Novembre 8th, 2014 Riccardo Fucile
RICORDI CONTRASTANTI TRA I CARABINIERI CHE PORTARONO STEFANO IN TRIBUNALE… DOPO L’ESPOSTO DELLA FAMIGLIA, APERTA L’INDAGINE SUL MEDICO DELLA PROCURA
“Abbiamo consegnato i due albanesi a una guardia penitenziaria e insieme, lui e noi tre, ci siamo recati a
portarli ognuno nella sua cella. Contemporaneamente i due colleghi delle pattuglie di zona hanno accompagnato il Cucchi, con un’altra o la stessa guardia penitenziaria, presso un’altra cella. Io ho visto entrare Cucchi in questa cella che era situata più o meno a metà del corridoio”.
Questo dichiara ai pm il 7 novembre 2009, circa 15 giorni dopo la morte di Stefano Cucchi, il carabiniere Francesco Tedesco, in servizio all’epoca presso la stazione di Roma Appia.
È uno dei militari che lo hanno arrestato la notte tra il 15 e il 16 ottobre, mentre il ragazzo spacciava hashish e cocaina nel Parco degli Acquedotti.
Insieme con lui, quella notte e poi nei sotterranei di piazzale Clodio la mattina dopo, c’è anche il collega Gabriele Aristodemo.
Eppure la versione di quest’ultimo della “consegna” dell’arrestato è molto differente. Sentito anch’egli come persona informata sui fatti, ai pm dichiara: “Intorno alle 9.40 io e il carabiniere Tedesco abbiamo consegnato alla polizia penitenziaria i due arrestati albanesi e immediatamente dopo i due colleghi della pattuglia Casilina hanno fatto lo stesso con Cucchi. Più precisamente davamo i nominativi degli arrestati allo sportello dove era presente un appartenente alla penitenziaria. Nell’ufficio c’era anche un altro appartenente alla P. P. mentre altre due guardie provvedevano materialmente a prendere gli arrestati e a portarli nelle rispettive celle. Non so se ognuno dei tre arrestati sia andato in una cella singola perchè dal punto dove mi trovavo non si riescono a vedere le celle”.
Chi ha accompagnato Stefano Cucchi in cella, i carabinieri o la penitenziaria? E perchè uno dei due militari vede la cella e l’altro no
Non è l’inica contraddizione che emerge dai verbali di assunzione di informazioni, su cui adesso la famiglia Cucchi si augura che il procuratore Pignatone possa far luce. Tedesco preleva Cucchi per portarlo dalla cella dei sotterranei all’aula 17 “senza le manette”; Aristodemo sostiene invece di averlo preso, insieme a Tedesco, “con le manette”.
C’è poi un elemento sul quale non solo hanno ricordi differenti, ma sono stati entrambi smentiti dai reperti.
Tedesco parla dei pantaloni che indossava Stefano come di jeans “molto trasandati, piuttosto sporchi e forse avevano qualche taglio”.
Aristodemo conferma il “taglio all’altezza della coscia destra”, ma non ricorda “di aver visto nè particolari macchie nè particolari rotture”.
La foto dei jeans di Stefano, che questo giornale ha già pubblicato, evidenzia come sul tavolo dell’obitorio le uniche macchie presenti fossero quelle di sangue e che non era presente alcun taglio, a eccezione dei buchi eseguiti dai periti per le analisi.
Entrambi i carabinieri sostengono che il ragazzo camminava normalmente, ma l’agente penitenziario Nicola Minichini che lo prende in consegna subito dopo l’udienza di convalida ha detto invece al Fatto di averlo visto camminare con fatica. C’è poi un particolare, nel racconto di Tedesco, che stride con la registrazione di quel giorno e con la testimonianza del padre Giovanni: il militare afferma che Cucchi “ha parlato tranquillamente al giudice” e ha “salutato tranquillamente il padre”.
Nell’audio dell’udienza si sente chiaramente il ragazzo affermare: “Mi scusi, signor giudice, ma non riesco a parlare bene”. E sappiamo quanto teso fu l’abbraccio tra Giovanni e Stefano: “Papà , ma lo vuoi capire che m’hanno incastrato? ”. Incongruenze, però, che evidentemente la Procura di Roma non ha ritenuto determinanti ai fini delle indagini.
