Novembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
ANNULLATA LA VISITA SENZA UNA MOTIVAZIONE UFFICALE: LO ASPETTAVANO I COMITATI CIVICI “NO RENZI”… STAVOLTA NON AVREBBE POTUTO SOSTENERE CHE SI TRATTAVA DEI SINDACATI CATTIVI
A Napoli il 7 novembre è cerchiato di rosso sul calendario, inutilmente.
Venerdì era in programma la visita del presidente del Consiglio Matteo Renzi: il premier l’aveva annunciato il 14 agosto scorso nel suo tour nel Sud Italia quando cercò di portare un po’ del suo ottimismo: gli toccarono invece piccole contestazioni a Napoli, un sit-in davanti alla Prefettura di Reggio Calabria, gli operai dell’Eni a Gela, altre piccole manifestazioni a Termini Imerese.
Un Meridione amaro per il premier, ma che non lo scoraggiò dal fare nuovi annunci.
In particolare promise di ritornare a Napoli e a Bagnoli: “Torneremo il 7 novembre per fare il punto sulla situazione, saremo a Napoli e al Sud per continuare il nostro lavoro”. Promessa mancata perchè, confermano da Palazzo Chigi, il premier non tornerà per il momento nella città partenopea.
Dalla presidenza del Consiglio non è arrivata nessuna spiegazione sul perchè Renzi abbia dato forfait.
Certo è che in molti aspettavano la visita del premier, soprattutto per fargli presente che a Napoli il capitolo “Bagnoli” contenuto nello Sblocca-Italia (in Parlamento in attesa della conversione in legge) non è molto ben visto.
La rete dei movimenti civici e sociali campana, centri sociali e gruppi ambientalisti erano già pronti alla mobilitazione, cortei e manifestazioni già in programmazione, la contestazione dietro l’angolo.
Nel decreto infatti è previsto il commissariamento dell’area ex Italsider: “Come è noto nell’articolo 33 di detto decreto è previsto l’esautoramento autoritario dell’ente Comune dalla gestione dei suoli riguardanti il futuro urbanistico/territoriale di Bagnoli e l’imposizione di un (ennesimo) Commissario governativo che potrà operare in spregio a tutte le norme generali di tutela ambientale e fuori dai vincoli contenuti nel vigente Piano Regolatore”, scrivono i comitati.
“Una riproposizione, quindi, della logica del commissariamento che proprio a Napoli ed in Campania ha prodotto, in diversi comparti, enormi disastri ed una profonda involuzione autoritaria nella ordinaria legislazione”.
Tradotto, la paura di cittadini e associazioni è che, con il commissariamento, si continui a incidere negativamente su un territorio già storicamente vessato dalla sconsideratezza industriale, in spregio alle norme che tutelano il territorio. Ben 160 sono le associazioni che si sono organizzate per protestare contro il presidente del Consiglio e il decreto Sblocca Italia, e che in rete sono confluite sotto l’hashtag #7Novembre
Nessuna motivazione ufficiale, ma c’è chi non impiega molto ad annodare i due fili, quelli del corteo anti-Renzi e dell’annullamento della visita.
Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris parla di “tradimento” del premier: “Il presidente Renzi ha tradito Napoli dal punto di vista istituzionale, ha tradito la città e il suo sindaco che lo scorso 14 agosto aveva firmato un accordo che il presidente si è rimangiato”. Secondo il primo cittadino di Napoli, tuttavia, c’è ancora tempo “per rimediare”.
Per ora, di certo, c’è solo la promessa mancata del premier.
E la fuga da vile di fronte agli impegni presi.
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Novembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
PRIMA RENZI GLI FREGA 100 MILIONI, POI DI FRONTE ALLA VERGOGNA PLANETARIA DEVE RESTITUISCE LA REFURTIVA
Non si accontentano di “docce gelate”. Vogliono più fondi per la disabilità . 
E alla fine dopo una lunga protesta davanti al ministero dell’Economia, a Roma, i malati di Sla e di altre patologie gravissime hanno ottenuto l’impegno del governo ad aumentare il Fondo per la non autosufficienza, tagliato nella prima versione della legge di Stabilità a 250 milioni.
Verranno ripristinati 100 milioni di euro.
La protesta.
