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UE, PADOAN NON OTTIENE PIU’ FLESSIBILITA E RENZI PRENDE UNA FACCIATA

Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile

IL GOVERNO PORTA   A CASA SOLO UN DOCUMENTO CHE PARLA DI “ATTENZIONE ALLE RIFORME”: DEI DETTAGLI SE NE RIPARLA A SETTEMBRE… E L’EUROPA CONTINUA A CHIEDERCI SFORZI SUI CONTI

“Fare miglior uso della flessibilità  insita nelle esistenti regole del Patto”.
Nel giorno del suo esordio alla presidenza di turno del consiglio che riunisce i ministri dell’Economia e delle finanze dei 28 Paesi membri (Ecofin), Pier Carlo Padoan porta a casa da Bruxelles solo questo.
Quel tanto di elasticità  sui conti pubblici che non richiede alcuna modifica dei patti e che nessuno, da Angela Merkel al presidente uscente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso, si è mai sognato di mettere in dubbio.
Proprio perchè è ampiamente previsto e ammesso dal Patto di crescita e stabilità  e dal Fiscal compact.
Insomma, nessuna vittoria della “linea Renzi” e nulla di nuovo sotto il sole.
Le discussioni di merito, peraltro, sono rimandate all’incontro di settembre.
Quando i tempi per individuare criteri comuni con i quali misurare l’impatto delle riforme sulla crescita futura e individuare “margini” da utilizzare in sede di stesura della Legge di stabilità  saranno davvero risicati.
Il documento finale dell’Ecofin, è vero, concorda sul fatto che “bisogna dare particolare attenzione alle riforme strutturali che sostengono la crescita e migliorano la sostenibilità  dei bilanci, anche attraverso una valutazione appropriata di misure di bilancio e riforme”.
E esprime il sostegno del consiglio agli “obiettivi della presidenza italiana per rilanciare crescita e occupazione attraverso uno sforzo comune di riforma”, incentrato sul completamento del mercato unico, le riforme strutturali per aumentare il potenziale di crescita dell’economia e la promozione degli investimenti “duramente colpiti durante la crisi”.
Ma, per il resto, non fa che ribadire i soliti paletti.
Il tetto del 3% al rapporto deficit/pil va rispettato e il pareggio strutturale di bilancio resta imprescindibile.
Come dimostra molto chiaramente il severo contenuto delle raccomandazioni per l’Italia approvate dal Consiglio europeo del mese scorso e confermate dall’Ecofin: nel testo delle conclusioni si ribadisce che “sono necessari sforzi aggiuntivi, anche nel 2014, per rispettare le richieste del Patto di stabilità  e crescita”.
Tradotto: lo sforamento chiesto da Roma, che il pareggio strutturale di bilancio vorrebbe rinviarlo al 2016, viene bocciato.
Non basta: mentre il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, interpretava la sua solita parte da guardiano del rigore avvertendo che “le riforme strutturali non devono essere una scusa o un’alternativa per non fare il consolidamento fiscale”, a mettere in difficoltà  Padoan ci si è messo anche Matteo Renzi.
Che, parlando dal palco di Digital Venice, ha pensato di approfittare dell’evento dedicato alle politiche per il digitale per chiedere che gli investimenti in infrastrutture digitali siano esclusi dal calcolo del deficit.
L’uscita non è passata inosservata.
E Siim Kallas, commissario ad interim agli Affari economici da quando Olli Rehn è passato agli scranni dell’Europarlamento, ha replicato a strettissimo giro: “Nessuna spesa può essere esclusa dal calcolo del deficit”.
Perchè, se non fosse chiaro, “non può esserci una spesa buona e una cattiva”.
E comunque ”prima si devono fare le riforme”.
Poi, eventualmente, si discuterà  di cavilli e metodi di calcolo.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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INTERVISTA A NICOLA GRATTERI: “MA DOVE SONO GLI 800 UOMINI ANNUNCIATI DAL GOVERNO?”

Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile

IL PROCURATORE DI REGGIO CALABRIA: “LE ‘NDRINE SFIDANO IL PAPA: O SI MEDIA O SARA’ SCONTRO”

