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AQUILA: IL FAVORE DEL GOVERNO ALLA CURIA E L’APPALTO DA 500 MILIONI

Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile

TRATTATIVA PER TRASFERIRE ALLA DIOCESI LA GESTIONE DEGLI APPALTI SULLE CHIESE

Sul tavolo di Palazzo Chigi la disposizione perchè sia direttamente la Diocesi a scegliere le aziende che dovranno fare i lavori del post-terremoto
Ora tutto in stand-by dopo lo scandalo delle mazzette e le denunce del sindaco dimissionario Cialente
Questa è la storia di una “trattativa”, tra lo Stato e la Chiesa, sulla ricostruzione post terremoto.
Una storia che parte dal Duomo de L’Aquila e — almeno per ora — finisce in un cassetto. Un cassetto molto delicato: quello dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi. La vicenda riguarda un affare da 500 milioni di euro per i prossimi 9 anni: la ricostruzione delle chiese danneggiate o distrutte dal sisma del 2009.
Parliamo di 195 strutture tra L’Aquila e l’intero cratere del sisma.
L’attuale “soggetto attuatore” dell’intervento — ovvero chi gestisce la ricostruzione — è il ministero per i Beni culturali
Il ribaltone: le chiavi alla Chies
Il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare che la Presidenza del Consiglio, negli ultimi due mesi, ha provato a ribaltare la situazione con un decreto che, all’articolo 2 bis, prescrive: “Il soggetto attuatore degli interventi e il beneficiario del contributo è individuato nella diocesi competente”.
In sostanza, con questa norma, la gestione dei 500 milioni passerebbe dallo Stato alla Curia e, in questo modo, le diocesi potrebbero scegliere direttamente a chi affidare i lavori.
Il documento è però rimasto una bozza. La norma s’è incagliata nell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi che, nonostante la benedizione del presidente Enrico Letta, non ha ancora espresso un parere positivo.
Sarà  un caso ma, proprio mentre la norma veniva valutata dall’ufficio legislativo, L’Aquila è stata travolta dagli scandali sulla ricostruzione: la procura aquilana, a fine dicembre, ha disposto delle perquisizioni in un’indagine sulla ristrutturazione di alcuni beni ecclesiastici.
Da fonti politiche, al Fatto Quotidiano risulta che l’emendamento al decreto è di fatto stato “stoppato” e – nonostante le insistenze della Curia — l’operazione sembra tramontata.
I documenti in possesso de Il Fatto Quotidiano consentono di ricostruire la vicenda che ha scatenato poi l’ira dell’ex sindaco Massimo Cialente.
A dicembre, il primo cittadino aquilano, scrive direttamente al presidente Giorgio Napolitano: “Si è tentato e si sta tentando”, scrive Cialente, “d’inserire una norma di legge che vedrebbe la Curia, la più grande immobiliarista della città , diventare soggetto attuatore per la ricostruzione di tutti i suoi edifici, compresi i luoghi di culto. Abbiamo il sospetto che il disegno, non considerato pienamente nelle conseguenze, potrebbe comportare addirittura che i fondi per la ricostruzione privata delle case andranno a ricostruire le chiese”.
La curia risponde per voce di monsignor Tommaso Valentini, presidente della Conferenza episcopale abruzzese e molisana, che spiega: “In situazioni analoghe, ovvero nella ricostruzione di Umbria, Marche ed Emilia Romagna, le diocesi sono state già  riconosciute come enti attuatori”.
