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LA RESA DEL MINISTRO ALLO STRAPOTERE DEI BUROCRATI

Novembre 19th, 2014 Riccardo Fucile

PER RENZI ERA “LA MADRE DI TUTTE LE BATTAGLIE”, MA AL DI LA’ DEI PROCLAMI, NON E’ CAMBIATO NULLA

Siamo condannati all’ergastolo dei commi «36-sexiesdecies» e delle «panie della scepsi»?
Pare di sì, a leggere la lettera del ministro della Semplificazione Marianna Madia. Secondo la quale contro i deliri psicopatici del burocratese si può usare solo «una sorta di moral suasion dei ministri nei confronti degli uffici legislativi».
Ma come: siamo passati dalla «violenta lotta alla burocrazia» alla soave moral suasion? Auguri.
Era un martello pneumatico, Matteo Renzi. Ringhiava che «il vero capo del governo è la burocrazia». Denunciava l’incubo di «una sabbia mobile che è la burocrazia» dalla quale «o si ha il coraggio di uscire o il Paese è condannato al declino».
Definiva quella contro la burocrazia «la madre di tutte le battaglie»…
Ed ecco che pochi mesi dopo, rispondendo al Corriere Economia reo d’aver beccato sulla Gazzetta Ufficiale una leggina che correggeva al volo un’altra pubblicata sullo stesso numero, la «Giovanna d’Arco» scelta per la guerra riconosce – sul Corriere della Sera di ieri – che sì, certo, «servono meno leggi» e «più chiare, scritte meglio, comprensibili da tutti i cittadini» ma tutto ciò che un governo può fare è spiegare ai burocrati che devono sburocratizzarsi…
Campa cavallo…
Come scriveva molti decenni fa Max Weber, «ogni burocrazia si adopera per rafforzare la superiorità  della sua posizione mantenendo segrete le sue informazioni e le sue intenzioni».
Perchè mai i nostri alti burocrati, che secondo l’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli sono i più pagati al mondo, dovrebbero aprire l’accesso ai labirinti dei quali solo loro conoscono l’ingresso e l’uscita?
Quello è il loro potere: essere incomprensibili.
Lo spiegò tempo fa Pietro Ichino sventolando a Palazzo Madama la legge che i senatori stavano votando: «Questo testo è letteralmente illeggibile (…) Credo che in Aula, in questo momento, non ci sia una sola persona in grado di dirci che cosa voglia dire».
E così, al di là  dei proclami, andiamo avanti. Senza un segnale di rottura. Di smarcamento. Di rivolta contro il dominio dei «gabinettisti».
Lo prova il decreto che ha convocato gli ultimi esami di maturità : 55 «visto» e «vista» (cinquantacinque!) prima di venire al nocciolo.
Lo conferma il decreto sui contributi allo spettacolo dal vivo che chiede ad attori e violinisti, trapezisti e domatori di tigri di risolvere una formula pazzesca di 31 elementi impossibile non solo da risolvere ma perfino da leggere, manco fosse un ideogramma cinese, per chi non abbia dottorati in matematica.
Lo ribadiscono i calcoli cervellotici pretesi da certi Comuni per la Tasi: puro disprezzo per i cittadini.
La prova del nove è però il decreto «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari» della stessa Marianna Madia.
Che, semplificando semplificando, firma leccornie come questa: «Art. 21-bis. (Riorganizzazione del ministero dell’Interno). — 1. In conseguenza delle riduzioni previste dall’articolo 2, comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, da definire entro il 31 ottobre 2014, il ministero dell’Interno provvede a predisporre, entro il 31 dicembre 2014, il decreto del presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 2, comma 7, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e successive modificazioni…».
Fateci capire: è questa la semplificazione?
C’era una legge del 2001 che ordinava ai dipendenti pubblici di usare «un linguaggio chiaro e comprensibile». Macchè: avendo «l’interesse a rendere il funzionamento dei loro uffici il più opaco e complicato possibile, in modo da essere i soli a poterli far funzionare» (copyright Alberto Alesina e Francesco Giavazzi) gli azzeccagarbugli han tirato dritto. Ignorando la regola.
Finchè Filippo Patroni Griffi ha deciso di abolire la legge: tanto, non la rispettava nessuno…
Bel modo di governare: nessuno rispetta il rosso? Aboliamo il semaforo!
Ed ecco al Policlinico di Napoli spuntare in un avviso pubblico il termine «elasso» che, abbandonato da secoli, non c’è più nei dizionari.
E il Comune di Farini, Piacenza, deliberare che «considerata la situazione descritta nei prolegomena…».
E il segretario comunale di Ariano Irpino spedire lettere che si avvitano sulle «panie della scepsi» o frasi tipo «è meridianamente epifanica l’indifferenza contenutistica»… Ma può un Paese reggere a una crisi così se la società  intera, imprese e cittadini, scuola e famiglie affogano in questo pantano?
Se il vincolo su un pitosforo a Messina porta via 2.650 giorni cioè il doppio di quelli necessari ai cinesi per fare il ponte di Donghai, 32 chilometri a otto corsie in mezzo al mare?

Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)

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“LA DISUGUAGLIANZA OLTRE I LIMITI PORTA VIOLENZE”: INTERVISTA ALL’ANTROPOLOGA AMALIA SIGNORELLI

Novembre 19th, 2014 Riccardo Fucile

“SE RENZI AVESSE AVUTO PIU’ MODESTIA AVREBBE CAPITO I LIMITI DI UNA CORSA A PERDIFIATO VERSO IL NULLA”

Crateri improvvisi di povertà  si aprono davanti a noi, proprio come le buche dei marciapiedi di Roma, tutti così dissestati da darci pensiero, da obbligarci alla fatidica domanda: ma siamo divenuti così?
Amalia Signorelli registra da antropologa il dissesto sociale, una umanità  in continuo smottamento e la nazionalizzazione dei furori di Tor Sapienza
La collera è figlia di una crisi che adesso inizia a spaventare perchè incide così profondamente sul regime di vita da tracimare dai luoghi in cui la nostra esistenza è messa a dura prova. Non sono solo le periferie urbane a subìre i contraccolpi di una povertà  che rasenta la fame. Il cerchio inizia a stringersi e dalle borgate prende la direzione del centro città  dove vivono isole di disperazione, microperiferie umane. Le fiammate di violenza sono poi frutto di autocombustione. Ogni motivo è buono per mostrare la collera, e le occasioni non mancano purtroppo.
Siamo al contagio della collera?
È scontato che la sofferenza sociale condotta oltre i limiti fisiologici della diseguaglianza inizi a tracimare in atti individuali o collettivi di protesta. Sono violenze disseminate lungo i viali di un Paese che si sta sgangherando perchè accanto agli ultimi (oggi facciamo il conto dei conflitti per l’occupazione abusiva delle case popolari a Milano e a Torino) iniziano a dare segni di cedimento anche i penultimi, quel popolo che campava modestamente ma con dignità . Invece dentro quel corpo così largo si aprono voragini di povertà  , tanti singoli piccoli drammi umani e familiari, tanti cedimenti che scopriamo con sgomento dietro la porta accanto alla nostra.
Frana il costone di roccia, affondano intere città  e andiamo sott’acqua anche noi?
Renzi aveva fatto balenare la speranza, distribuita in dosi massicce per scacciare le mille paure di chi ha perso il lavoro o teme di perderlo oppure non riesce neanche a trovarlo. Ma quella popolarità  guadagnata così abilmente è stata poi sostenuta da un atteggiamento piuttosto dispendioso in termini di rigore istituzionale. Stiamo anche scoprendo che le sue magnifiche virtù hanno un carattere provvisorio, molto instabile.
Malgrado i propositi la realtà  — cocciuta — si oppone a Renzi?
Avesse avuto più modestia avrebbe forse valutato meglio i limiti di una corsa a perdifiato verso il nulla. Mesi persi a illustrare opinioni che alla prova dei fatti si sono rivelati piuttosto inconsistenti. Analisi economiche sbagliate e strategie politiche nebulose. Il risultato è che, ad oggi, siamo messi peggio di prima malgrado la gioventù e la fierezza rottamatrice.
La gente è in strada e il Palazzo al chiuso che sigla il patto del Nazareno.
In Italia le classi dirigenti non hanno idea, nel senso tondo e assoluto del termine, di quel che accade nella pancia popolare . Non hanno contiguità  con le classi meno abbienti nè interessi che riescono a condividere. Non sanno, ecco. Altrimenti si accorgerebbero di urgenze che stentano a comprendere. La paura fa spaccare le vetrine, riduce la vita a una impresa solitaria e disperata.
Io odio te, tu odi l’altro.
Esatto: il nemico divieni tu che mi stai vicino. Sei immigrato? Fuori dalla mia casa. E domani accadrà  con altri ceti e gruppi. I poveri contro i poverissimi in una lotta senza quartiere.
Non abbiamo speranza, dunque?
C’è una nuova generazione di giovanissimi che inizia a dare segni di vitalità , di partecipazione democratica e di interesse alla cosa pubblica. Esercitano il sacrosanto diritto all’interferenza. Domandano giustamente al sindaco di Carrara perchè non abbia controllato i lavori che dovevano tutelare la città  dalle piogge e dalle esondazioni e in qualche modo, dichiarato il fallimento delle Istituzioni, tentano di sostituirsi. È una azione primitiva di responsabilità  sociale, ma è almeno un granello di speranza. Possiamo sognare anche un contagio positivo e confidare che finalmente non siano solo nuvole nere in cielo.

Antonello Caporale
(da “il Fatto Quotidiano“)

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QUELL’AEREO-TAXI DI STATO INGUAIA LA PINOTTI

Novembre 19th, 2014 Riccardo Fucile

I TABULATI DELL’ENAS CONFERMANO: IL PIANO DEL FALCON 50, PARTITO DA CIAMPINO PER GENOVA, CAMBIATO “SU MISURA” PER IL MINISTRO