“La ‘ndrangheta ha sfidato ufficialmente il Papa. Adesso le strade sono due: si va allo scontro o si cerca la mediazione. Può succedere di tutto”.
Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, aveva già  lanciato l’allarme in un’intervista rilasciata qualche mese fa al Fatto: “La linea dura di Papa Francesco può metterlo in serio pericolo”.
Così, la decisione dei detenuti di non andare più a messa nel carcere di Larino, oltre alla processione religiosa che s’inchina davanti alla casa del boss, non si possono più leggere come isolati gesti di protesta.
“È la loro risposta alla scomunica del Papa. Ma non implica necessariamente l’inizio di una guerra. Chiesa e ‘ndrangheta si stanno annusando: il braccio di ferro deve ancora cominciare”
Gratteri, pensa che i mafiosi, messi alle strette, possano ricorrere alla violenza per risolvere questo conflitto?
Potrebbe succedere, sì. La situazione per adesso è molto fluida. Ci sono diversi fattori in gioco. Bisogna innanzitutto capire se preti e vescovi applicheranno davvero questi diktat con l’intransigenza richiesta da Francesco.
Si aspettava che Bergoglio scomunicasse i boss?
Diciamo che il discorso di Cassano Ionio lo aspettavamo in molti da un secolo e mezzo. Questa scomunica è storica, mette in discussione il silenzio-assenso e gli accordi più o meno taciti su cui si basano i rapporti di certe parti della Chiesa coi mafiosi. Quello di Francesco è un taglio netto: “Ora basta, scegliete”.
Ma i padrini lamentano l’esclusione
Eh già , formalmente fanno le vittime: “Siccome abbiamo sbagliato, ci cacciate”. Ma è una menzogna. Il Papa si riferisce solo ai criminali che non si pentono, che scelgono di continuare a essere mafiosi. E questo, alla ‘ndrangheta, non piace.
Perchè la criminalità  organizzata è così legata alla Chiesa?
Perchè i mafiosi si nutrono di consenso popolare, e la vicinanza con preti e vescovi implica maggior potere e, soprattutto, legittimazione. Brigantini, vescovo calabrese, è arrivato a dire che i detenuti sono persone serie, che riconosce una certa coerenza nel loro modus operandi e vivendi. Ma lo sa, il vescovo, che tra loro ci sono anche assassini che ammazzano i bambini o che stuprano le mogli degli altri detenuti? Ho difficoltà  a capire dove stia la serietà  di questa gente.
Un vescovo come Brigantini, nell’era di Papa Francesco, potrebbe avere dei problemi?
Non so come si comporterà  Bergoglio quando si accorgerà  di certi comportamenti, ma di sicuro il futuro di questa battaglia dipende anche da questo: quanto controllo ha il Papa su preti e vescovi? Non sappiamo ancora se lo seguiranno: anche perchè interrompere la connivenza, dopo secoli di ammiccamenti reciproci, non è semplice. E il coraggio non si vende alla Standa.
Cosa accadrebbe se Bergoglio riuscisse nell’impresa?
Una rivoluzione. A quel punto la reazione della mafia sarebbe imprevedibile. Potrebbero abbassare la testa e fermarsi, oppure andare allo scontro. La terza possibilità  è che tentino di recuperare il dialogo mediando con i preti compiacenti.
La trattativa Stato-Mafia però è stata estorta con le bombe.
Credo che all’inizio la ‘ndrangheta tenterà  la via più tradizionale, che è quella dei soldi. I mafiosi sono molto generosi coi prelati. E grandi donazioni comprano appoggi importanti tra chi amministra la Chiesa.
Il problema è che anche le mafie, storicamente, traggono consistenti vantaggi economici dal loro rapporto con il Vaticano.
Per questo lo strappo netto ancora non c’è stato. La decisione però va presa. La ‘ndrangheta sta aspettando: vuole vedere l’effetto che avrà  questa protesta. La verità  è che ancora non sappiamo, da tutte e due le parti, qual è la tenuta. Passerà  qualche mese e poi sarà  il silenzio o la resa dei conti.
Il ministro Alfano ha promesso che manderà  800 uomini in Calabria.
Li ha visti lei? Da quel che mi risulta non sono arrivati. Noi qui abbiamo bisogno di investigatori, di gente in grado di scrivere informative. Da dove li vuole prendere, questi uomini? Da Milano, da Napoli, da Palermo? Se il ministro pensa di mandare ragazzi freschi di scuola, ben vengano, ma non bastano certamente. La ‘ndrangheta la combattono l’intelligenza e soprattutto l’esperienza. Mi pare l’ennesima presa in giro ai calabresi.

Beatrice Borromeo
(da “il Fatto Quotidiano“)

