Destra di Popolo.net

ILARIA CUCCHI: “NON CERCAVANO LA VERITA’, SAPEVO CHE LE DIFESE CI AVREBBERO FATTO A PEZZI”

Ottobre 31st, 2014 Riccardo Fucile

TUTTI ASSOLTI, CUCCHI SI E’ MASSACRATO DA SOLO…IL SAP PERDE UNA BUONA OCCASIONE PER TACERE

Insufficienza di prove.
Insufficienza di prove sugli autori materiali del pestaggio.
Insufficienza di prove sulla causa di morte.
Insufficienza di prove sulle colpe dei medici.
Insufficienza, insufficienza, insufficienza.
Mi rivolgo al procuratore capo della repubblica di Roma dottor Pignatone, e gli chiedo: caro dottor Pignatone si ricorda quando io e lei ci siamo incontrati nel suo ufficio e le ho rappresentato tutti i dubbi e le perplessità  su come i suoi due sostituti stavano conducendo un processo più contro di noi che a favore della prova della verità  di quanto accaduto?
Si ricorda quando io le dissi che il mio avvocato all’udienza preliminare aveva detto che con quell’impianto accusatorio gli avvocati delle difese ci avrebbero fatti a pezzi e saremmo stati esposti ad un massacro?
Si ricorda cosa lei mi rispose?
Insufficienza di prove. Secondo lei che cosa significa?
Ciò che posso dire è che l’unica cosa che è stata sufficiente sono state le botte date a mio fratello per cagionarne la morte.
Però non si sa da chi.
L’unica cosa che si sa con certezza e lo dicono tutti, ma proprio tutti, è che Stefano quando è stato arrestato era sano.
Quando è arrivato all’udienza di convalida era pestato.
Quanto conta la verità  e quanto contano invece le cosiddette ragioni di opportunità ?
In buona sostanza quanto conta la vita di un essere umano di fronte alle cosiddette ragioni di opportunità ?

Ilaria Cucchi
(da “Huffingtonpost”)

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SONDAGGIO PIEPOLI: LANDINI BATTE RENZI 57% a 40%

Ottobre 31st, 2014 Riccardo Fucile

SULLA DIFESA DELL’ART.18 LA MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI STA COI SINDACATI E NON CON IL GOVERNO

Secondo Matteo Renzi chi invoca l’articolo 18 è un nostalgico.
Lo ha detto chiaramente alla Leopolda sostenendo che il posto fisso non esiste più, che il governo vuole cambiare il Paese per un futuro migliore.
Ebbene oggi il premier scoprirà  che queste sue convinzioni non sono assolutamente condivise dagli italiani che anzi gli preferiscono la Cgil e la Fiom, che invece si battono perchè le tutele dei lavoratori vengano preservate del ciclone Renzi.
Il sondaggio dell’Istituto Piepoli, realizzato lunedì scorso (quindi prima delle spettacolo degli operai manganellati a Roma) e pubblicato da Affari Italiani parla chiaro.
Il 57% degli italiani sta con Landini e la Camusso.
Solo il 40% apprezza infatti la dichiarazione del premier alla Leopolda contro l’articolo 18 e sulla fine del posto fisso.
Senza opinione il 3%.
“Diciasette punti di vantaggio per il sindacato, ovviamente si parla della Cgil che è la principale organizzazione che difende l’Articolo 18, sono tantissimi”, dichiara Piepoli ad Alberto Maggi.
“Questa volta il premier, forse a sorpresa, è uscito sconfitto”.

(da “Libero“)

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INTERVISTA A LANDINI: “BASTA RIDURRE GLI SPAZI DI DEMOCRAZIA, QUESTO GOVERNO HA FATTO SUO IL PROGRAMMA DI CONFINDUSTRIA”

Ottobre 31st, 2014 Riccardo Fucile

“C’E’ IN ATTO UN ATTACCO AL DIRITTO DI SCIOPERO”…”SI TORNI ALL’ACCIAIO DI STATO”