Nuovi documenti mettono in serio imbarazzo Roberta Pinotti per il volo militare del 5 settembre del 2014 sulla rotta Roma-Genova, dove il ministro della Difesa risiede.
Il Tg de La7 ha mostrato i documenti inediti dei piani di volo presenti nel cervellone dell’Ente Nazionale Assistenza al Volo dal quale risulta che il piano del Falcon 50 che quella sera ha riportato il ministro a casa da Ciampino è stato cancellato alle 18 e 04 e riscritto alle 18 e 06 in concomitanza dell’orario del decollo stimato dell’Airbus del premier Renzi da Firenze, sul quale c’era Roberta Pinotti.
In pratica il piano di volo del Falcon 50, che teoricamente doveva essere in missione di addestramento, non sembrava ritagliato su misura delle esigenze dei piloti bensì su quelle dell’unico passeggero civile: Roberta Pinotti
Al ministero della Difesa preferiscono non commentare i documenti mostrati nel servizio tv di ieri. Il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, su specifica richiesta dei giornalisti (‘Il ministro Pinotti è indagato? ‘) ieri ha replicato: “Su questa vicenda non commento”.
Eppure la vicenda del volo di addestramento usato dalla Pinotti per tornare a casa la sera del 5 settembre al ritorno dal vertice Nato in Galles, al quale Pinotti aveva partecipato insieme all’allora collega degli esteri Federica Mogherini e a Renzi, meriterebbe maggiore attenzione.
I due documenti che avevamo pubblicato a corredo degli articoli del 25 e 26 settembre scorsi dimostravano già  che quel volo Roma-Genova ancorchè trattato dal punto di vista dei permessi come un normale volo di addestramento aveva caratteristiche particolari
Se Roberta Pinotti avesse voluto usufruire dello stesso aereo la stessa sera seguendo le regole previste per tutti i ministri dalle norme e direttive introdotte prima da Berlusconi e poi da Monti e Letta sarebbe dovuta passare dalla Presidenza del Consiglio.
Il volo però le sarebbe stato negato. Infatti: “I voli di Stato devono essere limitati al presidente della Repubblica, ai presidenti di Camera e Senato, al presidente del Consiglio dei ministri, al presidente della Corte costituzionale” e “eccezioni rispetto a questa regola devono essere specificamente autorizzate” inoltre, “una volta autorizzato il volo si procede alla pubblicazione, con cadenza mensile, sul sito internet della Presidenza del Consiglio dei ministri”
Quella sera il ministro della Difesa aveva evitato lo stop della normativa, la noia della richiesta e della pubblicazione del volo-taxi grazie a una gentilezza dell’Aeronautica che le aveva offerto un passaggio su uno dei suoi voli di addestramento. Effettivamente l’Aeronautica dispone di una sorta di ‘tesoretto’ di ore di volo di addestramento perchè i piloti, per mantenere i brevetti, devono volare un tot all’anno. Si dice che non solo i politici ma anche i generali usufruiscano di questo benefit
Il volo del 5 settembre aveva una missione prioritaria: aspettare il rientro della Pinotti da Cardiff per poterla portare a casa.
Il 26 settembre avevamo pubblicato la ‘nota del giorno’ del 31° stormo dell’Aeronautica, che si occupa dei voli di Stato, dal quale risultava che il Falcon 50 quella sera stava a Ciampino fermo sulla piazzola come un taxi. C’era scritto: “Decollo successivo all’atterraggio del volo Iam 9002 – Equipaggio in tuta da volo”
In pratica il Falcon 50 non sarebbe dovuto partire prima dell’atterraggio dell’Airbus 319 che, dopo avere scaricato Renzi a Firenze, sarebbe atterrato a Ciampino di ritorno dal Galles. Il Tg7 ha aggiunto un ulteriore tassello alla ricostruzione di quello che è accaduto quella sera: il piano di volo del Falcon 50 è stato cambiato in funzione delle esigenze di rientro a casa del ministro Pinotti quella sera
I piani di volo sono compilati dagli operatori a terra del 31° stormo sulla base delle indicazioni dei piloti.
Possono essere aggiornati più volte prima del decollo e tutte le modifiche sono presenti nei terminali dell’Enav.
Alle 15 e 09 l’operatore inserisce il piano di volo dell’Airbus presidenziale con a bordo Renzi e i ministri Pinotti e Mogherini.
È un vero volo di stato e si prevede la partenza alle 15 e 30. Alle 15 e 41 viene inserito anche il piano di volo del Falcon, teoricamente non è un volo di stato ma è un volo di addestramento però si prevede il decollo alle 19 e 30 da Ciampino.
Come risulta dalla nota del giorno pubblicata dal Fatto a settembre ‘dopo l’atterraggio’ dell’Airbus. Poi l’ Airbus ritarda.
Il piano di volo dell’Airbus in partenza da Cardiff viene cambiato alle 15 e 44. Il decollo previsto slitta alle 15 e 50. Tre minuti dopo l’inserimento del cambiamento del volo da Cardiff a Firenze, cambia ovviamente anche il piano di volo dello stesso aereo Airbus A319 presidenziale per la tratta Firenze-Roma Ciampino.
Il volo che a quel punto ospiterà  solo i ministri Pinotti e Mogherini è previsto in partenza alle 18 e 5 minuti, non più alle 17 e 45.
In realtà  l’Airbus tarda un po’ a Firenze, quando scende Renzi. Il decollo reale sarà  alle 18 e 23 con atterraggio a Roma alle 18 e 46 minuti.
Quando l’aereo è pronto a decollare e si può stimare bene l’orario, l’operatore cambia il piano di volo del Falcon che aspetta il ministro Pinotti.
Alle 18 e 4 minuti il vecchio piano di volo è cancellato del tutto. E alle 18 e 6 minuti (17 minuti prima del decollo reale da Firenze dell’Airbus e solo un minuto dopo quello stimato inizialmente) l’operatore inserisce finalmente il piano di volo definitivo del Falcon con partenza non più alle 19 e 30 ma alle 19.
In pratica il volo è anticipato di una mezzora in modo che, se il ministro arriva prima da Firenze, non bisogna farla aspettare sulla piazzola di Ciampino.
Alla fine il volo ‘di addestramento’ con il ministro Pinotti parte alle 19 e 22 e arriva alle 20 e 05.
Gli orari dei tabulati sono tutti riferiti al meridiano di Greenwich. Quindi, calcolando il fuso e l’ora legale, devono essere posticipati di due ore per avere gli orari reali.
Il ministro Pinotti quella sera è arrivata a Genova alle 22 e 5 minuti.
Grazie all’Aeronautica che ora ha querelato i paramentari M5S che hanno osato presentare un esposto alla Procura dopo l’interrogazione parlamentare su questa vicenda.