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BONIFICHE MAI FATTE E MALATTIE IN AUMENTO: LE 57 TARANTO D’ITALIA

Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile

SEI MILIONI DI ITALIANI VIVONO ACCANTO A BOMBE ECOLOGICHE… STUDIO SENTIERI: + 90% DI TUMORI IN 10 ANNI

Ci siamo spesso occupati, e a ragione, della situazione di Taranto: inquinamento, morti, vite sequestrate dalle polveri, istituzioni prigioniere della propria inconsistenza, un rapporto perverso tra Stato e grandi aziende che sopravvive sull’equivoco della scelta obbligata tra vita e lavoro.
Eppure quel che abbiamo raccontato per Taranto può essere moltiplicato almeno per 57 (e questo senza tener conto dei siti militari).
Tecnicamente si chiamano SIN, siti di interesse nazionale: sono quel che resta di qualche decennio di industria chimica, di petrolio, di metallurgia, di una vecchia fiducia nel progresso buono di per sè.
Ora stanno lì, spesso abbandonati, e continuano in silenziosa osmosi a vendicarsi della terra che li ospita senza che nessuno – governo, regioni, privati – faccia niente.
Anzi no, per non generalizzare va detto che Mario Monti è riuscito a ridurli di ben 18 unità : non facendo le bonifiche, per carità , ma semplicemente affidando 18 bombe ecologiche alla cura delle regioni e togliendola a quella dello Stato .
Un pezzo di decrescita non proprio felice in quello che fu chiamato decreto Crescita. Fuori dalle magie burocratiche, però, fanno sempre 57 siti e – se si eccettua l’Acna di Cengio, in Liguria, e poco altro – non c’è uno di questi posti in cui si possa dire che siano iniziati davvero i lavori di messa in sicurezza del territorio
Non solo Taranto e Brindisi in Puglia, non solo Priolo e Gela in Sicilia, non solo Bagnoli o il martoriato litorale Domizio: ci sono Brescia, Mantova, Trieste, Trento, Massa Carrara, Milano e Sesto San Giovanni, Fidenza, Venezia, la laguna di Grado e decine di altri luoghi che l’immaginario collettivo non associa a disperazione e morte. La pianura padana e persino su fino alle Alpi sono punteggiate di Sin.
Circa sei milioni di italiani — facendo un conto a spanne — vivono in zone contaminate, in cui l’incidenza delle malattie è straordinariamente più rilevante che nel resto della penisola.
Un solo dato. L’ultimo aggiornamento dello studio Sentieri (acronimo che sta per Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) rivela che nei Sin i tumori sono aumentati fino al 90% in soli dieci anni (almeno a stare ai dati dei 18 siti in cui esiste il Registro dei tumori, che pure sarebbe obbligatorio per legge).
Anche i ricoveri in eccesso aumentano esponenzialmente: a Milazzo (+55% per gli uomini e +24% per le donne) e a Taranto (+45 e +32), ma pure nella ricca Brescia dell’area Caffaro (+79 e +71%) e ai Laghi di Mantova (+84 e + 91), a pochi chilometri dalle dolcezze metafisiche del Festivaletteratura.
Di fronte a questi dati, correre a bonificare sarebbe una priorità  morale, oltre che un obbligo di legge, eppure non c’è traccia di fretta nell’atteggiamento delle autorità .
I soldi pubblici sono pochi e spesso male usati (alla Procura di Palermo è aperta un’inchiesta sull’uso dei fondi europei per le bonifiche in Sicilia), i responsabili privati difficilmente pagano per i danni arrecati alla collettivita.
Forse il motivo risiede nel fatto che a scorrere l’elenco delle aziende coinvolte si trova un bel pezzo del capitalismo che opera in Italia: oltre all’Ilva, l’Eni (un po’ dovunque nella penisola), l’Enel, la Ies a Mantova, Thyssen Krup a Terni, Nuovo Pignone e Solvay in Toscana, Erg, Tamoil, Eternit, la Saras dei Moratti in Sardegna.
Di fronte a questa situazione “la reazione dei governi, invece di far rispettare la legge, è quella di cercare un’alleanza con la grande industria”, dice Angelo Bonelli, portavoce dei Verdi italiani: “In una serie di provvedimenti si è cercato, con la scusa delle semplificazioni, di ridurre la portata del principio ‘chi inquina paga’, caricando sulla collettività  spese che andrebbero sostenute da chi è responsabile del problema”. Enrico Letta tentò il colpo di mano diretto proprio sulle bonifiche dei Sin, ma pure il governo di Matteo Renzi non sembra essersi liberato dalla sindrome dell’appeasement con la grande industria: “Nell’ultimo decreto Ambiente firmato dall’attuale ministro Gian Luca Galletti — spiega Bonelli — si alzano i livelli tollerati di inquinamento per i siti militari col risultato che ora le bonifiche in molti posti si potrà  evitare di farle addirittura per legge. E pure sugli scarichi in mare si consente di elevare i limiti in rapporto alla produzione: quando in futuro andremo a chiedere agli inquinatori di bonificare le acque, ci diranno che hanno inquinato a norma di legge”.

Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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INTERVISTA AL DISSIDENTE PD CORSINI: “NON ACCETTIAMO IL MODELLO PUTIN-MEDVEDEV”

Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile

“NOI VOGLIAMO ABOLIRE L’IMMUNITA’, LORO ESTENDERLA AI SENATORI: I CONSERVATORI NON SIAMO NOI, SONO I RENZIANI”

