Novembre 24th, 2014 Riccardo Fucile
GLI ITALIANI E LA LUNGA CRISI: IN QUATTRO CASI SU DIECI HANNO UN FIGLIO A CARICO
Sempre più frantumate, invecchiate e meno attive sul mercato del lavoro, le famiglie italiane escono con le “ossa rotte” dagli anni della crisi.
La fotografia scattata da Italia Lavoro, rimescolando i microdati Istat, riflette una vera e propria tendenza alla frammentazione: la coppia con figli, pur restando in vetta, dal 2004 in poi ha visto diminuire il proprio peso, passando da un’incidenza del 42,5% sul totale dei nuclei al 36,7 per cento.
In forte crescita risultano, invece, le persone sole, che sono passate da poco meno di 5,7 milioni a oltre otto (+42,2%), e i genitori single con figli a carico, che hanno superato quota 2,1 milioni, in aumento di un quarto rispetto al 2004.
Una polverizzazione che ha fatto crescere di più il numero delle famiglie (+8% dal 2006 al 2012) rispetto al trend della popolazione (+1,1%).
«È lo specchio di un Paese – commenta Luigi Campiglio, docente di politica economica all’Università Cattolica di Milano – sempre più al femminile: le donne con una speranza di vita più lunga sono spesso vedove o sole in tarda età , oppure ne troviamo di mezza età senza figli che si occupano delle madri anziane, o ancora giovani separate dal marito che accudiscono da single i figli».
Con effetti negativi in termini economici, «visto che le lavoratrici – aggiunge Campiglio – restano prevalenti nelle posizioni meno pagate e hanno scarse prospettive di carriera rispetto agli uomini».
La crisi del lavoro
Lo studio di Italia Lavoro non lascia grandi spazi all’ottimismo e tratteggia effetti pesanti anche sull’occupazione.
L’anno scorso il 16% dei nuclei ha avuto almeno un componente colpito dalla perdita del posto per licenziamento, cessazione dell’attività dell’impresa o per scadenza del contratto a termine, contro il 13% di un anno prima. In valore assoluto si tratta di poco meno di quattro milioni di nuclei familiari, aumentati del 20% in un anno
Restringendo l’obiettivo sul territorio, emerge che è il Sud a soffrire di più:?in Sardegna il 24% delle famiglie ha almeno un componente che ha perso il lavoro nel 2013, in Calabria il 23,3%, in Puglia il 22% e in Sicilia il 21%.
«Durante la crisi – sottolinea Daniela Del Boca, docente di economia politica all’Università di Torino – si aggrava il fenomeno di “polarizzazione” tra le famiglie in cui si lavora in due e quelle in cui nessuno è “attivo”, già in atto negli anni precedenti e non solo in Italia. Questa situazione mette a rischio di povertà un crescente numero di nuclei, in primis quelli con un unico genitore, ma nel nostro Paese la situazione è aggravata dall’invecchiamento della popolazione che in altri Stati è meno accentuata, dato il minor declino della fertilità ».
Oggi, infatti, le famiglie composte da over 65 soli sono circa 4 milioni
Le famiglie più a rischio
Dalle elaborazioni di Italia Lavoro emerge poi che quasi due milioni di famiglie sono a forte rischio di esclusione sociale:?non hanno redditi da lavoro nè da pensione, nè componenti al proprio interno con oltre 65 anni (che potrebbero beneficiare di sussidi sociali). Si tratta di nuclei che nel 58% dei casi hanno subìto almeno una perdita di lavoro nel giro di un anno, che hanno un figlio a carico (41%), con almeno un Neet (21%) e nel 14% dei casi sono composte da soli stranieri
Il peso dei Neet
E se da un lato sempre più madri e padri perdono il lavoro, dall’altro sempre più figli faticano a uscire di casa.
Nel 2013 su un totale di 25 milioni di famiglie l’8,3% ha almeno un Neet (giovane al di sotto dei 30 anni che non studia e non lavora) all’interno: si tratta di 2,1 milioni di unità , che rappresentano il 31,4% di tutte le famiglie con un componente tra i 15 e i 29 anni. E in 280mila ce n’è più di uno
Nella maggior parte dei casi si tratta di coppie con figli (1,5 milioni), che corrispondono a 1,8 milioni di Neet.
Tutti figli? Non proprio, visto che dal report si osserva che oltre 320mila rivestono il ruolo di genitore.
Tra questi ultimi, «c’è una maggioranza di individui – spiegano da Italia Lavoro – con coniuge occupato, prevalentemente con qualifica di lavoro manuale, ma anche un buon quarto che non può contare su alcun sostegno economico derivante dal lavoro».
Con riferimento ai figli Neet, la metà ha un solo genitore occupato – per lo più con qualifica medio-bassa -, il 23,5% ha entrambi i genitori inseriti al lavoro, ma ben tre su dieci(423mila) hanno mamma e papà privi di un impiego.
