Novembre 14th, 2014 Riccardo Fucile DALLA GERMANIA AI PAESI BASSI, IL “SOCIAL HOUSING” NON PASSA SEMPRE PER LO STATO E I COMUNI… CI SI SFORZA DI CREARE “MIX SOCIALI” INVECE DI QUARTIERI GHETTO
In Italia l’Unione Inquilini stima che siano 700mila le famiglie in graduatoria, in attesa di entrare nelle case
popolari. Spesso da anni.
Ad Amsterdam, invece, circa la metà degli abitanti vive in abitazioni con un canone concordato, in media di 60 euro al metro quadro l’anno. E le liste d’attesa sono ridotte al minimo.
È il “social housing“, la versione europea della casa popolare.
Un modello che funziona nel Nord, ma che a Sud non ha attecchito.
Non a caso, nell’Europa meridionale in media più del 60-70% ha una casa di proprietà : le case popolari sono solo per i poveri.
In gran parte dei Paesi europei assegnazione e gestione dell’alloggio “sociale” non passano per forza dal pubblico. Nei Paesi Bassi, come in alcuni Land tedeschi, sono le stesse cooperative sociali a gestire anche le assegnazioni.
E il criterio economico non è l’unico modo per avere accesso a una casa a canone moderato: in Germania e in Inghilterra ci sono categorie protette come gli anziani, oppure quartieri dove si assegnano case a un certo tipo di lavoratori.
In Svezia le contrattazioni sono condotte dai Comitati di inquilini con le cooperative, in Olanda la classifica viene stilata a seconda della tipologia della casa che si affitta, in modo da garantire “un mix sociale” all’interno dei quartieri.
Un patrimonio pubblico insufficiente. Nonostante otto spagnoli su dieci abbiano diritto a chiedere l’ingresso in una casa popolare, il peso nel mercato della casa degli alloggi convenzionati è solo del 3%. In Olanda sfiora il 50%, mentre l’Italia è a metà strada: “Con i nostri ritmi, per poter smaltire la lista d’attesa delle case popolari ci vorrebbero 700 anni”, commenta Massimo Pasquini, segretario dell’Unione Inquilini di Roma.
Le nuove case popolari ogni anno, infatti, non sono che mille, rispetto ad una domanda che continua ad aumentare.
“Il nostro patrimonio — spiega la ricercatrice dell’Università Bicocca Roberta Cucca, sociologa esperta di politiche urbane — è del 20% inferiore rispetto alla media europea. Le nostre istituzioni sono state assenti, non hanno governato il problema della casa”.
Risultato: il patrimonio che s’è salvato ha perso valore ed è un pessimo stato. E i soldi, come al solito, non ci sono.
La vergogna d’Europa.
Se la tensione sociale nei quartieri popolari s’è tanto alzata, tra le cause ci sono le occupazioni abusive. Ogni casa sfitta è una potenziale occupazione: l’Europa, non solo l’Italia, ne è disseminata.
Undici milioni: a tanto ammontano, secondo una stima del Guardian del febbraio 2014. I senza fissa dimora, giusto per dare un paragone, sono 4,1 milioni. In Italia, senza inquilini ci sono tra i 2 e i 2,7 milioni di abitazioni, come in Francia.
“Più del doppio delle persone che aspettano di vedersi assegnata una casa popolare”, nota Pasquini. Peggio di noi, sempre la Spagna, con 3,8 milioni di case, seguita dalla Germania con 1,8 milioni.
“Per questo motivo dobbiamo smettere di fare piani regolatori e recuperare il patrimonio immobiliare dismesso che abbiamo“, aggiunge. Le generazioni s’impoveriscono e la casa diventa un lusso, eppure l’Italia in questi anni è sempre stata un Paese che ha spinto a comprare il mattone, invece che favorire affitti a prezzi bassi. “Ora però nessuno è in grado di comprare”, continua Pasquini.
Il “social housing all’amatriciana”.
Roma e Milano da 15 anni provano a imitare i modelli del Nord Europa, scegliendo particolari categorie di destinatari dei bandi per le assegnazioni.
Dal condominio per i padri separati, alle case per gli studenti fuori sede, fino al condominio per le coppie giovani.
Nella capitale questi sono stati gli effetti, per Massimo Pasquini: “È stata una truffa, un modo per continuare a far costruire anche con i soldi pubblici. Un social housing all’amatriciana”.
Milano non è da meno, con i programmi di edilizia popolare Abitare 1 e Abitare 2, due ambiziosi progetti di edilizia residenziale a canone moderato.
“L’amministrazione locale ne ha parlato con molta enfasi — spiega Roberta Cucca — sottolineando l’obiettivo di costruire un mix sociale, in cui alle persone con difficoltà economica si avvicina una classe media vulnerabile. Il risultato paradossale è che nella parte riservata a questi ultimi i canoni erano troppo elevati, quindi nessuno ha acquistato”.
Il Grand tour d’Europa: squatter e liste d’attesa infinite.
Tutta l’Europa è attraversata dalla fame di case a basso costo e ogni capitale ha i suoi problemi. Londra, una volta, era il paradiso delle occupazioni: gli squatter, gli occupanti, se dimostravano che la casa era sfitta e non provocavano danni all’edificio, potevano restare.
Fino al 2012, quando il governo di David Cameron ha modificato la legge: ora chi ci prova rischia sei mesi di carcere e 6mila euro di multa.
La tradizione però è difficile da dimenticare. Così è nato un sito per le “occupazioni legali”, a 60 pound la settimana.
Si chiama Guardians of London e permette ai proprietari di stabili sfitti di siglare un conveniente contratto di affitto con locatari temporanei che avranno, tra gli altri, il compito di tenere lontani possibili occupanti abusivi.
A Parigi, il signor Armand aspetta una casa popolare dagli anni Novanta.
In francese si chiamano Hèbergement à loyer modèrè, HLM.
“Signor ministro — scrive un anno fa in una lettera indirizzata al ministro della casa dell’epoca, Cècile Duflot, raccolta dal giornale Rue89 — ho l’onore di annunciarvi come anticipato dalla precedenti missiva che mi sono auto assegnato un appartamento”.
Lo stabile apparteneva alla Règie immobiliere de la ville de Paris, una delle cooperative che per conto del Comune gestisce il patrimonio immobiliare. Era vuota da tre mesi e il signor Armand ha deciso che era sua di diritto. Non si sa come sia finita la sua storia, ma quel che è certo sono le difficoltà che la società RIVP ha nel gestire l’assegnazione degli alloggi.
Su 140mila richieste, ne soddisfano solo 10mila, secondo i loro dati.
Chi resta escluso, così come accade in Italia, occupa: nella regione dell’Ile-de-France, dati 2011, il 36% delle occupazioni è fatto a Seine-Saint-Denis, uno dei dipartimenti delle banlieue attorno a Parigi.
Anche Berlino è dovuta correre ai ripari. Dopo essere diventata il porto per i giovani di mezza Europa, soprattutto del Sud, in cerca di un riscatto, i prezzi delle sue abitazioni hanno cominciato a lievitare.
E l’unico modo per offrire una soluzione economica ai berlinesi era finanziare nuova edilizia pubblica. Presto detto: ad ottobre 2013 l’amministrazione comunale ha investito un miliardo di euro per realizzare 28 mila case popolari.
Quante ne ha in gestione oggi il Comune di Milano.
Lorenzo Bagnoli
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Novembre 14th, 2014 Riccardo Fucile A MILANO OCCUPAZIONI, A ROMA IL RACKET DELLE COMPRAVENDITE, A NAPOLI ORO E MARMI NEI PALAZZI: LA CRISI ESASPERA LA TENSIONE SUL DIRITTO ALLA CASA
Alloggi sfitti. Graduatorie infinite. Famiglie da anni in attesa di un tetto che scelgono di occupare. Inquilini regolari esasperati dagli abusivi. Sgomberi e scontri. Politica inerme e malavita attivissima.