«Non c’è nessuna cospirazione, è tutto alla luce del sole ma non arretriamo sul Senato elettivo. Queste riforme unite a una legge elettorale iper maggioritaria, si ispirano al modello Putin-Medvedev».
Paolo Corsini, senatore dem dissidente, ex sindaco di Brescia, storico, chiede più tempo per l’approdo in aula del Ddl Boschi e soprattutto cambiamenti radicali.
Corsini, vi mettete di traverso?
«Nessuna volontà  di filibustering o boicottaggio. Ma ci dev’essere il tempo di vedere il testo conclusivo che esce dalla commissione Affari costituzionali. E l’elezione diretta del Senato è ben vista dalla maggioranza degli italiani come mostrano i sondaggi. Non costerebbe nulla scegliere questa soluzione: quando si votano i consiglieri regionali i cittadini elencano chi vogliono designare come senatori».
Voi dissidenti del Pd non arretrate?
«Assolutamente no. Non sarà  sufficiente l’editto dell’Inquisitore Giorgio Tonini…».
Siete dei conservatori? È l’accusa che vi è stata mossa dal segretario-premier.
«Ma chi è davvero conservatore, chi vuole abolire l’immunità  come noi o chi invece la vuole estendere anche ai nuovi senatori? Camera delle autonomie significa che il Senato si occupa di garanzie, di diritti civili: questo noi chiediamo. E chi è più conservatore di chi vuole conservare la pletora dei 630 deputati?».
Davvero lei pensa possa esserci una maggioranza anti Renzi e per il Senato elettivo?
«Non lo so, ma rivendico il diritto di ciascuno di esprimere la propria posizione in presenza di una legge costituzionale».
Alla fine lei voterebbe contro la riforma del Senato?
«Vediamo l’esito del dibattito in aula. Non si è mai visto in un paese liberal democratico un governo entrare così pesantemente nel merito di una legge costituzionale».

(da “La Repubblica“)

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CAMERA, COSA FANNO I “DEPUTATI FIGURINE”?

Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile

PROMOSSI E BOCCIATI TRA GLI ONOREVOLI VIP: ERANO STATI INSERITI NELLE LISTE PERCHE’ NOTI AL GRANDE PUBBLICO…COSA STANNO COMBINANDO IN QUESTA LEGISLATURA?