Questa mattina si sono riuniti in carrozzina e con il respiratore in via XX Settembre. Ricordavano con alcune foto Raffaele Pennacchio del Comitato 16 Novembre, che poco più di un anno fa, era il 24 ottobre 2013, morì dopo una giornata di protesta sotto il Mef. Una loro delegazione è stata ricevuta nel primo pomeriggio dal segretario di Stato alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio che li ha rassicurati sul ripristino dei 100 milioni con la speranza di riportare il Fondo da 350 a 400 milioni.
E su Twitter ha scritto: “Ho incontrato i rappresentanti del presidio Sla. Impegno del governo per non autosufficienza”.
Parole confermate poco dopo con un comunicato di Palazzo Chigi: “L’impegno assunto dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per le politiche sociali e la disabilità si concretizza oggi con la strutturazione del Fondo non autosufficienza nella legge di bilancio, la sua implementazione a 400 milioni”.
Con la faccia che si ritrova, prima taglia il fondo di 100 milioni, poi rimette la refurtiva come se fosse passato di lì per caso.
Il sit-in va avanti.
Un risultato positivo per Mariangela Lamanna, vicepresidente del Comitato 16 novembre Onlus che però non abbassa la guardia. Perchè i malati gravi vorrebbero di più: un impegno per un milione di euro.
“C’è l’impegno del governo a riportare a 350 milioni di euro il fondo per la non autosufficienza e ad avviare un tavolo di concertazione con i tre ministeri coinvolti, per la realizzazione di un piano serio per la non autosufficienza, con la supervisione della presidenza del Consiglio dei ministri. Tuttavia non ci riteniamo soddisfatti e il presidio continuerà – ha detto Lamanna – . Crediamo che si possa fare qualcosa in più per aumentare il fondo”.
Una richiesta che campeggia anche su uno striscione esposto davanti al ministero dell’Economia: “Renzi basta docce gelate, un miliardo per il fondo per la non autosufficienza”.
Un riferimento alla campagna per raccogliere fondi per la Sla, alla quale il premier aveva aderito quest’estate, versandosi un secchio d’acqua gelata in testa.
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Novembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
ECCO LA LETTERA APERTA CON CUI UN AGENTE DELLA QUESTURA DI BOLOGNA SI RIVOLGE AI PARENTI DEL RAGAZZO MORTO
Servo lo Stato da 26 anni soltanto grazie a un prudente disincanto che mi permette ancora di sopravvivere tra le pieghe di quel medesimo nulla costituito per lo più da ingiustizie, bugie, miserie umane, silenzi, paure, sofferenze.
Oggi intendo rompere quel silenzio cui si è condannati quasi contrattualmente da regolamenti di servizio che impongono e mitizzano l’obbedire tacendo, perchè le parole pronunciate dal Segretario nazionale del Sap all’esito della pronuncia di assoluzione non restino consegnate anch’esse al fenomeno di cui sopra.
Il diritto di parola consentito al Segretario nazionale del Sap gli ha permesso di esprimere ”La piena soddisfazione per l’assoluzione di tutti gli imputati ” con una disinvoltura che abitualmente può trovare applicazione esclusivamente in uno stadio dove l’unica forma di dolore può derivare abitualmente da un goal mancato e non già dalla morte violenta di un giovane celebrata in un’aula di Giustizia.
“Bisogna finirla in questo Paese di scaricare sui servitori dello Stato la responsabilità dei singoli, di chi abusa di alcol e droghe, di chi vive al limite della legalità . Se uno ha disprezzo della condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze” .
Queste parole, in un contesto democratico che ne apprezzasse il loro peso, sortirebbero reazioni, conseguenze, interrogativi e dibattiti sul loro senso, sull’utilità e gli effetti di questa allegra scampagnata lessicale sul dolore di una famiglia nonchè una minima inchiesta semantica sul concetto di vita dissoluta e al limite della legalità .
Sarebbe da attendersi dal Segretario la spiegazione su quanto realmente produca paura in questo Paese e se l’abuso di alcol e droghe sia causa di morte per lesioni e se vi sia qualcosa di più dissoluto di un diritto calpestato.
Andrebbe preteso che ci chiarisse se quelle parole siano rappresentative di tutto l’universo della Polizia o invece siano la personale interpretazione di un dramma o la recensione di un abominio.
E ancora gli andrebbe richiesto se il silenzio seguito alle sue parole sia l’indicatore di un Paese dove domina sul diritto l’incertezza, sulla complessità della vita l’omologazione, sui drammi umani l’assenza di indignazione e l’ignavia.
Per questo chiedo scusa alla famiglia Cucchi per questo oltraggio infinito, per questa deriva che non può rappresentare la totalità degli appartenenti alle forze di polizia neppure quelli a cui per regolamento è precluso il diritto di indignarsi e di affrancarsi dalla convivenza col divieto di opinione .
