Destra di Popolo.net

CONCORDIA, LA SCAMPAGNATA DI RENZI CON MOGLIE E FIGLI TRA RISATE E NOTABILI LOCALI

Luglio 27th, 2014 Riccardo Fucile

CODA DI PAGLIA: “NON SONO VENUTO PER FARE UNA PASSERELLA MA PER RINGRAZIARE”… L’OBIETTIVO ERA ANCHE UNA VISITA ALL’ACQUARIO CHE POI SALTA: E L’ALLEGRA BRIGATA VENUTA DAL MARE RIENTRA A ROMA

Il premier arriva e riparte senza lasciare il molo del Vte.
Dalla motovedetta della Guardia Costiera scende con la moglie Agnese e i due figli.
A loro aveva promesso anche una visita all’Acquario, ma poi cambierà  programma in corsa.
Ad accogliere il presidente del Consiglio con la Concordia sullo sfondo è un comitato di benvenuto variegato: ci sono le autorità  ovviamente, dal presidente della Regione Claudio Burlando al sindaco Marco Doria, ma anche politici che non hanno perso l’occasione come i segretari del Pd regionale e genovese Lunardon e Terrile e il deputato Fi Sandro Biasotti.
Per la Regione, insieme al marito presidente del porto Luigi Merlo c’è anche l’assessore Raffaella Paita, candidata alle primarie del centrosinistra per le prossime regionali, presente perchè ha la delega alla protezione civile.
Il governo è rappresentato dai ministri Galletti e Pinotti.
«La Pinotti gioca in casa» scherza il premier con la titolare della Difesa, al suo fianco in sollucchero in tutta la breve visita.
Renzi si intrattiene a lungo coi cronisti sotto il sole: strano che non sproloquiasse come al solito.
Dopo aver riso più volte, è il momento di assumere l’aria delle grandi occasioni.
Ma inizia con un autogol tipico di chi ha la coda di paglia: “Non sono venuto per fare una passerella o uno show, ma solo per ringraziare chi ha svolto questa grande operazione di recupero”.
Parole al miele anche per Genova: si ricorda l’accordo firmato proprio qui pochi mesi prima per Ansaldo Energia e le professionalità  del porto.
«Questa città  non rinuncia all’industria e non cede alla retorica del declino – dice il premier – a Genova c’è l’Acquario (che infatti era la meta della gita fuori porta), c’è il turismo c’è l’alta tecnologia ma non dobbiamo dimenticare gli insediamenti industriali».
I notabili Pd locali si sciolgono, non solo per i caldo: ce ne fosse uno che non era bersaniano fino al midollo, Pinotti e Burlando in primis.
Ora sono tutti renziani…
Come osservava il Foglio la first lady Agnese, quando affianca Renzi negli appuntamenti ufficiali, “sceglie gli appuntamenti meno noiosi e più lieti”.
Si vede che oggi era uno di quelli, peccato che la visita all’Acquario sia saltata, altrimenti la scampagnata con passerella a Genova sarebbe stata completa.
Che a bordo del rottame della Concordia ci sia ancora il corpo di una vittima ci si può pensare da domani.