Ieri il procuratore capo, Giuseppe Pignatone, ha aperto un fascicolo “atti relativi”, cioè senza indagati e senza ipotesi di reato, dopo la denuncia presentata dalla famiglia Cucchi contro il perito Paolo Arbarello, consulente dei pm accusato di aver redatto una falsa perizia sulla morte di Stefano.
Il professore sta valutando in queste ore se querelare Ilaria Cucchi. E la stessa sorella del ragazzo ha nuovamente incontrato Pignatone, che terraÌ€ per seÌ€ il fascicolo: “Non eÌ€ stato tempo perso”, ha detto stavolta Ilaria.
Silvia D’Onghia
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 8th, 2014 Riccardo Fucile
CONFALONIERI LO CHIAMA: “NON ROMPERE”
È nel corso di una lunga e anche tesa telefonata con Confalonieri che Silvio Berlusconi si convince a dire “sì” a Renzi sulla nuova legge elettorale.
Lo dirà al premier domani, quando è previsto un colloquio a distanza.
Per il presidente di Mediaset la vera posta in gioco è troppo alta per fare scherzi. Vale un sacrificio. È il Great game del Quirinale.
Nei tavoli che contano dell’Impero berlusconiano gli articoli di oggi su Repubblica e Fatto in relazione alla “stanchezza” del capo dello Stato vengono letti con allarme: “Sta facendo trapelare che vuole mollare per accelerare l’approvazione della nuova legge elettorale e organizzare la successione ordinata. Conoscendo Napolitano, non si dimette al buio, senza la nuova legge elettorale, ma il fatto che sia scritto senza smentita significa ‘fate presto’”.
Ed è proprio la successione a Napolitano il terreno su cui Berlusconi si aspetta da Renzi di essere “ricompensato” per il sacrificio sulle legge elettorale. Già , sacrificio. In queste ore si sta trattando di soglie e tecnicalità varie.
Assodato il premio alla lista, e assodata pure la soglia di sbarramento del 5 per cento, si discute di un listino “modello toscano” per avere una quota di nominati.
Modifiche importanti, ma che non cambiano il senso del “prezzo” che il Cavaliere si è deciso a pagare.
Ovvero una legge elettorale che mette, nero su bianco, la sua sconfitta elettorale: “Con questa legge — dicono nella cerchia ristretta – arriviamo terzi”. È la resa.
E una formidabile arma nelle mani di Renzi, per piegare i suoi.
Resa in cambio di “centralità ” politica, di “presentabilità ”, che consiste nello stare ancora nel gioco che conta sulla successione di Napolitano.
Tutelando, stando nel gioco che conta, l’Impero in difficoltà . A Berlusconi lo ricorda Confalonieri nel corso di un colloquio così schietto da suonare ruvido. E non solo il presidente di Mediaset.
Tutti i vertici dell’Impero negli ultimi giorni si sono messi a parlare con Gianni Letta e Denis Verdini, per spingere a un accordo “filo-governativo”.
Quello che pensano lo fa intendere in un tweet Daniela Santanchè, vicinissima al potente senatore toscano.
Succede che, per molti, Berlusconi ha solo da perdere passando da “padre della patria” di nuovo a Caimano, nell’era di Cesano Boscone.
Finora, sarà un caso, ma da quando c’è il Nazareno piovono assoluzioni in famiglia: è successo su Ruby al Cavaliere, è successo a Confalonieri e Pier Silvio su Mediatrade. Finora, sarà un caso, ma da quando c’è il Nazareno nessuno si è sognato di mettere in discussione questo assetto televisivo.
Mediaset perde colpi, perde pubblicità , e sarebbe fatale se Renzi mettesse mano alle regole, magari privatizzando (anche in parte) la Rai, spalancando la concorrenza a Mediaset.
Il Colle c’entra con tutto questo, eccome. Berlusconi ha toccato con mano che è il crocevia dei destini italiani.
Starne fuori può far male assai: “Nel Nazareno — dice un azzurro vicino al dossier – c’è l’elezione assieme del successore. Renzi ha sempre detto che lo elegge con noi. Se rompiamo, arriva Prodi e ci sfascia”. Meglio il sì. A costo di sfasciare il partito.
Dove si ingrossano le truppe del ribelle “Fitto” che, al momento, conta circa quaranta parlamentari. Quasi la metà .
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 8th, 2014 Riccardo Fucile
FITTO RIUNISCE I SUOI: “PRONTI A DARE BATTAGLIA”
«Non è giornata». Click. 
