Novembre 9th, 2014 Riccardo Fucile LA CORTE DEI DIRITTI DELL’UOMO: L’ESPULSIONE PUO’ AVVENIRE SOLO SE AI RIFUGIATI E’ ASSICURATO UN ADEGUATO TRATTAMENTO
«I richiedenti asilo politico rischiano di restare senza un luogo in cui abitare o di essere alloggiati in strutture
insalubri».
È una sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, è un verdetto che condanna la Svizzera ma che al tempo stesso muove pesanti moniti all’Italia.
Il 4 novembre scorso i giudici di Strasburgo con il provvedimento 326 del 2014, hanno ordinato allo stato elvetico di non rimandare in Italia una famiglia di afghani (genitori e quattro figli minorenni) arrivata in Europa dopo un’odissea su barconi, camion e treni proprio perchè quei profughi, nel caso venissero restituiti all’Italia, rischiano di non avere un’adeguata assistenza umanitaria
Il verdetto si inserisce in una diatriba sempre più accesa tra Roma e Berna.
Come è noto, i migranti che approdano sulle coste italiane solo in minima parte scelgono di fermarsi nel nostro paese; quasi tutti decidono di proseguire la fuga fino a paesi del Nord o centro Europa dove possono chiedere asilo politico.
La Svizzera è una delle mete e la vicenda di Golajan Tarakhel , di sua moglie Maryam e della loro prole di cui si è occupata la Corte di Strasburgo rientra in pieno in questa casistica.
Di più: Tarakhel potrebbe diventare simbolo di una svolta nel trattamento dei migranti in Europa.
Approdato in Calabria con la famiglia il 16 luglio 2011 dopo tappe in Pakistan, Iran e Turchia, viene alloggiato a Bari; pochi giorni dopo il gruppo, scappa e cerca di entrare in Austria; tentativo fallito che li induce a provare il passaggio in Svizzera.
Qui viene avanzata la richiesta di asilo politico.
La risposta delle autorità locali è però negativa e per i migranti, ospitati in un centro di accoglienza di Losanna, si prospetta l’espulsione verso l’Italia.
Lo stop arriva grazie al ricorso alla Corte Europea, secondo la quale Tarakhel e i suoi hanno diritto a restare in Svizzera.
Motivo? «Tenuto conto della situazione attuale del sistema di accoglienza in Italia – è scritto nella sentenza – non è infondato che i richiedenti asilo corrano il rischio di restare senza un luogo dove abitare o che siano alloggiati in strutture insalubri o dove si verificano episodi di violenza».
Perchè non vengano violati i diritti degli individui dei rifugiati, sanciti dal trattato di Dublino, in pratica, la Svizzera dovrebbe accertare che i profughi possano ricevere adeguata assistenza e solo a quel punto procedere all’espulsione.
Ma Berna da tempo accusa l’Italia di non controllare a sufficienza le sue frontiere e di favorire la fuga dei migranti oltreconfine.
L’ufficio immigrazione elvetico, dal canto suo, ha annunciato che non terrà conto di Strasburgo e che continuerà a rinviare gli immigrati in l’Italia, limitandosi a chiedere garanzie per l’accoglienza dei minori.
Sorpreso da alcuni passaggi del verdetto si dice invece in un comunicato Christopher Hein, del Consiglio italiano dei rifugiati (Cir): «È importante comunque che la Corte riconosca che i richiedenti asilo appartengono a una popolazione svantaggiata e vulnerabile. Sappiamo che il sistema di accoglienza in Italia, nonostante i passi avanti degli ultimi mesi, presenta ancora lacune molto gravi. Speriamo che la sentenza dia l’impulso a ulteriori sforzi per l’adeguamento del sistema agli standard europei».
Claudio Del Frate
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 9th, 2014 Riccardo Fucile “ORMAI VIVIAMO IN UN MANICOMIO E IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NE E’ IN FONDO IL DIRETTORE”… “CI VORREBBE UN SIGNOR NESSUNO, MA IN POLITICA SI SELEZIONA SOLO LA STUPIDITA'”
Un anno fa ci eravamo lasciati con la sua analisi spietata: questo è un paese di malati di mente.
Adesso il paese dei malati di mente deve trovare un nuovo presidente.
E lo psichiatra Vittorino Andreoli rimette idealmente l’Italia sul lettino, ma non vede sintomi di miglioramento: “Sembra la storia di Peter Pan, che fugge dal mondo che c’è per cercare quello che non c’è. Napolitano se ne va e noi andiamo a cercare il presidente che non c’è. Ricordiamoci che nell’isola Peter Pan ha trovato Capitan Uncino, gli indiani e i ragazzi abbandonati… ma è proprio sicuro che vada via?”.
Così sembra, professore.
“E’ un bel dramma. In questo paese malato, dove tutti fanno sciopero. Ma contro chi? Guardi che non penso al sindacato. Penso alla realtà delle cose”
L’ultima spiagga?
(ride) “Ma no, qui c’è sempre la speranza del miracolo, di qualcosa o qualcuno che venga a risolvere tutti i problemi. E’ proprio la visone adulta di Peter Pan. Si è scontenti del mondo e si va a cercare l’isola che non c’è. Va benissimo, allora fantastichiamo. Facciamo venire giù il Padreterno, l’angelo salvatore… i santi ci sono”.
Forse un po’ troppi.