Nel dubbio, semplicemente nel dubbio.
Francesco Nicito
agente della Questura di Bologna
(da “L’Espresso“)
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Novembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
DURA RISPOSTA DEL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE: “L’EUROPA MERITA RISPETTO: SE AVESSIMO DATO ASCOLTO AI BUROCRATI, IL GIUDIZIO SUL BILANCIO ITALIANO SAREBBE STATO BEN DIVERSO”
“Devo dire al mio caro amico Matteo Renzi che io non sono il capo di una banda di burocrati, forse lui
lo è. Io sono il presidente della Commissione Ue, istituzione che merita rispetto, non meno legittimata dei governi”.
Così Jean Claude Juncker, appena insediato alla presidenza del nuovo esecutivo europeo, ha risposto a una domanda del capogruppo del Ppe al Parlamento europeo Manfred Weber che gli chiedeva un commento alle parole del premier Matteo Renzi. Il quale, a margine dell’ultimo Consiglio europeo, ha attaccato “tecnocrazia e burocrazia di Bruxelles”.
“Se la Commissione avesse dato ascolto ai burocrati il giudizio sul bilancio italiano sarebbe stato molto diverso“, è stata la velenosa replica di Juncker.
Chiaro riferimento al via libera preventivo incassato il 29 ottobre dalla legge di Stabilità firmata da Renzi e dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
Insomma, uno scontro in piena regola.
E dire che, a cavallo della presentazione della manovra italiana, Juncker era considerato dal presidente del Consiglio una specie di asso nella manica.
L’uomo sulla cui sponda l’ex sindaco di Firenze pensava di poter contare per evitare la “bocciatura” minacciata dal predecessore Josè Manuel Barroso.
Con cui non sono mancate esplicite polemiche, ultima della lista quella seguita alla pubblicazione sul sito del Tesoro della lettera in cui l’allora commissario agli Affari economici Jirky Katainen (ora vicepresidente di Juncker) chiedeva chiarimenti su alcuni punti del piano di bilancio per il 2015.
Ora la situazione è ribaltata. Juncker risponde all’inquilino di Palazzo Chigi con evidente fastidio.
Pessimo preambolo nel giorno in cui la Commissione ha diffuso le nuove previsioni d’autunno, non buone per l’Italia, alla cui luce le manovre di bilancio dei Paesi membri saranno valutate in modo più approfondito.
E Katainen ha già avuto modo di spiegare che l’assenza di “deviazioni significative” dalle regole del Patto di stabilità non mette al riparo da eventuali richieste di “ulteriori misure o correzioni”.
Quanto al “forse lui lo è”, il rimando è all’apparente asse italo-britannico emerso durante l’ultimo dell’ultimo Consiglio Europeo, lo scorso 24 ottobre.
Quel giorno Renzi ha detto che il problema dell’Europa non sono gli extra-costi sul bilancio Ue ma, appunto, “la tecnocrazia e la burocrazia”.
Poco prima il capo del governo italiano era stato citato dal premier britannico David Cameron, che gli aveva attribuito la definizione “arma letale” per indicare i 2,1 miliardi in più richiesti da Bruxelles al Regno Unito per l’aggiustamento del bilancio: “Cito la reazione del premier italiano quando queste cifre sono state presentate: ha detto che questo non è un numero, ma un’arma letale”.
Lo stesso Renzi poco dopo ha rettificato sostenendo di non aver mai parlato di “arma letale”. Ma il danno, evidentemente, era fatto.
Tornando all’oggi, a dare il la al nuovo numero uno della Commissione è stato Weber, che gli ha chiesto “cosa pensa del premier italiano che non vuole farsi dettare la linea dai tecnocrati di Bruxelles”.
Anticipando di ritenere “inaccettabile” quella posizione.
Da lì la replica piccata. Non prima che intervenisse anche Gianni Pittella, presidente del gruppo dei socialisti e democratici europei, che ha difeso l’esecutivo italiano dicendo che “quello che valgono sono le decisioni finali, non le espressioni che si usano”.
Juncker ha poi spiegato di essere “sempre stato convinto che i Consigli europei servano per risolvere i problemi, non per crearli. Personalmente prendo sempre appunti durante le riunioni, poi sento le dichiarazioni che vengono fatte fuori e spesso i due testi non coincidono”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
BERLUSCONI VUOLE TORNARE AL CENTRO DELLA SCENA E PUNTA A MODIFICARE LA SEVERINO ENTRO META’ 2015
Prendere in ostaggio la legge elettorale per costringere il governo a seppellire la legge Severino.
