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LA PASCALE VIA DA ARCORE: BERLUSCONI NON HA PIU’ BISOGNO DI UNA FIDANZATA UFFICIALE ?

Luglio 23rd, 2014 Riccardo Fucile

DOPO L’ASSOLUZIONE NON ERA PIU’ NECESSARIA UNA COMPAGNA “PULITA” DA ESIBIRE AL SUO FIANCO?…E TORNANO LE VOCI SUL CONTRATTO DI FACCIATA CHE LI LEGAVA, SECONDO QUANTO SOSTENUTO DALLA BONEV

Non ci sono smentite alla notizia secondo cui Francesca Pascale avrebbe fatto le valigie, lasciando la villa di Arcore dopo un violento litigio.
Non si sa ancora se definitivamente oppure no.
La notizia era stata data martedì da Giuseppe Cruciani, conduttore de La Zanzara su Radio24.
Il problema principale sarebbe l’eccessiva intraprendenza politica di Pascale, sgradita a Berlusconi.
Ma si sta facendo strada un’altra ipotesi: dopo l’assoluzione nel processo Ruby, l’ex Cav potrebbe non avere più bisogno di una fidanzata ufficiale, utilizzata temporaneamente per ripulire l’immagine pubblica della sua vita privata.
Secondo la ricostruzione fatta da Gianluca Roselli sul Fatto, Berlusconi vorrebbe al suo fianco una compagna meno appariscente, una che facesse una vita appartata e non si dedicasse alla politica, mentre Pascale non perderebbe occasione per impicciarsi delle cose interne a Forza Italia, per litigare con Daniela Santanchè e per mostrare il suo attivismo sul fronte dei diritti civili degli omosessuali.
C’è poi la tesi che la relazione tra i due fosse invece solo di facciata, addirittura regolata da un contratto come ha sostenuto Michelle Bonev.
Berlusconi non avrebbe quindi più bisogno di una fidanzata ‘pulita’, da esibire al suo fianco di fronte all’opinione pubblica.
E sarebbe stata “liquidata” fin troppo velocemente
Non è ancora chiaro che fine faccia ora l’incolpevole Dudù…

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IL RONZINO SI E’ GIA’ AZZOPPATO, AL SENATO UN GIORNO PER TRE EMENDAMENTI, ISTERIA DEI TAROCCATORI

Luglio 23rd, 2014 Riccardo Fucile

OLTRE 900 RICHIESTE DI VOTO SEGRETO CONTRO LA LEGGE TRUFFA CHE GLI ITALIANI NON VOGLIONO… E GLI INCIUCIONI GRIDANO ALLO SCANDALO: IL PD ATTACCA GRASSO, RENZI GONFIA LA PANZA E NON CHIUDE LA BOCCA, NAPOLITANO GUIDA LA CARICA DELLA CASTA: “AVANTI RIFORME”

Una giornata per votare tre modifiche e due giorni per iniziare la valutazione dei 7800 emendamenti al ddl per la modifica del Senato.
A cui aggiungere le 920 richieste di voto segreto su alcuni emendamenti e sulle quali il presidente Pietro Grasso non ha posto veto.
“Vogliamo continuare così?”, ha detto il capogruppo Pd Luigi Zanda a fine seduta con un attacco diretto alla seconda carica dello Stato.
Matteo Renzi si innervosisce: “Quindi c’è anche Grasso nella partita..”, dice ai suoi.
Poi finge di prendersi sul serio: “I frenatori delle riforme sono preoccupati perchè stiamo riuscendo davvero a farle. Uno spot migliore non ce lo potevano fare”.
In serata interviene il presidente Giorgio Napolitano a colloquio con la seconda carica dello Stato: ha insistito sul grave danno che recherebbe al prestigio e alla credibilità  dell’istituzione il prodursi di una paralisi decisionale su un processo di riforma essenziale.
Gli ha risposto Grasso, “mettendo in luce le gravi difficoltà  rappresentate da un ostruzionismo esasperato tradottosi in un numero abnorme di emendamenti“.
Chissà  come mai a Napolitano non viene in mente che si tratta di una legge demenziale che il 70% degli italiani non vuole.
Comunque la si guardi, la storia della riforma del Senato sembra già  un’odissea.
Renzi vuole arrivare all’approvazione a Palazzo Madama anche a costo di saltare le vacanze. O a costo, nel peggiore degli scenari, di andare al voto a settembre.
Il bulletto ha bisogno di una medaglietta di stagno da spacciare in Europa.
Da lunedì inizieranno sedute fiume per permettere di esprimersi sulle modifiche ogni giorno dalle 9 a mezzanotte.
Ma l’ostruzionismo di Sel, Lega Nord e Movimento 5 stelle continua e Grasso rispetta i tempi di ogni fase della discussione.
Riceve gli applausi dell’opposizione, dai 5 stelle a Sel fino a Calderoli.
Mentre dall’altra parte c’è la freddezza della maggioranza che parla di “irresponsabilità ”.
”Se non ho avvertito male”, ha commentato stizzito il capomanipolo Zanda, “il presidente Grasso aveva fatto cenno a poteri di coordinamento della Presidenza di cui non conosco bene l’estensione e quindi vorrei chiedere al Presidente se può informare me e l’aula in che cosa consistono o se dobbiamo procedere ancora con questo ritmo di lavori ancora per il tempo necessario”.
Un piccolo spiraglio arriva da Nichi Vendola: “Se il governo cambia atteggiamento, valuteremo l’accorpamento degli emendamenti”. Ma non è scontato, se lo facesse perderebbe quei pochi voti che gli sono rimasti.
A far innervosire i democratici è stata la decisione della seconda carica dello Stato di accettare il voto segreto per gli emendamenti sulle minoranze linguistiche e sulle funzioni delle Camere.
Ma il tema dello scrutinio segreto fa scoppiare un caso anche tra i 5 stelle.
Prima l’ex capogruppo Maurizio Buccarella appoggia la richiesta per alcuni emendamenti, poi sul blog la sconfessione di Grillo che di politica parlamentare non capisce una mazza: “Il Movimento 5 stelle è da sempre per il voto palese“.
In serata comincia il voto sugli emendamenti, ma in oltre due ore ne vengono votati solo due (entrambi sulle circoscrizioni estere ed entrambi bocciati).
Corri, ronzino, corri…