Niente di strano, ribadisce quindi Va-lentini, ma resta un fatto: la norma è rimasta lettera morta. Eppure la trattativa è iniziata ben quattro mesi fa.
È il 3 settembre 2013 quando, nella residenza arcivescovile de L’Aquila, prende la parola l’Arcivescovo Giuseppe Petrocchi: l’obiettivo della riunione — spiega — è risolvere il problema che riguarda la ricostruzione degli edifici di culto e delle strutture ecclesiali.
“Bisogna arrivare a una strategia condivisa — dice Petrocchi — che coinvolga tutte le competenze qui presenti”.
Sono presenti sette funzionari di Stato impegnati nella ricostruzione.
È monsignor Giovanni d’Ercole, vicario dell’Arcivescovo, che mette sul tavolo le domande principali: “Come si procederà  per la ricostruzione? Con quali fondi? Con quali tempi? ”.
In realtà , la legge è chiara. L’ex ministro Fabrizio Barca ha disposto che, nell’arco di 9 anni, siano stanziati circa 500 milioni.
Se non bastasse – mentre funzionari e prelati discutono – sono già  stati stanziati 70,5 milioni per ben 27 chiese.
E quindi: qual è il problema? Il Duomo, per esempio. Accanto alla chiesa vi sono le canoniche, le pertinenze, le abitazioni civili: tutto nello stesso aggregato. Insomma: c’è una parte pubblica e una privata.
La Chiesa è “pubblica”: gli appalti sono gestiti e controllati dallo Stato. Il resto è privato: può essere ricostruito con affidamenti diretti. E per l’aggregato del Duomo, dove la Curia, ha già  affidato la questione al “Consorzio sant’Emidio”, che si fa?
Si usano i soldi stanziati dal ministro Barca? O quelli destinati alla ricostruzione delle abitazioni? E i progettisti del Consorzio – che hanno già  lavorato – chi li paga?
Libertà  di scelta, cambio di strategia
Il punto è che l’affidamento diretto consente di scegliere direttamente i committenti.
E la “trattativa” inizia male. L’assessore aquilano alla Ricostruzione, Pietro Di Stefano, è netto: per le chiese esistono i 500 milioni stanziati da Barca punto e basta. E la Curia cambia strategia.
Il 30 settembre scrive una nota al Governo. Il 4 novembre, a Palazzo Chigi, vengono convocati gli esponenti della Curia, del Comune de L’Aquila, della Direzione regionale per i beni culturali e l’Ufficio speciale per la ricostruzione.
Il testo della convocazione è chiaro: la Curia — si legge – ha proposto di inserire una norma per nominare le Diocesi come “soggetti attuatori” del recupero dei beni ecclesiastici. Il governo vuole discuterne con Comuni e funzionari.
Nel frattempo l’esecutivo scrive la bozza della norma che finisce all’ufficio legislativo di Palazzo Chigi.
V’è scritto: “Il soggetto attuatore degli interventi e il beneficiario del contributo è individuato nella diocesi competente”.
E ancora: “La conferenza episcopale d’Abruzzo predispone ogni anno, in collaborazione con gli enti locali e gli uffici per la ricostruzione, il suo piano d’intervento per la ricostruzione degli edifici, di proprietà  della Chiesa, distrutti o danneggiati dal sisma del 2009”.
La Diocesi può “delegare” la realizzazione degli interventi alla Direzione regionale per i beni culturali dell’Abruzzo che, nel caso, otterrebbe “il trasferimento del contributo”.
Ma la norma resta nel cassetto.