Marco Lillo
(da “il Fatto”)

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IL VOTO IN EMILIA: IL PARTITO DELL’ASTENSIONE AVVERSARIO UNICO DEL PD

Novembre 19th, 2014 Riccardo Fucile

CON TUTTI I PARTITI COINVOLTI NELLO SCANDALO RIMBORSI, ARRIVARE AL 50% DEI VOTANTI SARA’ GIA’ UN SUCCESSO

I primi due posti sul podio sembrano già  prenotati.
Vincitore assoluto il partito stavoltanonvoto. Secondo, un governatore del Pd indebolito.
La vera gara, alle elezioni regionali di domenica in Emilia-Romagna, è semmai per il terzo classificato, in una sorta di test su quale sia il più promettente anti-renzismo prossimo venturo, con la Lega che mira alla sua prima riscossa nell’era post-bossiana.
Non è un caso che gli unici leader nazionali scesi finora in campo per questo mini-macro-test di medio mandato siano i due Mattei, il premier Renzi e il sempre più sfidante Salvini.
«Non basta vincere, bisogna vincere bene», ripete come un mantra nelle soste del suo pellegrinaggio in camper Stefano Bonaccini, quarantasettenne bersaniano- turnedrenziano, il «Bruce Willis di Campogalliano» (questa è di Renzi in persona), già  candidato riluttante, sapendo di dover fare gli scongiuri per la prima speranza («ai comizi mi chiamano già  presidente, ma non ho ancora vinto…») e di avere problemi con la seconda.
La prospettiva al momento più gettonata è un’affluenza che farà  fatica a non scendere sotto la metà  degli aventi diritto.
Un collasso democratico nella regione che da sempre primeggia per voglia di urne, 68% nel 2010 e 77% nel 2005.
Se anche il Pd riuscisse a replicare le sue tradizionali percentuali di consenso, un po’ sopra il 50%, per la prima volta governerà  la “sua” regione con la metà  dei voti della metà  dei cittadini.
Oggi dunque arriva Renzi, il Pd punta a riempire d’orgoglio lo storico PalaDozza, la coscrizione dei militanti delle Feste dell’Unità  è pressante e probabilmente sortirà  il suo effetto.
Ma l’aiuto fraterno del Partito della Nazione rischia di servire poco a un Partito della Regione logorato, giunto ai seggi con un affanno mai visto.
Tutto è andato storto, da quando Vasco Errani ha dovuto lasciare le alte torri di Kenzo Tange per guai giudiziari, e il quindicennio della pax erraniana è andato in frantumi.
Primarie nel caos, candidature e scandidature, da far perdere la pazienza proprio a Renzi che venne su a settembre con un diavolo per capello: «avete fatto un gran casino!».
E dire che, con la sua bacchetta magica di grande narratore, il premier era quasi riuscito a sanare la ferita originaria, riabilitando Errani come eroe del buongoverno a furor di popolo della Festa dell’Unità ; ma poco ha potuto fare di fronte alla catastrofe dell’inchiesta sulle “spese pazze” dei consiglieri regionali, due milioni e passa di euro pubblici da giustificare, inclusi ostriche e sextoys .
L’unica fortuna per i candidati è che ci son finiti dentro praticamente tutti, grillini e leghisti compresi (su 50 consiglieri uscenti sono 41 gli indagati, dodici dei quali si erano intanto ricandidati in varie liste), e dunque la questione morale è miracolosamente evaporata dalla campagna elettorale, non la tira fuori quasi nessuno, tranne i giornali, e gli elettori disgustati. Certo, quei pastrocchi con le notule sono forse meno eclatanti che in altre regioni, ma come dice la politologa Nadia Urbinati, nella terra del buongoverno sono proprio le «piccinerie fastidiose» come il mezzo euro del wc della stazione messo a carico dei contribuenti «a dare l’idea di un uso abituale e privatistico dei soldi di tutti».
Ci mancavano solo i fuori-onda e sono arrivati: con un registratore nel taschino il consigliere exgrillino Defranceschi (espulso proprio perchè indagato anche lui) ha carpito le contumelie riservate dei suoi colleghi contro i giornalisti «servi della gleba», e i loro goffi tentativi di nascondere i panni sporchi, sicchè il capogruppo uscente del Pd Marco Monari, fra i più loquaci, ha dovuto sospendersi dal partito, con scuse, una settimana prima del voto, niente male come viatico.
E dunque tira un’aria che nessuno avrebbe mai detto.
In questa parte d’Italia dove si masticava la politica come a Bisanzio la teologia, la disaffezione si dà  voce: assieme a clamorosi abbandoni (Francesco Guccini voterà  un candidato di Sel, «scelgo la persona »), inviti ad acrobatici voti disgiunti, sfide da sinistra (una versione emiliana della lista Tsipras guidata dalla storica pasionaria parmense Cristina Quintavalla), serpeggiano sui social network pubbliche confessioni di non-voto, e non suona assurda la domanda del cronista a Romano Prodi (una sua nipote è candidata a Reggio Emilia), professore lei ci va a votare? Risposta, «Ci andrò senz’altro», ma allegata a una pessimista citazione manzoniana: «il buon senso restava nascosto per paura del senso comune».
Come su un altro campo di gioco, la Lega nazionale tenta la sua terza storica calata sotto il decaduto dio Po.
Matteo Salvini pare aver cambiato residenza, in un mese già  sei giornate di incursioni, inclusa quella finita a mattonate sul lunotto dell’auto al campo nomadi di Bologna; tornerà  ancora oggi e venerdì per concludere nel capoluogo, nel frattempo va in tivù con la scritta “Emilia” sulla felpa e pesta come un martello pneumatico sui temi della sua nuova destra xenofoba, omofoba ed eurofoba.
Il suo campione è il sindaco di Bondeno, il trentacinquenne Alan Fabbri, ma sui poster “vota Fabbri” c’è solo la faccia di Salvini; e dire che sembra anche un tipo simpatico, questo Fabbri, spendibile anche a sinistra, con quei capelli lunghi raccolti in un codino un po’ freak che ha resistito anche al diktat di Berlusconi: «Se lo tagli!».
Già , perchè qui, in quel che resta della destra d’Emilia, non è più l’uomo di Arcore che comanda.
Sfibrata, muta e senza uomini, Forza Italia s’è rassegnata ad attaccarsi al Carroccio pur di non scomparire, le resta solo il diritto al mugugno («Salvini nei campi rom? Solo uno spot»).
Ed è chiaro che se i voti all’alleanza arriveranno copiosi, sarà  solo la Lega a intestarseli.
La speranza, non così folle: scavalcare, magari doppiare, addirittura umiliare i Cinquestelle, diretti rivali nell’imprenditoria della rabbia.
Che in Emilia ebbero la loro alba, dal Vaffa-Day di Bologna al trionfo di Parma, ma ora hanno solo tramonti, il sindaco Pizzarotti eretico in odor di scomunica, e presentano agli elettori il magro rendiconto di due consiglieri regionali eletti nel 2010 e poi entrambi cacciati dal partito (il dissidente Favia e l’indagato Defranceschi).
Forse per questo il grande capo di Genova da queste parti non si è ancora visto.
Lui, che due anni fa venne ben due volte in dieci giorni a Budrio, paesino di poche migliaia di anime, per sostenere il suo candidato sindaco, salvo possibili ripensamenti dell’ultimora lascerà  sola la modenese Giulia Gibertoni, poco urlante trentacinquenne ricercatrice, diventata capolista con la bellezza di 266 voti dalle primarie online, nel compito di trattenere un impegnativo 20% di voti.
In fondo, non è che una nuova incarnazione del perpetuo laboratorio politico emiliano.
A sud del Po, in questi giorni irato con gli uomini, gonfio come una vena varicosa e tenuto a freno da decine di migliaia di sacchetti di sabbia, si sperimenta con quali sacchetti di rabbia sia più efficace costruire la prossima rampa d’assalto al governo Renzi.