Tornare all’acciaio di Stato. Maurizio Landini, segretario generale della Fiom-Cgil, non ha dubbi: senza intervento pubblico non si uscirà  dalla crisi della siderurgia, che riguarda la ThysssenKrupp di Terni, l’Ilva di Taranto, l’ex Lucchini di Piombino.
«Se non vogliamo svendere o regalare la siderurgia agli stranieri è indispensabile che lo Stato faccia la sua parte ».
Ne avete parlato con Renzi durante l’incontro dopo le manganellate agli operai di Terni?
«Sì, abbiamo posto questo problema che è il perno di qualunque strategia di politica industriale ».
E cosa vi ha risposto il presidente del Consiglio?
«Che è disponibile a un confronto».
Tornare ai tempi dell’Iri?
«Io penso che non si possa più rinunciare a un intervento pubblico nei settori strategici, com’è quello della siderurgia, finalizzato anche a definire nuovi assetti proprietari».
Vuol dire che l’Ilva, per esempio, dovrebbe essere acquistata dallo Stato?
«Per l’Ilva questo passaggio è necessario. L’Ilva deve cambiare proprietà . Per fare questo c’è bisogno della forza dello Stato».
E per l’Ast di Terni?
«Non escludo nulla. Certo a Terni è necessario innanzitutto verificare se l’azienda è disposta a rivedere il piano industriale».
Pensa di salvare l’occupazione con l’aiuto dello Stato?
«Penso di salvare l’industria italiana dove c’è un problema, oltrechè di dimensioni aziendali, anche di qualità  degli imprenditori. Quanto all’occupazione mi limito a far presente che nei prossimi mesi rischiano di saltare migliaia di posti di lavoro. Siamo di fronte a un’ondata di licenziamenti collettivi. Mercoledì in piazza c’erano pure gli operai della Jabil, 400 licenziamenti a Caserta, e quelli della Trw di Livorno, altri 500. Questo è quello che sta succedendo».
Anche per questo Renzi ha chiesto di abbassare i toni. La Fiom ha risposto con otto ore di sciopero a novembre. Non c’era un’altra strada?
«Lo sciopero generale non è altro che la continuazione della manifestazione di sabato. Per abbassare i toni bisognerebbe avere la possibilità  di confrontarsi. Con lo sciopero chiediamo al governo di cambiare le sue politiche economiche e sociali. Ciò che ha fatto finora non è adeguato alla situazione».
Per affrontare la crisi dell’acciaieria di Terni vi ha convocati a Palazzo Chigi.. Questo non era previsto. Non le pare un gesto di disponibilità  al confronto? Renzi vi ha chiesto scusa per gli incidenti di mercoledì?
«No, le scuse non ci sono state. Ma non c’è dubbio che sia stato un atto importante, di rispetto nei confronti delle organizzazioni sindacali. Resta il fatto che senza un’iniziativa di politica industriale le soluzioni delle singole crisi non sono affatto semplici».
Ci aiuti a risolvere il “giallo” della telefonata tra lei e Renzi: c’è stata?
«La telefonata c’è stata».
E perchè non l’ha detto subito?
«Ho detto che io avevo chiamato Delrio mentre è stato Renzi a chiamarmi».
Va bene. Senta, lei è d’accordo con la Camusso quando dice a Renzi che prima di abbassare i toni vanno abbassati a manganelli?
«Certo che sono d’accordo: quello che è successo è di una gravità  senza precedenti. Le risposte che sono arrivate dal governo fanno pensare che episodi di quel genere non si ripeteranno più».
Il ministro dell’Interno Alfano ha detto che non c’è stato alcun ordine ai poliziotti di caricare i manifestanti. Lei continua a pensare il contrario?
«Io continuo a pensare che un poliziotto che va in piazza quando c’è una pacifica manifestazione di operai non si armi di scudi e manganelli se non ha avuto un ordine di quel tipo. E se esegue una carica a freddo, come è successo, vuol dire che qualcuno quell’ordine gliel’ha dato».
Sta dicendo che Alfano ha mentito?
«No, dico quello che è accaduto. Ma prendo atto degli impegni che ha preso il governo».
Lei pensa che ci sia un collegamento tra le affermazioni del finanziere Davide Serra alla Leopolda contro lo sciopero e l’aggressione agli operai?
«No, non penso a queste cose. Di certo c’è un attacco al diritto di sciopero in Italia come in Spagna, in Inghilterra e in altri paesi europei. È in atto una pressione per mettere in discussione la contrattazione collettiva. E il governo Renzi sbaglia a ispirarsi al modello Fiat o a quello degli Stati Uniti?»
Dunque condivide la tesi della Camusso secondo cui il governo Renzi è stato voluto dai “poteri forti”?
«Sul piano delle politiche sociali e sindacali questo governo ha assunto il programma di Confindustria. Non c’è solo la cancellazione dell’articolo 18, c’è il demansionamento che detto in inglese vuol dire mobbing, c’è il controllo a distanza dei lavoratori, c’è l’abolizione del reintegro anche nei licenziamenti collettivi con procedure sbagliate. C’è l’obiettivo di far saltare il contratto nazionale. Questo non è accettabile».
Cosa intendeva dire mercoledì quando ha gridato: “Basta Leopolde”?
«Vuol dire basta discussioni tra chi la pensa allo stesso modo. Vuol dire basta a un modello che salta ogni mediazione e dove chi comanda parla direttamente con il popolo senza intermediazione. Questo processo porta a una riduzione degli spazi democratici».
Renzi mette a rischio la democrazia? Non è un po’ forte?
«Non dico che è a rischio la democrazia. Penso che si in questo modo si riducono gli spazi della democrazia».