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CALCIO: ORA QUALCUNO FERMI IL TAVECCHIO CHE AVANZA

Luglio 27th, 2014 Riccardo Fucile

ECCO PERCHE’ IL VECCHIO DEMOCRISTIANO E’ IMPRESENTABILE

L’uomo sbagliato al posto sbagliato mette di cattivo umore anche il premier. «La frase di Tavecchio è un autogol». Peggio. «E’ inqualificabile», dice Matteo Renzi ad Avvenire. Giusto.
E i parlamentari del Pd completano il pensiero: «Deve fare un passo indietro». Giusto anche questo.
Ma qual è la frase? Testualmente: «Opti Pobà  è venuto qui che prima mangiava le banane e adesso gioca titolare nella Lazio».
E chi è Tavecchio, improbabile dinosauro in circolazione nell’era prima della rottamazione alla fiorentina? Per capire serve fare un passo indietro.
Venerdì. L’uomo sbagliato al posto sbagliato si sistema i fogli sul leggio, guarda la platea e si pregusta il momento.
Lo vogliono mettere a capo della Federazione Italiana Gioco Calcio. Per sostituire il dimissionario Abete.
E a lui, il Carlo da Ponte Lambro, è ovvio che giri la testa. Sbronzo di felicità .
È un ex democristiano di 71 anni con un diploma da ragioniere che nella vita, dopo aver fatto il sindaco nel Comasco, ha guidato a lungo la Lega nazionale dilettanti.
Una seconda fila eterna che si trova a un passo dal trono del pallone per un incomprensibile scherzo della lavatrice esistenziale. «Tieni, ricostruisci l’Impero». «Chi, io?». «Sì, tu».
Lassù lo vogliono un sacco di squadre di serie A (la Juve e la Roma no) e anche delle serie inferiori.
Un amico. Un affidabile, esperto compagno di viaggio. L’incarnazione fisica di un pianeta cristallizzato, impermeabile al cambiamento, indifferente ai segnali che arrivano dall’esterno.
Si rinnovano governo, Poste, Finmeccanica, commissari europei, università , scuole e leader di partito, ma il calcio no.
Pretende il suo rassicurante monarca medievale. Il Tavecchio che avanza.
Adriano Galliani (appoggiato dagli immortali Franco Carraro e Tonino Matarrese), il suo primo sponsor.
Lo preferisce persino a Demetrio Albertini, che con il Milan ha vinto tutto e di anni ne ha solo 42. Il mondo al contrario.
Lui, il Carletto, se ne frega delle malelingue. Ce l’ha ben chiaro in testa il piano per rifondare il complicato sistema pallone.
Così davanti al leggio gesticola. Ruota la testa. Si agita in un balletto teatrale. Tutto il suo corpo ha un che di rassegnato.
Ma finalmente, qui, con la corona che lo attende, si sente un dio. Rinasce. E con il tipico atteggiamento di quegli anziani capaci di mandare all’aria un matrimonio per il sorriso falso di una ventenne, si sistema la giacca e spara la botta che deve convincere anche chi non gli vuole bene.
Il confronto con il resto del pianeta, ma soprattutto con l’Inghilterra.
Esempio curioso. L’unica nazionale che in Brasile ha fatto peggio di noi.
«La Gran Bretagna è un’altra cosa. Individua dei soggetti che possono entrare in base alla professionalità . Da noi invece Opti Pobà  è venuto qui che prima mangiava le banane e adesso gioca titolare nella Lazio e va bene così».
La mano disegna un arco invisibile nell’aria. Come se volesse sottolineare quell’ironicissimo e ammiccante «e va bene così».
In sala cala il gelo. Ma nessuno dice nulla. Magari fuori dal Palazzo non se ne sono accorti di questo scivolone nel buco nero dell’intelligenza.
E certamente il Tavecchio che avanza non voleva comportarsi come quell’idiota da curva – uno per tutti – che lanciò la banana a Dani Alves.
Ricordi Carletto? Il giocatore del Barcellona la raccolse, la mangiò e calciò l’angolo. La scena fece il giro del mondo. Anche Renzi e Prandelli si fecero fotografare assieme a Palazzo Chigi mentre addentavano una banana.
Il mondo è meglio di un demente da stadio.
Il mondo, certo, ma il candidato alla guida del calcio nostrano?
Travolto dagli insulti della rete, dagli strali dei politici di destra e di sinistra , scaricato da colleghi ed ex giocatori, difeso giusto dall’imperturbabile Gasparri («polemica esagerata»), l’ex sindaco diccì – ribattezzato su internet «Il Banana» – ha provato a difendersi con lo stesso stile con cui aveva scatenato la bufera.
«Non volevo offendere nessuno. Mi riferivo solo al curriculum e alla professionalità  richiesti dal calcio inglese ai giocatori che vengono dall’Africa». Ah ecco.
Tutto spiegato. «Figuriamoci, io in Africa faccio volontariato». Li aiuta. Ma a casa loro. Sigh!
Pensa agli spassosissimi dialoghi tra il nuovo Signore della Federazione e Platini. O magari a un faccia a faccia in tribuna con la Merkel prima di una sfida europea: «Ehi Angela, abbiamo risollevato il nostro pallone quattro volte campione del mondo. Mica con gli stadi nuovi e con le scuole calcio, ma lasciando fuori i mangiabanane».
E giù una gomitatina complice.
Eppure c’è una cosa buona in questo spaccato di imbecillità  casalinga.
Il re è ancora senza corona. L’intronazione è prevista per l’11 agosto.
E allora, senza perdere un minuto di più, gli si dovrebbero soltanto dire: guarda, Carlo, senza rancore, ma quella è la porta, vedi non ripresentarti più.
Forse lui non capirebbe il perchè.
E sarebbe un buon motivo per non spiegarglielo.