È il piano ad altissimo rischio che ha in mente Silvio Berlusconi.
Studiato a tavolino, nei dettagli, dopo aver individuato quello che ad Arcore considerano il punto debole del premier: «Matteo spiega il Cavaliere decaduto mi ha detto che vuole al più presto l’Italicum. Ne ha bisogno per frenare quelli di sinistra del Pd. Ecco, noi possiamo votare la legge elettorale solo se mi permetteranno di candidarmi ».
Non sarà facile, certo, ma è il leader di Forza Italia a suonare la carica dal rifugio brianzolo. «Altrimenti il patto del Nazareno non vale più».
Più o meno il messaggio fatto recapitare in queste ore al presidente del Consiglio.
Avesse la certezza, Berlusconi si accontenterebbe (si fa per dire) di un giudizio di incostituzionalità della legge Severino pronunciato dalla Corte costituzionale.
I tempi, però, sono prevedibilmente lunghi e l’ex premier ha fretta di tornare al centro della scena.
«Sono un perseguitato. Ho subito un’ingiustizia, bisogna cancellarla », ripete senza sosta agli amici di Ncd con i quali è rimasto in rapporti e che spera di ricondurre a casa.
Ecco allora l’idea, spregiudicata a dir poco: «Renzi tiene buoni i pochi comunisti rimasti nel Pd con la minaccia di tornare alle elezioni. Magari poi non si vota, ma serve a spaventarli. Per questo ha bisogno della legge elettorale ».
Proprio quella riforma che Berlusconi non è disposto a concedere senza ottenere in cambio un colpo di spugna della legge Severino.
È una partita a scacchi. È stato Berlusconi a iniziarla, chiedendo al partito di cavalcare le novità del Tar sul caso De Magistris.
«Cancellare la Severino deve diventare la nostra priorità — si è infuriato per i tempi di reazione troppo lenti — Sia chiaro a tutti che sono un martire ».
Ecco, il martirio deve diventare pubblico, invadendo via etere le case di tutti gli italiani. Preparato il terreno, toccherà al Parlamento intervenire.
C’è chi spera in un ricorso alla giunta per le elezioni del Senato, in modo da sollevare quella questione di legittimità costituzionale negata al momento della decadenza del leader.
Probabile, però, che si scelga la strada più semplice: «Ovvio che anche noi stiamo pensando all’opportunità di presentare una legge», assicura il capogruppo di FI al Senato, Paolo Romani.
Tuttavia la strada legislativa presenta dei rischi: «Se il governo modifica solo una parte della norma, potrebbe rallentare il giudizio della Corte costituzionale ».
E siccome «siamo convinti che la Severino sia completamente incostituzionale, stiamo ragionando per capire se convenga ».
Per spingere Palazzo Chigi ad assecondare le pulsioni “revisioniste” della norma anticorrotti, Forza Italia alza il tiro contro l’esecutivo.
Il Mattinale lo ammette candidamente: «La Severino è una trappola che ferisce la democrazia. Cosa aspetta Renzi a rimediare? Il Patto del Nazareno ha al suo primo punto la lealtà reciproca tra i due protagonisti».
Un avvertimento esplicito, senza giri di parole.
Parallelamente, va avanti la battaglia in sede continentale. «La retroattività della Severino è un sacrilegio si sgola Berlusconi — la Corte europea dei diritti dell’uomo mi darà ragione».
Saltasse la Severino, il leader di Arcore tornerebbe candidabile a partire dalla metà del 2015.
«Poniamo il caso che si vada a votare — è l’estrema sintesi di Ignazio Abrignani — Il centrodestra ha un leader che però non può correre. Se facciamo le primarie, chi candidiamo? Se invece salta la Severino cambia tutto. Possiamo solo sperare che lui torni in campo e gli permettano di giocarsela, come ha sempre fatto».
Certo, resterebbe il problema di ricostruire un partito allo sbando, lacerato dalla fronda di Raffaele Fitto e diviso in cento micro correnti territoriali.
Stanco, anzi «nauseato» — come ciclicamente gli accade osservando FI — ieri sera Berlusconi ha incontrato Deborah Bergamini, Giovanni Toti e Alessandro Cattaneo per dare il via all’operazione “101”.
Tanti saranno i giovani selezionati per sostituire la vecchia classe dirigente.