Roberto Mania
(da “La Repubblica“)

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SI DIMETTE SEGRETARIO PD: “NON ME LA SENTO PIU’ DI GIUSTIFICARE PAROLE E ATTI CHE NON APPARTENGONO ALLA MIA CULTURA POLITICA, ALLA STORIA DA CUI PROVENGO E ALLA MIA DIGNITA’ DI UOMO E LAVORATORE”

Ottobre 31st, 2014 Riccardo Fucile

LA COERENTE   LETTERA AGLI ISCRITTI DI PAOLO SOCCIO, SEGRETARIO PD DI SAN   MARCO IN LAMIS

Carissime e carissimi compagni,
vi scrivo questa lettera per comunicarvi la mia decisione irrevocabile di dimettermi dal ruolo di segretario del circolo PD “Donatello Compagnone” di San Marco in Lamis, ruolo che svolgo ormai da sette anni, ovvero dalla nascita del Partito democratico.
Mi sono sempre sentito onorato di aver contribuito a fondare e a far crescere questo nostro partito, ho sempre fatto il mio dovere da dirigente, militante ed elettore, dando il mio contributo, piccolo o grande che sia stato, per il bene del Partito e dell’Italia, sacrificando il mio tempo, i miei affetti, le mie capacità  intellettuali, organizzative e i miei soldi.
Questo l’ho fatto con grande convinzione e abnegazione, almeno fino ad un anno e mezzo fa, quando, all’esito della consultazione elettorale nazionale, i nostri dirigenti nazionali hanno deciso di formare un governo con la destra berlusconiana.
Da allora qualcosa ha iniziato ad incrinarsi dentro di me.
Senza soffermarmi sui famosi 101 che affossarono la possibile presidenza Prodi, vorrei solo farvi riflettere sul fatto che del progetto che avevamo costruito con “Italia Bene Comune” e di quanto noi tutti abbiamo dichiarato ai nostri elettori oggi non c’è più alcuna traccia.
Non citerò tutto quello che è successo in questi mesi, neanche parlerò del nostro congresso, non dirò quel che penso di questo governo, vi comunico soltanto che io mi sento tradito come elettore, come iscritto e come dirigente.
E se un rappresentante non riesce più a difendere l’operato del proprio partito, del proprio governo, allora non può più essere tale.
Il mio malessere interiore perdura da tempo, più volte sono stato lì per lì per rassegnare le dimissioni da segretario di circolo, ho resistito, ho provato resistere, anche per la stima e l’affetto che provo per i miei compagni di circolo, ma dopo gli ultimi fatti nazionali accaduti nei giorni scorsi, dopo le dure ed insulse parole del Presidente/Segretario contro il sindacato e la minoranza interna del partito, francamente non ne ho potuto più.
Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso sono state le immagini che ho visto stamane al telegiornale.
Quando ho visto gli operai colpiti dalle manganellate mi è venuto istantaneamente un’associazione di pensiero: ho pensato a mio padre.
Ho pensato agli scioperi, alle lotte, ai sacrifici che per una vita ha fatto insieme agli altri compagni per la difesa del lavoro e dei diritti dei lavoratori.
Se mio padre fosse ancora vivo sono certo che sabato scorso sarebbe stato a Roma a manifestare con il Popolo dei Lavoratori.
Perciò, quando ho visto quell’operaio ferito ho pensato a cosa avrei pensato e detto se quell’uomo sanguinante fosse stato mio padre.
Non conosco il nome di quell’operaio, so solo che quell’uomo è un lavoratore, mio padre era un lavoratore e anch’io io sono un lavoratore, un lavoratore della conoscenza.
Ricordo che circa trent’anni fa quando chiesi a mio padre che cosa significava quella sigla di partito, che cosa indicavano quei simboli, lui mi rispose molto semplicemente: «È il Partito dei Lavoratori».
Ritengo pertanto, cari compagni e compagne, questi attacchi al Popolo dei Lavoratori, verbali e fisici, inaccettabili, inqualificabili ed ingiustificabili.
Non me la sento più di rappresentare questo Partito in un ruolo così impegnativo.
Non me la sento più di giustificare parole ed atti “targati PD” che non appartengono alla mia cultura politica, alla storia da cui provengo e alla mia dignità  di uomo e lavoratore.
Continuerò ad essere un militante, cercando di cambiare il partito dal suo interno, finchè ciò sarà  possibile o mi sarà  concesso, come continuerò ad impegnarmi alacremente per la mia città .
In segno di protesta per quanto accaduto mi propongo di astenermi dal partecipare attivamente alle prossime primarie regionali.
Vi chiedo scusa, a tutti.
C’è un tempo per ogni cosa e il mio tempo da segretario di circolo è terminato.
Un fraterno saluto