“Guardi, in un paese serio uno prima dovrebbe cercare quali potrebbero essere i possibili successori. Invece, no. Noi prima lo mandiamo via, poi vediamo cosa fare. E’ un po’ come è stato con i manicomi. Li abbiamo chiusi, ed era giusto chiuderli, ma non ci siamo preoccupati di quello che sarebbe successo dopo e di cosa avevamo bisogno. Insomma, diciamocelo, ormai viviamo in un manicomio. E il presidente della Repubblica è il direttore”.
Così non ne usciamo, professore. Se la qualità politica è sottozero, è inutile cercare il sostituto di Napolitano.
“Cosa vuole che le dica? Questo paese è diviso in due. Da una parte c’è il potere, che è completamente idiota. E dall’altra ci sono i Nessuno, con la N maiuscola. Persone che valgono, e in Italia ce ne sono tante, ma sono appunto dei Nessuno. Come se non ci fossero. Nella Prima, Seconda e Terza Repubblica si è selezionata solo la stupidità . Allora, se permette, mi tengo Napolitano con tutti i suoi difetti”.
Non possiamo chiedergli di rimanere altri vent’anni.
“E allora cambiamolo e finiamo come con i manicomi”.
Proprio sicuro che non ci sia un’alternativa?
“Ma sì, qualcuno c’è di sicuro”.
Dove lo andrebbe a cercare?
“Io tra i Nessuno. Ma come si fa? Non riusciamo nemmeno a trovare chi deve andare al Consiglio superiore della magistratura… Io quello non lo voglio. Ma lo conosci? No, ma non lo voglio. Così a forza di escludere, finisce che scegliamo persino chi non è all’altezza del compito. Figuriamoci quando si dovranno mettere d’accordo per eleggere un presidente della Repubblica. Facciamo scendere il Padreterno. Oppure, diamo un doppio incarico a Papa Francesco”.
Papa Francesco presidente della Repubblica è una bella provocazione.
“Beh, è una brava persona. Diamogli un incarico ad interim fino alla fine del mandato di Napolitano. Ah, poi c’è anche un Papa emerito che non ha niente da fare…”.
Sta scherzando?
“Drammaticamente, sì. Ma è un’ironia malinconica. Però è lei che mi ha dato una cattiva notizia. Perchè se è vero che il capo dello Stato se ne va, il problema è irrisolvibile. Ma capisco. Il suo desiderio era di dare un assetto più tranquillo a questo Paese. E non c’è riuscito”.
Quindi, bisogna convincere Napolitano a restare un altro paio d’anni?
“Io spero che facciano così. Perchè non siamo nemmeno in democrazia. Non c’è la possibilità di un’elezione democratica. La costituzione prevedeva un’elezione con una maggioranza di due terzi del parlamento perchè si immaginava che di fronte a certe decisioni si dimenticasse la logica dei partiti e l’unica attenzione fosse rivolta al problema del Paese. Invece si è dimostrato che tutto questo non esiste. Esistono i partiti e dentro i partiti esistono gli ominetti…”.
Ha detto “ominetti”?
“Il termine corretto sarebbe omuncoli, ma è già stato usato dagli antropologi. Ominetti mi sembra più appropriato” (ride).
Posto che questo presidente se ne vada?
“Verremo commissariati da un segretario della Merkel”.
Allora meglio Papa Bergoglio, lei dice. Non come capo spirituale ma come uomo di buona volontà .
“Io mi occupo solo di uomini e sono affascinato da un uomo straordinario che si chiamava Gesù di Nazareth. E devo dire che Bergoglio gli somiglia abbastanza. E’ uno che non ama il potere, i cortei con le auto, non è come questi che tagliano tutto del dieci per cento a occhi chiusi. Insomma, mi piacerebbe un uomo che non risponda ai partiti ma all’umanesimo, al fatto che siamo in una situazione di grande pericolo e salvi il Paese. Mi accontenterei di una persona saggia. Ma purtroppo questa parola è stata cancellata anche dallo Zingarelli”.
Lei ci andreebbe a fare il presidente, professore
“Ma io sono Nessuno. E per cortesia lo scriva con la N maiuscola”.
Appunto.
“Beh, senta, bisogna anche avere un po’ di autostima. Sì, forse sarei un po’ meglio di tutti questi che verranno candidati dai vari gruppi. Se non altro saprei distinguere i matti e li curerei per dovere costituzionale”.
La candido?
“No, perchè non ho l’età , visto che sta passando il principio che sopra i 45 anni l’unica alternativa sia il suicidio. E’ che fanno l’errore di scambiare il prodotto della testa con quello dei testicoli, e secondo loro sopra una certa soglia non si è più utili. Però sia chiaro: io amo l’Italia che non si vede. Quella che si vede non la sopporto più. E nell’Italia che non si vede molto di buono esiste. Non andrei a cercare l’isola che non c’è e il presidente che non c’è. Cercherei dentro la realtà , tra i Nessuno, con buona pace di Peter Pan. Che è una bellissima storia, ma con un finale che non mi piace”
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 9th, 2014 Riccardo Fucile CURRICULUM ON LINE E UN TELEFONO: UN GIORNALISTA DE “LA STAMPA” ARRUOLATO NEL PRIMO GIORNO DEL NUOVO SERVIZIO A TORINO
La prima chiamata arriva alle 9,10. Ci siamo appena seduti in macchina e c’è già qualcuno che ha bisogno di
noi.