«Una condizione di grave criticità – conclude il sociologo Egidio Riva – frutto della disillusione di fronte alle aspettative lavorative dei giovani che vengono puntualmente tradite. Il lavoro è una risorsa sempre più scarsa e non solo non lo si ricerca più, ma si rinuncia anche ad accedere a livelli di istruzione più elevati, come conferma il calo di matricole all’università ».
Francesca Barbieri
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Novembre 24th, 2014 Riccardo Fucile
FITTO CHIEDE DI AZZERARE LE CARICHE
Teso. Furioso. Perchè adesso Forza Italia è davvero una polveriera pronta ad esplodere. 
Quando Silvio Berlusconi legge l’agenzia con cui il ribelle Raffaele Fitto chiede “l’azzeramento delle cariche” di fronte al disastro elettorale, ad Arcore tremano le mura per la rabbia.
La sensazione è che stavolta tenere assieme Forza Italia sia davvero difficile. Mezzo partito è sulle barricate. E imputa a Berlusconi la responsabilità di una sconfitta senza precedenti.
Perchè i numeri parlano chiaro. In Emilia Romagna la Lega non solo ha “superato” Forza Italia, ma l’ha doppiata.
Già detto così il dato è eclatante. In termini assoluti è ancora peggio.
Gli azzurri hanno raccolto 100.478 voti, su una platea di 3 milioni e 400 mila aventi diritto. In Calabria in termini assoluti Forza Italia ha raccolto 95.935 voti, su 1 milione e 900 mila aventi diritto.
Significa che, in questa tornata amministrativa, su 5 milioni e 400 mila votanti Forza Italia ha preso circa 200 mila voti.
Praticamente numeri di un partito in estinzione. In cui il dato numerico riflette la mancanza di una linea politica: “Paghiamo la nostra responsabilità a fare le riforme — ha detto Berlusconi ai suoi — mentre la Lega poteva muoversi come voleva. Questo lo sapevamo”.
Ma l’analisi non basta a smorzare quella che si annuncia come la grande faida attorno al tema “Nazareno sì, Nazareno no”. Ora tutto si fa più difficile.
Perchè, spiega a microfoni spenti più di un azzurro di rango, il risultato è il peggiore che si potesse avere.
Da un lato c’è l’Opa di Salvini. Dall’altra Alfano ha superato in Calabria la soglia di sopravvivenza dell’8 per cento.
Ognuno cioè dei due potenziali alleati (Alfano e Salvini) si trova in grado di dettare le condizioni.
Ed è impossibile la costruzione di una coalizione che tenga insieme il cespuglio di governo alfaniano e il tank di opposizione leghista. Un azzurro di rango dice: “Per vent’anni il centrodestra, dalla Lega ai moderati, è stato tenuto assieme dalla leadership di Berlusconi e dal fatto che Forza Italia era il baricentro dell’alleanza. Ora queste condizioni con ci sono più.
È in questo clima drammatico che inizia la faida. Avvelenata dalle ultime iniziative di Berlusconi che hanno stressato — e non poco — i gruppi parlamentari, come la convocazione ad Arcore, il giorno prima le elezioni, di 30 facce nuove per rilanciare Forza Italia.
Ci va giù durissimo Raffaele Fitto che parla di “risultato drammatico” e chiede “l’azzeramento di tutte le nomine”. Ma soprattutto chiede, di fatto un chiarimento sulla linea del Nazareno che ha prodotto “una linea politica incomprensibile, ambigua, che oscilla tra l’appiattimento assoluto verso il governo e gli insulti”.
Parole che trovano ampio consenso tra quei gruppi parlamentari che dovrebbero votare le riforme e la legge elettorale.
Di “errori e viltà ” parla Maurizio Bianconi, già protagonista di una aspra polemica con l’iniziativa di Villa Gernetto. I fedelissimi di Berlusconi provano a bloccare un conflitto interno dagli esiti imprevedibili: “Fitto — dice Giovanni Toti – solleva una riflessione legittima però non mi sembra il momento, da parte di chi è un autorevole dirigente del partito, di puntare il dito contro qualcuno”.
È solo l’inizio. Da Arcore Berlusconi ha la sensazione di un quadro fuori controllo. Ed è fuori controllo la tenuta del “Patto del Nazareno” all’interno dei gruppi di Forza Italia. Evidentemente anche a palazzo Chigi è arrivato il rumore del crollo azzurro se Renzi ha dichiarato che “se qualcuno si tira indietro andremo avanti comunque”.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 24th, 2014 Riccardo Fucile
UN PERFETTO ROMPICAPO CHE DISORIENTA GLI ELETTORI: CAMERA NON RAPPRESENTATIVA E SENATO INGOVERNABILE
Buone intenzioni, cattive applicazioni.