Volti freschi da mandare in tv. «Quelli che abbiamo adesso — è la sentenza del leader — sono un vero disastro».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Novembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
IN SCENA UN GRANDE CLASSICO DEI LEADER IN DIFFICOLTA’: I COMPLOTTI
“Poche ciance. Questa è un’altra Leopolda. Noi siamo al governo, io sono al governo”. 
Lo diceva così nell’intervento conclusivo della “sua” manifestazione, nella vecchia stazione industriale di Firenze, Matteo Renzi.
Ammettendo e quasi rivendicando il fatto che ci sia un Matteo prima e un Matteo dopo.
Un Matteo prima, rottamatore, con la battuta sempre pronta. E un Matteo dopo, col sorriso sghembo, più recriminatore che seduttivo. “E con chi dovevo trattare, con Dudù?”, si chiedeva l’allora segretario dem per giustificare l’accordo con Berlusconi, siglato nella sede del Pd.
“Il Patto del Nazareno è un atto parlamentare”, protesta l’attuale presidente del Consiglio, con tono serioso e severo.
C’era una volta il giovane premier, quello che le cronache glorificavano, a costo di sfidare il ridicolo.
Qualche giorno prima delle Europee, sul supplemento del Sole 24 Ore un pezzo raccontava del capo del governo che mangiava pizza a taglio a notte fonda a Palazzo Chigi, tra una riunione e l’altra, che si aggirava per le stanze scalzo e con i jeans stracciati.
E si favoleggiava di karaoke tra sottosegretari.
Il presidente ragazzino, che fuggiva la scorta per andare a giocare a calcetto, era già leggenda per la stampa italiana.
Lui forniva materiale continuo: ecco le slide, con tanto di pesciolino rosso, della prima conferenza stampa ufficiale a Palazzo Chigi; ecco il caffè nel villaggio di Sidi Bou Said con le giovani tunisine della primavera araba, sulle quali cercava di fare colpo a botte di francese maccheronico; eccolo intento a illustrare alla Merkel l’architettura di Berlino; eccolo, compiaciuto e quasi incredulo, accanto a Obama.
Presto, però, la leggenda in costruzione si è scontrata con la dura realtà .
E allora, eccolo, prima dell’estate, prendere a picconate l’intero Senato, reo di aver qualcosa da ridire sulla sua riforma costituzionale.
Ricatto contro ostruzionismo.
Eccolo promettere mari e monti per tutta l’estate sullo Sblocca Italia e la riforma della giustizia.
E poi, rispetto al ridimensionamento dei provvedimenti, provare l’arma di distrazione di massa: l’offerta del gelato ai giornalisti nel cortile di Palazzo Chigi.
Scena indimenticabile, con il premier intento a girare con un cono in mano, e nessuno che lo accetta. A guardarsi indietro, è proprio quello il momento in cui il film si incrina. Cambia verso.
A Ferrara, al Festival di Internazionale, gli tirano le uova in piazza. Nei suoi discorsi, tra i nemici, insieme ai gufi, ai rosiconi, ai professoroni, appaiono gli editorialisti.
Il 10 ottobre in Emilia Romagna il premier sembra più a suo agio mentre inaugura lo stabilimento della Philip Morris a Zola Predosa, che mentre apre la campagna elettorale per le regionali di Bonaccini a Medolla.
Imprese e industriali sono al top dei suoi pensieri. E delle sue “comparsate” pubbliche. Sul jobs act in Senato mette la fiducia e liquida così le resistenze: “Mi preoccupa la disoccupazione, non l’opposizione”.
Il gioco si fa sempre più duro. Silenzio del premier sull’alluvione a Genova. Silenzio sugli incidenti in piazza a Roma con gli operai picchiati. Silenzio su Stefano Cucchi. Se qualcosa non va, meglio non parlarne.
Ed evocare piani di destabilizzazione da parte di ignoti non ben identificati.
Arriva un grande classico dei leader in difficoltà , i complotti. Li ha fatti trapelare per giorni, Renzi. Poi ieri a Brescia li ha denunciati ad alta voce: “C’è un disegno per dividere l’Italia, usando il lavoro”.
L’eloquio diventa sempre più cupo. Le ombre s’addensano. Le accuse e i sospetti s’infittiscono, con l’“odore di massoneria” evocato da De Bortoli e i “poteri forti” tirati in ballo dalla Camusso.