Si chiama Giulio e deve andare al Politecnico. Ha fondato una start up: «Forniamo alle persone tutti gli ingredienti necessari per preparare una cena. Ma dobbiamo rivedere il piano finanziario, così non regge. Anzi, forse ci trasferiamo direttamente a Londra».
Poco meno di 7 chilometri in 22 minuti. Costo: 9 euro. In taxi ne avrebbe spesi come minimo 15.
Il secondo cliente ci reclama alle 10 ma, quando arriviamo, sul posto non c’è. Chiamiamo. «Mi scusi, volevo disdire la corsa ma non sapevo come fare. Sa, è la prima volta». È la prima volta anche per noi. Accostiamo in via Roma, pieno centro, e aspettiamo. Dopo un quarto d’ora, il telefono s’illumina: un signore ha bisogno di un passaggio in Tribunale.
Ci siamo fatti arruolare da Uber, il servizio che permette di prenotare un’auto con conducente tramite smartphone pagando con carta di credito.
Da giovedì funziona anche a Torino: chiunque può mettersi a disposizione quando vuole, tutto il giorno o un’ora al mese.
Con la nostra auto, una Alfa Romeo Giulietta, abbiamo lavorato dalle 9 alle 18, con due pause di mezz’ora: undici chiamate, nove corse portate a termine e due annullate perchè il cliente aveva cambiato idea.
Abbiamo percorso 100 chilometri. Incasso: 61 euro, meno 11 di gasolio e altri 11 che resteranno a Uber.
Mercoledì sera ci siamo fatti avanti. Abbiamo caricato su una piattaforma on line dati e documenti. Abbiamo anche giurato di non avere conti in sospeso con la giustizia.
Per ora si fidano, ma entro due settimane dovremo fornire i certificati del Tribunale. Giovedì ci siamo ritrovati con altre quindici persone – studenti, disoccupati, due pensionati, una commessa stufa di servire clienti e in ansia per il suo negozio – in un hotel di piazza Massaua, periferia Ovest di Torino.
Ci hanno accolto tre ragazzi di 25 anni. Ci hanno catechizzato per un’ora e fornito uno smartphone. In meno di ventiquattr’ore siamo diventati «autisti».
Con Uber non si telefona. Funziona tutto tramite un’app: il cliente vede sul telefono le auto più vicine e sceglie a chi chiedere un passaggio.
Tra una corsa e l’altra accosti a bordo strada e aspetti. Il telefono suona, s’illumina. Basta toccare lo schermo ed ecco il passeggero: il quarto si chiama Florent, è un gallerista parigino, in città per Artissima.
Parte dal centro per andare all’aeroporto di Caselle: 16 chilometri in venti minuti, costo 13 euro. Con il taxi sarebbero stati 35 o 40.
Viaggiamo senza sosta dalle 9 a mezzogiorno, poi fino alle 13,40 nessuno chiama.
Ci assale l’ansia da prestazione: avremo sbagliato qualcosa? Poi, improvvisamente, il telefono si rianima.
Al corso, i ragazzi di Uber raccomandano di rispondere ad almeno il 90% delle chiamate, di non telefonare al cliente a meno che non sia necessario, e di essere prudenti: «Quando credete di aver individuato il passeggero chiedetegli come si chiama. Solo a quel punto fatelo salire. Non date troppo nell’occhio».
Avvertenza preziosa: Uber viaggia sul filo della legge, i vigili (e i tassisti) sono sempre in agguato.
Noi, però, non ne incontriamo nemmeno uno. Nove corse, 23 persone trasportate, solo due con più di quarant’anni e solo quattro italiani.
Un francese, Maxime, voleva pagare in contanti. Impossibile: in auto non avvengono scambi di denaro o transazioni; Uber preleva direttamente il costo della corsa dalla carta di credito del cliente e ogni settimana paga il «driver» con un bonifico. «Che dovete conteggiare nella dichiarazione dei redditi».
Tutte le raccomandazioni hanno un solo scopo: evitare i passi falsi. Con i vigili. Con i taxi. Con il Fisco. «Speriamo che a nessuno venga in mente di farla chiudere», dicono Gale e altri tre studenti londinesi, arrivati apposta per Artissima.
Le generazioni digitali si apprestano a stravolgere anche il modo di muoversi.
Alle cinque, ci contattano due americani. Sono al Lingotto, a Eataly. Siamo lontani sei chilometri e loro devono prendere un treno 40 minuti dopo.
Ci sarebbero soluzioni alternative, eppure aspettano noi, ostinatamente. Si fiondano sul sedile posteriore. Dietro c’è un taxi, chissà se l’autista se ne accorge. «È meglio se fate sedere i passeggeri accanto a voi», consigliano i ragazzi di Uber.
Gli stranieri, però, salgono dietro. Gli italiani no. Coltivano il dubbio che non tutto sia perfettamente lecito. O forse covano qualche senso di colpa.
Come quello che ha Daniele, che accompagniamo in Tribunale: «Sono dispiaciuto, davvero. Non è mai bello vedere una categoria in difficoltà . Se i tassisti non si fossero messi di traverso quando si voleva liberalizzare un po’ il settore, forse non saremmo qui». O forse sì. La verità è che il popolo di Uber non nutre sentimenti per i tassisti. Noi sì.