Pragmatico, Denis Verdini mostra di non aver tempo da perdere. In Forza Italia infuria la tempesta e in mezzo c’è finito lui, il pilastro del Nazareno.
La corte di Arcore tenta di emarginarlo, non sopporta il suo filo diretto con il premier. Pretende di sostituirlo con Paolo Romani, che intanto dissimula: «Il mediatore — sostiene — è e resta Verdini».
Il big toscano, nel dubbio, resiste e graffia. Ed è proprio in questo vuoto di potere, con Silvio Berlusconi confinato tra le quattro mura di Arcore, che prende forza la fronda di Raffaele Fitto.
In pochi giorni i suoi diciassette senatori sono destinati a diventare una ventina, mentre i quindici deputati cresceranno di un paio di unità .
Quaranta parlamentari sul piede di guerra, con i quali il leader è costretto a fare i conti. La fotografia più nitida di un partito allo sbando.
Il livello di guardia è superato da un pezzo. Le correnti, litigiose, lottano per la sopravvivenza.
Almeno mezzo gruppo del Senato non considera praticabile una riforma elettorale con premio di maggioranza alla lista.
«È ovvio che cresciamo di numero — ammette candidamente il senatore fittiano Vincenzo D’Anna — Sa, per noi è facile: di fronte all’immobilismo degli altri…».
I numeri del malcontento sono planati sulla scrivania di Arcore, togliendo serenità al leader.
«È il momento dell’unità — ha quasi urlato — e io invece rischio di perdere il controllo. Questi signori sono in Parlamento grazie a me, se ne ricordino». E però non è facile, per l’ex premier, trattare con Renzi sapendo di non poter contare su un terzo dei 120 parlamentari azzurri.
Strattonato da una parte e dall’altra, Berlusconi decide a metà pomeriggio di silenziare tutti. Non a caso, dopo ore di martellante batteria sui media in chiave anti Pd, gli azzurri scompaiono dai radar.
In mezzo, pare, anche l’intervento di Fedele Confalonieri. I vertici delle aziende di famiglia non sopportano l’ipotesi di archiviare il patto del Nazareno.
Zitti tutti, allora, per non disturbare la trattativa in corso sulla legge elettorale, affidata ancora una volta al rapporto diretto di Verdini con gli emissari toscani di Renzi.
«La migliore dote di Denis è che non si arrende mai e cerca sempre il dialogo », ricorda Ignazio Abrignani.
Poco importa allora che il cerchio magico che risiede in Brianza, emarginato dalle decisioni che contano, provi insistentemente a invertire la rotta.
Maria Stella Gelmini e Giovanni Toti sussurrano all’ex premier di ridimensionare Verdini. «Così diventa più facile mettere ordine nel partito».
Il problema è che non possono contare su truppe consistenti, mentre Verdini — sia pure da posizioni politiche quasi opposte — non ha mai interrotto il dialogo con il big pugliese. E proprio con l’europarlamentare pugliese il Cavaliere è costretto a fare i conti.
La prima prova di forza della minoranza interna si consumerà già domani, nel cuore di Roma, quando andrà in scena la prima uscita pubblica della neonata componente. «Qui non si tratta di correnti — spiega il deputato Pino Galati — ma di tesi che guadagnano consenso perchè, com’è ovvio, si fanno spazio tra i più ragionevoli. Vedrete, alla fine converrà anche a Berlusconi».
Fitto, che gioca questa sfida come una partita a scacchi, immagina già le prossime mosse. Dialoga con Matteo Salvini, ragiona con Giorgia Meloni, si confronta con Ignazio La Russa.
Non si espone pubblicamente, ma ai suoi fedelissimi ha spiegato la linea: «Non è un problema di premio di lista, ma di come ci arriviamo. Se ad esempio ci fossero le primarie, potremmo costruire un’intesa anche con gli alleati.
L’importante è fare politica e affrontare i nodi irrisolti». La vera sfida, però, sarà lanciata il 27 novembre — all’indomani delle Regionali — con una convention nazionale che si trasformerà in una vera e propria prova di forza.
Una tenaglia, insomma, rischia di stritolare il Cavaliere.
A Palazzo Madama, intanto, l’insofferenza stenta a rimanere negli argini.