Andrea Malaguti
(da “La Stampa“)

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PATTO DEL NAZARENO, TOTI: “ESISTE UN FOGLIO SCRITTO CON DELLE CLAUSOLE”

Luglio 27th, 2014 Riccardo Fucile

“LA CALLIGRAFIA NON E’ DI SILVIO, FORSE E’ DI VERDINI”

Il patto del Nazareno è più di un patto, è un qualcosa di “scritto”, e dunque difficile da rescindere.
Anche se è solo “un documento di lavoro”.
Lo dice – anche facendo capire al Pd che è meglio non cambiare idea sull’Italicum – l’eurodeputato di Forza Italia Giovanni Toti.
“Il patto del Nazareno esiste e io l’ho visto. Io come molti altri dirigenti di Forza Italia” spiega dalla rassegna culturale Ponza D’Autore.
“E’ un semplicissimo foglio di carta che prevede alcune tappe schematiche del processo di riforma – continua Toti – E’ una cosa semplicissima nella sua banalità , un appunto scritto a penna sulle cose da fare. La legge elettorale per cui la partenza era il modello spagnolo, e riguardo il Senato prevedeva tre clausole: la non elettività , il non compenso, e la fine del bicameralismo, ovvero la doppia approvazione delle leggi”.
Infine, sul foglio Toti dice che non c’era nessuna firma, ma rivela che la calligrafia non era quella di Berlusconi, forse – osserva ironico – era quella di Verdini
Dunque nessuna clausola segreta. “Sì, non ci sono clausole segrete”, precisa ancora l’europarlamentare azzurro evidenziando come, il foglio scritto al quale accennava on sia la trascrizione, nero su bianco, dell’accordo, ma “un mero documento di lavoro”.
Ma che il patto includa la giustizia è stato confermato pochi giorni anche dal Mattinale di Forza Italia: “Altro che riforme chic (che voteremo), qui si tratta di far partire riforme shock (che non si vedono)”, si leggeva nella nota politica di Fi del 23 luglio.
“Renzi non punisca il Senato con i lavori forzati per il reato di lesa maestà . E si ricordi che nel Patto del Nazareno c’è la riforma della giustizia, calpestata preventivamente col trattamento Galan” (il parlamentare di Forza Italia per il quale la Camera ha votato sì all’arresto per corruzione nell’ambito dell’inchiesta Mose, ndr). In particolare, la giustizia è “al terzo punto del Nazareno”, specificava il Mattinale.

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VINCENZO NIBALI VINCE IL TOUR: E’ IL TRIONFO DELL’UOMO SEMPLICE E UMILE, L’OPPOSTO DEI NOSTRI POLITICI

Luglio 27th, 2014 Riccardo Fucile

IL MESSINESE NELLA STORIA DEL CICLISMO: IL TRIONFO DELLO “SQUALO”