Ieri abbiamo provato quanto sia sfiancante guidare in città per otto o nove ore. Ritrovandoci, alla fine, con 40 euro.
Andrea Rossi
(da “La Stampa“)
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Novembre 9th, 2014 Riccardo Fucile TUTTI IN FILA PER UN POSTO A TAVOLA: LA FOTOGRAFIA DEI NUOVI SOSTENITORI DEL PREMIER
Tutti avevamo un motivo. Anche il cameriere: «Me lo ha chiesto il maitre». Si direbbe un maitre minaccioso, vista l’insistenza del ragazzo, smartphone già pronto per il selfie.
Ecco, selfie, un termine di cui è vietato fare a meno: la definizione dell’epica universale.
Sono ormai le undici di sera, siamo riusciti a raggiungere, oltre le colonne, l’area nobile dell’immensa sala da pranzo – una novantina di tavoli da dieci ospiti l’uno, guadagno abbondantemente oltre il milione di euro per il finanziamento del partito – e il premier, sepolto da corpi, pare un pallone da rugby sotto la mischia.
I camerieri hanno studiato la tattica, alzano le braccia e partono col ritornello, «Matteo Renzi… Matteo Renzi… Figo Renzi», composizione di un rapper che si fa chiamare Bello Figo.
Ma non c’è verso, il muro non si sfonda: ogni tanto dall’affollamento entra qualcuno perchè è uscito qualcun altro, iPhone e simili sul palmo, l’indice a scorrere sullo schermo per mostrare trionfanti lo scalpo. Bello figo. Bella serata, molto figa, molto fighi tutti quanti, all’inizio si cercava di individuare questo o quello da un dettaglio fisionomico perchè eravamo tutti in uniforme, abiti in tinte comprese fra blu di Prussia e blu zaffiro, sfumature impercettibili a occhio umano.
Scarpe nere, cravatte catacombali.
Tutti avevamo un tavolo e un motivo.
James Pallotta, presidente della Roma, si era portato dietro mezza dirigenza ed era ancora sugli scalini – fuori dal Salone delle fontane all’Eur – e già aggirava il vecchio potere del vecchio circuito piddino che, dice, fa mille storie sullo stadio nuovo; strette di mano, mezzi abbracci, mezze frasi.
Il suo tavolo era proprio sotto al palchetto su cui, dalle dieci alle undici, Renzi aveva parlato ai commensali che per un po’ avevano indugiato sulla parmigiana di melanzane e sui ravioli cacio e pepe e sul filettino con spinaci e mandorle, piluccavano, infilavano furtivamente il cibo in bocca, fino al cedimento da crapula.
In fondo quello di Renzi era un the best of, un riassunto delle puntate precedenti.
Ma quando ha finito è sceso e ha puntato Pallotta, gli ha detto che apprezza tanto gli imprenditori che vengono a investire dall’estero, e insomma Pallotta si è seduto e non sarebbe stato così contento nemmeno al terzo rigore contro la Juve.
Ecco, c’è lo stadio nuovo, c’è l’ordine feticista del maitre, in mezzo c’era l’intero mondo, c’era il tavolo di Google, c’era il tavolo della Clear Channel che fa bike sharing già a Parigi e Barcellona, c’era il tavolo della British American Tobacco, quello del gruppo Maccaferri, quelli degli storici dirigenti del Pd romano che si erano portati le loro piccole reti di imprenditori da introdurre nel castello fatato, ma non è che poi Renzi si sia messo a girare come lo sposo, e come ognuno si augurava.
È un’altra musica ormai. E infatti c’erano anche i tavoli dei pezzi grossi, di Luca Parnasi, dei fratelli Toti, cioè i grandi costruttori romani, l’amministratore delegato della Lamborghini, Umberto Tossini, nomi da elencare quasi a caso, ma probabilmente tutti affratellati dal dilemma riassunto da uno di quel calibro: «Una volta chiamavamo Goffredo Bettini e lui era a tiro di telefono da Massimo D’Alema e da Walter Veltroni. Adesso penso che Bettini non abbia nemmeno i numeri».
Non soltanto lui. Questi giovanotti bellissimi e cattivissimi che si sono presi il potere vivono dentro al palazzo, ed è impossibile incontrarli, perchè è lì che si manifesta la vera differenza antropologica: fra il partito di relazione di ieri e il partito dei conquistadores che ci è capitato sulla testa oggi.
Sembrava quasi che Renzi avesse detto: mi rompete le scatole da mesi, bene, allora adesso si fa una serata tutti assieme, ma voi pagate. E così intanto che Maria Elena Boschi (come la madonna del petrolio, fantastica definizione di un amico) accoglieva la fila dei pretendenti alla foto ricordo, Luca Lotti accoglieva quella dei consegnatori di biglietto da visita, praticamente un sos in bottiglia.
Ecco, mille ospiti, mille motivi.
Era evidente il motivo dei lavoratori in mobilità del Pd, che si sono prestati al ruolo di receptionist e di guardarobieri perchè «Renzi ci ha promesso che se la serata va bene si esce dalla mobilità ».
Era evidente il motivo di Gennaro Migliore, ex rifondarolo ormai preso per incantamento dalle serate anticastriste con Mario Vargas Llosa o, come venerdì, da quelle fra ricchi e arricchiti.