Paolo Soccio
Ex segretario di circolo del PD di S. Marco in L.
Dirigente provinciale del PD di Capitanata.

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PERCHE’ RENZI DEVE ESSERE ESPULSO DAL PD: LO IMPONE IL CODICE ETICO DEL PARTITO DEMOCRATICO

Ottobre 31st, 2014 Riccardo Fucile

SE AVESSE ACCETTATO IN REGALO UN OROLOGIO DA 15.000 EURO E’ INCOMPATIBILE CON IL CODICE ETICO DEL PD

Ecco cosa dice il codice etico del Partito Democratico: il punto 6 è molto chiaro

I dirigenti, gli eletti, i componenti di governo e di giunte del Partito Democratico si impegnano a
3. rendicontare, con una relazione dettagliata, le somme impegnate individualmente o i contributi ricevuti da terzi e destinati all’attività  politica ovvero alle campagne elettorali o alle competizioni interne al partito;
4. astenersi dall’effettuare un uso strettamente personale dei beni e delle risorse messe a disposizione in ragione dell’incarico svolto. Astenersi, inoltre, dall’impiego ingiustificato di risorse per l’acquisto di beni e arredi destinati all’ufficio, sia esso istituzionale che di partito.
5. comunicare a (indicare l’organismo di riferimento) le tuazioni personali che possono evidenziare o produrre un conflitto di interessi o condizionare l’attività  del partito o che possono lederne l’immagine pubblica.
In particolare:
– la proprietà , la partecipazione, la gestione o l’amministrazione di società  ovvero di enti aventi fini di lucro;
– l’appartenenza ad associazioni, organizzazioni, comitati, gruppi di pressione che tutelino o perseguano interessi di natura finanziaria, nonchè i ruoli di rappresentanza o di responsabilità  eventualmente ricoperti ovvero il loro sostegno;
– l’appartenenza ad una associazione massonica (è da valutare l’ipotesi di divieto); – il rinvio a giudizio per un procedimento penale ovvero l’adozione, nei propri confronti, di una misura di prevenzione;
6. rifiutare, fuori dei casi di cui al punto 5, regali o altra utilità , che non si giustifichino con l’uso di cortesia, da parte di persone o soggetti con cui si sia in relazione a causa della funzione istituzionale o di partito svolta.

Se quindi Renzi avesse accettato un regalo del valore di 15.000 euro, come l’orologio Audemars Piguet Royal Oak, è automaticamente incompatibile con il Partito Democratico.

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TRASPARENZA VALE SOLO PER GLI ALTRI: RENZI NON SPIEGA L’ORIGINE DEL SUO OROLOGIO DA 15.000 EURO

Ottobre 31st, 2014 Riccardo Fucile

LA LEGGE VIETA AI DIPENDENTI PUBBLICI DI ACCETTARE REGALI, PERCHE’ AI POLITICI E’ PERMESSO?… IL CODICE ETICO DEL PD VIETA DI ACCETTARE DONI DI QUEL VALORE: FORSE PER QUESTO RENZI VUOLE CAMBIARE NOME AL PARTITO?