L’ultima istantanea arriva dalla Puglia, dove un’inchiesta di pochi giorni fa ha portato alla luce le presunte collusioni tra la Sacra Corona Unita e alcuni responsabili dell’amministrazione comunale di Squinzano (Lecce) per l’assegnazione di alloggi pubblici. Ecco cosa succede nelle case popolari delle maggiori città italiane.
Piano anti-occupazioni in vista di Expo. “Ma 23mila famiglie aspettano un tetto”.
Ma partiamo da Milano, negli ultimi mesi alle prese con un’ondata di occupazioni abusive che non sembra arrestarsi. L’ultimo tentativo è avvenuto l’11 novembre. Quando una 31enne egiziana incinta si è intrufolata in un appartamento Aler in via Inganni 6, zona Lorenteggio, quartiere popolare. Un’occupazione lampo. Perchè dopo poche ore, gli ispettori dell’ente che si occupa della gestione degli alloggi popolari hanno convinto la ragazza a uscire.
Salto indietro di due settimane. Via Giambellino. Questa volta a scivolare dentro un’abitazione sfitta sono state due rom. Gli altri condomini se ne sono accorti ed è partita una sassaiola.
A quel punto le occupanti non hanno potuto far altro che chiamare la polizia per evitare il linciaggio. Fermi immagine delle periferie di Milano, che in attesa di Expo, è costretta a gestire la polveriera delle occupazioni abusive nelle case popolari.
Dall’inizio del 2014 — calcola il Corriere della Sera — se ne contano 1.278: 732 sono riuscite, 546 sono state sventate. Solo a settembre sono state 78. Mentre 39 tentativi sono andati a vuoto.
Gli sgomberi in flagranza sono stati 23. Stesso numero per quelli programmati con la Questura.
Una situazione che è stata al centro della riunione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, convocato in Prefettura, tra Comune ( che gestisce 29mila abitazioni), Regione, Aler (che possiede 40mila case), i vertici delle forze dell’ordine e il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati.
Il piano d’azione contro le occupazioni partirà il 18 novembre. Punterà più sulla prevenzione, che sulla repressione. Verrà intensificata la vigilanza nei quartieri a rischio, specialmente di notte.
Poi c’è la questione sgomberi. Di sicuro aumenteranno, ma è difficile accontentare le richieste del governatore Roberto Maroni che ne pretendeva 200 in pochi mesi. Perchè, come ha spiegato il prefetto Francesco Paolo Tronca, le occupazioni non vanno gestite solo sul piano dell’ordine pubblico, ma anche su quello sociale. Specialmente in vista di Expo 2015, che tra pochi mesi concentrerà i riflettori di tutto il mondo ai piedi della Madonnina, dove lo scontro tra istituzioni e comitati di lotta per la casa è già altissimo.
In ogni zona popolare di Milano sono infatti attivi gruppi, legati a centri sociali o nati spontaneamente, che oltre a proporre iniziative per la qualificazione del quartiere, danno un aiuto alle famiglie senza casa e si oppongono agli sgomberi.
Al Giambellino, ad esempio, ci sono i ragazzi della “Base di solidarietà popolare Giambellino”, al Ticinese lo spazio sociale “Cuore in Gola”, più a nord il comitato abitanti San Siro-Asia.
La loro presenza si fa sentire soprattutto durante gli sgomberi di alloggi di proprietà Aler o del Comune. Spesso, quando gli ispettori dell’ente, accompagnati dalla polizia, arrivano a notificarne uno, trovano ad aspettarli un muro di militanti che cerca di impedire l’allontanamento degli abusivi.
Come è successo giovedì 13 novembre, quando alcuni ragazzi del centro sociale Corvaccio si sono opposti allo sgombero di due famiglie in via Salomone, zona Mecenate. “Noi difendiamo chi occupa per necessità perchè da anni aspetta un alloggio, non difendiamo l’illegalità ”, racconta un ragazzo del comitato San Siro. Accanto a loro, però, iniziano a prendere vita anche comitati di inquilini che si mobilitano contro le occupazioni.
Come quello di via Odazio, zona Giambellino. Tra gli schieramenti la tensione è sempre alta: l’11 novembre con un blitz una ventina di incappucciati ha distrutto la sede del Pd a Corvetto, mentre era in corso una riunione del Sunia-Cgil, il sindacato degli inquilini.
Tutto questo va in scena in una città dove “23mila famiglie sono iscritte alla graduatoria per avere una casa popolare, e 8mila appartamenti di proprietà del Comune e Aler sono sfitti”, spiega Massimo Pasquini, presidente dell’Unione Inquilini.
Ma quello delle occupazioni abusive è solo la punta dell’iceberg di quello che avviene in alcuni alloggi che sembrano sfuggire al controllo dell’Aler. E dove, a farla da padrone, sarebbero i clan. “Il quartiere Sarca-Testi è il centro di tutto — ha raccontato a ottobre a Il Fatto Quotidiano un ex funzionario dell’Aler – Qui rom e calabresi controllano tutto, dal racket allo spaccio”.
E qui, quando c’è da chiedere voti, la politica pare essere sempre di casa. “Nel 2010 fece campagna elettorale un noto politico lombardo che entrò nella giunta Formigoni. Un voto, 50 euro”.
Roma, un appartamento popolare costa dai 30 ai 50mila euro sul mercato nero. Già , perchè se per i diseredati le case popolari sono l’ultima spiaggia, per la malavita non sono altro che un business.
Roma è l’esempio più calzante. “Qui il mercato nero degli alloggi pubblici è gestito dalla criminalità locale e dai clan rom”, denuncia Pasquini dell’Unione Inquilini, “specialmente nella fase di compravendita”.
Un grosso affare, visto che sulla piazza ci sarebbero “tra le mille e millecinquecento case” che sfuggono al controllo delle istituzioni.
Prezzo medio per accaparrarsene una: dai 30 ai 50mila euro, in una città dove l’emergenza abitativa morde sempre più forte. Lo dimostra il numero di famiglie iscritte nell’ultima graduatoria del 2012 ancora in attesa di un tetto: 30mila.
E lo dimostra il numero di quelle che hanno scelto di occupare: 5mila, a fronte di una media di 300 sgomberi all’anno. E proprio nel marzo scorso, una maxi operazione della magistratura capitolina ha inferto un duro colpo al Comitato popolare di lotta per la casa: 40 persone indagate, 14 persone accusate di associazione a delinquere, tre palazzi sgomberati e perquisizioni.
L’accusa: gestire il racket delle occupazioni nella Capitale. Oltre ad avere minacciato ed estorto soldi agli stessi occupanti, costretti — secondo gli inquirenti — a fare lavori gratis per l’esclusivo profitto del Comitato di Lotta per la casa.
“Chi occupa è solo l’ultimo tassello di una catena di problemi che ha il suo inizio con la politica: perchè gli alloggi pubblici sfitti, che in Italia sono 40mila, non vengono assegnati?” chiede Pasquini, che precisa: “L’Unione Inquilini è contraria alle occupazioni di stabili pubblici, ma Ater a Roma e Aler a Milano dovrebbero prendersi le proprie responsabilità , non si può gridare alla legalità solo alla fine”.
E la situazione potrebbe aggravarsi ulteriormente secondo il presidente dell’Unione Inquilini, visto che il decreto Lupi (o Piano casa) prevede la vendita all’asta delle case popolari con 45 giorni di diritto di prelazione “mettendo così a rischio la permanenza per quanti non possono acquistarle”.