Un mare, e ci si erano buttati vestiti Giuseppe Fioroni, ultimissima variante di leopoldista, e i giovani renziani alla Ernesto Carbone che si godevano il trionfo, e il tesoriere Francesco Bonifazi che conteggiava l’affluenza con gli occhi a forma di euro, e giovani professionisti come il segretario generale dei chirurghi italiani, Sascha Thomas, o come l’ex berlusconiano Giancarlo Innocenzi, a vedere se questo è davvero un treno in corsa.
E finita con un viavai di macchinoni, mentre noi – in un cedimento renziano – siamo rincasati con una Smart della Car2Go, moderna mobilità sostenibile.
Mattia Feltri
(da “La Stampa“)
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Novembre 9th, 2014 Riccardo Fucile GIOIA TAURO, BANCHE CONDANNATE IN VIA DEFINITIVA PER USURA: DA 11 ANNI ATTENDE UN RISARCIMENTO DI 215 MILIONI DI EURO
Stanno per essere licenziati 40 dipendenti dell’azienda Demasi di Gioia Tauro. 
Dove non è riuscita la ‘ndrangheta ci stanno pensando le banche e al danno si aggiunge la beffa: sì, perchè gli istituti di credito sono stati condannati, in via definitiva, per usura ai danni dell’imprenditore Antonino Demasi che è in attesa di un risarcimento milionario.
Soldi che non arrivano fino a quando non si conclude il procedimento civile con il quale l’imprenditore, sotto scorta dopo le minacce di clan locali, ha chiesto agli istituti bancari un risarcimento di 215 milioni di euro.
Nel frattempo, oltre alle linee di credito, le banche gli hanno chiuso anche i conti correnti e ora Demasi sarà costretto a mandare in liquidazione la sua azienda nonostante le commesse che gli consentirebbero, al contrario, di fare assunzioni.
Una storia assurda che vede la Fiom schierata al fianco del “padrone”.
“È paradossale quello che sta succedendo a Gioia Tauro“, racconta il segretario provinciale del sindacato Pasquale Marino che chiede l’intervento del governo. “Io ho subito l’usura e la Cassazione ha stabilito che la responsabilità è delle banche. — spiega Demasi — È da 11 anni che sto cercando di farmi restituire quanto mi è stato rubato. Più di quello che ho fatto non posso, adesso ho l’obbligo giuridico di chiudere l’azienda il primo gennaio. Licenzierò tutti ma continuerò a battermi contro il mondo bancario. Ci sono tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo economico. È importante avere ben chiaro chi sono i criminali e chi sono le vittime”.
Già nell’aprile scorso, della vicenda si era parlato durante il congresso della Fiom.
Ma le parole del segretario Maurizio Landini e di don Ciotti sono rimaste inascoltate
Lucio Musolino
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 9th, 2014 Riccardo Fucile I LEADER, LE DONNE, GLI OUTSIDER: ECCO I NOMI
I leader, le donne e gli outsider. È in una di queste tre categorie che il Pd starebbe cercando il proprio candidato al Quirinale per il dopo Napolitano – il quale, secondo indiscrezioni, sarebbe pronto a dare le dimissioni entro la fine dell’anno, magari annunciandole durante il tradizionale messaggio di fine anno.
Secondo quanto scrive oggi La Repubblica, a Palazzo Chigi ci sarebbe “una cartellina ben nascosta”, nella quale si compongono i tre identikit del futuro capo dello Stato.
Tra i leader ci sarebbero anche tutti gli ex segretari del Partito democratico o ex premier, da Bersani a Prodi, da Amato e Fassino fino a Franceschini e Veltroni, sebbene, scrive il quotidiano, “non siano tutti sullo stesso piano”.
Lista corta, invece, per il capitolo donne: sul tavolo di Chigi ci sarebbero i nomi di Roberta Pinotti, Anna Finocchiaro e Marta Cartabia, giudice della Consulta.
Sul fronte outsider l’elenco si fa più corposo: si va da Sergio Chiamparino al neo ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, da Casini a Padoan, da Delrio a Zanda.
Più outsider degli outsider sarebbero il presidente del Senato, Pietro Grasso e il presidente della Bce, Mario Draghi
Il desiderio di Renzi, in realtà , resta quello di rinviare l’inizio di questa partita:
Continua a sperare di poter convincere Giorgio Napolitano “a resistere nel suo incarico fino al primo maggio”. Una data scelta non a caso.
Contiene in se un valore politico ed uno simbolico. Per quel giorno spera che le Camere abbiano già approvato la delicata riforma elettorale, vero spartiacque di questa legislatura: “Ed io vorrei che fosse lui a firmare quella legge”.
Le grandi manovre per il Colle, però, sono già partite, e a questo punto appare difficile una frenata in corso.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 9th, 2014 Riccardo Fucile “CI SONO PROVVEDIMENTI PIU’ URGENTI DELLA LEGGE ELETTORALE, MA RENZI MIRA A QUELLO”…”RENZI VUOLE UN PREMIO ALLA LISTA VINCENTE, NON ALLA COALIZIONE: I PATTI ERANO DIVERSI”…”NON CREDO A UN’ALLEANZA RENZI-GRILLO: PERDEREBBERO ENTRAMBI LA FACCIA”
Al nostro canonico «come sta?» ci risponde con un «non benissimo» che non è proprio nelle sue corde
tradizionali.