Candidati eccellenti. O anche semplicemente famosi.
Famosi prima di diventare deputati, un po’ meno famosi una volta eletti. La pratica è antica, almeno quanto il mito della società  civile.
Alle ultime elezioni il campione fu Mario Monti, che condì le grigie liste di Scelta Civica con due innesti che, come previsto, conquistarono i titoli dei giornali e che, unite al barboncino adottato in diretta tv nello studio di Daria Bignardi, rappresentarono il tentativo di archiviare l’immagine dei professori col loden.
Ecco dunque sbarcare in parlamento Valentina Vezzali, campionessa di scherma, e Edoardo Nesi, scrittore, che però presto abbandona Monti per il gruppo misto e Matteo Renzi.
Nesi non è alla prima esperienza politica, avendo già  fatto, per qualche anno, l’assessore alla cultura a Prato.
Ma in Transatlantico non sembra così a suo agio. È assente una volta su tre. Non ha mai presentato un solo disegno di legge scritto di suo pugno, nè una risoluzione, neanche una mozione. Zero interrogazioni, zero interpellanze.
Due emendamenti, e due ordini del giorno, quelli sì, ma per questi, per ragioni d’aula, è arrivata la rinuncia alla votazione.
«Lasciamo perdere» dice poi off the record un volto noto di Scelta Civica, parlando di Valentina Vezzali. Nelle cronache politiche non compare mai, in effetti. E in parlamento si vede poco: neanche il 50 per cento di presenze.
Alle volte è assente e basta, altre Vezzali risulta in missione. In parte, come giusto, per la maternità  ad inizio mandato. Poi, però, tra i permessi accordati dalla Camera, c’è anche quello per partecipare ai mondiali di scherma. Arriva l’oro, sì, ma anche tante polemiche.
Posato il fioretto ha presentato tredici disegni di legge. Come spesso accade nessuno è arrivato a destinazione, ma tutti o quasi si occupano di sport. Si va dalla previdenza e dalla maternità  per gli atleti non professionisti, al diritto allo studio degli studenti che praticano attività  sportiva agonistica.
Lo sport paga sempre. E per meriti sportivi il Pd ha candidato ed eletto, e poi fatto anche ministro dello sport e delle pari opportunità , la canoista Josefa Idem, in realtà  già  testata come assessore allo sport del comune di Ravenna.
Tralasciamo l’infelice esperienza al ministero, più breve della vita del governo Letta, conclusa nello scandalo dell’Imu evasa dopo neanche due mesi di mandato.
Come deputata ha solo il 20 per cento di assenze, ma non brilla per atti presentati.
È relatrice di un solo disegno di legge, che giace in commissione, sul limite al rinnovo dei mandati degli organi del Coni e delle federazioni sportive nazionali.
Niente disegni di legge a sua firma, e una sola interrogazione da prima firmataria. Un’interrogazione diretta a Matteo Renzi, appena depositata, affinchè il premier, giudicato evidentemente troppo occupato sul resto, rifletta sull’opportunità  di nominare un «Ministra/o per le pari opportunità , o almeno di un Sottosegretario».
Come candidatura ad effetto il Pd, alle ultime politiche, pensò anche a Michela Marzano, professoressa di filosofia morale a Parigi.
La deputata non nasconde di sentirsi «un pesce fuor d’acqua», nel palazzo, e tornerebbe molto volentieri ai suoi studi di filosofia.
Nel mentre però fa il suo, o almeno va quasi sempre, con l’83 per cento di presenze, e ha presentato otto disegni di legge, occupandosi di procreazione assistita, fecondazione, pari opportunità  e del riconoscimento della lingua dei segni.
Ha anche proposto di istituire il reato di «istigazione all’anoressia». Nessuna interrogazione, invece, e una sola interpellanza.
Non siamo più ai tempi della «dittatura dei mezzibusto», ai tempi di Piero Marrazzo e Piero Badaloni presidenti della regione Lazio, o di Lilly Gruber, ma se in Europa è stato eletto per un secondo mandato David Sassoli che sfoggia ancora, in campagna elettorale, le foto al desk del Tg1, ritratto dalla cintola in su, vuol dire che la carta funziona sempre.
E a due candidature civiche, entrambe per il Senato, aveva pensato Pier Luigi Bersani, alle elezioni 2013.
Massimo Mucchetti, dalle colonne del Corriere della Sera, al blindatissimo posto da capolista in Lombardia.
Con il 21 per cento di assenze è un parlamentare impegnato, presidente della commissione industria.
Comunica molto attraverso un sito illustrato a fumetti e non vota quasi mai in dissenso dal governo.
È il primo firmatario di un disegno di legge, assegnato in commissione ma non ancora discusso, sul conflitto d’interessi, per «considerare incompatibili con il mandato parlamentare coloro che risultano avere il controllo o l’esercizio di un’influenza dominante su una società  di diritto privato» e che potrebbero esser tentati dall’«influenzare pro domo sua le decisioni del Parlamento e del Governo».
Non ha smesso di occuparsi di editoria e media, Mucchetti: rispetto al fondo per le aziende editoriali in crisi, una sua interrogazione chiedeva di «condizionare l’assegnazione dei contributi alla rinuncia a bonus, stock option e altre forma di aumento retributivo per i dirigenti».
Il suggerimento è stato accolto dal sottosegretario Luca Lotti, nell’ultimo decreto sull’editoria.
Oltre a Mucchetti il Pd nel 2013 candida anche Corradino Mineo, dalla direzione di Rainews24, finisce anche lui capolista, ma in Sicilia.
Rimosso dal partito dalla commissione affari costituzionali, Mineo, «dissidente», spina nel fianco di Matteo Renzi, è quasi sempre in aula con solo il 10 per cento di assenze, anche se si è occupato prevalentemente del lavoro di mediazione in commissione: «ora che non servo più lì, mi occuperò del lavoro d’aula» dice all’Espresso, non senza polemica.
Al momento però risulta primo firmatario di un solo disegno di legge, per l’istituzione della «giornata della legalità  e della memoria di tutte le vittime innocenti delle mafie», ed è relatore per un altro, presentato dal deputato Pd Walter Verini, ad un passo da diventare legge, sulle celebrazioni per il centenario della nascita dell’artista umbro Alberto Burri.
Due suoi emendamenti hanno però prodotto una definitiva modifica della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, contribuendo ad abbassare la soglia per le donazioni liberali, da duecentomila euro («mi sembrava pericoloso» dice) a centomila al massimo.
Destino simile, da dissidente, per l’altro direttore, con la passione però per Silvio Berlusconi. Augusto Minzolini è al suo primo mandato, e come Mineo sta giocando soprattutto la partita, tutta politica, delle riforme, sul senato elettivo.
E proprio sull’assetto di Camera e Senato, ha presentato il suo unico disegno di legge. Uno dei testi che si oppongono al disegno del governo e del ministro Maria Elena Boschi.
Dieci interrogazioni e tre interpellanze ha deposito Minzolini, autore anche di una quarantina di emendamenti, tutti sulla riforma del Senato. Tasso di presenza non altissimo, al pari di Nesi, poco sopra il 60 per cento.
Se il Pd ha candidato giornalisti e filosofi, Nichi Vendola ha puntato su un operaio, e ha portato in parlamento Giovanni Barozzino, simbolo della vertenza sullo stabilimento Fiat di Melfi.
Licenziato ingiustamente, ora Barozzino lavora alla Camera. E di lavoro si occupa, Barozzino, con 160 emendamenti, una decina di interrogazioni e 8 disegni di legge da primo firmatario, di cui uno solo però ha iniziato l’iter in commissione senza molte possibilità  di approvazione, riguardando il «ripristino delle disposizioni in materia di reintegrazione nel posto di lavoro», l’articolo 18.

Luca Sappino
(da “L’Espresso”)

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A “L’UNITA'” LE DISGRAZIE NON VENGONO MAI SOLE: PRIMA LA CRISI, POI L’INTERESSE ALL’ACQUISTO DA PARTE DELLA SANTANCHE’

Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile

DA ANTONIO GRAMSCI A RENZI, GRAZIE ALLA PITONESSA?…. UNA MOSSA PER RINSALDARE IL PATTO DEL NAZARENO E L’ACCORDO SULLA LEGGE TRUFFA