Contro il provvedimento è previsto a Roma, il 21 novembre, un presidio sotto la sede della Regione Lazio. “Per chiedere al presidente Nicola Zingaretti di impegnarsi presso il governo per la cancellazione dal decreto”.
Napoli, rubinetti d’oro e marmi pregiati nelle case occupate dai boss.
Scendiamo ancora lungo lo Stivale. Fermiamoci a Napoli. Qui è sufficiente un’immagine.
Nell’aprile scorso la polizia ha effettuato un’operazione nelle case occupate abusivamente da esponenti del gruppo camorristico Lucarelli-Barretta, al Lotto G di Scampia.
Edifici fatiscenti fuori, ma lussuosi dentro. Perchè quando gli agenti sono entrati hanno scoperto marmi pregiati e rifiniture in oro.
E in un alloggio dell’Iacp, preso con la forza dagli uomini del gruppo Vanella Grassi che hanno “ripopolato” il quartiere con i propri affiliati per aver un maggior controllo del territorio, gli uomini del commissariato Scampia si sono imbattuti in arredi di lusso stile Luigi XVI, stucchi, rubinetti dorati e vasche con le iniziali del titolare incise nel marmo.
Mentre a marzo, nel popoloso rione Salicelle di Afragola (Napoli), i carabinieri hanno sequestrato preventivamente 189 appartamenti popolari che erano stati occupati a discapito di chi aspettava di vederseli assegnare.
E la politica che fa? Qui la lotta all’abusivismo si combatte con le sanatorie a favore di chi ha occupato.
A settembre, infatti, la Regione Campania guidata da Stefano Caldoro ha concesso un’ultima chance per regolarizzarsi a chi ha occupato prima del 31 dicembre 2010. Nel 2012 sanatoria simile, ma in questo caso veniva graziato chi si era impossessato di un alloggio nel 2009.
C’è da chiedersi a chi servono allora i bandi di assegnazione con graduatoria. Cartoline dalle periferie d’Italia, e dal suo patrimonio di 40mila alloggi pubblici sfitti.
Alessandro Bartolini
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Novembre 14th, 2014 Riccardo Fucile LA NOTA DEI SERVIZI SEGRETI: “LA QUESTIONE ABITATIVA È RITENUTA STRATEGICA PER IL CONFLITTO SOCIALE”… VIAGGIO NELLE DIVERSE ESPERIENZE DI OCCUPAZIONE IN CITTà€
“Per chi può convergere in via Tracia, sgombero di una donna in corso, compagni già presenti”. Il messaggio
corre su Facebook. È l’11 novembre.
“Mattinata di resistenza in largo Fatima, solidali impediscono lo sgombero di una famiglia. Non facciamoci intimidire, uniti si vince!”. È il 10 novembre.
Voci dell’antagonismo milanese che da mesi si batte per le occupazioni. Battaglia che spesso sfocia in atti criminali come successo al quartiere Corvetto quando un gruppo di incappucciati ha fatto irruzione all’interno di un circolo del Pd gettando nel panico una ventina di anziani tutti residenti nelle case popolari di via Mompiani.
Gli 007: “Potenziali spinte ribellistiche degli antagonisti”
E così, se da un lato l’agenda della cronaca ogni giorno registra tensioni e violenze, dall’altro il problema della casa viene preso in grande considerazione dai Servizi segreti italiani.
Tanto che in un’inedita nota del marzo scorso, gli 007 dell’Aisi sottolineano “il particolare rilievo mobilitativo” che “ha assunto la questione abitativa, ritenuta strategica e trainante per lo sviluppo del conflitto sociale”.
Un vero e proprio allarme quello lanciato dai servizi e che fotografa l’attuale situazione milanese.
“La lotta per la casa — si legge — si è estesa a tutto il contesto nazionale, con occupazioni di edifici in disuso sia come alloggi per famiglie in difficoltà , immigrati e studenti, sia quali possibili sedi di attivismo politico”.
E ancora: “La campagna di protesta costituisce, nell’ottica antagonista, un importante fattore di ricomposizione del dissenso, con potenziali spinte ribellistiche”. L’immobiliare “rossa” e i 200 sgomberi annunciati
A Milano l’area dell’autonomia, vicina al movimento No Tav, sempre più si lega (sotto sigle diverse e non sempre individuabili) alla lotta per la casa.
Sulle mappe della Digos e del Nucleo informativo dei carabinieri, aumentano le bandierine dei comitati popolari per la casa dietro ai quali agiscono gli anarchici.
Succede al Ticinese in via Gola, al Lorenteggio, in zona Calvairate e recentemente proprio al Corvetto dove in via Ravenna 40 si sono stabiliti gli anarchici della “Rosa Nera”.
Secondo fonti investigative, inoltre, l’attuale movimento — messi in secondo piano i capi storici — registra un seguito preoccupante che potrebbe avere ricadute durante i cortei per lo sciopero generale di domani.
L’obiettivo, infatti, è quello della “ricomposizione del dissenso” e della riconquista della piazza durante le manifestazioni. Tra la teoria e la pratica c’è, poi, la cronaca.
Che, sul fronte dell’autonomia, ragionano gli investigatori, racconta di come spesso le occupazioni vengano favorite per ottenere in cambio persone da mandare in piazza durante le manifestazioni.
In molti casi, poi, gli stessi anarchici coprendo l’ingresso abusivo, ad esempio di famiglie rom, ottengono in cambio mano d’opera per aprire nuovi appartamenti.
È “l’immobiliare rossa” per la quale il problema non sono le occupazioni ma le case vuote.
Gli autonomi sui profili Facebook così fanno di conto e denunciano i costi esorbitanti dei duecento sgomberi annunciati dal prefetto per la prossima settimana.
La moltiplicazione è semplice: se per ogni sgombero si spendono dai 5 mila ai 10 mila euro, il prezzo complessivo di questa operazione supera il milione di euro di denaro pubblico.
Con un solo risultato: lasciare in strada decine di famiglie.
E, del resto, gli appartamenti vuoti rappresentano un problema reale.
Oggi a Milano sono venti i palazzi di edilizia popolare lasciati sfitti. Alcuni, come la residenza universitaria nel quartiere Stadera, è in stato di abbandono dal 2012 dopo essere stata ristrutturata.
Mentre in via dei Panigarola, in zona Corvetto, un intero stabile, ultimato per il 90 per cento, è vuoto da due anni.
I Comitati contro gli abusivi
L’azione dell’antagonismo, giocata sulle occupazioni, coesiste con i comitati di cittadini residenti nei quartieri popolari, i quali, nel pieno rispetto della legge, si battono contro gli abusivi.
Succede nel lotto di case tra via Segneri, piazza Tirana e via Odazio. Qui il comitato Drago (Dare risposte al Giambellino ora), composto per lo più da residenti della zona che denunciano il degrado, si scontra con il comitato “Base di solidarietà popolare”, molto più vicino al movimento autonomo.
Su questo fronte ecco il ragionamento di Mary. “Non siamo tutti criminali — dice — io non ho occupato la casa di nessuno, era vuota già da tre anni”.
Succede al Giambellino. Si replica al quartiere San Siro, sedicimila abitanti nelle case popolari dell’Aler.
“Una città nella città ”, dice Lucia Guerri che qui in via Mar Ionio ci abita dal 1939. A luglio, dopo l’ennesima occupazione, ha radunato una ventina di donne. “Protestiamo e denunciamo”, dice. “Lo scorso ottobre due egiziani stavano sfondando la porta, noi donne siamo scese in cortile urlando, i due alla fine sono scappati”.
Donne eroiche. “Ormai — prosegue Lucia — non sai più chi hai come vicino di casa, ogni giorno lottiamo con gli abusivi, sembra di essere tornati ai tempi della guerra”.