Michele Smargiassi
(da “La Repubblica”)

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RENZI ORA PERDE TEMPO: IL RAGAZZO E’ DIVENTATO RANCOROSO

Novembre 19th, 2014 Riccardo Fucile

A TESTA BASSA SUI COMPAGNI DI PARTITO E I SONDAGGI NON SONO ROSEI

“Adesso non è il momento delle polemiche. Si scavi il fango dalle città , si tiri via la melma delle pratiche burocratiche, si realizzino le opere da fare. Vi aspetto, un sorriso”. Torna dall’Australia, Matteo Renzi. Ed è subito E-News. Vuole essere ricapitolativa e fiduciosa. È piuttosto lunga e recriminatoria.
Dalla riforma elettorale al Jobs Act (“quando la cortina fumogena del dibattito ideologico si abbasserà , vedrete che in molti guarderanno al Jobs Act per quello che è: un provvedimento che non toglie diritti, ma toglie solo alibi”), passando per l’Europa e le cene di finanziamento (“Quando io sono arrivato i dipendenti in forza al Pd erano 161, adesso sono 146 e io non ho fatto neanche un’assunzione. Le spese del passato ovviamente si fanno sentire”).
Nel nuovo stile renziano resta il “pensierino della sera” e il “sorriso finale”.
Manca il tono leggero e persuasivo.
“Non è più lui. Si vede lontano un miglio. Mia madre ha 94 anni e vede continuamente la televisione. M’ha chiesto: ‘Che è successo a Renzi? ‘ S’è incupito, è nervoso, tratta male le persone”.
Parla Staino, vignettista, che Renzi lo conosce da sempre, anche se è sempre stato dall’altra parte della barricata.
“Sono segni di debolezza. Lui ha la fortuna di quella faccia sorridente, che fa tutto facile. Ma le cose non sono andate come pensava. E adesso la gente gli tira le uova”.
C’è poi un problema di rapporti: “Lui stesso non lega: il suo cerchio magico comincia ad assomigliare a quello di Bossi e di Berlusconi. Io ho sempre pensato che lui sarebbe stato talmente intelligente da riuscire a coinvolgere anche la sinistra e il sindacato. E invece no: si è messo tutti contro, ha cercato la rottura subito”.
Lo dice con rammarico: “Io sono tra quelli che ha sperato che ce la facesse. Però, sta perdendo tempo. Con tutti questi problemi economici che ci sono, con questo disagio sociale, lui che fa? Un peggioramento dell’articolo 18. Fa ridere i polli pensare che questo possa risolvere qualcosa”.
La mette pure sul filosofico: “L’abolizione ideale dei corpi intermedi porta diritti a Tor Sapienza, con un populismo feroce”.
Che la dura realtà  abbia avuto un impatto difficile sul presidente del Consiglio lo pensano in molti.
“Voglio vedere lei a fare il premier, con i soldi che non ci sono. Mentre piove, e tutti danno la colpa a lei”, commenta Marco Belpoliti, critico letterario e autore di un libro su Berlusconi che ha fatto scuola come Il corpo del capo: “Governare questo paese è come scendere con gli sci subito dopo che ha nevicato. È difficile restare in piedi”.
E i sondaggi in calo? “Non sono altro che la registrazione di stati d’animo. Noi siamo nella dittatura degli stati d’animo ”.
Alessandra Ghisleri, sondaggista di fiducia di Berlusconi, più che di cambi di comunicazione parla di “evoluzione”: “Renzi è diventato un presidente pressato dalle difficoltà  fisiche ed economiche di questo paese”.
Le rilevazioni “registrano un calo costante, uno stillicidio. Anche se il premier resta al 46-47%”. I sondaggi, spiega, vivono di momenti: “Ora c’è la Tasi da pagare. E poi, a parte gli 80 euro, non c’è stata nessuna misura forte. Prima la gente vedeva il bicchiere mezzo pieno, ora vede quello mezzo vuoto”.
Mauro Calise, editorialista de Il Mattino (ultimo libro: Fuorigioco. La sinistra contro i suoi leader, La-terza, 2013) la mette così: “Se c’è del nervosismo in più questo proviene da una debolezza: Renzi ha capito che la partita non si gioca in Italia, ma in Europa. C’è un malessere incontrollabile, ha cercato di spalmare ottimismo e di incidere in Europa, ma non ci è riuscito quanto si aspettava”.
Il premier, da parte sua, non rinuncia a battere su tasti universali. Ancora la E-news: “Si chiamava Reyaneh. Aveva 26 anni. Si è difesa dal suo stupratore e per questo è stata condannata a morte e giustiziata. Questa è la sua lettera testamento”.

Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano
“)

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INGIUSTIZIA E’ FATTA: ETERNIT, LA CASSAZIONE ANNULLA LA CONDANNA, REATI PRESCRITTI

Novembre 19th, 2014 Riccardo Fucile

ACCOLTE LE RICHIESTE DEL PROCURATORE GENERALE: TREMILA MORTI NON AVRANNO GIUSTIZIA, ADDIO ANCHE AI RISARCIMENTI AI FAMILIARI

Annullata senza rinvio per intervenuta prescrizione la sentenza della Corte d’appello di Torino sulla strage dell’Eternit.
La Suprema Corte dopo appena due ore di camera di consiglio ha accolto la richiesta del procuratore generale, Francesco Iacoviello, nell’udienza del maxi processo Eternit che si è aperta questa mattina davanti alla prima sezione penale della Cassazione presieduta da Arturo Cortese.
“Annullamento senza rinvio della condanna a 18 anni per Stephan Schmidheiny perchè tutti i reati sono prescritti”.
E’ quel che aveva chiesto a sorpresa il pg di Cassazione.
E poche ore dopo è arrivata la conferma. “Vergogna, vergogna” hanno urlato i tanti subito dopo la lettura del verdetto che cancella anche il diritto a tutti i risarcimenti per i familiari delle vittime e le istituzioni locali.
La sentenza è stata accolta con l’incredulità  generale da parte dei presenti, molti parenti delle vittime e molti rappresentanti delle istituzioni che si sono occuopate delle morti per amianto.
“Sono sconvolta. Siamo dispiaciuti e increduli ho bisogno di qualche ora per capire come reagire, devo discutere con la giunta prima di prendere qualunque provvedimento” ha detto il sindaco di Casale Monferrato, Concetta Palazzetti.
Nell’aula magna di piazza Cavour a Roma sono presenti anche tantissimi familiari delle vittime di Casale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli. Figli e anche nipoti di operai o semplici cittadini che sono morti di mesotelioma pleurico, il tumore provocato dall’inalazione di polveri d’amianto, nei quattro stabilimenti italiani della multinazionale elvetico-belga.
Il pg ha chiesto ai giudici questa mattina di dichiarare la prescrizione dei reati contestati al magnate svizzero Stephan Schmidheiny, annullando senza rinvio la sentenza emessa il 3 giugno 2013 dalla Corte d’appello di Torino, che aveva condannato l’imputato a 18 anni di reclusione.

Ottavia Giustetti
(da “La Repubblica“)

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L’UOMO DELLE RIFORME FA POKER: VERDINI A PROCESSO ANCHE NELL’INCHIESTA G8

Novembre 19th, 2014 Riccardo Fucile

SECONDO RINVIO A GIUDIZIO PER CORRUZIONE IN 15 GIORNI E QUARTO IN QUATTRO MESI… LE ALTRE ACCUSE: ASSOCIAZIONE A DELINQUERE, TRUFFA, BANCAROTTA, FINANZIAMENTO ILLECITO