Le spire della Pitonessa provano ad avvolgere il quotidiano fondato da Antonio Gramsci.
Daniela Santanchè ha chiesto di andare a vedere i conti dell’Unità . Con l’idea di presentare un’offerta di acquisto.
Lo spiffero, comparso sul sito Dagospia, è confermato all’HuffPost da fonti interne al giornale. Il contatto, secondo l’HuffPost, sarebbe scattato stamattina, ma al momento i conti non le sono stati mostrati.
Mentre è stato chiesto all’editore Fago di allegare alla sua proposta, ritenuta insufficiente dal liquidatore, un progetto industriale completo.
Sia come sia, è bastato il contatto a far salire sulle barricate una redazione già  fiaccata da mesi di battaglie (senza stipendio).
Un membro del cdr ci va giù duro: “L’ipotesi di avere come editore la Santanchè è per noi un’ipotesi senza futuro”.
Pensiero che viene poi articolato in una nota ufficiale del sindacato interno dei giornalisti: “In merito alle indiscrezioni riguardanti un’offerta di Daniela Santanchè per rilevare l’Unità , il Cdr del giornale – si legge – informa che si tratta di un’ipotesi che non avrà  alcun futuro. Da quanto ci dicono i liquidatori, la sola idea che questa testata possa andare a finire nelle mani di una esponente di Forza Italia è incompatibile con la storia del giornale e quindi con la sua valorizzazione”.
Per la serie: non vogliamo morire berlusconiani.
Ed è però proprio su questo terreno che le spire della Pitonessa si muovono in maniera furba e intelligente.
Perchè la manovra non sarebbe quella di spostare il quotidiano a destra. Ma di tenerlo a sinistra, facendone l’house organ di Renzi.
O meglio, del Patto del Nazareno.
Non a caso dell’operazione sarebbe al corrente Denis Verdini, il grande negoziatore del patto del Nazareno su mandato di Berlusconi, anche se fonti vicine all’interessato affermano che “Denis non ne sa assolutamente niente”.
Così come dell’operazione non ne sanno nulla nell’ambito dello staff del premier. Chissà .
Proprio oggi i giornalisti dell’Unità  hanno inviato un accorato e appassionato video-appello al premier: “Matteo non abbandonarci”.
Ironie della sorte, proprio oggi è arrivata la telefonata della Santanchè.

(da “Huffingtonpost“)

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EXPO, FINORA SOLO 3.738 NUOVE ASSUNZIONI, NE AVEVANO PREVISTE E PROMESSE 100.000

Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile

I DATI REALI SMENTISCONO LE BUGIE DEL GOVERNO: SI FERMERANNO A QUOTA 10.000… E IL LIVELLO DI SPECIALIZZAZIONE   RICHIESTO E’ MOLTO BASSO

C’è un numero che toglie il sonno agli ottimisti dell’Expo.
È 3.738, ovvero il totale dei contratti fatti dalle aziende e finalizzati alla realizzazione dell’Esposizione universale che hanno riguardato 3.442 lavoratori e 1.519 imprese.
A meno di dieci mesi all’apertura dei padiglioni, le cifre sono ancora lontane dalle previsioni che qualcuno favoleggiava all’inizio: «L’Esposizione universale porterà  100mila posti di lavoro», erano le stime che circolavano tra gli addetti ai lavori.
Poi ridimensionate in «ci saranno 70mila nuove assunzioni».
Perfino i sindacati, che si dichiaravano cauti, parlavano di «20mila opportunità  di lavoro».
A oggi però, secondo i dati dell’Osservatorio sul mercato del lavoro della Provincia di Milano, le previsioni sono molto più magre.
La rilevazione dell’Osservatorio si basa su quanto dichiarato dalle aziende.
Queste devono per legge comunicare ogni avviamento alla Provincia di Milano, che ha quindi il controllo su tutte le nuove assunzioni.
Dal 2012 nella dichiarazione del datore di lavoro è stato inserito un quesito a cui dare risposta: bisogna «indicare se l’assunzione del lavoratore si riferisce ad attività  finalizzata alla realizzazione di Expo 2015».
Così il monitoraggio dell’impatto sul mercato del lavoro avviene mese per mese. E a meno di due anni dal via alle rilevazioni, i numeri impongono una revisione delle stime iniziali. «Secondo le nostre previsioni – ha spiegato Graziano Gorla, segretario generale a Milano della Cgil – alla fine arriveremo a 9mila assunzioni, a cui si deve aggiungere una crescita dell’indotto che si aggira intorno alle 3mila assunzioni».
Il secondo elemento che desta qualche preoccupazione riguarda il profilo dei lavoratori che le aziende cercano: manovali, camerieri, carpentieri, telefonisti dei call center, magazzinieri, parrucchieri, aiuti cuoco.
«Tutte professioni nobili – aggiunge Gorla – ma che indicano un livello di specializzazione piuttosto basso».
Al primo posto dei settori più attivi sul mercato del lavoro in funzione Expo c’è quello della ristorazione e dell’alberghiero (15 per cento del totale), seguito dal turismo (14 per cento) e dal commercio (12 per cento).
L’edilizia è al quarto (10 per cento), mentre per trovare il manifatturiero bisogna scendere al quinto posto (9 per cento) al pari con le attività  professionali.
Un panorama desolante, su cui però non tutti sono concordi nel ridimensionare l’impatto di Expo sul mercato del lavoro.
«È presto per tirare le somme – avverte Lanfranco Senn, economista e docente alla Bocconi – bisognerà  anche valutare come l’Esposizione universale influirà  sul mondo del lavoro in generale: in una prossima ricerca valuteremo come l’Expo stia rivitalizzando le imprese che sottoutilizzavano i propri dipendenti».
Questi dati sull’Expo si vanno a inserire in un quadro provinciale che mostra i primi timidi segnali di ripresa.
Dopo anni di riduzione del numero di assunzioni, nei primi cinque mesi dell’anno si è tornati a salire del 5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2013: da gennaio a maggio i nuovi avviamenti sono stati 238.974 rispetto ai 226.012 dello scorso anno.
«Ma è presto per fare i salti di gioia – conclude Gorla – serve un progetto per stabilizzare questa ripresa: qui entra in gioco la politica e il suo ruolo in quello che sarà  il futuro del sito Expo. Noi diciamo no allo stadio di calcio che non serve all’economia. E rilanciamo le nostre proposte: diventi un distretto legato al mondo dell’alimentare, dell’Ict e della ricerca».