È giusto sbarazzarsi del bicameralismo paritario? Sì, però cambiando la Costituzione, non la legge elettorale.
Quest’ultima non può semplificare l’ iter legis , nè sottrarre ai senatori il voto di fiducia sul governo.
E non è altrettanto giusto correggere la legge elettorale? Di più: è urgente. Altrimenti voteremmo coi rimasugli del Porcellum, ossia con un proporzionale puro.
Difatti i nostri geni si sono messi all’opera, regalandoci l’Italicum.
In sintesi: premio di maggioranza e governo chiavi in mano, con o senza ballottaggio. Peccato che il marchingegno s’applichi alla Camera, non anche al Senato.
Tanto laggiù non serve, dicono; aboliremo l’elettività dei senatori.
E se la riforma del Senato fa cilecca?
Rimarrà in circolo un sistema schizofrenico, come il Corriere segnalò a suo tempo. Supermaggioritario di qua, superproporzionale di là . Una follia. Denunziata, adesso, anche dagli ultimi due presidenti della Consulta (Silvestri e Tesauro).
Secondo Roberto D’Alimonte la denunzia «non sta in piedi». Ma è la sua difesa che ha problemi d’equilibrio.
D’Alimonte osserva che la doppia elezione di Camera e Senato può sempre offrire risultati contrastanti, quale che sia la legge elettorale.
Altro però è subirli, altro auspicarli, incentivarli, programmarli.
Altro è decidere per un maggioritario usando ingredienti diversi (al Senato con l’unino-minale, alla Camera con il premio), altro è decidere per un maggiorzionale .
Inoltre il premio di maggioranza sacrifica la rappresentatività del Parlamento, dunque si giustifica solo in cambio di maggiore governabilità .
L’Italicum, viceversa, battezza un Senato ingovernabile, una Camera non rappresentativa. Con un solo sparo, uccide entrambi i valori costituzionali in gioco. E infine uccide pure il Parlamento, allevando due Dracula che si vampirizzano a vicenda.
C’è un esorcismo contro questo vampiro? In teoria, basterebbe estendere l’Italicum al Senato. Dove però non votano i più giovani, che magari alla Camera voteranno in massa per i 5 Stelle. Rischiando, così, d’andare al ballottaggio con due coppie di ballerine differenti.
Esempio: da un lato Grillo contro Renzi, dall’altro Renzi contro Berlusconi.
Una follia al quadrato. Per scongiurarla, si può riesumare l’emendamento Lauricella: la legge elettorale entra in vigore dopo la riforma (ipotetica e futura) del Senato.
Ma allora l’urgenza della legge verrebbe contraddetta dalla stessa legge. Una follia al cubo.
Da qui l’unico effetto certo dell’Italicum: riapriremo i manicomi.
Michele Ainis
(da “Il Corriere della Sera”)
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Novembre 24th, 2014 Riccardo Fucile
“SERVIVA UN LAVORO DIVERSO SU CANDIDATI E PROGRAMMI”… “DOBBIAMO PENSARE DOVE ANDRANNO I CINQUESTELLE ANCHE SENZA GRILLO”
Una campagna elettorale sottotono, un 13% che porta in Regione Emilia Romagna tre consiglieri in più
rispetto alle consultazioni del 2010, ma che non suona proprio come una vittoria.
Mentre a Bologna Giulia Gibertoni e il Movimento 5 stelle festeggiano il risultato delle regionali, annunciato con soddisfazione anche da Beppe Grillo, nel resto del Movimento si fa autocritica.
Soprattutto in Emilia, la terra dove tutto è cominciato e dove tutto sembra cominciare a sgretolarsi.
A Parma, prima conquista grillina, il clima non è certo trionfale e il capogruppo Marco Bosi invita alla riflessione: “Fino a pochi anni fa eravamo quelli che davano speranza alle persone. Ora invece gongoliamo del fatto che grazie alla riduzione dei votanti siamo passati dal 7 per cento del 2010 (quando nessuno ci conosceva) al 13 per cento di oggi”.
Critica e autocritica la fa anche il sindaco Federico Pizzarotti, che commenta a caldo le percentuali ottenute dal Movimento, che dalla città ducale governata non porterà in via Aldo Moro nessun consigliere.
“In generale, e non solo per il Movimento, un’affluenza così bassa è comunque un dato negativo — ha spiegato il sindaco al ilfattoquotidiano.it — Ma il contesto è completamente cambiato e per me un risultato del 13 per cento è deludente, se si pensa che nelle ultime tornate siamo passati dal 25 al 19 e infine al 13 per cento”.
Dove ha sbagliato il M5S in queste elezioni regionali?