Come sedici anni fa, ma in modo diverso. Vincenzo Nibali, 29 anni, trionfa al Tour de France, come fece Marco Pantani, ultimo grande campione del ciclismo italiano.
Lo “Squalo” e il “Pirata”: il mare li unisce nei soprannomi, ma tra i due non esistono paragoni: per carattere, stile e vittorie.
Nibali è andato oltre l’eredità  di Pantani: con la vittoria in Francia è entrato nell’Olimpo dello sport di tutti i tempi.
Il messinese si è consacrato nel ristretto club dei ciclisti che hanno vinto il Grande Slam di questo sport.
Prima di lui, solo Jacques Anquetil, Alberto Contador, Felice Gimondi, Bernard Hinault ed Eddy Merckx avevano vinto Giro D’Italia, Vuelta di Spagna e Tour de France.
Per fare un paragone con il calcio: l’impresa di Nibali è come il “triplete” della Spagna (due Europei consecutivi e un Mondiale) o quello dell’Inter nel 2010 (scudetto, Coppa Italia e Champions League).
La sua vittoria però ha un sapore particolare anche perchè riscatta la fama di uno sport che negli ultimi anni è stato inquinato dal doping.
Il trionfo di Nibali (il decimo di un italiano al Tour) è il successo dell’uomo normale, dell’atleta semplice e riservato che corre per la gente senza arroganza o clamori.
Un ciclista autentico, insomma. Un dato che sgombra le insinuazioni dei detrattori che cercano di offuscarlo con il doping: la sua salita verso Hautacam nella 18esima tappa è stata solo la ventisettesima più veloce di sempre. Tappa che l’ha spinto verso la vittoria.
Nibali ha staccato gli avversati in maniera netta.
Anche se i suoi due rivali più accreditati, Chris Froome e Alberto Contador, si sono ritirati, il messinese ha lasciato le briciole ai due corridori di casa Thibaut Pinot e Jean-Christophe Pèraud, che si dovranno accontentare del podio.
Il suo successo è la vittoria di un intero Paese, paragonabile, se non addirittura superiore, ai fasti del calcio.
Di un’Italia che dopo la delusione Mondiale e le recenti polemiche sulla successione alla presidenza della Figc ritrova il suo spirito autentico: il trionfo dell’uomo semplice che si fa apprezzare per il suo talento.
Da piccolo lo avevano soprannominato “Pulce”, proprio come Lionel Messi. Poi però è diventato lo “Squalo” capace di mordere (sportivamente) gli avversari accumulando otto minuti di vantaggio su tutti al Tour.
Proprio per questo motivo su Twitter è partita la campagna per convincere la Gazzetta dello Sport a pubblicare il giornale di lunedì 28 luglio con il colore giallo.
Sotto l’hashtag #GazzettaGialla, gli utenti si stanno spendendo per celebrare Nibali con un gesto che nella storia del quotidiano milanese è stato riservato solo alla Nazionale di calcio.
Da parte sua Nibali festeggerà  con lo stile che l’ha contraddistinto finora.
Ha promesso che donerà  la maglia gialla alla madre di Marco Pantani: l’Italia ha trovato il suo nuovo campione nel ciclismo.

(da “Huffingtonpost”)

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DAI “GRANDI EVASORI” EQUITALIA HA RECUPERATO SOLO 17 MILIARDI SU 59

Luglio 27th, 2014 Riccardo Fucile

I CONTRIBUENTI NEI GUAI CON IL FISCO PER DEBITI SOPRA 500.000 EURO RAPPRESENTANO IL 40%… IL 70% DELLE CARTELLE PAGATE RIGUARDA DEBITI INFERIORI A 5.000 EURO