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IN EUROPA STA GIA’ SULLE BALLE A TUTTI: E A PARLARE CON JUNCKER RENZI DEVE MANDARE D’ALEMA

Luglio 23rd, 2014 Riccardo Fucile

LA MOGHERINI SEMPRE PIU’ LONTANA DALLA POLTRONA DI ALTO COMMISSARIO

Massimo D’Alema non è certo andato a titolo personale a parlare con il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker stamattina. Di più.
Il presidente del Consiglio e il presidente della ‘Foundation for European Progressive Studies’ (Feps) combattono la stessa battaglia perchè l’Italia conquisti l’incarico di Alto Rappresentante Ue per la politica estera.
Il fatto è che la candidata di Palazzo Chigi al posto di Mrs Pesc, Federica Mogherini, è sempre più debole in ambito europeo.
I paesi dell’est hanno detto che è troppo filo-Putin, altri le addebitano poca esperienza.
Renzi insiste sul suo nome, ma nel timore di acchiappare un pugno di mosche fa capire che se serve una persona di maggiore esperienza, il candidato italiano potrebbe essere D’Alema.
Il presidente della Feps è ben consapevole di questo gioco.
Peraltro sia lui che Renzi sanno che potrebbe essere un gioco a perdere, in quanto Juncker cerca candidate donne per la sua commissione.
E allora? Il gioco è ancora nella fase di cercare di smascherare gli interlocutori sul no alla Mogherini, soprattutto Angela Merkel.
Il problema è che entro la fine di luglio Palazzo Chigi dovrebbe indicare a Juncker il proprio candidato per la commissione. Non c’è molto tempo a disposizione e l’affare si sta complicando abbastanza.
Perchè contro Mogherini non ci sono solo le accuse dei paesi dell’est.
Il caso si è inceppato seriamente sulla questione centrale nei rapporti tra nord e sud Europa: la politica economica.
Vale a dire lo scontro tra austerity e flessibilità , tra Germania-paesi nordici ‘versus’ il sud del continente.
E’ da qui che nasce la candidatura, per ora ufficiosa, della francese Elisabeth Guigou al posto di Alto rappresentante per la politica estera europea. Ne ha scritto qualche giorno fa proprio il tedesco Spiegel online.
Il punto è che i rigoristi dell’Ue, Angela Merkel in testa, non vogliono assegnare la poltrona di commissario all’economia ad un esponente del sud Europa.
Nello specifico, non gradiscono la candidatura del francese Pierre Moscovici, sostenuta anche da Roma tanto quanto la Mogherini.
Il ragionamento è: se la Francia conquistasse il posto che finora è stato di Olli Rehn, i paesi con problemi col debito prenderebbero il potere in tutte le caselle economiche. Perchè l’Italia ha Mario Draghi alla Bce e la Spagna, secondo rumours ben solidi, potrebbe incassare la presidenza dell’Eurogruppo con il suo Luis De Guindos del Ppe. Così Parigi, Roma e Madrid avrebbero il timone della rotta europea in materia economica.
Non va bene per Berlino. Il candidato dei rigoristi alla successione a Rehn è invece l’olandese Jeroen Dijsselbloem: attuale presidente dell’Eurogruppo, socialista sì, ma liberale, al governo di larghe intese dell’Aja guidato dal conservatore e rigorista Mark Rutte.
Guigou sarebbe insomma la risposta di Parigi ad una possibile sconfitta sul nome di Moscovici. Guigou, a questo punto, si scontrerebbe direttamente con la candidata italiana Mogherini.
E su questo scontro salterebbe anche l’intesa con Hollande cui Renzi ha lavorato fin dall’indomani delle elezioni europee per vincere la battaglia per un miglior uso della flessibilità  contenuta nei trattati europei e per conquistare incarichi utili alla ‘causa’ nella nuova commissione.
Dal canto suo, Hollande, a corto di consensi in patria, punito dal trionfo di Marine Le Pen al voto per Strasburgo, ha interesse a conquistare un ‘top job’ che sia veramente ‘top’ in Ue.