Luca De Vito

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LA BATTUTA DI NICHI VENDOLA: “EMIGRATO IN CANADA? FA TROPPO FREDDO”

Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile

IL LEADER DI SEL SMENTISCE LE INDISCREZIONI: “NON FACCIO LA VALIGIA”… MA LA SCISSIONE E’ UNA FERITA APERTA

Che fa? Se ne va davvero in Canada? I telefoni degli esponenti di Sel ieri sono stati roventi. Per tutta la giornata.
Telefonate di iscritti e militanti che chiedono ragguagli. Il quesito riguarda Nichi Vendola che, secondo indiscrezioni di stampa, sarebbe pronto ad emigrare in Canada nel 2015, alla fine del suo mandato alla guida della Puglia.
Che Vendola ami il Canada non è un mistero: lì è nato il suo compagno Ed e spesso la coppia ci passa le vacanze.
Ma da qui ad emigrare il passo è molto lungo. Anche perchè in politica 10 mesi sono lunghissimi, ed è questo il tempo che Vendola ha ancora davanti come governatore.
Lui smentisce, con una certa nettezza: «Ho letto un racconto a me sconosciuto sul mio stato d’animo, di un leader depresso pronto a partire. Non è così », spiega da Bari.
«Il vostro presidente di Regione non è depresso, non ha fatto la valigia e non vuole andare a vivere in un altro posto che non sia questo. E poi in Canada fa troppo freddo…».
In Transatlantico la truppa di Sel è un po’ smarrita.
Ma chi lo conosce bene assicura che «ogni tanto Nichi ha di questi pensieri, magari avrebbe pure voglia di staccare dalla politica e dedicarsi alla scrittura e agli studi. Ne parla spesso, poi non lo fa mai…».
Quale sarebbe la ragione? «Non intende lasciare alla deriva la barca di Sel. Prima deve condurla in un porto sicuro, poi si vedrà », spiega un deputato.
Certo, la ferita provocata dalla scissione di Gennaro Migliore non è ancora sanata.
Nè Sel ha ancora trovato un equilibrio tra chi spinge verso Tsipras e chi vuole restare comunque ancorato a una sinistra di governo: una faglia che, pur sottotraccia, vive anche nella truppa “depurata” dai 12 transfughi che sono andati via nelle ultime settimane.
Tra molti deputati rimasti, infatti, un eccesso connubio con i partner della lista Tsipras viene visto come fumo negli occhi.
Oggi il gruppo della Camera si riunirà  per scegliere il nuovo capogruppo.
In pole position c’è Arturo Scotto, 36 anni, campano, eletto per la prima volta in Parlamento nel 2006 con i Ds e poi uscito con Mussi al congresso di Firenze nel 2007.
Lui è uno dei pontieri che nelle scorse settimane aveva lavorato per far rientrare lo strappo con Migliore e gli altri. Il 12 luglio poi c’è la riunione dell’assemblea nazionale di Sel, la prima dopo lo strappo.
E il 19 la riunione a Roma dei comitati della lista Tsipras. Appuntamenti molto delicati per Sel che ha in cantiere una conferenza programmatica per l’autunno in cui vorrebbe rilanciare il proprio profilo di opposizione al governo Renzi ma da una prospettiva di «sinistra di governo». «Vendola in Canada? Una bufala incredibile, non c’è nulla di vero, anzi sarà  più protagonista di prima», assicura Nicola Fratoianni, il coordinatore di Sel.
Del resto, in questi giorni, per il governatore sono arrivate buone notizie dalla Corte dei Conti sul governo della Puglia.
I bilanci regionali sono stati valutati positivamente dai magistrati contabili: «Sono stati rispettati gli equilibri di bilancio, il patto di stabilità  interno ed i limiti legali d’indebitamento ».
Voti buoni anche sulla spesa pubblica, la capacità  di riscossione fiscale e sul delicato capitolo della Sanità , dove «sono stati conseguiti significativi miglioramenti delle performance dell’intero sistema… si è passati da una situazione di disavanzo di 332 milioni di euro ad un saldo attivo di 3,9 milioni. Una boccata d’ossigeno per il governatore.
E anche, dicono i suoi, «una certificazione delle sue capacità  di governo».