Il peso della crisi si fa sentire anche per i piccoli arretrati col fisco: oltre il 70% dei circa 2,3 milioni di rateizzazioni in corso con Equitalia per sanare la propria posizione riguarda infatti debiti sotto i 5mila euro.
Sono i dati della società  di riscossione che, dopo aver portato una boccata d’ossigeno ai conti pubblici con recuperi da 3,7 miliardi di euro nei primi sei mesi dell’anno, è impegnata in queste ore a dare assistenza ai contribuenti che avevano perso il beneficio delle rate perchè in ritardo con i pagamenti, che avranno tempo fino a fine mese per essere riammessi.
La maggior parte degli introiti fiscali recuperati resta comunque quella sui ‘grandi evasori’: 17 miliardi, sui complessivi 59 tornati alle casse dello Stato attraverso Equitalia dal 2007 a oggi, vengono da contribuenti che avevano ‘buchi’ di oltre 1 milione di euro.
Una cifra, raccolta negli ultimi otto anni, che è quasi sei volte quella recuperata prima dell’inizio dell’attività  dell’ente di riscossione, visto che tra il 2000 e il 2006 erano stati incassati solo 2,9 miliardi di debiti di questa entità .
Peraltro, i grandi debitori sopra i 500mila euro rappresentano quasi il 40% delle riscossioni complessive, dato che sale a due terzi (circa il 66%) se si considerano anche i debiti sopra i 50mila euro.
Anche questi ‘medi debitori’ a volte richiedono di diluire nel tempo le cifre dovute al fisco, ma in questo caso devono fornire documentazione che provi la difficoltà  economica a pagare in una unica soluzione.
Chi deve al fisco oltre 50mila euro rappresenta circa il 3% delle rateizzazioni ma il 53,8% degli importi da incassare (in totale l’importo delle rateizzazioni in corso riguarda 25,5 miliardi di euro).
Un ‘alto gradimento’ delle rate si registra appunto per i piccoli debiti, fino a 5mila euro, che rappresentano l’11,3% dei debiti complessivi.
Ma le rate piacciono anche a chi ha debiti più ingenti, anche se non faraonici, tra i 5 e i 50mila euro (il 26,2% dei piani in corso che rappresentano il 34,9% dei debiti) anche in virtù delle semplificazioni introdotte da Equitalia, che non chiede nemmeno per posizioni di questa entità  di dimostrare la necessità  economica di ‘spacchettare’ il saldo dovuto.
E fino al 31 luglio, chi ha perso il beneficio delle rate entro il 22 giugno 2013, potrà  chiedere di partire con un nuovo piano, con vincoli però più stretti: il nuovo piano (72 rate, 6 anni) non è prorogabile e decade in caso di mancato pagamento di due rate anche non consecutive anzichè otto.

(da “La Repubblica”)

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“QUI SI FA COME DICO IO”: RENZI E LA STRATEGIA DELLO SCAZZO PERMANENTE

Luglio 27th, 2014 Riccardo Fucile

UNA CONTINUA ESPOSIZIONE DI CARTELLI “STIAMO LAVORANDO PER VOI” E UN FINE LAVORI MAI

Chi abita a Roma conosce bene la tragica barzelletta dei lavori stradali consistenti in buche, cunicoli e cavità  di ogni tipo e dimensione , annunciati da ammiccanti cartelli del tipo: “stiamo lavorando per voi”.
Peccato che quelle voragini in genere restino tali cosicchè l’Urbe vive in una condizione di caos permanente, a partire dalla famosa Metro C, abisso sterminato e inconcludente che i poveri romani subiscono come il verdetto degli ergastolani: fine pena mai.
Le strombazzate riforme di Matteo Renzi assomigliano a quegli incasinatissimi cantieri: si blocca il traffico, si dice “stiamo lavorando per voi”, poi si lascia tutto per aria dando la colpa ai gufi e a chi complotta contro il cambiamento.
Ricordate l’Italicum? Sembrava che dopo il patto (segreto) con Berlusconi fosse cosa fatta. Dov’è finita? Boh.
E la riforma della Pubblica Amministrazione?
Tagli di nastri, fanfare, la ministra Madia che proclama soave ma ferma che lo Stato dimagrirà , uffici accorpati, cittadini felici, tutto online, perepè perepè, poi il nulla.
Un po’ come percorrere il nuovo tratto autostradale Brescia-Milano (inaugurato mercoledì dal premier) e che il Corriere della sera così descrive: “Tre corsie poi si torna alla coda in tangenziale”.
D’accordo, Renzi governa da pochi mesi, i problemi sono tanti e non è solo colpa sua se ci sono le code, se mancano 786 decreti attuativi di leggi approvate, se i vari Salva Italia, Cresci Italia, Destinazione Italia della premiata ditta Monti-Letta sono gigantesche insegne al neon però spente.
Il problema è un altro, la continua esibizione muscolare del premier e dei suoi accoliti, la strategia dello scazzo permanente, il “qui si fa come dico io”, la politica non più mediazione ma strattonamento in un susseguirsi di ultimatum nevrotici: ci metto la faccia, mi gioco l’osso del collo…
Un giorno si decide di ribaltare la Costituzione, si scava una voragine in Parlamento, si azionano ghigliottine, si dettano ordini di caserma (“entro l’8 agosto prendere o lasciare”), poi si mena scandalo se qualcuno osa non essere d’accordo.
Più che le riforme Renzi sembra agognare lo scontro, il casino, l’immagine del cantiere bloccato dai nemici del nuovo mentre gufi e sciacalli complottano a difesa della conservazione dei loro laidi interessi personali.
Poi, al momento giusto si rivolgerà  agli italiani che già  ne hanno le scatole piene delle lungaggini della politica e dei politici formato casta e sarà  un plebiscito.
In un certo senso, gli oppositori stanno lavorando per lui.
Ma è così chiaro.