“Tenendo conto che ogni elezione è diversa, una campagna elettorale si basa sui candidati e sul programma, e su queste due cose si poteva lavorare in modo diverso. La campagna è stata sottotono per tutti, se si escludono Salvini, che è stato molto presente in Emilia Romagna, e la visita di Renzi per chiuderla. Ma rispetto alle mie aspettative e in confronto al 2010, andava fatto un percorso per stilare e condividere un programma e scegliere i candidati, e invece si è arrivati con tempi troppo lunghi, come tutti gli altri. Magari questo non avrebbe cambiato lo stesso il risultato, ma noi dobbiamo comunicare sulla base di idee e non di slogan, le persone vanno accompagnate, va spiegato loro cosa scegliere e perchè”.
Dobbiamo comunicare sulla base di idee e non di slogan, alle persone va spiegato loro cosa scegliere e perchè.
Lei però fin dall’inizio aveva dichiarato che non avrebbe partecipato alla campagna.
“Sfido a trovare altri comuni che si siano esposti. Il mio è un ruolo istituzionale, devo fare il sindaco e non posso fare campagna elettorale attivamente. Da parte mia però non c’è stata intenzione di boicottare, ho detto solo ciò che secondo me non andava, come per esempio che mi sarebbe piaciuto vedere il programma prima e vederlo anche commentato online”.
In queste settimane si è sentito con la candidata presidente Giulia Gibertoni?
“No, non l’ho mai sentita, l’ho incontrata per la prima volta a un incontro organizzato con i candidati prima delle votazioni, ma abbiamo parlato pochissimi minuti”.
Beppe Grillo ha detto che l’astensione non ha colpito il M5s.
“Io invece mi sento deluso da questo risultato e non lo vedo in maniera positiva, perchè non siamo riusciti a convincere il partito degli astenuti, che è il più grande”.
Come giudica la scelta di Grillo di andare a Bologna senza annunciarlo? Lei lo sapeva?
“Io non ho criticato il fatto che sia venuto senza avvisare. Non l’ho sentito e non lo sapevo, ma penso lo sapessero in pochi. Il punto però è che rispetto al 2010, andare in una sala civica a Bologna dove ci sono già persone convinte di votare il Movimento 5 stelle, non sposta voti”.
Se avesse fatto un tour, il risultato sarebbe stato diverso?
“Non è detto, ma la domanda potrebbe essere invertita: come ha fatto Salvini a prendere così tanti voti, non essendo candidato e facendo leva su quattro slogan che non riguardavano neanche tematiche regionali? È vero che abbiamo preso più voti rispetto al 2010, ma il contesto è cambiato, al tempo il Movimento non era così diffuso nei comuni e non era in Parlamento”.
Come mai secondo lei Grillo ha deciso di non essere in piazza?
“Grillo non è venuto in Emilia Romagna e non è andato neanche in Calabria, forse perchè è ora, come ha detto lui, che nel Movimento cominciamo anche ‘a camminare con le nostre gambe’. Può essere una scelta giusta, anche se forse andava condivisa diversamente”.
Grillo dice che dobbiamo cominciare a camminare sulle nostre gambe: Bene, ma bisogna confrontarsi, condividere un percorso.
Cosa significherebbe questo per il Movimento in futuro?
“Può essere l’inizio di un percorso diverso rispetto al passato e credo che possa anche andare bene, ma forse sarebbe necessario condividere un percorso, confrontarsi, in modo che si chiarisca come organizzarsi, anche per il futuro. Per esempio, come ci si regolerà per le prossime campagne elettorali? È meglio andare in piazza o no? Nel Movimento bisogna incontrarsi e decidere insieme le cose. Sembra che ci sia un senso di abbandono generalizzato pensando a dove possa andare il Movimento anche senza Grillo. Per capirlo è necessario parlarsi dal vivo, come è successo a Italia a Cinque stelle”.
E’ di questo che si parlerà il 7 dicembre nell’incontro sullo Statuto a Parma?
“L’iniziativa è nata con un altro obiettivo e non penso che avremo così tanto tempo per trattare anche di altro, ma intanto ci vedremo e sarà un primo passo. La discussione nasce dal contatto, ma non è detto che la debba sempre cominciare io”.
Voi a Parma cosa avete fatto per tenere vivo il Movimento nel territorio?
“Anche da noi servirebbe un metodo, delle linee guida per organizzarsi. Localmente a volte i gruppi tendono più allo scontro che a costruire. Una volta al primo posto c’era lo studio delle tematiche, per riuscire a fare un’opposizione diversa ed entrare nel merito delle cose. Bisognerebbe ritrovare coesione nel gruppo, come era nel 2010, mentre ora si tende più allo scontro”.
Il 7 dicembre nascerà la corrente Pizzarotti?