Il pontiere delle riforme, l’uomo del Patto del Nazareno, ha collezionato il secondo rinvio a giudizio per corruzione nel giro di quindici giorni e il quarto nel giro di quattro mesi. Un vero e proprio poker di processi attende il senatore di Forza Italia Denis Verdini.
Che dopo l’affaire della P3, quello del credito cooperativo fiorentino e la storia della plusvalenza per la vendita di un appartamento, dovrà  rispondere dell’accusa di concorso in corruzione con riferimento all’appalto per la costruzione della scuola dei marescialli dei carabinieri a Firenze.
Il giudice per l’udienza preliminare Cinzia Parasporo, che ha accolto le richieste del pubblico ministero Roberto Felici, ha fissato il processo per il 10 aprile prossimo davanti alla VII sezione penale del tribunale di Roma.
Il 15 luglio scorso invece Verdini era stato rinviato a giudizio per associazione a delinquere, bancarotta e truffa per la vicenda legata alla gestione del Credito cooperativo fiorentino (Ccf) del quale il senatore è stato presidente fino al 2010.
Il 22 settembre invece il gup di Roma lo aveva mandato a a processo con l’accusa di finanziamento illecito nell’ambito dell’inchiesta sulla compravendita, nel gennaio del 2011 di un immobile in via della Stamperia, nel cuore di Roma, che in poche ore fruttò una plusvalenza record di 18 milioni di euro.
L’inchiesta era esplosa nel 2010.
Il nome del parlamentare era apparso in alcune conversazioni telefoniche, in particolare quelle riferite all’imprenditore Riccardo Fusi, della Baldassini-Tognozzi-Pontello (Btp), riguardo l’appalto.
All’epoca Verdini sostenne di aver chiarito tutto: ”La vicenda che mi veniva contestata riguardava solo ed esclusivamente la segnalazione per la nomina di Fabio De Santis a provveditore delle opere pubbliche per Toscana, Umbria e Marche”. L’appalto venne vinto nel 2001 dalla Btp alla quale fu però poi tolto e dato, nel 2005, all’Astaldi, dopo che la Baldassini Tognozzi e Pontello aveva rilevato un indice di sismica nei progetti troppo basso.
A Verdini era contestato di essersi adoperato con il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli affinchè l’impresa del costruttore Fusi venisse rimessa nel possesso dei cantieri della Scuola dei marescialli e di aver caldeggiato sempre con Matteoli la nomina di Fabio De Santis a provveditore delle opere pubbliche della Toscana.
La procura di Firenze aveva chiesto poi il giudizio immediato nel maggio del 2010 per i quattro arrestati nell’ambito dell’inchiesta ovvero l’ex presidente del consiglio dei lavori pubblici Angelo Balducci, dell’ex provveditore alle opere pubbliche della Toscana Fabio De Santis, dell’avvocato Guido Cerruti e dell’ imprenditore Francesco Maria De Vito Piscicelli.
Le posizioni degli altri indagati per la scuola marescialli, fra cui il coordinatore del Pdl Denis Verdini e l’imprenditore della Btp Riccardo Fusi, erano state stralciate.
Il 9 aprile scorso il Senato aveva dato l’ok all’uso delle intercettazioni e di fatto permesso ad alcune indagini che erano rimaste ferme per la posizione del senatore di procedere.
Il 31 ottobre 2012 c’erano state le prime condanne per la ”cricca” degli appalti.
La prima sezione penale di Roma aveva inflitto inflitto tre anni e 8 mesi di reclusione a Balducci e De Santis e 2 anni e 8 mesi per l’imprenditore Piscicelli. Verdini e Fusi erano stati prosciolti dall’indagine degli inquirenti abruzzesi negli appalti per la ricostruzione post terremoto perchè il fatto non sussiste.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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ITALICUM, ALT DI FORZA ITALIA: “RENZI VUOLE ELEZIONI ANTICIPATE”

Novembre 19th, 2014 Riccardo Fucile

ALFANO: “SERVONO 5 MINUTI PER DISEGNARE I COLLEGI”… RENZI: “L’APPROVAZIONE AL SENATO ENTRO IL 2014”

Il treno della legge elettorale parte e corre già  spedito. Matteo Renzi lo vuole in stazione entro fine anno.
Torna a ripeterlo mentre è in viaggio di ritorno dal Turkmenistan, nelle stesse ore in cui la commissione Affari costituzionali al Senato comincia l’esame dell’Italicum (versione 2). «Dopo qualche rinvio di troppo, abbiamo finalmente chiuso sulla tempistica della legge elettorale della riforma costituzionale» e la prima «sarà  approvata dal Senato entro l’anno», scrive il premier nella sua e-news.
Con tanto di elenco dettagliato delle modifiche da apportare all testo concordato a suo tempo con Berlusconi: premio di maggioranza per chi raggiunge il 40 per cento al primo turno, sbarramento al 3, cento collegi con capolista bloccati e preferenze a seguire.
«Mi sembra un ottimo traguardo che consentirà  di avere candidati riconoscibili, certezza di un vincitore, una maggioranza stabile non ricattata dai piccoli partiti» conclude.
Tutti paletti che una manciata di ore prima la relatrice della riforma in prima commissione, Anna Finocchiaro, aveva già  illustrato ai colleghi (premio solo alle liste e sbarramento più basso), pur senza scendere nel dettaglio dei numeri: sono i capisaldi dell’accordo raggiunto tra Renzi e Alfano, del resto.
«In un Paese democratico normale c’è una legge elettorale votata dal Parlamento e non risultante da una sentenza della Corte Costituzionale » dice.
Tradotto: non possiamo tenerci il “Consultellum”, bisognerà  dotarsi di un sistema e in tempi rapidi.
La senatrice Pd non ha finito di illustrare i ritocchi «necessari», sotto gli occhi attenti del ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, che Forza Italia entra in fibrillazione.
La sensazione tra i dirigenti è che i ritmi serrati imposti in commissione, e in prospettiva in aula, palesino le reali intenzioni del presidente del Consiglio.
«È lampante che voglia andare al voto in primavera », si ripetono Giovanni Toti e Paolo Romani, Mariastella Gelmini e Renato Brunetta, Mara Carfagna e Deborah Bergamini, tutti in breafing in Transatlantico a Montecitorio dopo la conferenza stampa per illustrare la contromanovra alla legge di stabilità  e il “No tax day” del 29-30 novembre (con Berlusconi in piazza San Carlo a Milano).
E allora bisogna rallentarla, quella corsa, è la parola d’ordine.
Romani ci prova subito, in commissione. «Qui sembra che il lavoro sia già  finito, non si può comprimere la discussione e poi si rischia che in caso di voto anticipato la Camera vada al voto con l’Italicum 2 e il Senato col Consultellum ».
La Finocchiaro gli replica solo che «la discussione non sarà  compressa».
Una battaglia sui tempi nella quale Forza Italia si ritrova a sorpresa al fianco di Alfano. Già , perchè il ministro degli Interni, nell’audizione in commissione, oltre a dirsi favorevole alle preferenze, fa notare che «i 45 giorni previsti dalla legge per la definizione dei collegi elettorali sono un termine esiguo, se si pensa che nel 1993 furono necessari cinque mesi di lavoro».
Perchè quei cento nuovi collegi andranno tutti ridisegnati. «È così, non c’è il tempo necessario per votare a marzo» è la conclusione che trae Giovanni Toti in Transatlantico. Con Alfano del resto lui è sempre in contatto, in vista di una ripresa del dialogo con l’Ncd che Berlusconi vuole far ripartire con un incontro dopo le regionali di domenica (anche se per ora smentisce che una telefonata sia già  intercorsa).
Su una federazione, se non su una lista unica, bisognerà  pur lavorare.
In commissione, partite le audizioni, da martedì prossimo si entra nel merito. Forza Italia è a un bivio, che farà  se il premio resterà  alla lista e lo sbarramento al 3 per cento? Voterà  contro?
Rischia l’isolamento e l’estromissione dal patto del Nazareno, dato che Pd e Ncd hanno i numeri (15-13) per approvare la legge anche senza diloro in commissione.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)