Palazzo Chigi non è un pranzo di gala. Tra compromessi politici continui, economia che non riparte, riforme bloccate, favori obbligati alle lobby, corporazioni in ebollizione, Parlamento incompetente ma anche vendicativo, Renzi sembra un altro. Appesantito, solo e arrabbiato. “Ieri dicevano che eravamo ragazzini, oggi che siamo poteri forti. Facciamo paura, perchè hanno capito che questa è #lavoltabuona”, scriveva ieri su Twitter.
La paura, di certo, serpeggia.
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
L’UOMO DEL PATTO RINVIATO A GIUDIZIO: “MI SENTO PERSEGUITATO” PROCEDIMENTO ANCHE PER L’EX SOTTOSEGRETARIO COSENTINO
Secondo rinvio a giudizio per Denis Verdini.
Il gup di Roma, Paola Della Monica, ieri ha deciso di mandare a processo per corruzione l’ex coordinatore nazionale del Pdl, nonchè trait d’union tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi per la stesura del Patto del Nazareno.
A giudizio anche l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino con l’accusa di diffamazione e violenza privata mentre è stata stralciata la posizione di Marcello Dell’Utri, indagato come Verdini per corruzione, ma in attesa di estradizione dal Libano.
Infatti, nonostante sia già nel carcere di Parma a seguito della sentenza definitiva a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, Dell’Utri deve essere estradato per il procedimento specifico.
L’inchiesta è quella relativa alla cosiddetta P3 ideata, tra gli altri, dall’imprenditore Flavio Carboni.
Un’associazione segreta che aveva come obiettivo la realizzazione “di una serie indeterminata di delitti di corruzione, di abuso d’ufficio e di illecito finanziamento” oltre “a condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, nonchè gli apparati della Pubblica amministrazione dello Stato e di enti locali”.
A Verdini, in particolare, è contestato di aver fatto pressioni sulla Corte di Cassazione per anticipare l’udienza che doveva discutere il merito della misura cautelare emessa nei confronti di Nicola Cosentino; di aver tentato di influire sul giudizio della Consulta sulla costituzionalità del lodo Alfano e, infine, di aver interferito nei confronti del Csm affinchè venisse nominato presidente della Corte d’appello di Milano Alfonso Marra.
Cosentino è invece ritenuto responsabile di aver fatto pubblicare su un blog notizie false relative all’attuale presidente della Campania, Stefano Caldoro, per screditare l’allora candidato alle Regionali del 2010.
All’ex sottosegretario è contestato anche l’aver compiuto atti diretti a costringere Caldoro a rinunciare a partecipare alle elezioni.
La prima udienza è fissata per il 5 febbraio, mentre il processo a carico degli altri imputati nel filone principale, tra cui Carboni e l’ex giudice tributario Pasquale Lombardi, è già cominciato ormai da un anno e proseguirà il 10 novembre.
La posizione dei tre era stata stralciata in attesa della decisione della giunta per l’immunità che, per quanto riguarda Verdini, a fronte della richiesta della magistratura formulata il 21 aprile 2010, è stata autorizzata solamente nel marzo 2014.
“Mi sento perseguitato dalla magistratura” , ha detto ieri sera Verdini ad alcuni parlamentari che lo hanno contattato per esprimergli la loro solidarietà .
Da Gasparri a Fitto, mentre Berlusconi ha osservato un religioso silenzio.
Sul futuro di Verdini incombe del resto anche un altro processo che si aprirà il 21 aprile a Firenze.
Il gup del tribunale toscano Fabio Frangini lo ha rinviato a giudizio, insieme al parlamentare di Forza Italia Massimo Parisi, per associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato.
L’inchiesta è relativa alla gestione del Credito cooperativo fiorentino (Ccf) del quale Verdini è stato presidente fino al 2010.
Secondo le indagini preliminari, chiuse nell’ottobre 2011, finanziamenti e crediti milionari sarebbero stati concessi senza “garanzie”, sulla base di contratti preliminari di compravendite ritenute fittizie.
Soldi che venivano dati a “persone ritenute vicine” a Verdini stesso sulla base di “documentazione carente e in assenza di adeguata istruttoria”.
In totale il volume d’affari — ricostruito dai carabinieri dei Ros — sarebbe stato pari a “un importo di circa 100 milioni di euro” di finanziamenti deliberati dal Cda del Credito i cui membri, secondo la notifica della chiusura indagini “partecipavano all’associazione svolgendo il loro ruolo di consiglieri quali meri esecutori delle determinazioni del Verdini”.