Basta ascoltare cosa ha da dire il senatore D’Anna: «La legge elettorale senza preferenze noi non la votiamo, perpetuerebbe un Parlamento di muti astanti. Per non parlare di quella con i capilista bloccati, che prevedono una odiosa discriminazione». D’Anna ha già avuto modo di confrontarsi aspramente con Berlusconi, qualche mese fa nel corso di una tesissima riunione di gruppo.
Una scena che rischia di ripetersi presto, appena il leader troverà il coraggio di convocare i parlamentari per comunicare l’esito del braccio di ferro con Renzi.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Novembre 8th, 2014 Riccardo Fucile
IL PARLAMENTARE INDAGATO PER TANGENTI SI AUTOSOSPENDE DAL PARTITO E SALTA LA RACCOLTA FONDI NONOSTANTE AVESSE GIà€ PORTATO 5 IMPRENDITORI
“Sono un imprenditore. Mi chiamo Giordani. E penso che Renzi è un ragazzo che va sostenuto”. Abito scuro e cravattone in bell’evidenza, l’ospite fa una vera e propria conferenza stampa, prima di entrare nel Salone delle Tre Fontane a Roma.
Location già nota alle cronache per le mega-cene che Berlusconi organizzava per promuovere i suoi candidati.
Mentre la folla si assiepa per entrare, le luci sulla facciata rimandano il rosso bianco e verde della bandiera italiana. E del Pd.
Qualche suv, molti taxi, il generone romano che già fu di Rutelli e di Veltroni fa la fila.
“Io queste iniziative le ho sempre fatte”, dice, entrando, un habituè, come Chicco Testa. Non manca il veltronianissimo e ricchissimo Raffaele Ranucci. Un’altra antica conoscenza. Ma soprattutto, c’è l’ospite d’onore: il presidente della Roma, James Pallotta. “Ci sarà un nuovo stadio per la Capitale?”, si chiedono i commensali.
Un po’ più in disparte l’ex calciatore, Odoacre Chierico. “Mi hanno invitato, non ho pagato”. Per cenare con il segretario premier, l’iniziativa organizzata da Francesco Bonifazi e Alessia Rotta, prevedeva un finanziamento di 1.000 euro ciascuno.
Molti politici non li hanno versati (pure se non sono arrivati forniti di ospiti) e molti sono invitati. Caos renziano. Fino a mezz’ora prima dell’inizio, d’altronde, i tavoli non erano neanche composti e lo psicodramma Di Stefano, con i 5 imprenditori suoi ospiti (da evitare o da accogliere, con tanto di portafoglio al seguito?) aleggiava sulla cena.
Alla fine, il protagonista, è stato convinto a non farsi vedere e anzi si è autosospeso dal Pd.
Il tavolo a suo nome è saltato. Territorio delicato, quello romano, difficilmente controllabile, tra “palazzinari” e “macellai” per citare le perplessità Dem.
Difficile selezionare gli ospiti in modo da evitare scivoloni. Inutile per questo lo schieramento di polizia all’entrata degno di una cena di Stato.
Dentro, peperoncino in bell’evidenza, grazie alla presenza del calabrese Franco Monaco, e menù a base di parmigiana di melanzane e cacio e pepe. Tanta Roma e tanto “casino”.
Ospiti buoni per tutte le stagioni come i fratelli Toti, Parnasi e Mezzaroma.
Più tantissimi esponenti del sottobosco cittadino, dai notai agli avvocati, passando per farmacisti, medici, industriali e imprenditori di vari livelli.
Arriva ad omaggiare il potere che avanza un ristoratore di grido come Giuseppe Roscioli.
Il regista Fausto Brizzi non tradisce l’amico premier. Ci sono il produttore Fulvio Lucisano e il re del sigaro toscano, Maccaferri. E il potere romano: ecco Bettini e Gasbarra.
Poi, il sindaco, Marino (qualcuno deve averlo avvertito che non c’era bomba d’acqua in arrivo) e il presidente del Lazio, Zingaretti, al tavolo con Lorenza Bonaccorsi, vicino a quello del premier. Scelta precisa.
Tra i neo finanziatori anche il direttore generale della Lamborghini, Umberto Possini. Sta al tavolo di Michele Anzaldi, che ha portato una quindicina di ospiti, tra cui l’ambasciatrice del Kazakistan. Vanno forte i rutelliani.
Tanti produttori di vino: l’azienda laziale Casal del Giglio, la famiglia Santarelli e i Bertani (del Santa Margherita). Si beve acqua Norda.