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TOR SCEMENZA E LEGGE SALVA-LADRI

Novembre 19th, 2014 Riccardo Fucile

E’ COME SE IL PARLAMENTO ABROGASSE GLI OMBRELLI NELLA STAGIONE DELLE GRANDI PIOGGE

Lunedì è sbarcata alla Camera l’ennesima legge salva-ladri, quella già  approvata dal Senato che riduce al lumicino la custodia cautelare in carcere, proprio mentre le periferie metropolitane ribollono di rabbia per piccoli e grandi fenomeni di illegalità  e mentre il Sole 24 Ore pubblica i dati del ministero dell’Interno sull’aumento dei reati di strada nel 2013.
È un po’ come se il Parlamento abrogasse gli ombrelli nella stagione delle grandi piogge.
L’anno scorso in Italia sono stati denunciati (dalle forze dell’ordine e dai cittadini) 2,9 milioni di delitti: +2,9% rispetto all’anno precedente.
E per questi sono state denunciate e/o arrestate 980 mila persone (un italiano adulto su 40): +4,6% sul 2012, prova di una migliore efficienza dell’apparato poliziesco-giudiziario e anche di una discreta fiducia dei cittadini nelle forze dell’ordine e nella magistratura.
Tg e talk show sono pieni di omicidi volontari, che però fortunatamente continuano a scendere: 502 nell’ultimo anno (-5% rispetto al precedente, minimo storico dall’Unità  d’Italia).
Invece esplodono le denunce per le estorsioni (+6%), le truffe o le frodi informatiche (+20%), le rapine (+2,6%), i borseggi (+12%) e i furti nelle case (+6%); gli scippi sono stabili (ma con una lieve crescita dei denunciati/arrestati).
Sono i reati più temuti dai cittadini, anche perchè i criminali entrano a diretto contatto con le vittime, incrementando il senso di insicurezza della gente.
E sono tutti in aumento.
Il sociologo Maurizio Fiasco, esperto di ordine pubblico, spiega l’escalation dei delitti da strada con “il procedere della recessione” e “il ritorno al ‘lavoro’ di qualche migliaio di delinquenti istituzionalizzati (cioè ristretti nelle carceri sovraffollate e perciò alleggerite con i provvedimenti di clemenza)”.
Dopo il demenziale indulto del 2006, che ne mise fuori (dalle carceri o dalle pene alternative) quasi 30 mila, gli ultimi quattro governi hanno varato un decreto “svuota-carceri” per ciascuno: B. con l’Alfano del 2010, Monti col Severino del 2012, Letta col Cancellieri del 2013 e Renzi con l’Orlando del 2014.
Risultato: “Sono aumentati gli episodi di reati diffusi nelle strade” e “la galassia dei delitti si è dilatata, con fenomeni a bassa intensità , ma ad alto costo finanziario e gestionale”.
Il tutto perchè “la riduzione del controllo sociale ‘ferreo’ insostenibile (il carcere dove il sovraffollamento violava la dignità  dell’uomo) non è stata compensata con una più articolata strategia di contenimento sui territori urbani, centrali e periferici”.
Cioè: i governi liberano i criminali e scaricano il problema del sovraffollamento delle carceri sui cittadini, per giunta resi ipersensibili dalla crisi, dalla povertà  e dalla disoccupazione.
Chi ha la pancia vuota è molto più “giustizialista” di chi l’ha piena: e, guardandosi intorno in cerca dei colpevoli, li individua negli ultimi arrivati, sentendosi sempre penultimo di qualcun altro.
Si spiegano anche così le ondate di intolleranza e violenza xenofoba nelle periferie urbane, anche senz’alcun fondamento fattuale, come quella contro il centro per minori stranieri richiedenti asilo a Tor Sapienza.
Hanno un bel dire le anime belle che la custodia cautelare è un obbrobrio perchè anticipa la pena a chi non è stato condannato, dunque è “presunto innocente”.
Se un cittadino vede un tizio, italiano o forestiero, che spaccia o borseggia o rapina o ruba o minaccia e chiede il pizzo nel suo quartiere, è difficile spiegargli che bisogna lasciarlo libero (o magari a casa sua, senza controlli) per una decina d’anni, in attesa della fine delle indagini, dell’udienza preliminare, del processo in tribunale, in appello e in Cassazione.
Checchè se ne dica, la custodia cautelare — riformata 22 volte dal 1990, quando entrò in vigore il nuovo Codice di procedura penale — è già  oggi una misura eccezionale che scatta quando non esistono altri sistemi per mettere il sospettato in condizione di non nuocere al suo prossimo e al processo.
Limitarla un’altra volta significa moltiplicare per cento, per mille i casi di Tor Sapienza. E i voti a Borghezio & Salvini.
Chi vuole questo si accomodi pure.
È proprio vero che Dio acceca chi vuole perdere.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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