( da “Il Fatto Quotidiano”)

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BERLUSCONI APRE, ALFANO FRENA: “FRA NOI E FORZA ITALIA IL NODO PREFERENZE”

Luglio 27th, 2014 Riccardo Fucile

LA LETTERA DI SILVIO: “RIPRENDIAMO LA STRADA COMUNE”… MA IL LEADER NCD LO GELA, RILANCIA LA RIUNIFICAZIONE DEL CENTRO E PARLA DELL’ART. 18

Scivola via senza suscitare grandi entusiasmi, la lettera che Silvio Berlusconi pubblica sul Giornale per lanciare un appello ai moderati.
Durante le sette ore dell’assemblea del Nuovo centrodestra, il solo Angelino Alfano, nelle vesti del leader, vi farà  cenno per dirsi «deluso» e dettare comunque le sue condizioni.
Per il resto, il clima nei confronti dell’ex leader è piuttosto freddo, se non ostile, se si fa eccezione per Nunzia De Girolamo, coerente con le sue aperture.
Alla fine anche lei, e ancor più il ministro Maurizio Lupi, plaude alla “linea di Angelino”.
L’Ncd resta saldamente al governo: “Mille giorni insieme al Pd per cambiare il Paese, poi ognuno per la sua strada”
«Sono convinto che sia giunto il momento di riprendere la strada per costruire non un cartello elettorale ma una piattaforma politica comune», scrive il leader di Forza Italia nella lettera. Sostiene di ammettere e rispettare le differenze, rinvia a dopo la questione della leadership. Ma le aperture non bastano al Ncd.
Alfano, quasi con distacco: «Leggendo i giornali questa mattina ci rendiamo conto che chi doveva capire ha capito il gesto di coraggio» che abbiamo compiuto.
È la legge elettorale il nodo: «Siamo delusi che manchi il punto fondamentale e decisivo in quella lettera: una proposta sulla legge elettorale».
L’introduzione delle preferenze nell’Italicum è la condizione che pone il ministro. Poi rincara: «Il vecchio centrodestra è morto e non esiste più, deve essere del tutto diverso da quello del passato, si ricostruirà  il centrodestra con il rispetto delle opinioni di tutti, con la democrazia all’interno».
Per la federazione ci sarà  tempo, forse.
«Intanto partiamo da chi insieme a noi ha sostenuto il governo, le riforme e il Ppe e cioè l’Udc, Scelta civica, i Popolari per l’Italia», taglia corto il ministro degli Interni che manda anche un avviso al premier: «A Matteo Renzi diciamo che sull’articolo 18 non scherziamo. No a totem ideologici».
Subito dopo, Gaetano Quagliariello viene acclamato coordinatore, premette che non vuole andare a sinistra («Piuttosto mi faccio prete») ma lancia l’inequivocabile hashtag su Twitter #ionontornoindietro.