Antonio Massari
(da “il Fatto Quotidiano“)

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EATALY, L’AMICO DI RENZI E LE ETICHETTE “INGANNEVOLI”

Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile

DOSSIER DEL CODACONS SUI PRODOTTI DELLO STORE DI OSCAR FARINETTI ALL’OSTIENSE…SOTTO ACCUSA TRENTA CAMPIONI

Il diavolo si nasconde nei dettagli. In questo caso, nelle indicazioni scritte sulle etichette di alcuni prodotti.
Alimenti segnalati come «made in Italy» che dovrebbero garantire un’eccellenza internazionale rispetto ad altri, oppure cibi biologici, per i quali è necessario specificare luogo di provenienza e di produzione e relativa autorizzazione.
Spesso, invece, le indicazioni sono fallaci, imprecise, vaghe o, addirittura, false.
E così violano la legge. Accadrebbe anche in esercizi commerciali che si basano proprio sul binomio «fatto in Italia-uguale-di qualità », come la «Coop» e «Eataly».
Almeno, è quello che denuncia il Codacons, che ha depositato una querela con istanza di sequestro ai carabinieri del Nas, al ministro della Salute e alle procure di Roma, Asti, Bologna e Milano.
Nel documento si punta l’indice contro Eataly di piazzale XII Ottobre, aperta nel 2012 dall’imprenditore «renziano» Oscar Farinetti, la Coop di via Cornelia e Carrefour di piazzale degli Eroi, tutte nella Capitale.
Gli «inviati» dell’associazione per la difesa dei consumatori, effettuati i debiti controlli, avrebbero accertato che nei tre «negozi» vengono «venduti prodotti alimentari la cui etichettatura e presentazione grafica è fortemente incentrata sulla garanzia di elevata qualità , connessa alla pretesa origine tutta genuinamente italiana e locale».
Ma, in alcuni casi, manca il «riferimento esplicito circa la quantità  e le percentuali contenute nel prodotto».
Ciò «costituisce una pratica scorretta», che «ghermisce la buona fede del consumatore».
Facciamo qualche esempio, e partiamo dalla struttura aperta nel 2012 all’Ostiense.
Gli «ispettori» del Codacons sono andati a fare le pulci a yougurt e latticini del bancone frigo di Eataly.
Sui cartelloni si legge: «A km zero». Il che implicherebbe che provengono da aziende vicine a Roma o, tuttalpiù, all’interno della regione.
Invece, segnala il rapporto-denuncia, il frigo contiene anche alimenti come il pesto e «la maggior parte degli yogurt sono prodotti e confezionati nel Trentino o in altri luoghi distanti dal Lazio».
Altro esempio: il latte «Marini» e il pane biologico.
Il Codacons segnala le «irregolarità » all’azienda e, per conoscenza, ai servizi veterinari della Asl di Viterbo. La prima non risponde. La seconda, il 28 maggio 2013, comunica che «a seguito di dovuti controlli era stata disposta la sospensione della produzione, della registrazione regionale e la distruzione di alcune partite» del suddetto latte. Il 30 maggio, inoltre, i Nas fanno sapere di aver «sottoposto a sequestro cautelare i prodotti lattiero-caseari venduti e pubblicizzati dall’azienda».
A questo punto, il 10 giungo e il primo luglio, il Codacons scrive di nuovo a Eataly, «chiedendo di sospendere la distribuzione» del latte.
E ancora: il 23 luglio l’associazione contesta 30 prodotti presi a campione sugli scaffali dello «store» dell’Ostiense e l’azienda promette di «modificare le etichette palesemente ingannevoli, compresa quella del latte Marini». Non solo.
Il 13 settembre sotto i riflettori del Codacons finiscono altri 40 prodotti presi a campione, in cui si rilevano «gravissimi profili di ingannevolezza e frode della etichettatura». L’associazione si rivolge anche all’Autorità  garante della concorrenza e del mercato e a quella per le Garanzie nelle comunicazioni, chiedendo controlli e la sospensione temporanea della vendita.
Non migliore la situazione alla Coop di via Cornelia 154.
Qui, secondo il Codacons, sulle etichette del 60% di 50 articoli presi a campione sugli scaffali venduti come di «elevata quantità » non vengono «indicati tra gli ingredienti caratterizzanti riferimenti espliciti circa la quantità  e le percentuali contenute», e le indicazioni non «sono nè chiare, nè intellegibili da parte del consumatore medio».
Anche in questo caso, sollecito del Codacons e ammissione di irregolarità  dell’azienda. Al Carrefour del Trionfale, infine, viene contestata l’etichettatura di circa 30 prodotti «per presunti profili di ingannevolezza e frode».
L’associazione, quindi, ha chiede alle autorità  di effettuare ispezioni sull’intera filiera di produzione, vendita e somministrazione degli alimenti e di verificare eventuali sofisticazioni e frodi alimentari, sanzionando le imprese che hanno «violato i principi di concorrenza e tutela del mercato».
«Anche se la normativa è ormai molto precisa – spiega l’avvocato Giuseppe Ursini, firmatario della denuncia – spesso le etichette “made in Italy” non riportano la zona di provenienza, oppure sulla pasta di semola non c’è scritto se è di grano duro o altro, per non parlare dei prodotti bio o di quelli a km zero. Ora saranno i carabinieri e l’antitrust a decidere che provvedimenti adottare».

Maurizio Gallo
(da “il Tempo”)

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LA SVOLTA DI SALVINI E IL NUOVO KU KLUX KLAN

Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile

I NUOVI AMICI DEL CARROCCIO IN EUROPA

Dalla corsa alle auto blu al pedinamento del ministro «orango» (copyright Calderoli). Dai vecchi fucili spuntati di Bossi – agitati per mungere poltrone e privilegi statali – al nuovo asse con gli ultranazionalisti europei che marciano in camicia bruna e vomitano odio contro immigrati, islamici, «invasori»: i diversamente etnici.
Quelli da ricacciare nelle «riserve indiane» o da «impallinare » mentre attraversano il Mediterraneo sui barconi.
Quelli come Kyenge: e i leghisti 3.0 gliel’avevano giurata dall’inizio. In mezzo, la battaglia un po’ pretestuosa contro l’euro e l’Europa «nemica dei popoli».
Che cosa si nasconde dietro la svolta “oltranzista” impressa alla Lega dal neosegretario Salvini?
Qual è la nuova faccia del movimento che, in crisi di voti e di identità , torna a gridare, a insultare e a minacciare («chi ci tocca inizi ad avere paura», segretario federale dixit) e salda il Sole delle Alpi coi simboli delle formazioni più xenofobe in circolazione in Europa?
Il Partito nazionale slovacco, i Democratici svedesi, i bulgari di Ataka e i belgi fiamminghi del Vlamms Belang, l’Udc svizzero che vuole cacciare i lavoratori italiani e i liberal nazionalisti austriaci del Fpo, per finire o iniziare con il Front dei Le Pen, sodalizio confermato anche ieri.
Per capirlo si può partire da un convegno.
Un convegno saltato all’ultimo per «problemi tecnici», secondo la versione ufficiale. Venerdì 17 gennaio in un’aula dell’Universita Statale di Milano, Mario Borghezio, europarlamentare ex leghista, espulso obtorto collo dai vertici del partito (ma mai rinnegato) e confluito nel Gruppo misto, sedicente secessionista, avrebbe dovuto essere la guest star di un incontro dal titolo «Il Mondo verso un futuro multipolare».
Il seminario, temuto dalla Digos per le proteste dei collettivi studenteschi, era organizzato dal Gruppo Alpha, una formazione vicina a Lealtà  e Azione che a Milano vuole dire Hammerskin, la falange nata da una costola del Ku Klux Klan, presente in tutto il mondo e famosa per pestaggi contro immigrati e inni alla superiorità  della razza bianca.
Assieme al prodigo zio Borghezio – rientrato nella casa e entusiasta per il nuovo corso della Lega salviniana alleata con l’estrema destra europea – a Milano avrebbe dato il suo contributo anche un ospite russo: Andrew Kovalenko, assistente deputato di Yevgeny Fyodorov (scienziato politico) presso la Duma di Stato della Federazione Russa, e rappresentante del Movimento Eurasiatista Russo.
Chi sono gli amici postsovietici degli Hammerskin e di Borghezio?
Due parole: «Marcia Russa». Quattro novembre 2013, 30mila persone, 100 città  coinvolte. Sono i numeri della più importante manifestazione dei movimenti di estrema destra nello Stato governato da Putin.
La giornata dell’unità  nazionale celebra l’espulsione degli invasori stranieri da Mosca nell’autunno del 1612.
Passo indietro: congresso della Lega al Lingotto di Torino, quello che acclama Salvini segretario.
Assieme al gotha leghista ci sono i nuovi «amici» del Carroccio. Ospiti internazionali. Rappresentanti di partiti xenofobi, anti europeisti e a forte trazione nazionalista. I russi, certo. «Noi e i leghisti abbiamo importanti valori in comune» chiosa il parlamentare Viktor Zubarev di Russia Unita, il partito di Putin.
Erano giorni in cui la crociata contro il ministro Kyenge sembrava essersi un po’ attenuata. Solo una falsa tregua.
Mentre le menti della propaganda leghista pensavano alle prossime iniziative contro il ministro, «che deve tornare in mezzo agli africani», gli ambasciatori di Salvini rinforzavano i rapporti coi nuovi compagni di viaggio oltre i confini padani.
I liberal nazionalisti austriaci del Fpo fino alla scissione del 23 aprile 2005 erano guidati da Jorg Haider.
La figura di spicco oggi è Heinz Christian Strache, ex odontotecnico.
I punti fermi degli austriaci? Lotta contro turchi e africani, omosessuali, badanti straniere, islamici, stato sociale solo per gli autoctoni.
Al grido di «Vienna non deve diventare Istanbul», alimentano l’incubo dell’islamizzazione.
Tutta roba già  vista tra Lombardia Piemonte e Veneto.
Gli stessi programmi dei Democratici svedesi, 5,7% alle ultime elezioni e una lotta aperta contro gli stranieri, che in Svezia hanno una percentuale record (14%).
O del Partito nazionale slovacco che – ricordano Saverio Ferrari e Gennaro Gatto, Osservatorio democratico sulle nuove destre – per combattere i Rom li ha sbattuti sui cartelloni seminudi al grido di «non diamo da mangiare a chi non vuole lavorare».
Qualche anno fa l’Fpo austriaco, neo alleato della Lega, ha organizzato a Vienna una conferenza tra i partiti di destra europei che si è conclusa con la «Dichiarazione di Vienna”.
Si chiedeva l’abbandono della politica dell’immigrazione in Ue e tante altre cose che la Lega in questi anni ha propinato al suo elettorato.
Hanno firmato la dichiarazione, tra gli altri, il Front national di Le Pen, Alessandra Mussolini per Azione Sociale, Alternativa Espanola, Grande Roumanie, Ataka, il Vlamms Belang belga. La Lega non ha partecipato – altri tempi – ma ha aderito all’iniziativa.
Poi l’euromatrimonio si è compiuto.

Paolo Berizzi

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IDENTITA’ PADANA A CACCIA DI ORANGO

Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile

DAI PANINI RUBACCHIATI IN CONTO SPESE AL TRADIMENTO DEL PROPRIO ELETTORATO: PER FINIRE IN MUTANDE (VERDI)