Ernesto Carbone ha portato più di dieci suoi amici avvocati, tra cui Paolo Cerù e il tributarista Raffaele De Stefano. C’è anche Raffaele De Luca Tamajo, legale della Fiat di Marchionne. Nutrita la pattuglia politica dei calabresi: Ernesto Magorno, Enzo Bruno, Mario Oliverio, Stefania Covello, Enza Bruno Bossio, Nicodemo Oliverio e Massimo Canale.
Che pure hanno organizzato un pulmino di ospiti: il presidente di Confindustria Catanzaro, Daniele Rossi, il presidente di Confagricoltura Calabria, Alberto Statti.
E gli imprenditori Palmiro Raffo e Antonella Dodaro. In mezzo all’“Italia che produce” (definizione standard) più o meno ansiosa di farsi vedere insieme a Renzi, anche politici: la Madia e Beppe Fioroni, Lotti, Boschi e il Sottosegretario Rughetti.
C’è Orfini, che un tempo andava alle Feste dell’Unità : “Preferisco le salsicce, ma vanno bene anche queste iniziative”.
Arriva pure il neo Pd, Gennaro Migliore, che una volta stava in Rifondazione. “Chi ho portato? Me stesso. Ho passato una vita a fare sottoscrizioni per il partito cui appartenevo”.
Alla fine, è soldout con almeno 600 persone. E Renzi, che siccome non ce la fa a stringere le mani di tutti (e poi, meglio evitare i selfie con gli sconosciuti) allieta il parterre a moh di colonna sonora, con un discorso che dura tutta la serata.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 8th, 2014 Riccardo Fucile
LA RIVELAZIONE DI “LA REPUBBLICA”: LA DATA E’ GIA’ STATA DEFINITA
Il presidente della Repubblica non fa mistero della sua intenzione di concludere in tempi brevi il suo secondo
mandato.
La data nella sua mente è già ben definita: la fine dell’anno, allo spirare del semestre italiano di presidenza dell’Unione europea.
È un percorso di cui si mormora da tempo nei palazzi della politica romana e adesso c’è anche la certezza che la decisione del presidente è presa.
Tuttavia lo stato d’animo del presidente non è quello con cui, fino a qualche mese fa, egli guardava alla conclusione del suo incarico.
Aveva sperato a lungo di legare questa scadenza al successo delle riforme istituzionali e della legge elettorale.
Con gli amici che vanno a trovarlo o gli parlano al telefono Giorgio Napolitano lascia trasparire in questi giorni un duplice sentimento.
Da un lato è soddisfatto per l’energia e la determinazione messe in mostra dal presidente del Consiglio, Renzi.
Gli sembra che il dinamismo e la volontà di affrontare i problemi siano i fattori politici di cui il Paese ha bisogno in questa fase drammatica.
La legislatura ha bisogno di un motore e Renzi dimostra di possedere il temperamento adatto a incarnare lo spirito dei tempi.
Dall’altro lato il presidente della Repubblica non fa mistero della sua intenzione di concludere in tempi brevi il suo secondo mandato.
La data nella sua mente è già ben definita: la fine dell’anno, allo spirare del semestre italiano di presidenza dell’Unione europea. Le ragioni sono legate alla fatica del compito, sempre più estenuante per un uomo che nel prossimo mese di giugno festeggerà i novant’anni.
Napolitano è stanco e ritiene di aver diritto di esserlo. Rispetta gli impegni con puntualità , quelli interni e quelli internazionali, ma sta diradando l’agenda, se si tratta di allontanarsi dal Quirinale.
Fra qualche giorno, il 17, sarà all’Università Bocconi per assistere al ricordo di Giovanni Spadolini a vent’anni dalla morte.
Poi un paio di appuntamenti europei, di cui uno a Torino, utili a ricordare che il destino italiano si compie in Europa e non altrove. Infine il messaggio di Capodanno agli italiani, l’ultimo dei nove pronunciati a partire dal 31 dicembre 2006.
Nel 2015 Napolitano seguirà le vicende italiane dallo studio di Palazzo Giustiniani che è già pronto ad accoglierlo quale presidente emerito.