Inoltre il coordinatore di Forza Italia è chiamato a rispondere dell’accusa di truffa ai danni dello Stato per i fondi per l’editoria, che avrebbe percepito illegittimamente per la pubblicazione di Il Giornale della Toscana: 20 milioni di euro.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“”)
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Novembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
VIDEO DI “GAZEBO” INCASTRA LA QUESTURA DI ROMA SUGLI INCIDENTI AL CORTEO AST…. “NON DOVEVAMO FARVI USCIRE DA QUI”: CHI DATO QUESTO ORDINE AL DIRIGENTE DELLA QUESTURA?
“Caricate, caricate” urla il funzionario di Polizia agli agenti antisommossa. 
L’ordine è inequivocabile come le immagini che seguono.
Gli agenti sfilano i manganelli e iniziano a colpire gli operai.
A dare un volto a chi, di fatto, ha ordinato la carica è il video girato da Diego Bianchi, alias Zoro, mandato in onda a Gazebo, programma di RaiTre.
Il corteo dei lavoratori della Ast-Tyssenkrupp, dall’ambasciata tedesca, pacificamente, si sta dirigendo verso il ministero dello Sviluppo economico dove era in programma l’incontro con il governo quando, in Piazza Indipendenza, viene caricato dalla polizia. Il sangue riga il viso dei lavoratori colpiti. Gianni Venturi cade a terra.
La carica non si arresta.
Maurizio Landini, mentre con le mani cerca di afferrare i manganelli urla:
“Smettetela, basta, siamo come voi ma che cazzo state facendo. Siamo gente come voi che lavora”.
Il funzionario, che aveva ordinato la carica con il telefono in mano si rivolge a Landini: “Aspetta, fammi chiamare, fammi chiamare, porca troia”.
Gli operai urlano: “Vergogna, vergogna, menate gli operai, stiamo qua perchè vogliamo lavorare”.
Landini che, nel parapiglia ha perduto gli occhiali, li calma: “Smettetela, non capite che cercano la provocazione?”.
Riappare il funzionario con il giubbetto di pelle marrone. Landini lo affronta: “Sei tu quello che ha dato l’ordine, perchè l’hai fatto?”.
E lui con tono duro reagisce: “Non sei tu che mi dai gli ordini, non dovevamo farvi uscire da qui”.
Ma invece di spiegare quale fosse l’ordine ricevuto usa il linguaggio dei manganelli: “Caricate, caricate!”.
Inizia la trattativa per poter continuare il corteo verso il ministero dello Sviluppo economico.
Il segretario nazionale della Fiom prende il megafono: “La prima cosa è che andremo al ministero, la seconda è che chiediamo un incontro con il ministro e il capo della Polizia perchè quello che è successo qui è inaccettabile. Siamo lavoratori come loro e non vogliamo avere scontri nè essere menati”.
Abbiamo cercato invano di contattare il questore, il capo di gabinetto e il capo della Polizia.
Una pagina buia della democrazia sulla quale è calato il silenzio istituzionale. “Capisco che il Prefetto di Roma sia impegnato ad annullare matrimoni ma potrebbe trovare un minuto per spiegare le nuove immagini sulla carica della polizia” commenta il presidente del Pd Matteo Orfini di fronte al video che “riapre la discussione sulla gestione della piazza”.
Intanto ieri Matteo Renzi a Brescia intervenendo all’assemblea annuale degli industriali ha trovato il tempo per visitare altre aziende ma, contrariamente a quanto si era impegnato a fare, non per ricevere i delegati Fiom che gli avevano inoltrato la richiesta il 27 ottobre.
I delegati della Iveco, Beretta, Cobo e Brandt Italia che ha licenziato 440 operai, autorizzati dalla Questura, si sono recati all’ingresso delle Officine Meccaniche Rezzatesi del presidente degli Industriali Marco Bonometti dove si trovava Renzi, ma dopo qualche ora di attesa hanno visto sfilare il corteo delle auto blu dirette all’aeroporto.
“È la seconda volta che Renzi viene a Brescia a incontrare gli industriali e non trova il tempo per ascoltare le nostre ragioni, è una vergogna” commenta Francesco Bertoli, segretario Fiom di Brescia.
Sandra Amurri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 4th, 2014 Riccardo Fucile
OTTO MESI A PALAZZO CHIGI TRA PROMESSE AL VENTO, LOGORREA SMODATA, ARROGANZA RANCOROSA, IGNORANZA E RISULTATI CATASTROFICI
Che nostalgia. Nostalgia del Renzi che vinceva — nel partito, nel paese e nelle urne (europee) — promettendo più democrazia, più pulizia, più trasparenza e più partecipazione per uscire insieme dalla crisi.