Lucia, però, è ottimista. “La Regione deve affittare le case vuote. Noi andiamo avanti e da qualche tempo al nostro movimento si sono aggregati dei giovani”.
Linfa nuova come Gabriella Crippa, 26 anni. “Ci aiuta con le email e tiene i rapporti con l’assessore”. Ma anche qui, a San Siro, la lotta legale si scontra con il movimentismo anarchico che fa riferimento al centro sociale il Cantiere e allo spazio di via Micene, dove è stato aperto lo sportello “il-legale”.
Insomma, il problema delle case popolari se da un lato alza l’allarme eversione, dall’altro fotografa il disastrato tessuto sociale di una città che corre dritta verso l’Expo 2015.
Davide Milosa
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 14th, 2014 Riccardo Fucile E NASCONO I LABORATORI A TUTELA DEI PRECARI
Marta si è data malata. Giovanni si è inventato il matrimonio di un cugino. Marta e Giovanni sono giovani precari.
Ma oggi lei non era ammalata e lui non era a festeggiare le nozze di un parente. Erano in piazza a Roma al corteo per lo sciopero sociale organizzato da reti di precari come loro, sindacati di base, studenti e centri sociali.
Al lavoro hanno dovuto dire una piccola bugia: perchè da precari lo sciopero non se lo possono permettere, pena il licenziamento.
Questo 14 novembre, che viaggia sui social sull’hashtag ‘#14n’ e scorre in tantissime città italiane con mobilitazioni, presidi e cortei, è fatto di inevitabili contraddizioni.
E’ il lancio di un “social strike” – come lo chiamano gli organizzatori “strikers” – per chi non gode nemmeno del diritto di sciopero: precari e partite Iva vere e false, contratti a termine e a progetto, collaboratori a vita, interinali, migranti ecc. P
er quelli che “non verranno certo aiutati dal Jobs Act di Renzi che abolisce solo una forma di lavoro precario, il co.co.pro: ce ne sono altre 40…”, ti dicono in piazza.
“Strike” come sciopero, certo, ma anche come ‘colpire’, in inglese.
La giornata di oggi è il frutto del lavoro di diverse reti di precari e studentesche per ‘colpire’, scuotere un sistema economico, politico e anche sindacale che non li garantisce e non li rappresenta.
Non è lo sciopero di un sindacato, nonostante il proficuo dialogo di queste reti precarie con Maurizio Landini della Fiom, che non a caso proprio oggi ha celebrato la prima giornata di sciopero di categoria con una manifestazione a Milano.
Il 14 novembre non è la giornata di sciopero di un segmento di lavoratori, ma è lo sciopero delle molteplici figure del lavoro contemporaneo. O almeno è questo il tentativo degli ‘strikers’.
Un tentativo, lo dicono anche loro, l’inizio di un percorso che finora ha dato vita a una ventina di laboratori locali nelle città , nuclei che vorrebbero organizzare la variegata rappresentanza precaria, oltre le attuali forme sindacali, lontani anni luce anche dalla Cgil di Susanna Camusso e il suo sciopero generale del 5 dicembre: “Non ci rappresenta”, ti dicono in piazza.
Alla vigilia delle mobilitazioni, gli ‘strikers’ romani volantinano a sera a San Lorenzo, quartiere studentesco e della movida notturna.
Distribuiscono volantini sulla manifestazione, denunciano il Jobs Act del governo Renzi e anche il programma europeo di ‘Garanzia giovani’ come una “scatola vuota”. “L’Italia — c’è scritto — mette a disposizione 1,5 miliardi di euro in tre anni, distribuiti dal Youth European Initiative, il Fondo sociale europeo, e il cofinanziamento nazionale. Il programma è partito il primo maggio 2014. Al 9 ottobre si sono registrati a Garanzia Giovani 236.969 giovani, la maggior parte dei quali ancora in attesa del primo colloquio di informazione e orientamento. Solo il 25 per cento è stato preso in carico dai centri per l’impiego…”.
Soprattutto, alla vigilia delle mobilitazioni, gli ‘strikers’ non sanno fare una stima della partecipazione ai cortei. “Può essere duemila persone come diecimila…”. Cautamente vaghi. Difficile fare previsioni quando chi dovrebbe seguirti non può anche quando vuole.
Non tutti osano come Marta e Giovanni, non tutti si possono permettere di mentire al datore di lavoro. Anche molti organizzatori dello strike, ti raccontano al corteo, non hanno potuto fare gli strikers oggi. Perchè precari e per questo ‘legati’ al posto di lavoro.
Un paradosso che rende complicatissimo tutto il percorso dello sciopero sociale, laboratori locali compresi.
Eppure, alla fine, il bilancio degli organizzatori supera le aspettative. La giornata è lunga.
A Roma inizia alle 7 con un blitz alla sede dell’Acea. Gli strikers si presentano con una gigantografia di Super Mario, l’idraulico immaginario dei videogiochi, per protestare contro i distacchi delle forniture di acqua e luce operati da Acea su chi non paga le bollette: “Almeno 300 al giorno e senza preavviso”, denunciano.
Poi c’è il corteo da piazza della Repubblica all’Esquilino, un po’ di petardi e lancio di uova davanti al ministero dell’Economia e all’ambasciata tedesca. Traffico in tilt nella capitale e nelle altre città .
Solo nella alluvionata Genova ci sono ben cinque cortei. A parte i momenti di tensione con le forze dell’ordine a Milano e Padova, tutte le mobilitazioni sono state organizzate per sfilare pacificamente: “Per non rovinare il percorso appena avviato”, spiegano gli strikers.
Il lavoro per organizzare la rappresentanza del lavoro liquido e invisibile, a tempo e non garantito, è appena nato.
Gli strikers contano molto sul dialogo con Landini, il segretario della Fiom che, ti spiegano, “pure si pone il problema di riorganizzare collettivamente la rappresentanza sindacale”.
Solo due giorni fa, Landini era all’assemblea di studenti e precari alla Sapienza a Roma.
Dopo il 14 novembre ci saranno altre date di mobilitazione, a ridosso del voto parlamentare sul Jobs Act che “non risolve il problema del precariato, anzi…”, ripetono in piazza.
Il futuro è incerto: nel lavoro come nel diritto di sciopero.
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Novembre 14th, 2014 Riccardo Fucile LA PROCURA DI ROMA CHIUDE L’INCHIESTA SULLA GESTIONE DEI FONDI COMUNITARI DEL MIUR
Abuso e turbativa d’asta. ​Alla fine gli avvisi di garanzia sono volati ai piani alti del Miur. E tra gli indagati
figura anche l’uomo appena nominato dal governo a capo dell’Ispettorato nucleare.
La Procura di Roma ha iscritto il nome di Antonio Agostini, segretario generale del Ministero dell’Ambiente ed ex dg della ricerca all’Istruzione, nel registro delle notizie di reato.
I magistrati hanno presentato oggi l’avviso di chiusura indagini, atto che normalmente precede la richiesta di rinvio a giudizio. Agostini è finito nel mirino della Procura da circa un anno per la gestione opaca dei fondi europei per la ricerca rivelata due anni fa dal Fatto Quotidiano.
Su di lui e su alcuni collaboratori pende l’accusa di aver fatto pressioni per favorire alcuni soggetti beneficiari dei finanziamenti sprovvisti dei requisiti tecnici ed economici. Fatti che saranno oggetto di ulteriori accertamenti.
Intanto però la notizia è una doccia fredda per l’esecutivo di Matteo Renzi.
Perchè il 6 ottobre scorso, su proposta del ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, ha indicato proprio il funzionario come presidente dell’Isin, l’agenzia che dovrà gestire lo sgangherato post-nucleare italiano.