Aveva sperato a lungo di legare questa scadenza al successo delle riforme istituzionali e della legge elettorale. Soprattutto quest’ultima, che non richiede, come è noto, una revisione della Costituzione, gli è sempre parsa la più adatta a chiudere un’epoca e ad aprirne un’altra: proprio perchè, nella condizione del Paese, si tratta di una legge di sistema, destinata a garantire l’assetto generale delle istituzioni.
Dunque una legge sfrondata dagli elementi di incostituzionalità che avevano provocato il naufragio della precedente norma a opera della Consulta.
E al tempo stesso un modello in grado di rassicurare l’opinione pubblica circa il fatto che il confronto politico si sviluppa entro argini ben definiti e se possibile tra forze che tendono a riconoscersi l’un l’altra come pienamente legittimate, in grado cioè di scambiarsi i ruoli di governo e opposizione in un quadro di stabilità .
In fondo era solo su questa base che Napolitano aveva accettato il secondo mandato.
E chi ricorda il discorso d’insediamento davanti alle Camere riunite, il 22 aprile 2013, rammenta anche il tono aspro, quasi sferzante con cui il capo dello Stato appena rieletto aveva richiamato i parlamentari alle loro responsabilità .
Era in gioco allora come oggi la corretta funzionalità delle istituzioni e una prospettiva politica capace di rendere salde le radici europee della dialettica interna.
Nel mosaico immaginato da Napolitano c’era molto di più: il riassetto del sistema bicamerale, la riforma della pubblica amministrazione, della giustizia e altro.
Ma la nuova legge elettorale appariva quasi un pegno urgente da offrire agli italiani per convincerli che la stagione dell’eterna transizione era davvero alle spalle.
Come chiunque può notare, oggi lo scenario non è quello sperato e Napolitano non nasconde la sua delusione.
È chiaro che alla fine dell’anno non avremo la riforma del voto, ma è altrettanto certo che il presidente della Repubblica non aspetterà i tempi dei partiti.
Non intende farsi condizionare dai ritardi e della solita pratica del rinvio.
Su tale passaggio si mostra molto deciso con i suoi interlocutori. Quindi viene meno il nesso tra riforme e dimissioni.
E non ci sarà l’inaugurazione di Expo 2015, come vorrebbe il premier Renzi.
L’uscita dal Quirinale sarà il compimento di una missione personale, il cui bilancio sarà dato dalla gran mole di atti compiuti in oltre otto anni e mezzo.
Ma se le forze politiche non sono state in grado di dare forma conclusa a un nuovo capitolo della storia repubblicana, il presidente le lascia alle loro responsabilità .
Non le asseconderà al solo scopo di coprire lacune e debolezze di un sistema rinnovato solo in piccola parte.
Ora prevalgono le ragioni di salute, per cui ogni giorno trascorso nel palazzo costa un sacrificio di cui non tutti sono consapevoli.
Napolitano è sicuro di aver superato in modo brillante la prova più dura sul piano psicologico, la testimonianza davanti ai magistrati e agli avvocati del processo di Palermo. Ma l’intera vicenda, come è noto, lo ha ferito.
Ripete spesso due punti che gli stanno a cuore.
Primo, non intende trovarsi a gestire una nuova crisi politica e di governo, non se la sente più di reggere gli sforzi fisici e mentali già sopportati nel recente passato.
A maggior ragione – ed è il secondo aspetto sottolineato – egli non porterebbe mai il paese a nuove elezioni anticipate.
Non ci sarà più uno scioglimento delle Camere da lui firmato. Toccherà eventualmente al successore decidere in merito.
E il presidente ritiene che in democrazia il Parlamento deve essere pronto e capace in ogni momento di eleggere un’altra figura al vertice istituzionale.
Questo è il sentiero prefigurato al Quirinale.
I partiti hanno quindi poco tempo per affrontare il problema ed evitare che la scelta del successore di Napolitano, di qui a poche settimane, si trasformi in un altro episodio di logoramento istituzionale.
Tuttavia il copione non è stato ancora scritto. Non esiste un’ipotesi reale di accordo su un nuovo nome. Ci sono in campo tre soggetti maggiori, il Pd, Forza Italia e i Cinque Stelle.
Più altri soggetti minori suscettibili di giocare una loro partita, come i leghisti.
Se e come i fili saranno annodati, attraverso quali intese trasparenti o sotterranee, per ora non è dato sapere.
Ma tutti sanno che il tempo stringe.