Invece di andare a nascondersi per la vergogna rosicchiando i panini al salame padano che si sono rubacchiati in conto spese, i leghisti del dopo Trota hanno deciso di ammazzare il tempo molestando la ministra Cècile Kyenge.
La quale, a differenza del loro stato maggiore, appartiene alla vasta tribù degli umani evoluti, parla un paio di lingue, si è laureata in una università  italiana, veste con eleganza, ha un sorriso gentile, è orgogliosa delle sue radici.
Tutte cose che i capi leghisti, quando si riuniscono a cerchio in via Bellerio per annusare le antiche canottiere che il loro Bossi Umberto, elettrotecnico, si faceva comprare con i soldi del Movimento, non riescono proprio a digerire.
“È una negra”. Anzi: “È un orango”, ci hanno fatto sapere i più avvenenti tra loro: Borghezio e Calderoli.
Illusi che il circo di questi incredibili vent’anni non sia ancora finito.
E perciò convinti di poter riacquistare con questi pochi spiccioli gutturali quella “identità  padana” con cui hanno coronato ogni loro fallimento politico.
Prima declinandola in una cosmogonia di draghi, druidi, sacri fiumi e sacra rivolta fiscale.
Per poi svenderla in cambio di un paio di miserabili mutande verdi.

Pino Corrias

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DE GIROLAMO: IL VERTICE IN MASSERIA PER DECIDERE LE NOMINE CON I FEDELISSIMI

Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile

LE SCELTE SULLE ASL NELL’ESTATE DEL 2012

Per decidere i nomi dei nuovi dirigenti della Asl di Benevento Nunzia De Girolamo convocò i suoi «fedelissimi» in una masseria.
E durante il pranzo fornì allo staff   le indicazioni su nomine e spostamenti da effettuare.
La registrazione di quell’incontro è agli atti dell’inchiesta sulla gestione della sanità . Consegnata il 19 settembre scorso ai magistrati da Felice Pisapia l’allora direttore amministrativo che, evidentemente timoroso di essere incluso tra gli «epurati», decise di incidere su un nastro tutte le conversazioni. E di consumare la sua vendetta dopo essere stato indagato per truffa e malversazione.
ERA L’ESTATE 2012
L’allora deputata Pdl, ora ministro delle Politiche agricole, mostrava grande disinvoltura nel governare la Asl e modi sbrigativi nell’assegnare incarichi e appalti, pur non avendo alcun incarico ufficiale.
Sempre supportata da quel «direttorio» composto dal direttore generale Michele Rossi, dal direttore sanitario Gelsomino Ventucci e dai suoi stretti collaboratori che ancora adesso sono nel suo gabinetto al dicastero, il vicecapo Giacomo Papa e il responsabile del portale web Luigi Barone.
I pubblici ministeri hanno affidato a due consulenti la sbobinatura dei nastri per accertarne l’autenticità  e avere una prima valutazione sul contenuto.
Nella relazione finale, datata 26 novembre 2013, i periti rispondono alla sollecitazione degli inquirenti ed evidenziano «tutti i passaggi nei quali si ravvisa il compimento di atti contrari alla legge».
La vera svolta l’ha poi impressa il giudice che, nell’ordinanza emessa il 23 dicembre scorso per disporre l’obbligo di dimora per Pisapia, ha indicato ai pubblici ministeri la strada da seguire con indagini mirate non solo sull’assegnazione di posti e commesse, ma anche sulla dislocazione degli uffici e sui rapporti con le strutture convenzionate decise «in funzione di interessi privati e ricerca del consenso elettorale». Considerazioni sufficienti a ipotizzare imminenti iscrizioni nel registro degli indagati anche se le scelte della politica, con il dibattito parlamentare e la difesa della De Girolamo fissati per domani alla Camera, sembrano aver rallentato i tempi dell’inchiesta, quantomeno nell’emissione di nuovi provvedimenti.
DIRIGENTI SGRADITI
Le deleghe affidate dai pubblici ministeri agli investigatori della Guardia di Finanza hanno comunque già  individuato filoni precisi da approfondire.
E uno dei principali riguarda proprio le indicazioni fornite in quella masseria, visto che si trattava di sostituire senza alcun motivo reale, dirigenti evidentemente sgraditi. Un’ingerenza nella vita pubblica della quale il ministro e i componenti del «direttorio» potrebbero essere presto chiamati a rendere spiegazioni. Non solo.
Uno dei «passaggi» evidenziati dai periti riguarda «l’ubicazione degli uffici Asl» dei quali si parlò, in una riunione convocata a casa De Girolamo il 30 luglio 2012. L’allora deputata riferisce di aver parlato con il sindaco di Airola – «quello è un “intrallazzino”» – e poi dà  conto della trattativa in corso per spostare due uffici. Ma soprattutto mostra come sia davvero lei a decidere tutto.
E infatti ai dirigenti sanitari ordina: «Che vuole fare? Un paio di cose che stanno a Montesarchio che voi dovreste trasferirgli a Sant’Agata e lui dava la disponibilità  dei locali alla Asl ad Airola per mettere queste due strutture.
Ovviamente gli ho detto “non si tocca quello di Mimmo Matera” (il sindaco di Bucciano, ndr ) perchè per carità , dopo mi devo solo uccidere con quello.
E lui dice: “No, io non voglio dare fastidio a nessuno, non voglio togliere niente a nessuno, ciò che c’è di superfluo, ci terrei poi a far sapere alla cittadinanza di inaugurare ciò che voi mi destinate con te e Michele Rossi”.
E io gli ho detto: “Guarda questo mi fa piacere se decidiamo di darti una mano in questo senso, ne parlerò con la struttura, con Michele, con tutti.
«A ME INTERESSA IL TERRITORIO»
Ovviamente sai quando verrò a disturbarti…”, “Assolutamente, assolutamente! A me non interessa, io guardo al territorio”».
Il direttore Rossi mostra la massima disponibilità : «Quella è una cosa che possiamo dare tranquillamente, lo richiamo…».
Ma a questo punto è proprio De Girolamo a frenare: «Sai cos’è? Che vuole un compenso… Dove dovremmo metterlo? A Sant’Agata che Valentino è uno str… Cioè, nemmeno è venuto da me!».
E poi ci sono le delibere per l’apertura e la chiusura delle strutture sanitarie, le nomine dei primari, le convenzioni.
Su tutto De Girolamo veniva informata in tempo reale e chiamata a prendere decisioni in una gestione privatistica dalle modalità  che il giudice ritiene «a dir poco deprimenti e indecorose».