Mentre ci si interroga sull’orologio Audemars Piguet Royal Oak da 15mila euro sfoggiato dal premier Matteo Renzi, emerge l’ennesima anomalia italiana sulla trasparenza: per legge, i dipendenti pubblici non possono ricevere regali da soggetti che possono trarre benefici dalla loro funzione, mentre i politici sì.
Il nodo è rilevante perchè — se sono esatte le valutazioni circolate in base alle fotografie che ritraggono il premier con il cronografo al polso   — si pone una questione di opportunità .
Renzi lo ha ricevuto in regalo? E da chi?
Oppure se l’è comprato o lo ha avuto in dono nell’ambito della sua sfera privata? Ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto ufficialmente allo staff di Palazzo Chigi, anche via mail, dopo che fonti vicine al presidente del Consiglio — che preferiscono rimanere anonime -, avevano detto in via informale che si trattava di un dono della delegazione russa.
Al momento, però, non è arrivata nessuna risposta ufficiale.
Il professor Mattarella: la legge Severino parla molto dei dipendenti pubblici e poco dei politici. All’estero regole più severe
“In Italia non c’è alcuna norma che stabilisce limiti e divieti sui regali che parlamentari, consiglieri regionali e politici in generale possono ricevere” spiega il professor Bernando Mattarella, ordinario di Diritto amministrativo all’università  di Siena e docente della Scuola superiore della pubblica amministrazione.
Solo i dipendenti pubblici, in base a un codice di comportamento emanato per decreto, hanno il divieto assoluto di ricevere regali da soggetti che possono trarre benefici dall’ambito delle loro attività  d’ufficio e la possibilità  di accettare solo quelli di modico valore (inferiore a 150 euro) e nei limiti delle normali relazioni di cortesia o consuetudini internazionali. Nulla di tutto ciò esiste per chi siede invece sugli scranni del parlamento.
Una lacuna che la legge anticorruzione del 2012 non ha colmato.
“La legge Severino in generale parla molto di pubblici dipendenti e poco di politici” continua il professor Mattarella.
“E’ intervenuta sul codice di comportamento dei dipendenti pubblici che esiste dal ’94, ma non ha colmato la lacuna che riguarda i politici”.
Quindi tutto è lasciato alla buona volontà  dei partiti, che possono dotarsi di codici di autoregolamentazione.
Che il Pd, partito di cui Renzi è segretario, ha adottato nel suo codice etico, imponendo la regola “di rifiutare regali o altra utilità , che non siano d’uso o di cortesia, da parte di persone o soggetti con cui si sia in relazione a causa della funzione istituzionale o di partito svolta”.
La norma, insomma, pone il tema del conflitto di interessi, ma salva gli omaggi di modico valore.
Il codice etico del Pd impone di “rifiutare regali e altre utilità  per la funzione istituzionale o di partito svolta”
Come spesso accade in tema di trasparenza e anticorruzione, il nostro Paese rappresenta un’anomalia nel panorama europeo e non solo: “Nella maggior parte degli altri paesi occidentali esistono codici di comportamento anche per i parlamentari”, spiega ancora Mattarella.
“Così è per il Congresso degli Stati Uniti, per il Parlamento britannico e per altri paesi europei. Le norme che stabiliscono cosa si può accettare e cosa invece non si può accettare sono scritte chiaramente anche sui loro siti Internet”.
Nel 2010 il premier britannico David Cameron, su richiesta dell’opposizione, rese addirittura pubblica la lista integrale dei regali arrivati a Downing Street. Spuntò anche una serie di cravatte Marinella in seta inviate da Silvio Berlusconi.
Ma per bersi un’ottima bottiglia di whisky   dono di Francis Rossi, frontman degli Status Quo, fu costretto a versare all’erario il controvalore in denaro.

Elena Ciccarello e Mario Portanova
(da “il Fatto Quotidiano“)

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SERRA, IL LEOPOLDINO DEI DEBITI ALTRUI E IL MONTE DEI PASCHI

Ottobre 31st, 2014 Riccardo Fucile

CON TEMPISMO PERFETTO APRE UNA FILIALE A MILANO PER IL RECUPERO DEI CREDITI PROBLEMATICI DELLE BANCHE E CHIEDE A RENZI UNA NORMA CHE LO FACILITI