Da qui la carta dell’Alto Rappresentante. Che mette nei guai il governo a Roma.
Perchè, secondo quanto ha chiesto il presidente Juncker, Renzi dovrebbe comunicare ufficialmente la candidatura italiana entro la fine luglio, benchè il prossimo Consiglio europeo sia fissato per il 30 agosto.
Ma in queste ore il premier sta cercando di capire con quali chance può proporre il nome di Mogherini, sul quale — per ora – punta tutta la famiglia del Pse, dal presidente dell’Europarlamento Martin Schulz fino al capogruppo italiano Gianni Pittella, passando per D’Alema.
Se la titolare della Farnesina non ce la facesse, è molto probabile che all’Italia verrebbe proposto l’incarico di commissario all’Immigrazione, nuova casella che Juncker vorrebbe istituire nella sua commissione.
Ma per Roma non sarebbe un posto di prestigio o almeno l’intenzione iniziale era di assegnare quel top job ad un paese del nord proprio per favorire una condivisione di responsabilità  in Europa sui flussi migratori dal Mediterraneo.
Il tempo stringe. Renzi insiste su Mogherini. Ma il rischio è duplice.
Non solo il ministro può finire stritolata nella terribile macchina Ue che decide le nomine.
Ma in questo stesso gioco può finire sacrificata l’intesa con Hollande, che, da sconfitto qual è, ha più interesse a difendere il suo legame con Merkel piuttosto che legarsi al 40 per cento di Renzi.
Soprattutto ha interesse a dimostrare di contare ancora qualcosa in Francia: un posto di peso nella commissione Juncker lo aiuterebbe molto.
E poi resta ancora senza candidati credibili la presidenza del Consiglio europeo.
I ben informati a Bruxelles dicono che il polacco Donald Tusk non sa parlare bene inglese e la danese Helle Torning Smith guida un paese che non fa parte dell’area euro.
Un ragionamento che fa rispuntare il nome di Enrico Letta, quasi un incubo per Renzi.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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L’ORTOPEDICO DI GALAN: “QUANDO L’HO VISITATO IO, IL 10 LUGLIO, NON SERVIVA ALCUN RICOVERO”

Luglio 23rd, 2014 Riccardo Fucile

LA PROCURA SEQUESTRA LA CARTELLA CLINICA: VUOLE APPURARE SE IL RICOVERO ERA GIUSTIFICATO O MENO

“Per Giancarlo Galan, almeno fino a quando l’ho visitato io, cioè il 10 luglio, non c’era alcun bisogno di ricovero. Quel che è accaduto dopo non posso valutarlo e non compete a me”.
È la versione del dottor Sergio Candiotto, direttore dell’unità  operativa di Ortopedia e Traumatologia nell’ospedale S. Antonio di Padova, il primo ortopedico a visitare Giancarlo Galan e a diagnosticargli una frattura composta.
Nello studio di Candiotto oggi s’è presentata la Guardia di Finanza, inviata dalla procura di Venezia, dove i pm Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini, conducono l’inchiesta sulle maxi tangenti legate al Mose.
I pm hanno chiesto l’arresto di Galan — concesso ieri dalla giunta parlamentare — che è accusato di corruzione.
La procura ora vuol verificare se il ricovero dell’ex governatore del Veneto — disposto il 12 luglio dall’ospedale di Este — fosse davvero necessario oppure no.
Candiotto spiega che, stando ai suoi accertamenti clinici, almeno fino al 10 luglio, il ricovero non era necessario.
Di diverso avviso, due giorni dopo, i medici che decidono di ricoverare Galan per monitorare il rischio di un’embolia polmonare, derivante da una trombosi venosa profonda, che Galan mostrava di soffrire dopo la frattura.
Rischio che viene escluso dopo pochi giorni, ma il ricovero viene comunque confermato, per problemi cardiologici e diabetici.
Le indagini stabiliranno se l’iter del ricovero, che ha consentito a Galan un rinvio della Giunta per le autorizzazioni, sia stato corretto oppure no.