Nostalgia del Renzi che non cercava scuse nè alibi e si assumeva preventivamente ogni responsabilità : “Se falliremo, sarà soltanto colpa mia”.
Otto mesi a Palazzo Chigi sono bastati a trasformarlo nel suo contrario: izneR oettaM, l’Ogm di se stesso, una via di mezzo fra un ducetto e una macchietta che ogni giorno si fa nuovi nemici e, se non li trova, se li inventa.
Il tutto per cercare di frenare una crisi di consensi che comincia a notarsi pure nei sondaggi, conseguenza inevitabile di promesse al vento, logorrea smodata, arroganza rancorosa, ignoranza al potere e risultati catastrofici.
La notte delle Europee, quelle del suo 40,8%, mi capitò di dire in collegamento con La7 che gli italiani avevano trovato il nuovo “uomo solo al comando”. Ora lo scrive anche Scalfari.
E Renzi, come sempre gli capita dinanzi a quei rari giornalisti non genuflessi, ha subito preso cappello: “Qui non c’è un uomo solo al comando, c’è un intero Paese che vuol cambiare”.
Il che è vero, ma sul modo di cambiare e sul concetto di intero Paese bisognerebbe intendersi.
L’intero paese non è il 40,8% dei votanti, specie in un’elezione europea dove vota appena il 57,2% degli aventi diritto.
Se gli regalassero un pallottoliere, Renzi scoprirebbe che anche nel suo momento di massimo consenso — fine maggio — ha preso meno voti di Veltroni nel 2008, quando il Pd sconfitto da B. totalizzò il 33,2.
Da allora è riuscito a sfanculare o inimicarsi sindacati, magistrati, costituzionalisti, senatori, deputati, mezzo Pd, lavoratori dipendenti, statali e privati, precari o fissi, l’Economist e persino un imprenditore come Della Valle.
Infatti ora, prima di visitare una fabbrica, deve farla svuotare di tutti gli operai e portarsi appresso la forza pubblica armata di manganelli.
Gli unici che l’applaudono sono — oltre ai maggiordomi e alle veline leopolde — Marchionne, Squinzi, Berlusconi e Verdini.
Governa con piglio ducesco come se avesse una maggioranza oceanica, mentre senza il premio incostituzionale del Porcellum non avrebbe i numeri al Senato e neppure alla Camera.
E anche sommando le percentuali delle elezioni europee, Pd, Ncd e quel che resta dei montiani, la coalizione di governo arriva al 46,4%, ben al di sotto della maggioranza.
Numeri che dovrebbero suggerire estrema cautela: invece lui riforma la Costituzione e commissaria il Parlamento a botte di decreti da convertire subito, senza fiatare, piaccia o non piaccia, o mangi ‘sta minestra o voli dalla finestra, con continue fiducie (la prossima è sul Jobs Act), fra gli applausi del presunto garante della Costituzione Giorgio Napolitano.
Sotto la minaccia di non essere ricandidati e dunque di doversi trovare un lavoro, malpancisti e oppositori interni gli votano tutto.
Forza Italia fa l’opposizione di Sua Maestà e, nel 90-95% dei casi, vota col governo.
Eppure l’uomo solo al comando, che nel Paese non rappresenta neppure la metà dei cittadini ma nel Palazzo fa il bello e il cattivo tempo senza incontrare ostacoli, continua a dipingersi come il piccolo fiammiferaio solo contro tutti.
Ieri s’è inventato l’ultimo complotto: “C’è un disegno per dividere il mondo del lavoro, per fare del lavoro il luogo dello scontro. Vogliono contestare il governo? Cambiare il presidente del Consiglio? Lo facciano, ma non usino il mondo del lavoro come un campo di gioco di una partita politica, sfruttando il dolore dei disoccupati”. Verissimo: l’Italia la sta spaccando qualcuno che definisce i licenziamenti “un diritto degli imprenditori”, ospita alla Leopolda un finanziere che vuole levare il diritto di sciopero ai dipendenti pubblici, giurava che l’articolo 18 non era un problema e poi lo abolisce, si circonda di evasori e corruttori e non muove un dito contro l’evasione e la corruzione, tratta B. e Verdini coi guanti di velluto e Camusso e Landini a pesci in faccia.
Solo che quel qualcuno è il suo nuovo lui: izneR oettaM.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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