Ma, come vedremo, Silvio Berlusconi è tutt’altro che dimesso.
Da Arcore ci racconta come sta vivendo questi giorni – «giorni non facili», dice – e ricorda quelli passati, insomma quelli degli ultimi tre anni, che sono stati ancora più difficili.
Eppure, al futuro guarda con fiducia: è convinto che la sua Forza Italia non sia affatto fuori dai giochi.
E quando, alla fine del colloquio, gli chiederemo se non teme, invece, che il Pd stia tentando di tagliarlo fuori mettendosi d’accordo con i 5 Stelle, risponderà con una sicurezza assoluta.
«No, non temo un patto tra Renzi e Grillo. E sa perchè? Perchè non converrebbe a nessuno dei due. Perderebbero entrambi la faccia davanti ai propri elettori».
Insomma se il premier pensava di averlo spaventato dicendo che «il patto del Nazareno scricchiola», s’è dimenticato che anche l’ex premier sa come si sta al mondo.
Ma cominciamo dall’inizio. Giorni non facili, dicevamo. «L’occhio mi fa tribolare», ci confida, facendoci tornare in mente un fatto di cui da un pezzo ormai non si parla più, perchè nella politica di oggi quello che è successo ieri è già paleozoico: «La statuetta che mi tirarono quella sera in piazza Duomo, si ricorda?».
E come no: eravamo lì anche noi. «Ecco, quella statuetta mi fa ancora male. Ho rischiato di perdere un occhio, sul quale bisogna intervenire continuamente. Ma mi fa male anche nell’animo, e lei capirà benissimo perchè».
Fa male l’odio ricevuto, e fa male anche il modo in cui tutto si è risolto in tribunale: «Quell’uomo che mi ha lanciato la statuetta non era affatto matto, eppure non ha pagato nulla».
Altro trattamento quello che ha ricevuto lui nelle aule di giustizia. È un tormentone, lo sanno tutti, che gli ha segnato la vita.
Adesso poi è venuto fuori il confronto con Luigi De Magistris, il sindaco di Napoli. L’hanno condannato a un anno e tre mesi. Quindi lo hanno sospeso in base alla legge Severino. Ma in men che non si dica il Tar l’ha rimesso al suo posto.
Potete immaginare che cosa deve aver pensato Berlusconi: il minimo è che la legge Severino vale solo per lui. Ma l’ex Cavaliere, sui giudici, tace.
Al massimo ripete che è assurdo che lo abbiano condannato per frode fiscale «perchè in Italia nessuno ha pagato più tasse di me»; e che è sicuro che «la Corte europea cancellerà le sentenze di condanna».
Per il resto, sa che ogni parola potrebbe costargli cara. Ecco, questo è uno degli obblighi che lo fanno star male: non poter dire tutto quello che pensa.
Altra cosa che, per usare un eufemismo, non lo mette di buon umore: «Lo sa che alle undici di sera i carabinieri vengono a controllare se sono in casa?».
Gli chiediamo che cosa pensi delle contestazioni che colpiscono Renzi da sinistra. Insomma gli chiediamo se crede che ci sia un mondo che ha sempre bisogno di un nemico: la Dc, poi Craxi, quindi Berlusconi e adesso Renzi.
Ma «sono storie diverse», ci dice: «Craxi e la Dc caddero per una serie di inchieste giudiziarie. Io ho subìto sessantun procedimenti, che fanno più di tremila udienze e che mi sono costati cinquecento milioni di euro in avvocati e consulenze. Contro Renzi non c’è alcuna iniziativa della magistratura».
Non che la auspichi, ovviamente: ma insomma, chi vuol capire la differenza, la capisce.
E poi sul governo Renzi siamo lontanissimi da quel che si pensa comunemente, e cioè che a Berlusconi tutto sommato le cose vanno bene così come stanno.
Lo pensano forse alcuni suoi oppositori interni, che gli rimproverano di essere troppo accondiscendente. Ma lui il governo di oggi lo considera – addirittura – un governo abusivo: «Oggi non siamo in un sistema democratico. La maggioranza di sinistra è frutto anche di brogli alle urne. Gran parte dei deputati sono stati eletti con una legge elettorale dichiarata incostituzionale. Al Senato si governa con 32 cittadini che erano stati eletti per opporsi alla sinistra e che ora, invece, sostengono la sinistra. Una situazione assolutamente anomala».
Eppure, con questa sinistra è venuto a patti. Patti che ora scricchiolano.
Ed eccoci alla domanda cui facevamo cenno all’inizio, se crede che Renzi stia cercando di metterlo fuori gioco: «Sinceramente non vedo, in quel che è successo in questi giorni, un attacco a me. Il fatto è che Renzi mi ha chiesto di cambiare gli accordi per la decima volta. Vuole introdurre una variante – il premio alla lista e non alla coalizione – che favorirebbe lui e penalizzerebbe il centrodestra».
L’impressione di Berlusconi è questa: «Che tutta questa fretta di Renzi, il quale vuol far passare la legge elettorale prima di cose più urgenti come i provvedimenti sul lavoro e sull’economia, sia figlia di una volontà chiara: andare a votare presto». Insomma se il patto scricchiola «non è per una nostra inadempienza», ma per una strategia del premier. «Noi non vogliamo rompere il patto», assicura Berlusconi.