Antonio Massari

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“CHIAMATEMI ONOREVOLE”: COSIMO MELE, EX DEPUTATO COIVOLTO IN UNO SCANDALO A LUCI ROSSE, DA SINDACO PRETENDE DI ESPLICITARE IL TITOLO

Luglio 23rd, 2014 Riccardo Fucile

TUTTORA ACCUSATO DI CESSIONE DI COCAINA, IN UNA CIRCOLARE INDICA AI FUNZIONARI DEL COMUNE DI CAROVIGNO DI INDICARE IL SUO TITOLO SUI DOCUMENTI IN USCITA

Nel 2007, quando era ancora onorevole, era stato travolto in uno scandalo a luci rosse e, per quella notte trascorsa in compagnia di una escort, ora è accusato di cessione di cocaina.
Fino al 2008 è rimasto tra i banchi dell’Udc a Montecitorio, poi non è stato più ricandidato da nessun partito.
Ma la sua carriera politica non è finita, perchè nel 2013 Cosimo Mele è stato eletto sindaco di Carovigno, suo comune natale e municipio in provincia di Brindisi, e dimostra di essere ancora molto legato all’appellativo di “onorevole”.
Tanto da aver inviato una comunicazione interna a tutti i dipendenti del suo Comune, chiedendo di esplicitare il “titolo” per iscritto nei documenti in uscita dal palazzo che recano la sua firma. “Dalla data odierna — si legge nella nota (sotto) — tutti i documenti in uscita a firma del Sindaco, devono contenere il titolo di ‘Onorevole’”.
La nota interna — e quindi non soggetta a pubblicazione — è finita di recente nelle mani di qualche esponente dell’opposizione di centrodestra nel municipio del Brindisino.
Mele invece è sostenuto da una coalizione fatta di liste civiche e con il supporto del Pd.
E’ stato poi rilevato che, in calce a tutti gli atti ufficializzati dopo il 26 marzo, data in cui le disposizioni del primo cittadino sono entrate in vigore, regolarmente protocollate, c’è effettivamente la dicitura “on.” a precedere il nome di Mele.
Ma viene barrata a penna per risultare cancellata.
Cosimo Mele deputato non lo è più da quando la sua carriera politica in ascesa sulle scene nazionali fu stroncata da una notte brava di fine estate, trascorsa in una suite dell’hotel Flora, di via Veneto, a Roma.
La passò con una “escort”, Francesca Zenobi, che accusò un malore e denunciò l’allora deputato per omissione di soccorso e per cessione di cocaina.
La prima accusa è caduta. Mele è ora a processo per la seconda. Mentre si è chiusa di recente, proprio agli inizi di marzo, un’altra questione finita nelle aule giudiziarie della capitale: Francesca Zenobi e il suo legale sono stati condannati a un anno e otto mesi di reclusione per una tentata estorsione in danno proprio dell’attuale sindaco di Carovigno.
In attesa che si definiscano anche gli ultimi strascichi giudiziari rimasti, Mele, a quanto sembra, non cessa di guardare al passato, forse anche con qualche rimpianto.
Dopo il 2008 ha tentato di riaffiorare politicamente come consigliere provinciale, candidandosi con Alleanza di centro, mancando di poco l’impresa.
Poi ancora nel 2010 la corsa a un posto di consigliere regionale con Io Sud, tentativo anche questo fallito.
Nell’estate del 2013 il “riscatto”, come egli stesso lo definì appena diventato sindaco.
E un anno dopo la comunicazione interna a tutti i dipendenti, protocollata, affinchè lo chiamino ancora “onorevole”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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EMILIO FEDE REGISTRATO NE HA PER TUTTI: “DELL’UTRI? SOLO LUI SA SULLA MAFIA, SILVIO COSTRETTO A FARLO SENATORE… MANGANO E’ UN EROE AD ESSERE MORTO IN CARCERE, SE PARLAVA LI ROVINAVA…LA SANTANCHE’? UNA MASCALZONA”