(da “La Repubblica”)

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QUANDO RE GIORGIO ERA CONTRO LA RIFORMA

Luglio 27th, 2014 Riccardo Fucile

NEL 2005 NAPOLITANO PRONUNCIAVA UN DISCORSO IN SENATO: “NON STRAVOLGETE LA COSTITUZIONE”

Dopo Renzi, Napolitano.
Anche il Capo dello Stato si schierò, tra il 2005 e il 2006, contro la riforma costituzionale del centrodestra.
E nel novembre del 2005 pronunciò, fresco della nomina di senatore a vita, un intervento molto duro contro il progetto di Berlusconi e Bossi.
Al centro della critica il No al rafforzamento dei poteri del premier ma anche i rischi di caos istituzionale e la necessità  di procedere con le più ampie maggioranze possibili.
Da allora, e poi nel corso della campagna referendaria, Napolitano tornò su questi temi e ribadì l’attaccamento alla Costituzione dei padri fondatori.
Esattamente come fanno ora gli oppositori di Renzi. Che per questo vengono duramente accusati di conservatorismo .
“Quel che anch’io giudico inaccettabile è, invece, il voler dilatare in modo abnorme i poteri del Primo Ministro, secondo uno schema che non trova l’eguale in altri modelli costituzionali europei e, più in generale, lo sfuggire a ogni vincolo di pesi e contrappesi, di equilibri istituzionali, di limiti e di regole da condividere.
Quel che anch’io giudico inaccettabile è una soluzione priva di ogni razionalità  del problema del Senato, con imprevedibili conseguenze sulla linearità  ed efficacia del procedimento legislativo; una alterazione della fisionomia unitaria della Corte costituzionale, o, ancor più, un indebolimento dell’istituzione suprema di garanzia, la Presidenza della Repubblica, di cui tutti avremmo dovuto apprezzare l’inestimabile valore in questi anni di più duro scontro politico.
E allora, signor Presidente, onorevoli colleghi, il contrasto che ha preso corpo in Parlamento da due anni a questa parte e che si proporrà  agli elettori chiamati a pronunciarsi prossimamente nel referendum confermativo non è tra passato e futuro, tra conservazione e innovazione, come si vorrebbe far credere, ma tra due antitetiche versioni della riforma dell’ordinamento della Repubblica: la prima, dominata da una logica di estrema personalizzazione della politica e del potere e da un deteriore compromesso tra calcoli di parte, a prezzo di una disarticolazione del tessuto istituzionale; la seconda, rispondente a un’idea di coerente ed efficace riassetto dei poteri e degli equilibri istituzionali nel rispetto di fondamentali principi e valori democratici. La rottura che c’è stata rispetto al metodo della paziente ricerca di una larga intesa, il ricorso alla forza dei numeri della sola maggioranza per l’approvazione di una riforma non più parziale, come nel 2001, ma globale della Parte II della Costituzione, fanno oggi apparire problematica e ardua, in prospettiva, la ripresa di un cammino costruttivo sul terreno costituzionale; un cammino che bisognerà  pur riprendere, nelle forme che risulteranno possibili e più efficaci, una volta che si sia con il referendum sgombrato il campo dalla legge che ha provocato un così radicale conflitto.
Giorgio Napolitano, discorso al Senato   del 15 novembre 2005    

Ancoraggio costituzionale    
“Un risoluto ancoraggio ai principi costituzionali non può essere scambiato per semplice conservatorismo. L’unità  costituzionale è il sostrato dell’unità  nazionale”.
Giorgio Napolitano, dal discorso di giuramento da presidente della Repubblica, 10 maggio 2006    

Intese ma con tutti  
“È ovvio che le riforme costituzionali devono essere approvate con ampie maggioranze”
Giorgio Napolitano, 12 aprile 2006.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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RENZI, IL GUAPPO DI CARTONE