Che giura di non essersi preoccupato nemmeno dopo l’elezione del giudice costituzionale targata Pd-M5S.
Perchè, appunto, «un patto tra Renzi e Grillo non converrebbe a nessuno dei due, lo pagherebbero caro alle urne».
Se non altro per interesse, quindi, Renzi non tradirà , secondo il rivale e un po’ alleato Berlusconi.
Michele Brambilla
(da “La Stampa”)
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Novembre 9th, 2014 Riccardo Fucile IL CAPO DEL GOVERNO SI AFFANNA INVANO: “NAPOLITANO È E RESTA UN’ASSOLUTA GARANZIA PER QUESTO PAESE”… MA PARTE LA CACCIA ALL’IDENTIKIT “GRADITO”: UN DEBOLE O UN FORTE COME VELTRONI?
“Giorgio Napolitano è e resta un’assoluta garanzia per questo Paese e un punto di riferimento molto importante”.
Matteo Renzi sulle probabili imminenti dimissioni del capo dello Stato è nettissimo. In privato più di una volta gli ha chiesto di restare. Raccontano che abbia smesso solo recentemente, visto che il presidente è deciso a lasciare.
Ma ancora spera che cambi idea.
Contro le previsioni della vigilia, l’inquilino del Colle per lui è stato un alleato prezioso: l’ha assecondato sulle questioni principali, è intervenuto dove lui non arrivava, gli ha persino corretto provvedimenti scritti in maniera confusa.
Certo, ogni tanto qualcosa il giovane Matteo ha dovuto cedere. Ma molto meno di quanto ci si sarebbe potuto aspettare.
Il punto, però, non è il presente, quanto il futuro.
Eleggere il successore toccherà a questo Parlamento. Che è ingovernabile, come hanno dimostrato le venti fumate nere per l’elezione dei giudici della Consulta.
Il prolungarsi del voto per il Quirinale ha varie controindicazioni: prima tra tutte, rischia di far chiudere a Renzi la finestra elettorale di primavera.
Tra le caratteristiche, il neo presidente deve avere quella di essere pronto a sciogliere le Camere appena eletto. Mica poco.
Il rischio Vietnam è dietro l’angolo: nei tre giorni che portarono alla rielezione di Napolitano, furono bruciati due candidati dipeso (Marini e Prodi) e il segretario Pd, Bersani, dovette dimettersi.
Sui 101 traditori esiste una vasta letteratura, ma ancora nessuna certezza.
Renzi sa bene che le fronde sono pronte a scatenarsi. L’elezione (regolata dall’articolo 83 della Costituzione) avviene dal Parlamento in seduta comune e per scrutinio segreto, a maggioranza di due terzi dell’assemblea.
Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta.
All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione (la Valle d’Aosta ne ha uno solo).
Gli scenari sono variabili e tutti aperti.
Intanto, si tratta di capire con quale maggioranza si procederà . Nonostante le scaramucce sulla legge elettorale, l’asse privilegiato resta il patto del Nazareno.
Con incognita: quanto B. tiene Forza Italia?
Renzi potrebbe anche tentare lo schema opposto, quello di votare con i 5 Stelle. Ipotesi remota. Dopo l’elezione della candidata alla Consulta del Pd con i voti del M5s, Di Maio ha aperto a un accordo sul Quirinale. Prontamente sconfessato dai suoi. Variabile centrale, la vecchia guardia dem: potrebbe approfittare del voto segreto per vendicarsi del segretario-premier e far fuori un po’ di candidati.
Per ora, poi, non è chiaro neanche quale debba essere l’identikit del futuro presidente, nelle intenzioni del premier, che darà le carte.
Un grande vecchio? Una figura malleabile? Un outsider? Raccontano che per una volta abbia la tentazione di scegliere un nome meno ad effetto, ma più di peso. Autorevole, da spendere in Europa per dire.
Difficile pensare a una figura come Giuliano Amato (che potrebbe andare bene a B.) o Prodi (che potrebbero votare anche i grillini).
Chi lo conosce bene dice che “Matteo è molto arrabbiato” con il Professore, perchè ha accreditato la tesi che ad armare i 101 contro di lui fosse stato anche l’allora sindaco di Firenze.
Poi, c’è l’ipotesi opposta, ovvero un presidente debole, pronto ad obbedire.
In quest’ottica, è girato molto il nome di Roberta Pinotti. Che però sembra più uno specchietto per le allodole. Restano gli outsider. Torna Anna Finocchiaro.
Sulla legge elettorale e la riforma del Senato fino a qui è stata molto fedele. Come Violante, potrebbe andar bene alla minoranza Dem. E come Violante, per questo potrebbe essere impallinata da alcuni renziani.
“Non è roba questa da decidere con lo schema della donna in testa”, pare che Renzi abbia detto a un’interlocutrice interessata in prima persona alla questione.
Ci spera ancora Graziano Delrio. La coabitazione tra i due a Palazzo Chigi non è andata benissimo, ma il suo trasferimento al Quirinale potrebbe ancora servire, secondo la regola del “promuovere per rimuovere”.
E ci sarebbe un presidente abbastanza affidabile, ma anche relativamente esperto. Sullo sfondo rimane Walter Veltroni, che sembrerebbe il coronamento di un percorso politico.
Lui è più autorevole che potente. Ma potrebbe far ombra al giovane Matteo.