“Non avrei nemmeno il tempo di fare qualcosa di diverso dal mio lavoro da sindaco. Quello che vogliamo è che nel Movimento si torni a parlare di contenuti”.
Quindi il suo futuro sarà ancora nei Cinque stelle?
“Io penso sempre di avere dato molto al Movimento e di avere contribuito anche alla sua crescita. È come casa mia, ci sto bene. Se poi qualcuno pensa che non sia più il mio posto, lo può dire e possiamo parlarne, ma io sono convinto a rimanere”.
Silvia Bia
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 24th, 2014 Riccardo Fucile
ANCHE LA LEGA PERDE 55.000 VOTI RISPETTO ALLE REGIONALI DI 5 ANNI FA
In valori assoluti il Pd in Emilia-Romagna lascia sul campo la metà dei voti ottenuti alle ultime europee e un terzo dei consensi incassato alle regionali del 2010.
Al contrario, la Lega Nord ha raddoppiato i consensi rispetto alle urne della primavera 2014, ma ha perso preferenze rispetto alle scorse elezioni in Emilia-Romagna.
Il Movimento 5 stelle guadagna invece rispetto a cinque anni fa, ma il calo è netto rispetto alle europee.
Infine totale debacle di Forza Italia, che esce dalle urne come il vero sconfitto di questa tornata elettorale.
È questo il quadro tracciato dall’istituto Cattaneo di Bologna, che fa un’analisi del voto di in Emilia-Romagna e Calabria.
Nella regione meridionale, in particolare, il Pd ha perso molti consensi rispetto alle recenti elezioni europee del 2014 (-82.711), pari a circa un terzo in meno dei consensi ricevuti dal partito di Matteo Renzi lo scorso giugno (-30,9%).
Rispetto alle regionali del 2010, invece, il Pd in Calabria ha incrementato i voti del 14% (22.944 consensi in più).
In Emilia-Romagna la perdita di voti da parte del Pd è stata ancora più netta, con 667.283 voti smarriti rispetto alle europee (-55,9%) e 322.504 consensi andati in fumo rispetto alle regionali del 2010 (-37,6%).
L’andamento della Lega Nord è inverso.
In Emilia-Romagna il Carroccio ha raddoppiato il numero dei voti rispetto alle europee, con 117.450 consensi in più. Tuttavia, considerando il dato delle regionali del 2010, quando la Lega Nord ottenne il massimo storico in regione in termini di percentuali (13,7%), si registra una notevole contrazione dei voti: -19,1%, oltre 55.000 voti perduti.
In chiaroscuro è anche il risultato dell M5s, che rispetto alle europee di primavera ha perso due terzi dei propri consensi (-64,1%), pari a 284.480 voti in meno, mentre è cresciuto (+25,9%) in numero di voti assoluti (circa 30.000) rispetto alle regionali del 2010.
Viceversa in Calabria il M5s ha subito un tracollo pari a oltre i tre quarti dei consensi ricevuti nelle europee (-76,3%) pari a 124.369 voti in meno.
Infine Forza Italia, che ha subito in tracollo in entrambe le regioni.
In Calabria il partito di Silvio Berlusconi ha perso circa quattro elettori su dieci rispetto alle consultazioni europee (-38%), ossia una riduzione di 51.048 voti, e addirittura un calo di due terzi dei consensi che ottenne nel 2010 (-66,5%) pari a 175.952 voti in meno.
In Emilia-Romagna la debolezza di Forza Italia è stata ancora più netta: gli azzurri hanno perso il 63,1% dei voti che aveva nel 2014 alle elezioni europee, ossia un decremento di 171.473 voti, mentre nel confronto con il 2010 la riduzione è stata di oltre l’80%, con una diminuzione in voti assoluti di 417.630 unità .
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 24th, 2014 Riccardo Fucile
NON ESISTE PIU’ UN MOVIMENTO CREDIBILE E UN LEADER MODERNO, CAPACE DI INTERPRETARE I TEMPI NUOVI… E SENZA SAPER FARE OPPOSIZIONE NON SI DIVENTA MAGGIORANZA NEL PAESE
I risultati delle elezioni regionali in Emilia e in Calabria non esigono grossi commenti: la vera novità è
rappresentata dal fatto che solo un elettore su tre ormai va a votare.
In termini tecnici gli addetti ai lavori la chiamano “crisi di rappresentatività “.
Per quale motivo un elettore di sinistra, legato al sindacato, dovrebbe votare per il partito di Renzi?
Per quale ragione dovrebbe farlo un giovane precario che della pseudo riforma del lavoro ha capito l’essenziale, ovvero che non produrrà un solo posto di lavoro a tempo indeterminato in più?
O quale motivazione può trovare un simpatizzante di Grillo per recarsi alle urne dopo aver visto emergere “tutto e il contrario di tutto”, in un movimento contraddittorio, con anime diverse e un capo dalle sembianze nordkoreane?