Stefano Folli
(da “La Repubblica”)
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Novembre 8th, 2014 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA VUOLE LA TESTA DEL QUESTORE E DEL PREFETTO DI BOLOGNA… IL PIU’ PERICOLOSO E’ CALDEROLI CHE MINACCIA “OCCHIO PER OCCHIO, DENTE PER DENTE”: ESSENDO ISCRITTO ALL’ALBO DEGLI ODONTOTECNICI C’E DA STARE ATTENTI
L’auto della Lega col parabrezza sfondato e due manifestanti investiti.
Così, a Bologna, la visita del leghista Matteo Salvini al campo sinti di via Erbosa si trasforma in una giornata di tensione, accuse e insulti.
Gli antagonisti che contestavano la presenza del numero uno del Carroccio hanno puntato alla sua macchina, che ha accelerato investendo due persone.
Salvini parla di “infami” e “bastardi”, solidarizza Roberto Calderoli che parla di “gentaglia”.
Il sindaco di Bologna Virginio Merola chiede di tenere fuori provocazioni e scontri dalle campagne elettorali. La Lega vuole le dimissioni del ministro Angelino Alfano e la rimozione di prefetto e questore di Bologna.
Immediate le prese di posizione, il caso diventa politico.
Il leghista Roberto Calderoli va giù pesante. “Non è più tollerabile che i balordi dei centri sociali possano continuare ad esercitare violenza e a calpestare le regole della democrazia e del codice penale”, afferma. “D’ora in poi se non li fermeranno le Forze dell’Ordine, non porgeremo l’altra guancia, ma varrà la legge del taglione: occhio per occhio dente per dente”.
Ma l’ex del Carroccio, il bolognese Manes Bernardini, è convinto che “le provocazioni generano solo provocazioni. Noi non abbiamo bisogno di questo. I problemi della città vanno combattuti e risolti con la forze delle idee e delle proposte politiche.
Da sinistra reagiscono i candidati presidenti alle Regionali.
Stefano Bonaccini, Pd, condanna l’aggressione ma usa parole altrettanto dure contro lo stesso leader leghista: “E’ alla ricerca quotidiana di provocazioni e sensazionalismi”.
“Condanno l’atto violento ai danni dell’europarlamentare Matteo Salvini ed esprimo solidarietà e vicinanza alle persone rimaste contuse. Vorrei però che le campagne elettorali fossero libere da gesti e azioni che possano provocare tensioni e scontri che ricadono ingiustamente sulla nostra città “. E’ il commento Virginio Merola, che ha ringraziato “prefetto e questore per la gestione dell’ordine pubblico”.
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Novembre 8th, 2014 Riccardo Fucile
LO SCRITTORE PREMIO STREGA AI MICROFONI DE “LA ZANZARA”: “E’ AMBIGUO E RACCONTA FREGNACCE”
“A me Renzi non piace, è arrogante, paternalista, convinto di sapere tutto lui”.
Antonio Pennacchi,
scrittore di Latina, premio Strega 2010 con ‘Canale Mussolini’ e autore del romanzo autobiografico ‘Fasciocomunista’, da sempre vicino al Pd, dalemiano convinto, si scaglia contro l’attuale leader dei dem.
A microfoni de ‘La Zanzara’ (Radio24) è un profluvio di critiche al premier: “Non la racconta giusta, racconta le bugie e non mantiene le parole. Tutta la sua ascesa l’ha fatta buttando letame e nefandezze addosso a D’Alema, poi una volta arrivato là ha fatto lui quello che non era riuscito a fare D’Alema, è un imbroglio”.
E ancora: “E’ ambiguo, racconta le fregnacce, mo’ pare che la rovina del Paese sono i quattro operai rimasti nell’industria e i sindacati? Ma andate a fare in culo va..”
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 8th, 2014 Riccardo Fucile
OFFLINE ANCHE IL SITO DAL 1 DICEMBRE… PER SALVINI LA CAUSA E’ IL TAGLIO DEI FONDI ALL’EDITORIA, MA I GIORNALISTI CONTESTANO LA SCELTA
Addio a La Padania e al suo sito: il giornale cartaceo e online di riferimento della Lega Nord chiudono i battenti dopo 18 anni.
E così, dal 1 dicembre il giornale del Carroccio non sarà più in edicola.
Lo scrive lo stesso giornale, sulla prima pagina dell’edizione di oggi.