E’ poi un duro colpo alla credibilità dei parlamentari di maggioranza che un mese dopo hanno votato parere favorevole, nonostante 24 ore prima ilfattoquotidiano.it avesse rivelato le ombre che incombevano sul candidato.
In particolare sulla gestione opaca dei fondi comunitari destinati alla ricerca sotto la sua direzione, tra il 2009 e il 2012, oggetto di un’inchiesta del Fatto già due anni prima.
Una gestione che gli ispettori della Ragioneria Generale dello Stato, nella relazione dai noi anticipata il 5 novembre scorso, definivano senza mezzi termini “inadeguata” e con profili di illegittimità “suscettibili di determinare una configurazione di danno erariale e circostanze penalmente rilevanti“.
Così le conclusioni delle 154 pagine che analizzano e descrivono i meccanismi che alteravano l’esito delle graduatorie a favore di soggetti e progetti sprovvisti dei requisiti di ammissibilità , in danno di chi li aveva davvero.
COME NASCE L’INCHIESTA DELLA PROCURA
A portare gli ispettori al Miur era stata una prima inchiesta del Fatto Quotidiano.
Era il 17 novembre 2012. La notizia prendeva le mosse da un dossier recapitato in forma anonima che descriveva una “stabile organizzazione” nel cuore di Viale Trastevere in grado di pilotare il destino dei finanziamenti pubblici.
In quelle carte veniva descritto il “sistema” che avrebbe infettato da tempo uno dei centri di spesa principali del governo: la Direzione Generale della Ricerca, responsabile dell’erogazione di 6,2 miliardi di contributi comunitari a fondo perduto, 3 miliardi di budget statale e un miliardo l’anno di fondi ordinari per gli enti di ricerca.
Una montagna di soldi, anche per il sud, in parte già finiti al centro di alcune inchieste per truffa, dal dissesto dell’Idi romana al Gruppo Silva che dirottava al nord i fondi europei per il meridione.
Al centro, la figura di Antonio Agostini, con una carriera partita dai servizi di sicurezza e dall’Agenzia spaziale italiana.
Una denuncia circostanziata che provocò un terremoto nel Ministero, già provato dal contemporaneo scandalo delle “Pillole del sapere” svelato da Report con fortissima eco nell’opinione pubblica. Solo che lì si trattava di spiccioli, qui di centinaia di milioni.
Per questo l’allora ministro Francesco Profumo chiese subito alla Ragioneria dello Stato di distaccare due ispettori per far luce sulla vicenda.
L’indagine dura sei mesi e l’esito viene trasmesso anche alla Procura della Repubblica di Roma e alla Corte dei Conti che hanno proseguito gli accertamenti.
E ora hanno anche i primi indagati. Nelle prossime ore si chiariranno meglio le ipotesi di reato contestate. Agostini e colleghi avranno venti giorni per presentare una memoria e chiedere di essere ascoltati.
UN CASO POLITICO
Ma le implicazioni della sua nomina all’Isin, sottovalutata da tutti tranne che da Sel e M5S che l’hanno osteggiata, diventano un caso scottante per la maggioranza di governo.
Nonostante l’allerta delle inchieste giornalistiche, infatti, ha sedato il dissenso interno di alcuni malpancisti pur di far quadrato attorno al nome uscito dal consiglio dei ministri.
Alcuni deputati e senatori Pd hanno perfino sposato l’autodifesa di Agostini, che in un’audizione aveva parlato di “articolo a orologeria”. “Non possiamo basare il nostro giudizio sulle ricostruzioni giornalistiche”, si schermirono allora i parlamentari per congedarsi dall’imbarazzo.
L’opposizione, invece, ha battuto fino all’ultimo il chiodo della mancanza dei necessari “requisiti di competenza, professionalità e moralità ”, espressamente prescritti dalla direttiva europea che l’Italia ha recepito solo cinque mesi fa. Segnalando anche il rischio che il Presidente della Repubblica si trovasse a controfirmare la nomina di un “impresentabile” inadatto al ruolo.
LA NOMINA DELL’INDAGATO E IL GIOCO DELLE PALLINE
Argomenti che a un certo punto sembravano far breccia anche tra alcuni parlamentari del Pd, mettendo a rischio l’indicazione del governo che doveva essere recepita entro l’8 novembre, pena la decadenza del decreto con l’indicazione di nomina. Il 5 novembre dunque si vota.
Alla seduta delle commissioni Ambiente e Attività produttive del Senato Agostini passa con 35 voti favorevoli, 8 contrari e 3 astenuti. Ma il numero risicato dei presenti e crescenti malumori nel Pd fanno presagire un voto incerto alla Camera, che infatti si svolgerà tra colpi di scena, sospetti e trucchetti da Prima Repubblica.
L’apice al momento del voto: quando qualcuno tra i democratici si oppone al volere del governo, la seduta viene provvidenzialmente interrotta perchè due palline per la votazione spariscono, annullando così una probabile bocciatura.
Tutto viene rinviato all’indomani e la nottata servirà a rimettere tutti in riga. Il 6 novembre Agostini esce ufficialmente vincitore con un plebiscito: 58 voti favorevoli e 19 contrari.
Effetto anche della mobilitazione di deputati senza precedenti per una seduta delle 9 del mattino.
Così, ignorando ogni prudenza, Governo e Parlamento hanno consegnato il nucleare italiano nelle mani di un indagato.
Thomas Mackinson e Andrea Palladino
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 14th, 2014 Riccardo Fucile TREDICESIMO CALO CONSECUTIVO, SOLO CIPRO MALE COME NOI
L’Italia resta in recessione. Nel terzo trimestre del 2014 il Pil cala dello 0,1% dopo il -0,2% fatto registrare nel periodo aprile-giugno e la variazione nulla nei primi tre mesi dell’anno.
Ancora più pesante il dato sullo stesso periodo del 2013: -0,4%.
A fine settembre, dunque, la variazione acquisita per l’anno è pari a -0,3%. Con il dato di oggi si allunga la serie negativa dell’economia italiana che ormai non cresce più da 13 trimestri, oltre tre anni: l’ultima dato positivo, infatti, risale al secondo trimestre del 2011.
Nel dettaglio, il calo congiunturale registrato dal Pil nel terzo trimestre è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto in agricoltura e industria e di un aumento nei servizi.
Dal lato della domanda: contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte) parzialmente compensato da quello positivo della componente estera netta. Il terzo trimestre del 2014 ha avuto quattro giornate lavorative in più del trimestre precedente e lo stesso numero rispetto al terzo trimestre del 2013.
Nello stesso periodo il Pil è aumentato in termini congiunturali dell’1,2% negli Stati Uniti e dello 0,7% nel Regno Unito.
In termini tendenziali, si è registrato un aumento del 3,9% negli Usa e del 3% nel Regno Unito.
Segnale di ripresa arrivano anche dal resto d’Europa: la Francia ha registrato una crescita congiunturale dello 0,3%, sopra le attese che parlavano di un aumento limitato allo 0,1%; la Germania con un segno positivo dello 0,1% ha scongiurato la recessione dopo lo 0,1% del secondo trimestre.
Eurozona. Segnali di ripresa, nel terzo trimestre dal Pil della zona euro e dell’Ue-28: tra giugno e settembre l’economia è cresciuta rispettivamente di 0,2% e 0,3%, rispetto al +0,1% e +0,2% del trimestre precedente.
L’Italia è l’unico paese con crescita negativa assieme a Cipro (-0,4%). Su base annua il Pil della zona euro è salito di 0,8% e quello dell’Ue di 1,3%.