E infine, un elettore moderato di destra dovrebbe proprio essere travolto da un momento di ordinaria follia per trascinare le gambe in cabina e votare per un partito che da mesi fa la ruota di scorta di Renzi in cambio di un posto a tavola (e di leggi che non penalizzino le aziende del capo).
Il resto a destra conta poco, anche se qualcuno canta vittoria: quando la gente non disertava le urne (nel 2009) la Lega aveva già raggiunto in Emilia il 13,67%, oggi che va a votare la metà è normale che arrivi a sfiorare il 20%.
Anche alla luce della percentuale di razzisti che indubbiamente esistono in Italia e del fatto che Berlusconi ha permesso che il candidato governatore fosse un leghista e fungesse da traino.
Ricordiamo solo un dato: cinque anni fa la Bernini raccolse il 36,52%, oggi il candidato del centrodestra è arrivato al 29,9%.
Quindi più si estremizza la coalizione, meno voti prende.
Per non parlare del modestissimo 23,6% del Centrodestra in Calabria.
La Lega ha semplicemente dato l’impressione di “fare opposizione” e molti elettori si sono così dimenticati lo scandalo dei rimborsi spesa che li ha visti in prima fila, in Emilia come in Piemonte e in Lombardia.
Se il nuovo sono Salvini e la Meloni, converrebbe rispolverare il detto “quando sento parlare di cultura…”: sono semplicemente la garanzia del sistema per canalizzare la protesta su binari innoqui.
Non a caso sono sempre pronti a scattare sull’attenti in parlamento (e fuori) al richiamo del padrone.
Esiste a breve un’alternativa per ricostruire un’area di destra moderna, liberale nelle idee e sociale nei valori e nella prassi?
Per farlo occorrerebbe partire da un’analisi che avevamo pubblicato qualche settimana fa, da cui emergeva, dati alla mano; che metà degli elettori di centrodestra non si sentono rappresentati dagli attuali referenti partitici.
Da ieri temiamo (e speriamo) che siano pure diventati di più.
E’ da loro che occorre ripartire, con un nuovo progetto di destra a tutto campo, una destra non liberista, ma moderata e attenta alle esigenze dei ceti più esposti alla crisi.
Una destra che non deve imitare la sinistra, ma che non lasci alla sinistra temi che non sono di suo monopolio, anzi che spesso sono “nostri”.
Scavalcando nel caso anche la stessa sinistra e ponendosi come interlocutori di categorie finora “inagibili”.
E qui si collega il secondo aspetto: occorre anche saper fare opposizione.
E’ normale, ad es., che a Milano 6.000 famiglie siano sotto sfratto e il Comune non abbia i soldi per ristrutturare 24.000 appartamenti per mancanza di fondi statali?
Mancano le case popolari e la destra razzista non sa che prendersela con gli immigrati: perchè non dice che la marchetta di Renzi degli 80 euro ci è costata la stessa cifra con la quale avremmo potuto non dico ristrutturare, ma addirittura costruire 100.000 appartamenti popolari?
O a qualcuno fanno comodo gli scontri tra poveri ?
Esisterà un leader credibile un domani capace di parlare di questi semplici progetti, invece che inneggiare alle oligarchie corrotte di leader ex comunisti, azionisti miliardari della Gazprom?
Per ora accontentatevi dei provini a Cinecittà e dei rutti padagni: certamente non rimarranno nella storia del nostro Paese.
Forse neanche nel folclore, meglio una sagra dei fagioli borlotti.
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Novembre 24th, 2014 Riccardo Fucile
FASSINA: “RENZI E’ AUTOLESIONISTA SE NON GUARDA LA REALTA'”…FITTO: “AZZERARE TUTTE LE NOMINE DEL PARTITO”
Dal Partito democratico a Forza Italia, il day after delle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria scatena le reazioni delle minoranze interne ai due partiti.
Il flop sul fronte dell’affluenza – mai nel ‘cuore rosso’ dell’Italia l’astensione aveva raggiunto percentuali così basse- e i risultati in termini di (scarso) consenso portati a casa dai berlusconiani hanno ‘acceso’ gli animi delle due opposizioni intestine.
Tra i primi a parlare in casa dem c’è il deputato Stefano Fassina che parla di dati “preoccupanti” e attacca: “Minimizzare o addirittura cercare conforto con l’invenzione dei risultati di chi sostiene lo sciopero del 12 dicembre è autolesionismo. Larga parte del Pd che non è andata a votare non condivide le misure del governo sul lavoro, nonostante la propaganda a reti unificate. Renzi guardi in faccia la realtà e ascolti un minimo le posizioni diverse dalle sue”.
Su Twitter il presidente del Consiglio stamani aveva sottolineato la “vittoria netta” in un post.