Davide Serra oltre all’amicizia con Matteo Renzi ha un tempismo perfetto per gli affari.
Proprio quando Monte dei Paschi di Siena tenta di liberarsi di 1,2 miliardi di euro di crediti problematici — i cosiddetti non performing loan (Npl) — il finanziare residente a Londra dal 1995 decide di aprire una filiale a Milano del suo fondo speculativo Algebris per occuparsi proprio dei crediti problematici.
E visto che può vantare una buona confidenza con il premier, essendone anche un generoso finanziatore (Serra e la moglie hanno versato 175 mila euro alla fondazione Open, cassaforte dell’ascesa renziana), può suggerirgli di fare una leggina per velocizzare il recupero dei crediti non onorati dai clienti delle banche.
La proposta l’ha avanzata direttamente dalla Leopolda, dove Renzi gli aveva affidato il tavolo sul rilancio delle pmi in Italia.
Sostiene Serra che sia necessaria una “norma a costo zero” che permetta di ridurre i tempi di recupero dai sette attuali ai tre.
“La banca che ti ha finanziato perde automaticamente ogni anno il 10% perchè questo è quanto le costa in termini di liquidità  e sofferenza, in dieci anni una banca ci rimette tutto”.
Quindi “nel momento in cui uno non paga più, la banca è morta, dato che può sbagliare un prestito su 100. Una casa che magari valeva 100, le banche aspettano 8 anni, la vendono magari a 30. Poi arriva la Bce, ti fa l’esame della prostata e ti dice di chiudere”, chiaro riferimento a Mps, bocciata domenica dagli stress test.
Lui si dice pronto a rastrellare tutto, partendo con ogni probabilità  proprio da quel miliardo di Rocca Salimbeni, ma per farlo suggerisce a Renzi una legge che gli consenta di recuperare il credito.
Gli amici servono a questo: Monti per tentare di salvare Mps emise 4 miliardi di bond, ad aiutare Renzi arriva Serra.

Dav. Ve.
(da “il Fatto Quotidiano”)

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LAZIO, IL PD AFFIDA L’ARPA A FEDELI DI ALEMANNO IMPLICATI IN PARENTOPOLI

Ottobre 31st, 2014 Riccardo Fucile

PRIMA LA NOMINA DI LUPO, VICINO ALLA PRESTIGIACOMO, ORA SERGIO MARCHI E MARIA GRAZIA POMPA: IL PRIMO PROTAGONISTA ATTIVO DI ASSUNZIONI SOSPETTE ALL’ATAC, LA SECONDA “PROTETTA” DI FEGATELLI, ARRESTATO PER ASSOCIAZIONE A DELINQUERE