(da “la Repubblica”)
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Novembre 14th, 2014 Riccardo Fucile DICE: “NON VOLEVO CREARE PROBLEMI”, MA IN REALTA’ GLI ABITANTI GLI AVEVANO FATTO SAPERE CHE NON ERA GRADITO
Un cappuccino a Tor Sapienza “scortato” da esponenti di Casa Pound (povero Ezra, vedere il suo nome
abbinato a simile patacca padagna)
La discesa della Lega nord a Roma, cavalcando l’ondata di proteste anti-immigrati, si riduce ad un appuntamento con i giornalisti al bar-pasticceria.
Niente incontro con i comitati di cittadini, nè tanto meno – come aveva annunciato nei giorni caldi degli scontri a Tor Sapienza – “la mia diretta vicinanza nei confronti dei cittadini italiani che si sentono assediati nei loro quartieri, vessati da degrado, immigrazione clandestina, sporcizia e totale assenza di sicurezza”.
La sua visita si limita a una tazza di spumoso latte macchiato e caffè.
Il leghista – sceso a Roma prima dell’annunciata visita di Salvini – aveva detto: “Visiterò due zone difficili della capitale – precisa Borghezio – finite sotto i riflettori in questi giorni. La mattina mi recherò a Tor Sapienza, dove incontrerò gli abitanti del quartiere che difendono il loro sacrosanto diritto a vivere nella sicurezza e nella tranquillità , portando loro anche la solidarietà del segretario Matteo Salvini”.
Ma l’incontro non è avvenuto.
Andrà dai comitati? gli chiedono i giornalisti.
“Io sono venuto a parlare con le persone che incontro qua, non voglio andare a rompere le scatole al centro o a chi non mi ha invitato”
«Dal sentore che ho i cittadini non accoglierebbero bene Borghezio perchè si sentono abbandonati e pensano che queste loro visite siano un pò di convenienza. Infatti è andato in un bar non qui per strada. Noi vogliamo fatti, non la passeggiata, non c’è bisogno di venire qui solo quando succedono le cose». Lo dice Roberto Torre, vicepresidente del Comitato di Quartiere Tor Sapienza.
«Sgomberare il centro completamente sarebbe una sconfitta dello Stato, lo Stato si è arreso alla violenza, ma sono facinorosi perchè Tor Sapienza non è nè razzista nè violenta, semplicemente i suoi abitanti sono esasperati», conclude Torre.
Un altro abitante della zona: «State correndo tutti dietro a Borghezio – ha detto il giovane riferendosi ai giornalisti – ma questa gente con le nostre periferie non c’entra niente. E noi non vogliamo essere presi in giro».
I migranti hanno voluto esprimere a loro volta le loro ragioni in una lettera aperta.
“Tutti parlano di noi in questi giorni, siamo sotto i riflettori: televisioni, telegiornali, stampa. Ma nessuno veramente ci conosce” scrivono gli immigrati. “Noi siamo un gruppo di rifugiati – continua la lettera – 35 persone provenienti da diversi Paesi: Pakistan, Mali, Etiopia, Eritrea, Afghanistan, Mauritania…Non siamo tutti uguali, ognuno ha la sua storia; ci sono padri di famiglia, giovani ragazzi, laureati, artigiani, insegnanti… ma tutti noi siamo arrivati in Italia per salvare le nostre vite. Abbiamo conosciuto la guerra, la prigione, il conflitto in Libia, i talebani in Afghanistan e in Pakistan. Abbiamo viaggiato, tanto, con ogni mezzo di fortuna, a volte con le nostre stesse gambe; abbiamo lasciato le nostre famiglie, i nostri figli, le nostre mogli, i nostri genitori, i nostri amici, il lavoro, la casa, tutto. Non siamo venuti per fare male a nessuno”.
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Novembre 14th, 2014 Riccardo Fucile QUELLO CHE SILVIO NON E’ RIUSCITO A PORTARE A TERMINE ORA TROVA REALIZZAZIONE
Tutti a casa. Quattrocento subito, da qui al 31 dicembre 2015, gli altri 900 nel triennio successivo. Un cambio epocale.
La più grande rottamazione degli ultimi decenni, roba da far impallidire quello che è successo in politica con l’ascesa di Matteo Renzi.
La posta in gioco sono gli oltre 1300 incarichi «direttivi o semi-direttivi», le posizioni di vertice della magistratura italiana, dalla Corte suprema di Cassazione alla più piccola delle procure, gli equilibri che stabiliranno chi guiderà la giustizia nei prossimi venti anni. È la vera guerra che si sta combattendo in modo sotterraneo, dietro i tweet del premier che ironizza sulle toghe che non vogliono rinunciare a quindici giorni di ferie e le minacce di sciopero dell’Anm, l’Associazione nazionale magistrati.
Il pacchetto di riforme firmate dal ministro Andrea Orlando prende faticosamente forma, dopo la giustizia civile votata dal Parlamento tocca alla responsabilità civile su cui il governo potrebbe ricorrere all’arma del decreto.
Ma il cambiamento che segna un passaggio storico è contenuto in un decreto che non riguarda direttamente la giustizia, quello che porta il nome del ministro Marianna Madia sulla pubblica amministrazione, approvato in estate.
Un semplice strumento burocratico con cui il governo Renzi realizza quello che il centro-destra guidato da Silvio Berlusconi ha sognato per anni ma che non è mai riuscito a portare a termine.
L’uscita di scena in blocco di una o due generazioni di magistrati. Quelle che vengono dagli anni Settanta e Ottanta, la bella stagione del rinnovamento del potere giudiziario, e che hanno segnato la storia degli ultimi decenni repubblicani, le inchieste e i processi più delicati. Il terrorismo rosso e nero, la mafia, la corruzione politica.
La resistenza costituzionale invocata da Francesco Saverio Borrelli contro gli assalti e le leggi ad personam dell’era berlusconiana.
Per raggiungere l’obiettivo non sono stati messi in campo proclami, vendette, è bastato ricorrere all’arma preferita dei renziani: il fattore Età .
All’articolo 2 («Disposizioni per il ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni») il decreto Madia prevede il pensionamento dei magistrati che hanno raggiunto il settantesimo anno, entro la fine del 2015.
Come se non bastasse, potranno essere sostituiti solo da candidati che garantiscano almeno tre anni di permanenza nell’ufficio, dunque che non abbiano già compiuto 67 anni.
VERTICI AZZERATI
Via tutti senza possibilità di trattenimento. E senza eccezioni.
Via l’intero vertice della Cassazione, dal primo presidente Giorgio Santacroce, classe 1941, entrato nella procura di Roma, il porto delle nebbie, nel 1970, a tutti i presidenti di sezione al gran completo, a partire da Antonio Esposito, estensore nel 2013 della sentenza di condanna definitiva per frode fiscale che ha allontanato Berlusconi dal Senato e dalla possibilità di candidarsi alle elezioni.
C’è pure Giuseppe Maria Berruti, responsabile del Massimario della Cassazione — nominato dal ministro Orlando al vertice della commissione che doveva riscrivere il codice civile — è fratello dell’ex deputato di Forza Italia Massimo Maria Berruti, ex consulente Fininvest, processato per riciclaggio e dichiarato prescritto dalla Cassazione. Nomi rimbalzati per decenni nelle aule giudiziarie e sulle cronache come titolari dei casi di maggiore clamore: l’avvocato generale della Corte d’Appello di Roma Antonio Marini, che fu pm del processo Moro, il procuratore generale di Salerno Lucio Di Pietro (già pm della maxi-operazione anti-camorra del 1983 in cui fu arrestato Enzo Tortora), il procuratore di Marsala Alberto Di Pisa, incastrato nella vicenda del corvo della procura di Palermo contro il pool anti-mafia di Giovanni Falcone e poi assolto, il procuratore di Civitavecchia Gianfranco Amendola, pretore contro i reati ambientali negli anni Settanta e leader dei Verdi.
