
Un discorso tutt’altro che ‘dimesso’ quello di Napolitano, che sulla natura del suo secondo mandato al Quirinale non lascia nulla in sospeso.
Il capo dello Stato replica alle accuse e fa sapere che “ingiurie, minacce e calunnie” non riusciranno a condizionarlo. Ma sulla durata del settennato non fa alcun passo indietro rispetto a quel che disse già  lo scorso aprile, quando fu rieletto: il suo, lo ripete, resta un incarico a termine.

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