E il Pd targato Zingaretti affidò l’Ambiente al centrodestra.
Due settimane fa la nomina del direttore generale dell’Arpa: Marco Lupo, uomo di fiducia di Stefania Prestigiacomo, ex consulente della ministra alle Pari opportunità . Ora arrivano le nomine dei vicedirettori Arpa: Sergio Marchi e Maria Grazia Pompa. Prima di descrivere i nuovi vertici dell’Agenzia che vigilerà  sull’ambiente, è il caso di ricordare quali interessi sono in ballo a partire dai prossimi mesi.
Ne citiamo soltanto alcuni: la centrale termoelettrica a carbone dell’Enel e la Turbogas di Civitavecchia della società  Tirreno Power del gruppo Sorgenia, che appartiene alla famiglia De Benedetti.
E ancora: la Turbogas di Aprila, sempre del gruppo Sorgenia.
Poi l’inceneritore di Malagrotta, di Manlio Cerroni i gassificatori di Colleferro e San Vittore, i progetti sulle centrali a Biomasse nella provincia di Frosinone.
Ora, con le scelte firmate Zingaretti, chi guiderà  l’agenzia che dovrà  rilasciare, verificare e controllare le autorizzazioni ambientali di tutti gli impianti industriali?
L’ex assessore silurato da Alemanno
Sergio Marchi è stato assessore ai trasporti, al Comune di Roma, della Giunta Alemanno. Viene sostituito nel 2011 quando scoppia il caso “Parentopoli“ Atac che porta la procura di Roma a indagare su otto persone per 49 assunzioni sospette.
Tra parenti, mogli, fidanzate, amici e amici degli amici, l’Azienda per la mobilità  del Comune di Roma era diventata un vero e proprio postificio.
Marchi, seppur non coinvolto nell’inchiesta, è stato tra i più attivi nel sistema di assegnazioni pilotate dei posti di lavoro: tra gli assunti ci finiscono anche la sua fidanzata, la segretaria particolare, la figlia di quest’ultima.
Di Sergio Marchi parla il suo collega Marco Visconti, assessore all’Ambiente del Comune che finirà  indagato nell’inchiesta, in un’intercettazione telefonica definita dai pm, negli atti, una vera e propria ammissione.
“Se ne sistemi 12 sei un cretino”
Visconti parla al telefono con il consigliere Francesco Maria Orsi. Commentano il caso Atac. I due discutono sull’opportunità  di Marchi, che non sarà  mai indagato — di consegnare la delega ai Trasporti: “Cioè, se tu assessore — dice Visconti a Orsi — te metti 10 o 12 persone tutte da anni riconducibili a te, e te le sistemi tutte, sei un deficiente, punto”. Non resta altra scelta — dice Visconti — che le dimissioni, “Come scoppia ‘sta cosa, t’hanno scoperto er culo, vai dal Sindaco e rassegni le dimissioni e la pratica si chiude…”. Marchi viene poi allontanato da Alemanno, ma non cade nell’oblio.
Sempre in sella
Il tempo di calmare le acque e per lui c’è una nuova poltrona come capo segreteria di Isabella Rauti, componente dell’ufficio di Presidenza del consiglio regionale del Lazio e moglie del sindaco.
Posto che Marchi conserva fino alla fine della legislatura Polverini.
Il Pdl lo ricandida alla Presidenza del I municipio di Roma nell’elezioni del 2013 ma perde al ballottaggio con la sfidante del Pd, Sabrina Alfonsi. Ora per lui la nomina di Zingaretti a vicedirettore Arpa Lazio con uno stipendio di 120 mila euro all’anno. L’altro vice direttore, che affiancherà  Marchi e il direttore Marco Lupo, è Maria Grazia Pompa per la quale è previsto uno stipendio analogo a quello di Marchi.
Chi è Maria Grazia Pompa? Lo scopriamo dalle carte di un’inchiesta in cui, è bene precisare, non è indagata.
La “protetta”
Viene descritta come la “protetta” di Raniero De Filippis e Luca Fegatelli, funzionari della Regione Lazio, arrestati a gennaio scorso, per associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti e truffa insieme con Manlio Cerroni, patron della discarica di Malagrotta e altre cinque persone.
Pompa — si legge negli atti — prende il posto di Riccardo Ascenzo, alla direzione dell’area rifiuti, proprio per volontà  dei suoi protettori. Il punto è che Ascenzo sta creando parecchi problemi a Cerroni: per l’accusa, infatti, Ascenzo “mette il dito nella piaga” nel sistema delle tariffe dei rifiuti.
E al suo posto arriva Maria Grazia Pompa, la “protetta” di Fegatelli, accusato d’aver consentito alle società  del Gruppo Cerroni di “confezionare la tariffa in relazione alle proprie esigenze”.
Il Gip Massimo Battistini scrive: “Appare evidente la correità  dei funzionari regionali al gruppo criminale, e segnatamente dei soggetti che operano in sottordine rispetto al Fegatelli: Maria Grazia Pompa e Manuela Manetti — non indagate, ndr — firmatarie di molte note”.
Quella strana diffida
Nella fase conclusiva della giunta Polverini, a febbraio 2013, Pompa diffida il Gse (Gestore dei servizi energetici) a stipulare la convenzione definitiva con il consorzio Co.E.Ma — di Cerroni, Acea e Ama — per la realizzazione dell’inceneritore ad Albano Laziale.
Un passaggio fondamentale, che avrebbe consentito alla cordata di ottenere lo sblocco di 500 milioni di euro di incentivi per costruire.
Ma c’è un piccolo dettaglio, del quale, Pompa, pare non accorgersi: l’ordinanza che autorizza la costruzione dell’impianto è illegittima.
E infatti, proprio per questo motivo, il Gse si rifiuta di sottoscrivere la convenzione. Non era un “dettaglio” difficile da conoscere: Pietro Marrazzo, ex governatore e commissario straordinario per l’emergenza rifiuti, emanò l’ordinanza soltanto dopo aver cessato i suoi poteri di commissario.
L’atto fu bocciato prima da una sentenza del Tar, nel 2010, poi dal Consiglio di Stato, nel 2012.
Ma nel 2013 la Pompa diffida comunque il Gse a stipulare la convenzione con Cerroni. A sollevare il caso è stato il comitato no Inc di Albano Laziale che ha presentato in procura una denuncia nei confronti dei dirigenti dell’area rifiuti della Regione.
IlFattoQuotidiano.it ha contattato l’ufficio stampa del Governatore Zingaretti che senza entrare nello specifico della vicenda spiega che, i vice direttori nominati dal Presidente del Lazio, previsti nell’atto istitutivo dell’Arpa “sono frutto d’intese condivise all’interno dell’Assemblea regionale, per garantire il pluralismo delle forze politiche presenti”.