E poi i posti chiave nei tribunali più importanti: spediti fuori ruolo, in un solo colpo, il presidente del tribunale di Roma Mario Bresciano e il presidente di Corte d’Appello di Napoli Antonio Buonajuto.
Infine, le procure-vetrina. A Torino andrà via il procuratore generale Marcello Maddalena, a Milano il procuratore Edmondo Bruti Liberati (con il procuratore generale Manlio Claudio Minale e al presidente di Corte d’Appello Giovanni Canzio).
LA PARTITA DEL CSM
Quattrocento poltronissime che scadono nei prossimi mesi e che andranno rimpiazzate con i sostituti nominati dal nuovo Consiglio superiore della magistratura appena eletto, guidato da Giovanni Legnini, uomo del Pd, politico esperto e prudente, uno che preferisce il dialogo allo scontro, passato dal governo Renzi (era sottosegretario all’Economia) alla vice-presidenza di Palazzo dei Marescialli.
Tocca a lui gestire l’operazione ricambio: promozioni, punizioni, trasferimenti. In una situazione di turbolenza politica, in cui i membri laici (i politici eletti dal Parlamento), a differenza di quanto avveniva in passato, sembrano piuttosto digiuni in materia ma abbastanza uniti, mentre il fronte dei componenti togati (gli eletti dalla magistratura) si affaccia al grande rimescolamento rissoso e diviso. La scorsa settimana sono stati definiti i criteri per le nomine al vertice di 15 uffici giudiziari, a cominciare dalla procura di Palermo. Il Csm si è spaccato: da una parte compatti i laici, dall’altra i togati, frammentati.
I due consiglieri della destra, Elisabetta Alberti Casellati di Forza Italia e Antonio Leone dell’Ncd, votano compatti, anche se le divisioni nel campo berlusconiano si riflettono anche sulla politica della giustizia: emarginato Niccolò Ghedini, interlocutori del ministro Orlando sono Nitto Palma e Giacomo Caliendo.
L’altro consigliere forzista eletto dal Parlamento, Pierantonio Zanettin, si è già spostato sulla Lega di Matteo Salvini e ha intrattenuto il plenum del Csm sulla riapertura del tribunale di Bassano Del Grappa, caro al governatore Luca Zaia.
E poi i cani sciolti Balducci&Balduzzi, intesi come l’avvocato Paola Balducci, designata da Sel, e l’ex ministro di Scelta civica Renato Balduzzi, privo di referenti politici, l’ex sindaco di Arezzo Giuseppe Fanfani (Pd, tosco-renziano), la new entry Alessio Zaccaria votato dal Movimento 5 Stelle (ma lui, appena entrato, ha negato l’appartenenza grillina).
TUTTI SPACCATI
Con uno schieramento politico così frammentato i consiglieri togati potrebbero avere un grande spazio di manovra.
E invece i magistrati sono ancora più spaccati dei politici.
Effetto Renzi, lo stesso che ha già rimescolato alleanze e cordate nei palazzi della politica? O, più in profondità , effetto della fine del ventennio berlusconiano, che aveva costretto le correnti dei giudici a mettere da parte le divisioni per fronteggiare l’attacco all’autonomia e all’indipendenza della magistratura?
Di certo le vecchie famiglie, la sinistra di Magistratura democratica, il centro di Unità per la Costituzione e la destra di Magistratura Indipendente si presentano divise all’appuntamento con la più grande tornata di nomine degli ultimi anni.
Una mega-spartizione che eccita i sostenitori del tradizionale manuale Cencelli e il partito degli innovatori che vorrebbe rimetterlo in discussione, per far avanzare una nuova razza togata. Più sensibile alla nuova stagione della rottamazione renziana.
Area, la corrente di sinistra, è divisa tra i Verdi movimentisti e l’antica Md, un tempo vicina al Pd ortodosso, oggi rappresentata nel Csm da Piergiorgio Morosini, gip del tribunale di Palermo, autore del duro documento contro il progetto di riforma della responsabilità civile del governo.
UniCost, il grande centro, di cui fanno parte l’attuale presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli e l’ex Luca Palamara, oggi nel Consiglio, è storicamente alleata con la sinistra ma in crisi di identità , incerta se affidarsi al nuovo corso renziano o mettersi di traverso.
E Magistratura Indipendente, l’ala moderata, è in una situazione paradossale.
È capeggiata dal sottosegretario alla Giustizia del governo Renzi, Cosimo Ferri, quasi la personificazione del patto del Nazareno (toscano come il premier e come Denis Verdini, il fratello Jacopo è consigliere regionale di Forza Italia), così potente da essersi permesso di fare campagna elettorale via sms per i suoi candidati al Csm senza incorrere in sanzioni («indifendibile», lo aveva definito Renzi, poi però ha lasciato correre).
Ha spedito nel Csm quattro consiglieri, ma contando sul 30 per cento dei voti avrebbe potuto eleggerne cinque o sei: meglio pochi e fedeli.
Nella corrente militavano anche un geloso custode dell’indipendenza dei magistrati come Piercamillo Davigo, mente giuridica del pool di Mani Pulite, e il procuratore aggiunto di Messina Sebastiano Ardita, che ha preso le distanze da Ferri ed è sostenitore della linea dura contro il pacchetto di riforme del ministro Orlando.
Per non perdere il contatto con la sua base, Ferri capeggia la rivolta dei peones dei tribunali sulle ferie, gioca a fare il sindacalista, il Camusso dell’Anm, pur essendo impegnato nel ministero di via Arenula. Di lotta e di governo. In attesa che arrivi il momento di sedersi al tavolo della lottizzazione.
IL CASO MILANO
Il primo momento della prova è fissato per la prossima settimana, quando il Csm dovrà prendere posizione sul caso più spinoso, il violento scontro di Milano tra il procuratore Bruti Liberati e l’aggiunto Alfredo Robledo, degenerato a colpi di denunce reciproche, interviste sui giornali, insinuazioni velenose, colpi bassi
Nel Palazzo dei Marescialli c’è un’agitazione che non si vedeva da decenni. Porte che si aprono e si chiudono al primo piano dove ci sono le stanze dei consiglieri, molto affollata l’anticamera di Paola Balducci che presiede la prima commissione, quella sulle incompatibilità ambientali che voterà sul destino dei due pm milanesi insieme alla settima commissione.
In gioco c’è la guida della procura più importante, quella che da vent’anni si è incaricata di mettere sotto processo e portare a condanna il Palazzo della politica, da Bettino Craxi a Silvio Berlusconi.
Sono cambiate le stagioni e mutati i governi, ma la scalinata del tribunale di Milano è sempre rimasta un simbolo di legalità , da difendere o da attaccare.
E Bruti Liberati è un leader storico di Md e dell’Anm. Un voto salomonico (o pilatesco, a seconda dei punti di vista) del Csm per trasferire i due litiganti sarebbe interpretato come un sipario che si chiude, o uno sfregio, su quella lunga era. Un colpo mortale alla credibilità degli uffici giudiziari di Milano.
LA PROVA PALERMO
La seconda decisione cruciale è la nomina del nuovo capo della procura di Palermo.
Nei palazzi circola la candidatura di Guido Lo Forte, attuale procuratore a Messina, messa in quota ai sostenitori del processo della trattativa Stato-mafia.
Sergio Lari invece, capo dei pm antimafia a Caltanissetta, a Palermo viene considerato troppo “morbido” nei confronti del processo sulla trattativa.
E c’è una terza candidatura, Franco Lo Voi, rappresentante italiano ad Eurojust con un passato da pm antimafia. Tre magistrati di ottimo livello. Lo Forte è più attento al profilo tecnico, Lari è più istituzionale e tende a creare un clima di squadra, Lo Voi garantisce otto anni, una lunga stagione di stabilità in un ufficio che ha bisogno di riprendere stategia e compattezza.