L’esponente della minoranza Pd fa poi “i migliori auguri di buon lavoro a Stefano e Mario (Bonaccini e Oliverio, ndr)”, per poi aggiungere: “Oltre alla loro vittoria, dobbiamo rilevare i dati drammatici dell’astensione e i risultati molto preoccupanti per il Pd. E’ evidente che nel voto vi è una componente specifica ma è altrettanto evidente il messaggio al governo Renzi. In Emilia Romagna abbiamo perso oltre la metà dei voti del 25 maggio, circa 700mila in meno, e oltre 300mila in meno delle regionali del 2010. Una parte molto rilevante del popolo del Pd, che aveva creduto alle aspettative e alle promesse di Renzi, ora è profondamente delusa, non condivide i continui attacchi al mondo del lavoro, si allontana da un Pd riposizionato verso gli interessi più forti. Chiede radicali correzioni di rotta”.
A Fassina fa eco la vicepresidente del Nazareno, Sandra Zampa: “Per le sue dimensioni, il fenomeno dell’astensione è estremamente grave. Esso consegna al Pd e a tutti coloro che hanno a cuore i destini della democrazia un problema da affrontare con urgenza e verità “.
Secondo Zampa, se da un lato “Bonaccini dovrà recuperare la fiducia dei cittadini emiliano romagnoli e lavorare per restituire alla Regione l’autorevolezza e la credibilità persa” dall’altro “soprattutto e subito, nel Pd si deve aprire una vera riflessione per comprendere tutte le ragioni di una situazione inedita per l’Emilia Romagna: il popolo democratico ha certamente rivolto un messaggio alla classe dirigente del partito. Non possiamo ignorarlo se abbiamo a cuore la democrazia, primo e superiore bene”.
In casa Fi, invece, è l’europarlamentare Raffaele Fitto a cogliere la palla al balzo per chiedere l’azzeramento di tutti gli incarichi: “Mi auguro – dice – che nessuno si azzardi a minimizzare o a cercare alibi per il nostro drammatico risultato in Calabria e in Emilia Romagna, regione in cui siamo stati addirittura doppiati dalla Lega”.
“E sarà bene ricordare – prosegue -, passo dopo passo, tempi e modalità delle scelte che sono state compiute (con clamorosi errori) per definire le candidature e le alleanze. Non abbiamo il diritto di nasconderci dietro l’astensione, che colpisce soprattutto noi, aggravando la tendenza già manifestatasi alle Europee” di maggio.
“A questo punto, mi pare il minimo azzerare tutte le nomine, per dare il via a una fase di vero rinnovamento. Basta con le nomine, basta con i gruppi autoreferenziali che hanno determinato in questi mesi una politica e una comunicazione inefficaci e prive di qualunque credibilità , bocciate senza appello dai nostri elettori. E soprattutto basta con una linea politica incomprensibile, ambigua, che oscilla tra l’appiattimento assoluto verso il governo nei giorni pari, e gli insulti al governo nei giorni dispari. Serve un’opposizione che sfidi il governo in positivo predisponendo e organizzando una chiara alternativa. Forza Italia deve letteralmente rifondarsi”.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 24th, 2014 Riccardo Fucile
UN PRESTITO PER FAVORIRE L’ASCESA DEL FRONT NATIONAL DA PARTE DELLA OLIGARCHIA RUSSA… DALL’EUROPA DELLA FINANZA ALLA RUSSIA DEI BANCHIERI
L’identità di vedute tra Marine Le Pen e Vladimir Putin viene da lontano, come ama ricordare la stessa
leader del Front National: «Con grande lucidità già nel 1995 Putin disse che in dieci anni la Francia sarebbe diventata una colonia delle sue ex colonie». Di Putin Marine Le Pen ammira «la forza di difendere la civiltà cristiana contro la barbarie dell’immigrazione», e «il coraggio di opporsi alla globalizzazione dominata dagli Stati Uniti».
Nello scontro tra Unione europea e Russia a proposito dell’Ucraina, Marine Le Pen sta con Mosca, non con Bruxelles.
E Putin ricambia congratulandosi con il Front National quando ottiene un buon successo alle elezioni municipali, nel marzo scorso.
L’amicizia tra Le Pen e Putin
Questa amicizia sta dando i suoi frutti, perchè le casse vuote del Front National hanno appena ricevuto una prima tranche di due milioni di euro sul totale dei nove ottenuti in prestito dalla First Czech Russian Bank, un piccolo istituto russo di proprietà di Roman Yakubovich Popov, uomo vicino al premier Medvedev e al presidente Putin. Il tesoriere del Front National, Wallerand de Saint-Just, ha confermato ieri la notizia diffusa il giorno prima del giornale online Mediapart : «Il prestito è frutto di un lavoro tecnico che ho compiuto negli ultimi quattro mesi, perchè si tratta di persone molto minuziose. È un’operazione perfettamente normale e regolare. Avrei preferito una banca francese, o anche una europea per una questione di vicinanza e di lingua, ma nessuna è più disposta a darci un centesimo».