Loredana Di Cesare
(da “il Fatto Quotidiano“)

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CONTRO L’EUROPA DEI “CATTIVONI”, VOILA’ IL MINISTRO DEGLI ESTERI GENTILONI

Ottobre 31st, 2014 Riccardo Fucile

EX PORTAVOCE DI RUTELLI, E’ STATO MINISTRO DELLE COMUNICAZIONI NEL GOVERNO PRODI: COMPETENZA AGLI ESTERI ZERO… L’INDAGATO FARAONE SOTTOSEGRETARIO INSIEME A PAOLA DE MICHELI

Paolo Gentiloni è il nuovo ministro degli Esteri. Secondo fonti interne alla maggioranza, il nuovo responsabile della Farnesina giurerà  al Quirinale già  nel pomeriggio.
L’esponente del Pd sostituisce Federica Mogherini che da domani ricoprirà  l’incarico di Alto rappresentante Ue per la Politica Estera e la Sicurezza. Romano, classe ’54, politico di lungo corso e giornalista professionista, Gentiloni fa parte della Commissione Esteri ed è presidente della sezione Italia-Stati Uniti dell’Unione Interparlamentare.
Componente della direzione nazionale del Pd, laureato in Scienze Politiche, negli anni ’90 è stato portavoce di Francesco Rutelli quando questi era sindaco di Roma.
Nella capitale Gentiloni è stato anche assessore al Turismo e al Giubileo.
Entrato in Parlamento nel 2001 con la Margherita (a quell’epoca era coordinatore della campagna elettorale dell’Ulivo), nel 2005 è presidente della Commissione di vigilanza Rai e nel 2006 Romano Prodi lo nomina ministro delle Comunicazioni.
Già  fondatore della Margherita, nel 2007 è tra i 45 esponenti Comitato promotore del Partito Democratico.
Nel 2012 si candida alle primarie del Pd per il candidato sindaco di Roma, ma arriva terzo alle spalle di David Sassoli e Ignazio Marino. Renziano di ferro, i primi passi di Paolo Gentiloni in politica sono stati quelli da militante nel Partito di Unità  Proletaria per il comunismo.
“Una decisione maturata nelle ultimissime ore. Ancora ieri sera non ne sapeva nulla, la decisione è arrivata in mattinata, in queste ultime ore”: così amici e collaboratori di Gentiloni commentano l’annuncio della sua nomina.
Tra i tanti messaggi di auguri diretti al nuovo numero uno della Farnesina, da segnalare quello di Lapo Pistelli, che nelle ultime ore era dato tra i papabili successori di Federica Mogherini prima che — fanno sapere fonti interne al Pd — sul suo nome arrivasse il veto di Matteo Renzi.
“Auguri a Paolo Gentiloni, nuovo ministro degli Esteri” ha scritto il viceministro su Twitter.
Anche Lia Quartapelle, altro nome circolato come possibile ministro degli Esteri, ha scritto sul popolare social network per complimentarsi: “Buon lavoro a Paolo Gentiloni, ha il profilo politico giusto per fare la politica estera del nostro Paese”.
Non solo auguri, però. Molte anche le critiche per la scelta di Renzi e Napolitano.
La prima in ordine di tempo arriva dal Movimento 5 Stelle: “#Gentiloni agli #Esteri. 4 volte deputato, ex ministro Comunicazioni che non ha mai toccato #conflittodinteressi. #Renzi sceglie l’usato sicuro” scrive su Twitter, il deputato del M5S Riccardo Fraccaro.
Quella di Gentiloni, tuttavia, non è l’unica nomina di giornata.
Davide Faraone e Paola De Micheli, infatti, sono i due nomi scelti per ricoprire rispettivamente il ruolo di sottosegretario all’Istruzione e all’Economia nel governo Renzi.
Le due nomine si erano rese necessarie dopo che Roberto Reggi e Giovanni Legnini avevano lasciato l’Istruzione e l’Economia per andare, rispettivamente, al Demanio e al Csm.
Una nomina, quella di Faraone, destinata a far discutere.
L’ex esponente della segreteria del Pd (e ora responsabile nazionale di Welfare e Scuola del partito), infatti, è indagato in Sicilia per le spese pazze insieme ad altri 83 consiglieri regionali.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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