A.C.

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TERREMERSE, ERRANI CONDANNATO A UN ANNO IN APPELLO: “MI DIMETTO”

Luglio 8th, 2014 Riccardo Fucile

NESSUNA INTERDIZIONE DAI PUBBLICI UFFICI, IN PRIMO GRADO ERA STATO ASSOLTO DALL’ACCUSA DI FALSO IDEOLOGICO NELL’INCHIESTA SUL FINANZIAMENTO   REGIONALE ALLA COOPERATIVA DEL FRATELLO… ORA DECIDERA’ LA CASSAZIONE, MA LUI LASCIA PER COERENZA

Il governatore Vasco Errani si dimette dopo la sentenza di appello   Terremerse che lo vede condannato a un anno con la condizionale per falso ideologico.
Un anno a lui, un anno e due mesi con la condizionale per i due funzionari della Regione Valtiero Mazzotti e Filomena Terzini.
L’avvocato Alessandro Gamberini, difensore del governatore commenta a caldo: “Sentenza sconcertante”, e annuncia il ricorso in Cassazione.
Il giudizio è arrivato in rito abbreviato. Non è prevista alcuna interdizione dai pubblici uffici.
La sua dichiarazione: “Davanti a tutto l’onore della Regione”. E’ un momento di amarezza. Ma per prima cosa non parlo di me. Parlo della Regione, perchè il mio compito è tutelare l’istituzione, il suo onore, la realtà  pulita e di esempio a tanti che è questa Emilia-Romagna. Ho sempre messo l’istituzione davanti ad ogni altra considerazione – a me stesso –   e non cambio ora. Non si faccia nessuna confusione: quanto subisco io personalmente non diventi fango per l’istituzione. Per questo intendo rassegnare subito le mie dimissioni, e nel farlo rivendico il mio impegno e la mia onestà  lungo tutti questi anni. E la mia piena innocenza anche in questo fatto specifico. Piena innocenza. Dunque annuncio subito che presenterò ricorso affinchè prevalga questa semplice verità . Le mie dimissioni sono dunque puramente un gesto di responsabilità . Ad esse unisco il ringraziamento a collaboratori, istituzioni, organi dello Stato, forze sociali ed economiche, perchè con tutti c’è stata una collaborazione significativa e costruttiva. A tutti, ancora grazie ed un augurio di buon lavoro”.
Secondo la Procura Errani aveva istigato i due funzionari della Regione a commettere il falso. Per i due pena più alta perchè è stato considerato anche il favoreggiamento, che è decaduto nel caso di Vasco Errani perchè rivolto nei confronti del fratello Giovanni. Appena conosciuta la sentenza il difensore   ha telefonato al governatore: “Le comunicazioni che farà  le ascolterete direttamente da lui”.
Il processo Terremerse.
La Procura aveva chiesto due anni. Errani, già¡ assolto in primo grado nel novembre 2012, era accusato di falso ideologico nell’ambito dell’inchiesta portata avanti dal procuratore Roberto Alfonso e dal pm Antonella Scandellari sulla coop Terremerse. Una inchiesta in cui è a processo per truffa il fratello Giovanni, che della coop era stato presidente.
La vicenda nacque con l’accusa rivolta dal Giornale a Errani di aver favorito la coop del fratello, he aveva chiesto un finanziamento di un milione di euro alla Regione per la creazione di una cantina a Imola, cantina che però non era stata finita entro il termine indicato dal bando.
In risposta alle accuse, Errani decise di inviare in procura una lettera di presentazione di una relazione fatta fare ai suoi uffici in cui veniva affermato che tutta la procedura era stata regolare.
Ma quando le indagini della Finanza appurarono che invece ciò non era vero, al termine dell’inchiesta per truffa contro Giovanni Errani, funzionari regionali e tecnici, la procura ha pensato di indagare anche il presidente Errani, nell’ipotesi che avesse voluto depistare le indagini inducendo i funzionari Valtiero Mazzotti e Filomena Terzini a raccontare il falso.
La difesa ha invece sostenuto che quella lettera di Errani, oltre a non voler mettere fuori pista nessuno, è stata proprio un esposto che ha permesso di iniziare le indagini.
“Ricorso in Cassazione”.
“Verranno lette le motivazioni; è giusto attenderle per capire come ha ragionato la Corte. Rimango del parere che avevo espresso in primo grado: Vasco Errani è innocente in questa vicenda, non c’era niente che provasse alcuna forma di istigazione a fare il falso”, è il commento del difensore di Errani, Gamberini. Quindi “ricorreremo in Cassazione e faremo in modo che venga dimostrata questa innocenza come era stata peraltro dimostrata in primo grado”.

(da “La Repubblica”)

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