Lo Forte è appoggiato da Unicost, Lari da Area e Lo Voi da Mi e laici, ma nessuno nel Csm si è ancora sbilanciato. Milano e Palermo, le due procure storiche, saranno la cartina di tornasole dell’esistenza o meno di un’eventuale traduzione del patto del Nazareno Renzi-Berlusconi dentro il Csm.
«Il nostro mondo in questi anni è già cambiato, in realtà . Non sempre in meglio», sospira un alto magistrato. «Le riforme dell’accesso alla professione hanno provocato un invecchiamento generale, i giovani entrano in ruolo negli uffici giudiziari sempre più tardi: a 35 anni, spesso poco retribuiti, più sensibili alle rivendicazioni sindacali che alle questioni di principio. E la rendita di posizione è finita. Non c’è più il berlusconismo, oggi processi come quello sulla morte di Stefano Cucchi o sul terremoto dell’Aquila rimettono in discussione la riconoscibilità sociale del ruolo della magistratura».
I punti di riferimento storici stanno per essere spazzati via dal fattore Età .
Lasciando il posto a una generazione più giovane, ma anche più esposta ai condizionamenti del potere politico.
Quattrocento posti subito, un terzo del totale, gli altri 800 a seguire.
Nessun Csm, nessuna maggioranza politica ha avuto un’occasione così per ridisegnare completamente la mappa del potere giudiziario. Anche nel campo della giustizia, come in quello della politica, Renzi si trova di fronte al vuoto.
Vuoto di potere, di gruppi dirigenti, di nomi attrezzati a gestire la prossima fase.
Alla vigilia delle nomine, la magistratura arriva con le correnti che non tengono più, sostituite dalle cordate, una nuova razza togata che punta a ereditare i vantaggi della grande rottamazione, ansiosa di durare al potere decenni.
In una parola: scalabile. Come direbbe Matteo Renzi.
Lirio Abbate e Marco Damilano
(da “L’Espresso“)
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Novembre 14th, 2014 Riccardo Fucile HA CEDUTO A 1,6 MILIONI IL MEZZANINO CHE NEL 2004 AVEVA PAGATO 610.000 EURO CON L’AIUTO “A SUA INSAPUTA” DELLA CRICCA DI ANEMONE CHE AVEVA COLMATO LA DIFFERENZA PER L’ACQUISTO DA 1,7 MILIONI
Alla fine Claudio Scajola è riuscito a vendere la sua casa al Colosseo. 
Il 16 ottobre scorso la moglie dell’ex ministro, con delega del marito, ha firmato davanti al notaio Paolo Becchetti l’atto di vendita dell’appartamento al primo piano con vista sui fori imperiali.
Scajola si è messo in tasca un milione e 630mila euro, dei quali 50mila riferiti ai mobili presenti nell’appartamento.
Nel luglio del 2004 l’allora ministro dello Sviluppo Economico aveva pagato solo 610mila euro.
Quindi a distanza di dieci anni, dopo un processo per finanziamento illecito chiuso in appello con la prescrizione dopo l’assoluzione in primo grado, Scajola ha incassato una plusvalenza di 970mila euro, escludendo i 100mila euro dei lavori fatti dieci anni fa e che sarebbero stati pagati da Anemone secondo l’accusa, contestata da Scajola e non accolta in primo grado.
Sono 97mila euro all’anno per dieci anni, tutti esentasse.
E’ un po’ come se qualcuno avesse pagato un secondo stipendio da 8mila euro netti al mese per dieci anni a Scajola che stavolta non può nemmeno dire che ciò sia avvenuto ‘a sua insaputa’.
Ormai anche lui avrà compreso che il prezzo realmente pagato nel 2004, come dichiarato dalle venditrici alla Guardia di Finanza, è stato di un milione e 700 mila euro.
Scajola il 7 luglio del 2004 nel suo ufficio al ministero ha versato di tasca sua per l’appartamento di 180 metri soltanto i miseri 610mila euro dichiarati davanti al notaio Gianluca Napoleone, giunto appositamente al ministero come le venditrici e l’immancabile architetto Angelo Zampolini che ha tirato fuori gli assegni circolari offerti da Anemone e compagni per colmare la differenza.
Alla fine il regalo del 2004 della ‘Cricca’ di Anemone arriva quasi a coprire la plusvalenza realizzata da Scajola con l’atto depositato in conservatoria il 3 novembre scorso.
In realtà Scajola era riuscito a spuntare molto di più.
Al Fatto risulta che il 18 aprile 2012 l’ex ministro aveva firmato un preliminare con l’imprenditrice della sanità Jessica Veronica Faroni, direttore generale del Gruppi INI, titolare di cliniche sparse tra Roma, Guidonia e Grottaferrata.
Il prezzo stabilito nel preliminare era di 2 milioni di euro. La dottoressa Faroni consegnò alla firma del preliminare un assegno circolare Unicredit di 250mila euro come caparra però poi si accorse che qualcosa nelle pratiche urbanistiche non collimava e iniziò una contesa.
Il 27 marzo 2013 Scajola e Faroni chiudono le liti con una scrittura privata nella quale si danno reciproco atto che a “fronte della mancata corrispondenza dello stato di fatto dell’immobile rispetto ai dati catastali e alle planimetrie depositate con particolare riferimento al locale cucina (…) concordavano una riduzione del prezzo da 2 milioni a un milione e 800 mila euro”.
In compenso la promittente acquirente si dichiarava disponibile a “acquistare tutto il mobilio e gli arredi presenti nel suddetto immobile per un importo di 50 mila euro”.
Per cautelarsi dai rischi del procedimento penale a carico di Scajola, si concordava di dare mandato al notaio Becchetti per incassare 1,2 milioni come deposito “onde scongiurare il rischio di sequestro dell’immobile”.
Nulla di tutto ciò è accaduto e Scajola ha potuto portare a termine la vendita.
Però a comprare alla fine è stata una società : Italy Hotels and Suites Srl, costituita il 24 settembre 2014 amministrata da Luca Nicolotti che ne detiene solo una quota dell’uno per cento mentre il restante 99 per cento è intestato alla Fid. Italia Srl, una società fiduciaria che scherma la proprietà .
Il prezzo è stato pagato, come risulta dall’atto, per 580mila euro con assegni circolari di un conto acceso al Monte dei Paschi di Siena mentre un milione e 80mila euro provengono dai circolari di un conto acceso all’Unicredit.
Uno di questo assegni, pari a 250mila euro, ha lo stesso numero di quello consegnato come caparra nel 2012 dalla dottoressa Faroni.
Scajola ha pagato all’agenzia immobiliare Tevere Srl un compenso di 76mila euro e l’agenzia ha iniziato un contenzioso legale per ottenere il pagamento di una provvigione anche dalla dottoressa Faroni, per il preliminare di vendita. L’imprenditrice però si è rifiutata e la causa è in corso.
A marzo dovrebbe esserci una nuova udienza. “Il Tribunale per due volte ha rigettato la richiesta di decreto ingiuntivo”, spiega Jessica Veronica Faroni.
Che fine faranno ora i soldi?
Al Corriere della Sera nel settembre del 2010 Scajola aveva promesso: “Vendo la casa e offro la differenza in beneficenza”.
Poi nel maggio del 2012, dopo la firma del preliminare, al Fatto aveva rettificato: “Sto valutando un gesto ancora più forte, ma che non vi posso dire adesso, lo dirò nel momento in cui farò il rogito. Io quello che prometto lo mantengo sempre”.
Il Fatto ha provato a contattare Claudio Scajola, nel frattempo uscito dagli arresti disposti per la vicenda Matacena e sottoposto solo all’obbligo di dimora.
Al telefonino risponde la sua voce registrata: “Non sono al momento raggiungibile”.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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