(da “il Corriere della Sera“)

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TRUFFA TERREMOTO ABRUZZO: UNA SCUOLA RICOSTRUITA SENZA META’ DELLE FONDAMENTA

Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile

FATTURE GONFIATE E LAVORI INUTILI: A PROCESSO POLITICI E FUNZIONARI

C’è una scuola ricostruita con i fondi del terremoto in Abruzzo che non ha le fondamenta sicure e che è costata cinque volte tanto il prezzo reale: 248 mila euro di false fatturazioni a fronte di una spesa effettiva di appena 49 mila euro.
E nonostante questo sperpero, i lavori di “messa in sicurezza” dell’istituto per geometri De Nino-Morandi, a Sulmona, sono tutti da rifare.
Incompleti e pericolosi: così li hanno giudicati gli inquirenti.
Nelle fondazioni mancano infatti 32 micropali (sugli 80 previsti dal capitolato d’appalto) necessari per la tenuta strutturale della scuola.
C’è anche questo nell’ultimo capitolo della mala-ricostruzione a L’Aquila e dintorni.
Stavolta ditte e pubblici funzionari compiacenti hanno sciupato oltre quattro milioni di euro con la scusa dell’adeguamento sismico delle scuole: questo almeno è ciò che sostiene il pool di magistrati (Stefano Gallo, Roberta D’Avolio e David Mancini) della procura dell’Aquila che, per l’affaire degli istituti scolastici da mettere in sicurezza, ha chiesto il rinvio a giudizio per il presidente della Provincia Antonio Del Corvo (Pdl), l’ex direttore generale dell’ente Valter Specchio e una serie di funzionari e imprenditori. L’accusa per tutti è concorso in truffa aggravata ai danni dello Stato.
La truffa riguarda nove scuole: sei di Avezzano (il liceo scientifico Pollione, l’istituto statale d’arte Bellisario, l’istituto statale per l’agricoltura e l’ambiente Serpieri, l’istituto tecnico per geometri Alberti, l’istituto tecnico commerciale Galileo e il liceo classico Torlonia) e tre nella città  di Sulmona (il liceo scientifico Fermi, l’istituto statale d’arte Mazzara e l’istituto statale per geometri De Nino-Morandi).
Un caso eclatante è quello riguardante il liceo scientifico Pollione di Avezzano.
Una scuola che l’ente Provincia ha deciso in parte di abbattere e ricostruire (i lavori sono da poco terminati) e che secondo la Guardia di finanza dell’Aquila che insieme alla polizia e ai carabinieri del Ros ha portato avanti le indagini – non doveva essere demolita.
Dalle indagini è emerso che sarebbe bastato un intervento sul tetto con una spesa di alcune decine di migliaia euro, invece che ricorrere a una ricostruzione ex novo che peserà  sulle casse pubbliche per due milioni di euro.
Il terzo filone di indagine sulle scuole riguarda l’ospitalità  a peso d’oro: ovvero gli affitti pagati, sempre dalla Provincia, a strutture private per consentire il trasferimento delle scuole durante i lavori di messa in sicurezza.
Trasferimenti che le indagini hanno dimostrato essere stati pagati “inutilmente” in quanto i dirigenti scolastici avevano trovato soluzioni a costo zero che sono state scartate e “non prese in considerazione” dall’ente pubblico, che invece ha preferito pagare.
Racconta Angelo Bernardini, dirigente scolastico del liceo Pollione di Avezzano: “Ricordo che in merito alla sistemazione degli studenti durante la messa in sicurezza proposi alla Provincia di far eseguire i lavori differendoli per corpo di fabbrica, in maniera da poter continuare a ospitare tutti gli alunni. In alternativa avevo trovato anche una struttura che ci avrebbe ospitato gratis. Ma si preferì spendere soldi”.
Intanto, è arrivato sul tavolo della Corte dei Conti una segnalazione per danno erariale che riguarda le macerie. Sotto accusa l’allora vice-commissario per i beni culturali, Luciano Marchetti che avrebbe consentito a ditte private di smaltire le macerie del terremoto di importanti chiese e monumenti – tra cui il Duomo de L’Aquila – invece di avvalersi gratuitamente dei vigili del fuoco e dell’esercito.
Ricorrendo illegittimamente all’utilizzo di diverse ditte private, per i carabinieri del Noe si è consumato un danno erariale pari a circa 70 mila euro.
Un episodio che ha fatto accendere un faro alla procura de L’Aquila sul sistema dello smaltimento e sullo sperpero delle risorse pubbliche con una indagine che è ancora in corso.