Luglio 23rd, 2014 Riccardo Fucile

NELLE REGISTRAZIONI AGLI ATTI DEL PROCESSO A PALERMO IMBARAZZANTI AFFERMAZIONI DEL GIORNALISTA AL SUO PERSONAL TRAINER: “AVEVO DETTO A SILVIO DI LASCIARLE PERDERE CHE POI NON SE LE TOGLIEVA PIU’ DI DOSSO”

“I due (Berlusconi e Dell’Utri, ndr) a un certo punto hanno iniziato a mettersi insieme per l’edilizia e le cose…”. Spiega: “Dopodichè è nata quella che poi è diventata un’azienda (…) Berlusconi non c’aveva una lira” e così “Dell’Utri lo ha appoggiato”.
È sempre Fede che parla: “Dell’Utri era praticamente quello che investiva, allora cosa succede? Qui c’è stato un investimento di soldi mafiosi. Ora riescono ad arrivare a delle prove? È lì il problema. Chi può parlare? Solo Dell’Utri. Quando Dell’Utri tornava avevano il segnale criptato, perchè” all’epoca “Mangano è in carcere. Mi ricordo che Berlusconi arrivando Dell’Utri da Palermo chiede hai fatto? Sì, sì gli ho dato un messaggio… naturalmente per quanto riguarda a Mangano sempre pronto per prendere un caffè che era il messaggio per rassicurare lui per certe cose che io non so… capito. E devo dire che questo Mangano veramente è stato un eroe è morto in carcere per non parlare se no li rovinava tutti e due”.
Quindi i due passano a parlare della futura condanna di Dell’Utri. “Certo — ragiona Fede — questa volta però, ciò non toglie che non hanno nessuno che confessa” e “viaggiano sul filo del rasoio”.
Poi la rivelazione buttata lì quasi per caso. “È l’unico che sa” dice Fede riferendosi a Dell’Utri.
E i soldi? “Non si sa dove li abbia messi quei soldi”. Insomma Dell’Utri sa e non parla. Ma il silenzio costa, quanto? Quanto denaro l’ex Cavaliere deve all’ex senatore? “Continuamente, ma scherzi sotto forma di questo di quell’altro vedi che ci sono settanta conti esteri”. E quella carica da senatore? “Berlusconi è stato costretto a farlo senatore”. Mafia, mafia, mafia. Berlusconi, ma non solo.
Anche Flavio Briatore, l’amico di sempre. “Ma Briatore è stato implicato in una storia grossa di mafia, l’autobomba lì che ha ucciso un industriale a Cuneo… e loro due erano insieme, la Santanchè e Briatore”.
Di lei però Fede non ha una buona opinione: “È una mascalzona. Io sapevo che loro avevano il Billionaire insieme, sì, il Billionaire, il Twiga eccetera… ma all’origine, Flavio è stato implicato in una storia di mafia”.
Dell’Utri e mafia, ma anche Dell’Utri e politica.
Al centro la figura di Gianpiero Samorì “che voleva passare con Berlusconi io gli avevo dato una mano, poi è intervenuto Dell’Utri e gli faccio: rivolgiti a Dell’Utri, ma stai attento perchè Dell’Utri è un magna magna. Mi ha detto Samorì: cazzo se non avevi ragione gli ho chiesto mettimi in lista e sai cosa mi ha chiesto, 10 milioni di euro”. L’audio è disturbato. Si sente il rumore dei passi sulla ghiaia.
Ferri e Fede discutono del Rubygate. “Tutti puntano su Berlusconi”, esordisce il personal trainer. Inizia Emilio Fede. “Non so — sbuffa — avrà  scambiato una 17enne per una maggiorenne, a Ruby poi mancavano tre mesi a diventare maggiorenne”. Teoria nota diventata arma della difesa nel processo d’Appello che ha assolto l’ex Cavaliere dall’accusa di concussione e prostituzione minorile.
Fede, poi, aggiunge: “Ma lui scopava, scopava, io glielo avevo detto non esagerare lascia perdere, altrimenti non te le togli più di torno”.
Confessa: “Io guarda sono stato un amico vero e ho tentato di proteggerlo in tutte le maniere, mica come Lele Mora, ma guarda Lele un mascalzone”.
Cambio di scena. E dal parco di Segrate la storia si accomoda ai tavolini del ristorante Boccino, ristorante stile vecchia Milano in via Tortona proprio nel cuore della moda. Siamo nell’estate del 2013 e tra una portata e l’altra, Ferri e Fede commentano la richiesta di sette anni fatta dal pm Antonio Sangermano per Fede.
Si parla della Minetti: “Consigliere regionale — sospira — ma questa ballava, raccontava, gestiva lei e adesso dice che era defilata, ma io non ci capisco più niente”. Quindi si torna a parlare di Ruby e di come la giovane marocchina sia arrivata a Milano. “Dalla Sicilia è venuta a Milano per cercare successo”.