Mai escludere il coniglio dal cilindro. Magari svelato il giorno prima.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 9th, 2014 Riccardo Fucile A SAN SILVESTRO L’ANNUNCIO: LA DATA DELLA FINE ENTRO FEBBRAIO
Ormai è sempre più chiaro, come racconta chi conosce gli umori e i pensieri del capo dello Stato, che Giorgio
Napolitano è entrato nell’ultima fase del suo secondo e brevissimo mandato, iniziato nell’aprile del 2013.
Il punto di partenza di ogni ragionamento sulla gestione della “sua uscita” è l’articolo 86 della Costituzione: “In caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggior termine previsto se le Camere sono sciolte o manca meno di tre mesi alla loro cessazione”.
I tempi ristretti per l’iter parlamentare Il termine della convocazione dell’elezione entro quindici giorni è decisivo.
Se infatti Napolitano dovesse annunciare la firma delle dimissioni nel messaggio tv di fine anno, secondo un’accreditata ipotesi giornalistica, si aprirebbe un problema di tempi per i grandi elettori che i consigli regionali dovrebbero eleggere nel periodo delle festività natalizie.
Il messaggio avrebbe infatti un valore formale e a quel punto partirebbero le procedure previste dalla Costituzione.
La questione è già stata affrontata ed è per questo che chi ha consuetudine con Napolitano spiega: “Di preciso sulle date ancora non c’è nulla, la riflessione è aperta e non dimentichiamo che ci sono ancora gran parte di novembre e tutto dicembre. Il presidente valuterà tutto sino alla fine e deciderà forme e sostanza di come dirlo nel messaggio della sera di San Silvestro”.
È probabile, dunque, che il capo dello Stato faccia quella sera una sorta di pre-annuncio, senza l’indicazione di una data.
Per questa, in ogni caso, non si andrà oltre gennaio, al massimo ai primi di febbraio. Nelle due settimane che precedono la convocazione dell’elezione del nuovo capo dello Stato, la supplenza andrà al presidente del Senato, Piero Grasso, che è anche uno degli aspiranti alla successione e che ieri ha certificato, unico a farlo, la decisione di Napolitano: “Il presidente della Repubblica sono certo darà , come ha fatto e continuerà a fare, il massimo per essere utile al nostro Paese, in qualsiasi modo e con qualsiasi funzione”.
Parole per certi versi clamorose, a differenza degli altri esponenti politici che, in modo disperato e ipocrita, hanno continuato a tirarlo per la giacchetta, come già nella primavera fatidica del 2013.
Il crollo di stanchezza e le premure della moglie
A dare l’accelerazione alle dimissioni di Napolitano sarebbero state innanzitutto la preoccupazione e le premure della moglie Clio.
Fino a qualche settimana fa, complici le telefonate a Barroso e Draghi, si era formata tra alcuni collaboratori del capo dello Stato la convinzione che il presidente potesse restare fino a febbraio-marzo, con la speranza di vedere l’approvazione della legge elettorale concordata da Renzi e Berlusconi nel patto del Nazareno.
Uno spin messo in circolazione soprattutto dagli ambienti renziani.
Ma la situazione sarebbe precipitata dall’ultima settimana di ottobre. Napolitano avrebbe avuto “un crollo di stanchezza” e la vigilanza della moglie sarebbe diventata sempre più pressante.
Il periodo coincide con quello che il capo dello Stato considera un macigno nel bilancio finale dei suoi circa nove anni di mandato: la deposizione sulla trattativa fra Stato e mafia.
La salute è il primo motivo delle dimissioni. Napolitano, il prossimo 29 giugno, compirà novant’anni.
Al premier: “Me ne vado.Basta, non insistete”
Il secondo motivo, non meno importante, riguarda l’attuale quadro politico. Da Renzi al berlusconiano Giovanni Toti, ieri molti hanno invocato Napolitano come “garante” per ancora un po’ di tempo.
Eppure, Napolitano, per l’ennesima volta, paga lo scotto di una forte delusione. La prima per lo stesso Renzi. Proprio al premier, tra l’altro, il presidente avrebbe ripetuto in due diverse occasioni lo stesso concetto, di fronte alle insistenze di Renzi: “Non insistete e non sperate, io a gennaio me ne vado, non resto oltre”.
Di qui il drammatico vertice del Nazareno di mercoledì scorso tra “Matteo” e “Silvio”, che ha messo in evidenza il tatticismo berlusconiano per allungare i tempi sull’Italicum e magari conservare il Consultellum, ossia il Porcellum riformato dalla Consulta.
La legge elettorale era la seconda condizione per lasciare con soddisfazione il Quirinale, ma a questo punto il capo dello Stato non aspetterà più.
Decisiva anche la voglia di elezioni a Palazzo Chigi La delusione per Renzi dipende però da un altro fattore. Il togliattiano Re Giorgio ha capito che a Palazzo Chigi c’è una forte voglia di elezioni anticipate e per non assecondare un disegno che non ha più le forze fisiche per contrastare preferisce andarsene.
Per la serie: “Non sarò io a sciogliere le Camere”. La questione passa al suo successore che sarà eletto da questo Parlamento, quello dei 101 di Prodi.
In quel momento, la domanda da farsi sarà questa: il primo atto di un presidente appena eletto sarà di sciogliere le Camere?
Per molti, un’ipotesi “irrituale”.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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