Luglio 27th, 2014 Riccardo Fucile

FINCHE’ NON E’ ENTRATO A PALAZZO CHIGI NON HA SBAGLIATO UNA MOSSA, DA QUANDO E’ AL GOVERNO NON NE HA AZZECCATA PIU’ UNA

Tredici anni fa l’Italia salutava il suo più grande giornalista di sempre: Indro Montanelli.
Mentre ancora si discute se fosse di destra o di sinistra, suscitando — da qualche parte Lassù — le sue sonore risate, si dimentica la sua maggior virtù, oltre alla prosa e alla libertà : avendo studiato e narrato la storia d’Italia, Montanelli conosceva e raccontava gli italiani come nessun altro.
E, quando giudicava un politico, si metteva nei panni della gente per studiare come lo guardava. Berlusconi gli stava simpatico. Ma ciò che subito lo allarmò, non appena nell’estate ’93 quello gli preannunciò la sua “discesa in campo”, fu la miscela esplosiva che sarebbe nata fra i tratti caratteriali del suo ex editore e la voglia di padrone che alberga nella pancia di una certa Italia.
Quella che aveva fatto dire a un altro rabdomante, Mussolini: “Come si fa a non diventare padroni in un paese di servi?”.
Fra il Duce e il Cavaliere ci fu un altro politico italiano che provò a diventare padrone, e per un po’ ci riuscì: Craxi.
Nel 1983, quando andò al governo, Montanelli sul Giornale lo salutò così: “Come uomo di partito, Craxi ha certamente grossi numeri. Come uomo di Stato, è tutto da scoprire… È arrogante, un po’ guappesco e sembra avere del potere un concetto alquanto padronale… Craxi ha una spiccata — e funesta — propensione a considerare nemici tutti coloro che non si rassegnano a fargli da servitori. Sono pochi, intendiamoci, i politici immuni da questo vizio.Ma alcuni sanno almeno mascherarlo. Craxi è di quelli che l’ostentano sino a esporsi all’accusa di ‘culto della personalità ‘… che potrebbe procurargli guai seri. Non perchè a noi italiani certi atteggiamenti dispiacciano, anzi. Ma perchè in fatto di guappi siamo diventati, dopo Mussolini, molto più esigenti: quelli di cartone li annusiamo subito”.
E così fu: alla protervia di Craxi, che eccitava gl’intellettuali, gli italiani preferivano il grigio e molliccio understatement dei democristiani, che sapevano gestire il potere senza quasi farsene accorgere.
Soltanto B., grazie al fascino del denaro, del successo e delle tv, riuscì a far digerire per vent’anni il suo guappismo molesto.
Chissà  cosa direbbe Montanelli oggi del suo quasi concittadino Renzi, rara avis di democristiano che posa un po’ da Craxi e un po’ da B.
Certo, il ritratto di Bettino gli calza a pennello. Tranne forse la profezia finale: a giudicare dalle Europee, si direbbe che ne vogliamo un altro, di guappo di cartone. Renzi ne è convinto e ci marcia. Ma esagera.
Nel bene e nel male, non è B.: gli mancano i soldi, le tv, l’aura di successo e i crimini. Finchè non è entrato a Palazzo Chigi, non ha sbagliato una mossa.
Da quando è al governo, non ne ha più azzeccata una: gli 80 euro, con il loro effetto nullo sui consumi, sono già  evaporati; le riforme su cui s’intestardisce —Senato e titolo V—non interessano a nessuno e, anche se riuscisse a condurle in porto, non migliorerebbero la vita a nessuno (salvo che a lui), mentre quelle che potrebbero cambiare il Paese in meglio segnano il passo o sono lettera morta.
Eppure, con un così magro bottino di risultati, specie a fronte delle promesse fatte e delle aspettative create, continua a svolazzare come se il consenso fosse eterno.
E cade nell’errore fatale di confondere il presenzialismo con il presidenzialismo: non basta baciare bambini, fare selfie con le fan, ingravidare madame con un’occhiata, twittare e messaggiare a ogni ora del giorno e della notte, imbucarsi nelle feste altrui tipo la partita del cuore o l’arrivo degli orfani dal Congo o della povera Meriam, ri-varare la fu Costa Concordia come la contessa Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare e poi volare a Parigi truccato da Miss Tour de France per calzare la maglia gialla di Nibali, insomma travestirsi da sposa ai matrimoni e da salma ai funerali, per avere in pugno l’Italia.
Complice la crisi, data prematuramente per scomparsa, gli italiani potrebbero stufarsi di lui molto prima di quanto sospetti.
E rottamare anche l’ultimo guappo di cartone, con largo anticipo sui predecessori.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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