Davide Milosa
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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SANTANCHE’ IN ROSSO, LA SALVA IL SUO EX COMPAGNO

Luglio 23rd, 2014 Riccardo Fucile

VISIBILIA, BILANCIO IN PERDITA DI 536.000 EURO E DIMEZZAMENTO DEI RICAVI… INTERVIENE IL SUO EX CANIO MAZZARO CHE NE RILEVA IL 40% TAMPONANDO CON 900.000 EURO

La società  di Daniela Santanchè, la Visibilia, naviga in cattive acque.
Il bilancio del 2013 è stato chiuso con un passivo per 536mila euro e con il dimezzamento dei ricavi (13,8 milioni).
Lo riporta il quotidiano La Repubblica, che racconta come a salvare i conti della Santanchè sia intervenuta la Bioera, “la società  quotata in Borsa controllata dal suo ex compagno Canio Mazzaro che ha speso 900mila euro per rilevare il 40% della concessionaria della pasionaria del centrodestra”.
“Senza quei soldi le perdite si sarebbero mangiate tutto il capitale e Santanchè sarebbe stata costretta a mettere mano al portafoglio per tenere in piedi il suo business”, continua il giornale. Proprio nei giorni scorsi l’esponente di Forza Italia aveva reso pubblica l’intenzione di acquistare una parte del quotidiano L’Unità , dopo aver acquisito testate come “Ville e Giardini”, “Ciak” e “Pc professionale”.
Secondo La Repubblica la deputata berlusconiana è convinta che il 2014 andrà  meglio dal punto di vista finanziario.

(da “Huffingtonpost”)

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SI SALVINI CHI PUO’: NON SOLO LA COMPAGNA, STIPENDIATA IN REGIONE, IL “COMUNISTA PADANO” FECE ASSUMERE DAL COMUNE DI MILANO ANCHE L’EX MOGLIE

Luglio 23rd, 2014 Riccardo Fucile

FABRIZIA IELUZZI ASSUNTA PER CHIAMATA NEL 2003 DAL COMUNE E SEMPRE RICONFERMATA: PER TRE ORE DI LAVORO AL GIORNO COMPENSI TRA 20.000 E 36.000 EURO… SALVINI E’ UN MANTENUTO DELLA POLITICA DA 21 ANNI