Giuseppe Caporale
(da “La Repubblica“)

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REGIONE SICILIA: RIMBORSATI GIOIELLI, AUTO E PURE DIABOLIK

Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile

FARAONE INDAGATO, CROCETTA ATTACCA

L’onorevole Livio Marrocco, ex presidente del gruppo Futuro e Libertà , è di certo quello che ha avuto più fantasia: si è fatto rimborsare dal Parlamento siciliano 179,40 euro per una bellissima collezione di fumetti Diabolik.
E poi, anche le spese per la revisione della sua moto, per la lavanderia, per alcuni bei vassoi di pasta fresca.
Si è fatto rimborsare pure profumi, occhiali e un Ipad.
Evidentemente, i più cari, perchè ha presentato una nota spese di 13.975,08 euro. Pure i centesimi. Ma lui allarga le braccia: «Quel fumetto era allegato a un quotidiano, ho la coscienza a posto, spiegherò tutto ai magistrati »
Dalla settimana prossima, i 13 capigruppo della precedente legislatura siciliana saranno chiamati a giustificare le proprie spese pazze davanti al procuratore aggiunto Leonardo Agueci e ai sostituti Sergio Demontis, Maurizio Agnello e Luca Battinieri. Fra i 97 indagati sono finiti anche alcuni deputati che hanno utilizzato soldi pubblici per la propria attività  politica: nella lista c’è il renziano Davide Faraone, oggi deputato nazionale. I pm gli contestano una spesa non rendicontata di 3.380,60 euro.
Ieri, Matteo Renzi lo avrebbe invitato a un gesto chiaro: «Serve massima trasparenza, metti tutti i giustificativi delle tue spese on line. Se fai così nessuno può rimproverarti». Ma il caso è ormai aperto.
Il governatore della Sicilia Rosario Crocetta bacchetta il Pd: «Chi è indagato non può entrare in giunta».
E prova ad alzare i toni della polemica: «Il ministro Cancellieri non aveva commesso alcun reato, ma per il Pd doveva essere sbattuta fuori per un profilo etico, ergo Faraone…».
Il delfino di Renzi in Sicilia non ha però alcuna intenzione di farsi da parte e replica: «Dimostrerò la mia trasparenza».
Nei prossimi giorni, i pubblici ministeri di Palermo chiederanno di Faraone al capogruppo del Pd, Antonello Cacolici, uno dei destinatari dell’avviso di garanzia per peculato. Al Partito Democratico vengono contestati anche 13.675 euro per necrologi e 28 mila euro per fantomatici sondaggi.
«Sono spese istituzionali », ribatte Cracolici. «C’è in corso un killeraggio inaudito nei confronti di Faraone»
Intanto, però, la lista delle spese più o meno pazze sta scuotendo il Parlamento siciliano.
Con i soldi dei gruppi è stato acquistato davvero di tutto.
L’ex capogruppo dell’Udc, Rudy Maira, si è fatto finanziare il leasing per una fiammante Audi A6: costo, 58 mila euro. L’ex deputato
Franco Mineo, di Grande Sud, si è fatto rimborsare anche la benzina per la sua auto e per quella della moglie. Importo, 3.425 euro.
Il capogruppo del Pdl Innocenzo Leontini ha messo a note spese anche una multa da 51 euro, una cartella esattoriale da 67,75 euro e il lavaggio della propria auto (lavaggio di lusso, da 360 euro).
Al gruppo Pdl rimborsavano pure due gelati. Importo 8,80 euro.
Però, in fondo, i big spender del Parlamento siciliano non sono poi così egoisti.
Fra i 30.700,88 euro spesi da Cataldo Fiorenza, capo del gruppo Misto, non figurano soltanto acquisti al supermercato, in gioielleria, o in centri estetici, ma anche in un negozio di giocattoli. Fiorenza ha fatto pure un generoso regalo d’eccezione, a una dipendente del gruppo: un bel cenone di Capodanno in un’esclusiva villa di Catania. Ai contribuenti è costato 637 euro.