Le difficoltà di ottenere finanziamenti non riguardano solo il Front National, non si tratta di un boicottaggio per ragioni politiche, tiene a precisare il tesoriere.
A suo dire le banche francesi non sono più disposte a finanziare campagne elettorali dopo il caso di Nicolas Sarkozy, che ha visto i suoi conti del 2012 bocciati dal Consiglio costituzionale e ha dovuto rinunciare a 11 milioni di rimborsi pubblici.
Finanziamenti per 30-40 milioni di euro
Alla vigilia del congresso del partito che si apre sabato prossimo a Lione, il Front National rivela così come pensa di finanziare la sua ascesa.
«Siamo in piena crescita e le prossime scadenze elettorali stanno per arrivare – ha aggiunto Wallerand -. Da adesso alle presidenziali del 2017 abbiamo bisogno di una cifra tra i 30 e 40 milioni di euro».
Che sono già cominciati ad arrivare grazie agli ottimi rapporti con il Cremlino. N
ella fase di gelo diplomatico seguita alle crisi in Siria e Ucraina, le relazioni economiche tra Francia e Russia sono continuate tramite, per esempio, il patron di Total, Christophe de Margerie, contrario alle sanzioni, morto in un incidente aereo a fine ottobre proprio a Mosca.
Ma la politica ufficiale di Parigi è molto critica nei confronti di Putin.
Il presidente Franà§ois Hollande si rifiuta di onorare il contratto siglato nel 2011 dal predecessore Sarkozy, e non consegna alla Russia le due navi da guerra Mistral prodotte nei cantieri francesi di Saint-Nazaire.
Marine Le Pen in testa per i sondaggi
I sondaggi che danno Marine Le Pen in testa per le presidenziali del 2017 a Mosca sono quindi visti con grande interesse.
Per la Francia si apre la questione democratica di una formazione politica anti-sistema finanziata da una potenza straniera, come accadeva prima del crollo del Muro con il Partito comunista di Georges Marchais, sovvenzionato dall’Unione sovietica.
Stefano Montefiori
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 24th, 2014 Riccardo Fucile
“SE TANTI NON VOTANO, QUALCOSA NON FUNZIONA: LA POLITICA E’ LONTANA DALLA GENTE”
“Io sono andato a votare perchè quello è un diritto che non mi voglio far togliere da nessuno. Ma quando il 63% non va a votare, due milioni e più di persone, vuol dire che c’è qualcosa che non funziona più, vuol dire che chi fa politica si deve render conto che è lontano dalla gente. Bisogna riaprire i canali della politica e del confronto”.
Lo afferma il segretario generale della Fiom Cgil, Maurizio Landini, commentando l’esito delle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria, che ha visto prevalere il Pd, ma trionfare l’astensionismo.
Landini osserva i seggi vuoti, ma anche “una partecipazione agli scioperi senza precedenti”, e afferma che “non stanno scioperando solo iscritti alla Fiom, stanno scioperando gli iscritti ad altri sindacati, non iscritti, e vedo una domanda di partecipazione che dovrebbe avere una risposta. Il dato dovrebbe seriamente far riflettere le forze politiche e il governo, perchè senza il consenso delle persone non si cambia nulla”.
Secondo il sindacalista, “bisognerebbe avere l’onestà e l’umiltà di accettare di confrontarsi e di discutere. Finchè il governo rifiuta di confrontarsi, la crisi rischia di peggiorare ulteriormente. La ripresa del lavoro c’è se ripartono gli investimenti, sia pubblici che privati – ha aggiunto – Tutte le altre cose sono scorciatoie, questa idea che facendo licenziare le persone e riducendo un po’ le tasse fa ripartire il paese, è una bugia”.
Landini replica poi alle parole di Maria Elena Boschi, che aveva replicato alle sue critiche dicendo di non accettare lezioni di moralità e difendendo il Jobs Act.
“Sul Jobs act il ministro dice delle cose molto imprecise, non so se perchè molto presa dalla riforma costituzionale; non ha ancora letto la delega sul Jobs act, può darsi. Non stiamo nè spostando l’attenzione nè vogliamo metterla sul piano ideologico. Noi parliamo di cose concrete, la Cgil ha avanzato proposte precise su tutto, è il governo che non si vuole confrontare. La gente sa bene queste cose, e gli scioperi stanno avendo un successo senza precedenti, perchè hanno capito che c’è un sindacato autonomo e indipendente – ha concluso il segretario della Fiom – che vuole cambiare le cose”.
(da “Huffingtonpost“)
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