Venerdì 7 novembre è stato infatti comunicato al Comitato di redazione l’avvio della cassa integrazione per tutti i dipendenti dell’Editoriale Nord a partire appunto dall’1 dicembre prossimo.
Responsabile della chiusura, secondo il segretario Salvini, sono i tagli all’editoria stabilito dal governo Renzi. Ma il sindacato dei cronisti interno all’azienda attacca anche la dirigenza di Via Bellerio che “nonostante le prospettive di crescita dei consensi politico-elettorali che tutti i sondaggi le riconoscono, ha deciso di non rinnovare il proprio contributo al bilancio dell’Editoriale Nord.”
Una scelta motivata dal fatto che “la Lega è al risparmio su tutto”, ha detto il leader del Carroccio all’Ansa, a cui ha poi fornito i motivi dello stop alle pubblicazioni. Salvini, peraltro, dal 2006 al 2013 è stato anche direttore di Radio Padania, unico media di partito per il quale non sono stati annunciati tagli.
“In questo caso si tratta anche dell’ennesimo bavaglio calato dal Governo Renzi — ha detto il leader leghista — che riduce i contributi per l’editoria che esistevano da anni”. “Oltre che la Padania — ha aggiunto Salvini — stanno chiudendo e chiuderanno centinaia di piccole testate locali e di settimanali storici e chi ci perde è solo il territorio e la libertà di informazione“.
Per quanto riguarda la situazione lavorativa dei giornalisti del quotidiano, però, il numero uno del Carroccio ha cercato di tranquillizzare: “La Lega è al risparmio ma comunque — ha detto — non ci arrendiamo e, coinvolgendo i giornalisti della Padania, stiamo lavorando per trovare una soluzione per rimanere quantomeno su internet”.
Al momento, però, anche il sito internet del quotidiano terminerà le pubblicazioni.
La versione fornita da Salvini, ricalca in parte quanto scritto oggi sul quotidiano. “L’attuale situazione è il risultato del drastico taglio del fondo per l’editoria operato dal governo Renzi — si legge in prima pagina — In tal modo si infligge un durissimo colpo al pluralismo e alla libertà dell’informazione garantiti dai principi costituzionali, aggravando in modo drammatico l’emergenza occupazionale che affligge il settore editoriale“.
Le colpe? “Di Roma” fa sapere La Padania.
Ma da parte del comitato di redazione non mancano le critiche ai vertici del partito nella gestione della crisi del giornale. “Anche in via Bellerio è stata fatta una scelta politico-editoriale che ha condotto alla cancellazione di una testata che da quasi 18 anni ha rappresentato l’unica voce delle battaglie del Movimento e che ad oggi è l’ultimo quotidiano di partito sopravvissuto in edicola — è scritto in prima e sul sito del giornale.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 8th, 2014 Riccardo Fucile
LA SOLITA PROVOCAZIONE LEGHISTA NEL CAMPO ROM DI BOLOGNA, MA AD ATTENDERLO TROVA I SUOI VECCHI COMPAGNI DEI CENTRI SOCIALI CHE FREQUENTAVA DA GIOVANE E SCAPPA
Ha provato ad entrare in un campo rom, è stato assalito da un gruppo di manifestanti dei centri sociali,
ha battuto in ritirata investendone un paio.
Una mattinata molto particolare quella del segretario della Lega Matteo Salvini.
La sua auto si era fermata a poche centinaia di metri dal campo rom di via Erbosa a Bologna, nel quale avrebbe voluto entrare, per decidere cosa fare visto che l’ingresso era presidiato da una cinquantina di ragazzi dei centri sociali guardati a vista dalle forze dell’ordine.
L’europarlamentare del Carroccio si era fermato insieme al sindaco Alan Fabbri e alla consigliera comunale Lucia Borgonzoni nel parcheggio dell’Hippobingo di via dell’Arcoveggio.
Qui è stato raggiunto da alcuni contestatori, che hanno iniziato a lanciare slogan contro di lui.
A questo punto Salvini è salito sulla sua auto, sempre accompagnato da Fabbri e Borgonzoni, ma alcuni ragazzi hanno tentato di sbarrargli la strada, salendo anche sulla macchina.
Sono stati attimi di tensione, tanto che la macchina è ripartita sgommando facendosi largo tra i contestatori, che hanno protestato affermando di essere stati investiti di proposito.
L’auto si è allontanata ancora inseguita dai ragazzi dei centri sociali.
(da “Huffingtonpost”)
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