Salvo Palazzolo
(da “La Repubblica”)

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RIMBORSOPOLI: PER COTA CHIESTO IL RINVIO A GIUDIZIO

Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile

SONO 40 I CONSIGLIERI REGIONALI SOTTO ACCUSA, SOLO PER 18 SI VA VERSO L’ ARCHIVIAZIONE

Richiesta di rinvio a giudizio per Roberto Cota, presidente della Regione, nell’inchiesta su Rimborsopoli.
Insieme alla sua sono state depositate questa mattina quelle di altri 39 consiglieri sotto accusa.
Le richieste di archiviazione sono invece 18: Fabrizio Comba, Giampiero Leo, Gianluca Vignale, Luca Pedrale, Fabrizio Biolè, Davide Bono, Eleonora Artesio, Antonino Boeti, Davide Gariglio, Stefano Lepri, Giuliana Manica, Angela Motta, Rocco Muliere, Aldo Reschigna, Gianni Ronzani, Gianna Pentenero, Mercedes Bresso, Monica Cerutti.
L’inchiesta è quella per le spese sostenute con i fondi dei gruppi consiliari regionali. Iniziata nel 2012, l’inchiesta ha coinvolto 56 consiglieri per le ipotesi di peculato, truffa e finanziamento illecito ai partiti.
Le indagini della Guardia di Finanza su scontrini e tabulati telefonici hanno permesso ai pm di circoscrive le contestazioni più gravi a 43 consiglieri, raggiunti nei mesi scorsi dagli avvisi di chiusura indagini, passo che precede la richiesta di rinvio a giudizio.
Con la trasmissione al tribunale degli atti d’indagine, la procura ufficializzerà  anche le richieste di archiviazione.
Altri consiglieri, oltre a quelli non raggiunti dall’avviso di conclusione indagini, potrebbero evitare di finire alla sbarra.

Massimiliano Peggio
(da “La Stampa”)

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LA LEGA OCCUPA PER FINTA L’UFFICIO DI GRASSO: ORA CHI PAGHERA’ LA DISINFESTAZIONE?

Gennaio 16th, 2014 Riccardo Fucile

CINQUESTELLE: “LA LEGA CERCA LA RISSA”… VERGOGNOSA SCENEGGIATA USO TELECAMERE DEI LEGHISTI NEL CORSO DELLA   DISCUSSIONE SUL REATO DI CLANDESTINITA’

L’Aula del Senato riprende l’esame del decreto svuotacarceri, che prevede anche la cancellazione del reato di immigrazione clandestina e i senatori della Lega Nord, mentre non si placano gli attacchi contro il ministro dell’Integrazione, Cecile Kyenge, occupano per finta e per protesta gli uffici del presidente Grasso a Palazzo a Madama.
A fine mattinata, dopo che i senatori del Carroccio hanno fatto ostruzionismo in Aula, la discussione è stata rinviata a martedì.
Il capogruppo del Carroccio Massimo Bitonci, i suoi due vicepresidenti Sergio Divina e Raffaele Volpi e il senatore Jonny Crosio si sono affacciati alla finestra (senza però buttarsi di sotto, come da molti auspicato) per segnalare la loro presenza negli uffici di Grasso.
I quattro leghisti hanno definito la loro protesta come un “flash mob” e hanno sventolato bandiere e cartelli.
”L’Assemblea del Senato – spiega in una nota la vice presidente vicaria di Palazzo Madama, Valeria Fedeli nella quale smentisce la protesta del Carroccio – questa mattina ha ripreso l’esame del disegno di legge sulle pene alternative al carcere, come previsto dal calendario approvato mercoledì scorso anche dal gruppo della Lega. Nel pomeriggio di ieri, a causa di una temporanea indisposizione del relatore Casson, era stata unanimemente concordata l’inversione dell’ordine del giorno limitatamente a quella seduta con l’intesa che questa mattina si sarebbe ripreso il provvedimento contestato dalla Lega. Inoltre – ha aggiunto – i senatori Questori, alla luce delle notizie delle agenzie di stampa, hanno verificato personalmente che non è in corso alcuna occupazione degli uffici del presidente Grasso da parte dei senatori della Lega i quali stanno intervenendo in Aula sul disegno di legge in discussione”.
Nel dubbio sarà  opportuno in ogni caso procedere alla disinfestazione dei locali.

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