Non solo la compagna, anche la prima moglie. Matteo Salvini sembra essere afflitto da una particolare abitudine: far assumere dagli enti pubblici le donne che lo accompagnano.
Se Giulia Martinelli, madre della seconda figlia del segretario del Carroccio (con cui si è presentato domenica al congresso della Lega a Padova), è stata assunta a chiamata nella Regione Lombardia del leghista Roberto Maroni, la ex moglie Fabrizia Ieluzzi è stata per quasi dieci anni al Comune di Milano, anche lei assunta a chiamata dal 2003 e poi confermata più volte prima da Gabriele Albertini e poi dalla giunta di Letizia Moratti.
Cambiavano sindaci, direttori generali, assessori ma lei rimaneva lì: 18 ore settimanali, tre al giorno, con compensi tra i 20 e i 36 mila euro annui (come da contratti che il Fatto ha potuto consultare).
Per carità , Salvini di parentopoli proprio non vuol sentir parlare. Anzi, ne è uno dei più strenui oppositori.
Quando dall’inchiesta sull’ex tesoriere della Lega, Francesco Belsito, spuntò la cartelletta “the family” con le spese e le paghette da migliaia di euro ai figli dell’allora Capo, Umberto Bossi, Salvini schiumava rabbia su Facebook: “La mia paghetta era 500 lire”.
Pochi mesi prima i due erano in vacanza insieme, immortalati sul quad del Trota.
Era un’altra vita. Superata come si passa una porta girevole.
E Salvini ne ha attraversate di porte.
Oggi si mostra come un giovane della politica. In realtà , dei suoi 41 anni anagrafici, più della metà  li ha trascorsi su qualche scranno: 21, per l’esattezza.
Entra in consiglio comunale a Milano nel 1993 insieme all’allora sindaco leghista Mario Formentini che conquistò Palazzo Marino scansando le macerie di Mani Pulite.
Nel 2004 grazie alla rinuncia di Umberto Bossi — da poco colpito da malore — Salvini diventa eurodeputato a Bruxelles e vola in Europa coi suoi assistenti: Franco e Riccardo Bossi, fratello e primogenito del Senatùr.
Negli anni del celodurismo, dell’indipendenza sbandierata a suon di pernacchie e fucili in piazza, Salvini è direttore di Radio Padania.
Affianca Mario Borghezio in numerose e fantasiose battaglie, in particolare contro i “terroni” ed è stato ripreso appena due anni fa a cantare “Napoli merda, Napoli colera”.
Anche questa è ormai un’altra vita, perchè ora nel capoluogo campano Salvini va a cercar voti. Ma lui è stato anche “fervente comunista”.
Alle prime elezioni del fantomatico “Parlamento padano” nel 1997 Salvini è capolista della corrente Comunisti Padani: su duecento seggi ne prende appena cinque.
Più o meno lo stesso risultato ottenuto alle ultime Europee dopo aver stretto una profonda alleanza con l’ultradestra di Marine Le Pen.
Con l’altro Matteo (Renzi), oltre alla coerenza tra affermazioni e azioni, condivide l’esperienza televisiva: a 12 anni Salvini partecipa da concorrente alla trasmissione Doppio Slalom, condotto da Corrado Tedeschi su Canale 5.
Non bastava girare la ruota, era un quiz di cultura generale. E il Matteo del nord risponde perfettamente a tutte le domande.
Prometteva bene anche negli studi: nel 1992 si diploma al liceo classico Manzoni, da cui erano usciti tra gli altri Giorgio Ambrosoli, Tito Boeri ed Edmondo Bruti Liberati.
Ma per Salvini i titoli di studio si fermano lì. Tenta l’università . Corso di Storia alla Statale. Lascia dopo 16 anni, a cinque esami dalla laurea.
Nel 2008 scherzando disse che sarebbe arrivata “prima la Padania libera della mia laurea”.
Va detto che a differenza di molti altri politici di professione, Salvini nella sua vita ha conosciuto il lavoro. Nel primo anno di università , nel 1992, per pochi mesi Salvini lavora alla catena di fast food Burghy, poi però è costretto ad andare in Comune.
E così gli studi vengono abbandonati. E anche il lavoro.
Ma la passione per gli hamburgher è rimasta. Si incontra con facilità  in uno dei tre pub Brando di cui socio è la compagna Giulia Martinelli, insieme ad alcuni leghisti: Eugenio Zoffili (altro beneficiario di un contratto a chiamata in regione) e Fabrizio Cecchetti, vicepresidente del consiglio regionale.
Quest’ultimo era finito nell’inchiesta rimborsopoli lombarda ai tempi della giunta di Roberto Formigoni.
La Corte dei conti gli contestò 49 mila euro di spese. Nonostante sia indagato con gli altri, Cecchetti è l’unico a cui la Lega ha permesso di tornare in Regione.
Lui ha restituito i 49 mila euro, motivano le alte sfere.
Nei fatti Cecchetti si è dimostrato totalmente in linea con la Lega salviniana: mentre il leader si scaglia contro i gay (“non mi alleo con chi si iscrive all’Arcigay”, ha tuonato al congresso) lui firma il patrocinio della Regione guidata da Maroni al Gay Pride di Milano.
Perchè la coerenza in via Bellerio è un principio indiscutibile come i confini della Padania. Passati dal Po ai piedi dell’Etna.

Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)

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“MAFIA, SOLDI, MAFIA”: I RETROSCENA DELLO SFOGO DI EMILIO FEDE CON IL SUO PERSONAL TRAINER

Luglio 23rd, 2014 Riccardo Fucile

L’AUDIO FINISCE AI PM DI PALERMO… GAETANO FERRI MINACCIATO DA FEDE E MAI PAGATO: NELL’INTERCETTAZIONI SI PARLEREBBE ANCHE DELLE SERATE DI ARCORE E DI RICATTI

Milano 2, primavera 2013. Due uomini stanno seduti su una panchina del grande parco. Sopra di loro, gli aerei decollati dall’aeroporto di Linate volano bassi. Sono lì da quasi mezz’ora e parlano fitto.
Uno è Emilio Fede, ex direttore del Tg4 nonchè condannato in primo grado per favoreggiamento della prostituzione nel cosiddetto Ruby due.
L’altro indossa una tuta bianca e scarpini da pugilato. Si chiama Gaetano Ferri, napoletano classe ’69, professione personal trainer e istruttore di box francese.
Cranio rasato, muscoli in bella mostra e tanti tatuaggi in stile nazi.
“Vedi — dice Fede — questo è un posto fantastico, ma quando Berlusconi ha iniziato non aveva una lira, i soldi arrivavano dalla mafia attraverso Marcello Dell’Utri”.
Ribadisce: “Mafia, mafia solo mafia”.
Il discorso nasce così. Tanto per dire e per far passare il tempo tra quelli che all’epoca sono ormai due ex amici.
Sì perchè Ferri, dopo un paio d’anni di conoscenza, si rende conto che il giornalista non caccia i soldi.
Che fa? Si tutela a modo suo. Durante i colloqui attiva il cellulare e registra tutto: parole, confidenze, rancori.
Dopodichè inizia il giro delle redazioni: quotidiani e settimanali, ricevendo sempre la stessa risposta: “Mi spiace non possiamo, porti questi nastri in procura e poi ne riparliamo”.
In quei giorni di maggio nessuno però poteva pensare che quelle parole sarebbero finite sul tavolo dei magistrati di Palermo che indagano sulla trattativa tra Stato e Cosa nostra. Ma se questa è storia di ieri, quello tra Fede e Ferri è un rapporto che nasce nel novembre 2011.
In quel momento Ferri, che in curriculum mette anche qualche guaio con la giustizia, frequenta il mondo delle palestre a Milano. Un mondo che spesso s’incrocia con quello patinato della televisione e dello spettacolo.
È così che grazie a un buon contatto con Lele Mora, anche lui condannato in primo grado con Fede per il Ruby bis, riesce a trovare la spinta giusta per entrare nella cerchia di amicizie di Emilio Fede.
In quel 2011, il giornalista siciliano è ancora ben in pista. Dirige il Tg4, nonostante le cronache abbiano già  abbondantemente raccontato parte dei bunga bunga a villa San Martino.
Ferri viene assunto perchè, in quel periodo, negli studi di Mediaset Fede ha un macchinario per fare ginnastica. Gaetano gli serve per questo. Col tempo però i due diventano amici. Di palestra non si parla più e Ferri, nella testa di Emilio, si trasforma in una specie di confessore.
I due si vedono spesso in giro per Milano. Cenano da Giannino in via Vittor Pisani, luogo di culto della movida milanese nonchè quartier generale del Milan e dell’amministratore delegato Adriano Galliani.
Non mancano nemmeno al Boccino di via Tortona, dove una sera Fede si presenta in compagnia di Elena Morali, la biondissima ex fidanzata di Renzo Bossi, e di Francesca Pascale.
All’epoca, siamo nel 2013, la Pascale è già  entrata nelle grazie di Silvio Berlusconi.
Il primo grado del processo Ruby è in corso e da settimane i giornali parlano di una misteriosa fidanzata dell’allora Cavaliere.
Ferri e Fede fanno coppia fissa anche al Parioli di via Felice Casati dove, nel 2012, Lele Mora si azzuffò con Francesca Cipriani, una delle tante papi-girl nonchè ex starletta del Grande Fratello.
L’amicizia si consolida, tanto che Fede presenta a Gaetano un ex agente del Mossad (servizio segreto israeliano) e gli promette l’assunzione in un rinomato centro fitness di via Palestro.
Sarà  solo una promessa.
In quel momento Ferri capisce che l’altro, probabilmente, vuole solo sfruttarlo.
Quando s’incontrano il giornalista fa strani discorsi: parla male dei suoi colleghi, è arrabbiato con Berlusconi.Sono discorsi pericolosi. Ferri si vuole tutelare. Decide di registrare tutto.
La storia nasce così e finisce sul tavolo dei carabinieri di Cusano Milanino. Ferri denuncia il giornalista per minacce.
È il gennaio scorso e davanti ai militari che poi trasmetteranno il fascicolo alla procura di Monza mostra gli sms ricevuti dall’ex direttore del Tg4.
Si legge.“Novità  stanotte mi riceve a palazzo Grazioli, se conferma che vi siete incontrati riparto subito con due altri amici e vengo a cercarti, uno ti conosce bene, se credi avverti l’avvocato, questa volta non mi sfuggi, capito?”.
Il messaggio è dell’8 dicembre 2013.
Il secondo arriva due settimane dopo. “Appena dici una parola sbagliata vedrai se bleffo oppure no. Io sono morto due anni fa e ti permetti ancora di provocarmi”.
Risultato: il 21 gennaio Ferri va dai carabinieri. Racconta tutto e denuncia.
Fa di più: il giorno dopo torna e consegna le tracce audio nelle quali, ora sappiamo, Fede rifaceva la storia di Berlusconi e dei suoi rapporti con Cosa nostra, contabilizzando conti correnti e il denaro arrivato dalla Sicilia.
Chiacchiere che ora dovrà  spiegare ai pm di Palermo. Ma non c’è solo questo.
In molti di quei colloqui, stando alla denuncia di Ferri, si parla anche di ricatti e del bunga bunga.
Di Ruby in particolare, dei suoi 17 anni e delle notti bollenti di papi Berlusconi.

Davide Milosa.
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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