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E PER IL DOPO SILVIO SPUNTA IL MARITO DI NOEMI

Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile

TRA LE GIOVANI PROMESSE CONVOCATE A VILLA GERNETTO ANCHE LO SPOSO DELLA RAGAZZA DI PORTICI, AFFIANCATO DAI RAMPOLLI DEI RAS CAMPANO DI FORZA ITALIA

Quando il padre si presentava ad Arcore, non dimenticava mai di portare una scorta di mozzarelle freschissime appena confezionate nei caseifici campani.
Così di bufala in bufala, Luigi Cesaro ha conquistato la fiducia di Silvio Berlusconi e la leadership di Forza Italia a Napoli.
Le gaffe che gli hanno valso il soprannome di Giggino ‘a Purpetta, celebre quando confuse Marchionne con il Melchiorre dei re Magi, non hanno influito sulla sua carriera politica con tre elezioni alla Camera e una al Parlamento europeo.
E adesso si prepara a cedere il trono al figlio Armando: l’erede è stato convocato al casting di Villa Gernetto, tra i volti nuovi della destra italiana.
Chissà  se avrà  mantenuto la tradizione di famiglia, consegnando il ghiotto dono caseario.
Accanto a lui c’era un altro rampollo di rango, Giampiero Zinzi: il padre è deputato e presidente della provincia di Caserta, con trascorsi da sottosegretario alla Salute.
La sua è una conversione rapida: alle ultime politiche si è candidato invano con l’Udc, partito lasciato pochi giorni prima di ascendere all’empireo di villa Gernetto.
Ma a completare la delegazione campana delle giovani promesse convocate nella dimora lombarda c’era un nome ancora più sorprendente: Vittorio Romano, noto alle cronache come sposo di Noemi Letizia.
Il suo volto è stato individuato dal “ Corriere del Mezzogiorno ” tra la pattuglia selezionata per individuare l’anti-Renzi forzista.
Ed è inevitabile pensare alla parabola berlusconiana, che proprio in quella festa per i diciotto anni di Noemi Letizia cominciò il suo declino.
Era l’aprile 2009: la crisi lontana, il vertice italiano dei Grandi del Pianeta alle porte e il potere del Cavaliere pressochè assoluto.
Ma le foto nel locale di Casoria accanto a quella ragazza bionda cominciarono ad aprire dubbi sulle abitudini del premier, poi sfociate in scandali con storie di festini e prostitute, fino al processo per le “serate eleganti” con la minorenne Ruby Rubacuori.
Altri tempi. Ora pure Silvio Berlusconi è in cerca di un successore a cui affidare l’immagine del partito, sempre più malandata.
E tra i candidati all’eredità  compare pure il marito di Noemi.
Vittorio Romano viene da una famiglia molto nota a Napoli: il padre è l’ingegnere Valerio, che divide la passione per la vela a quella per lo sci, alternando una delle ville più belle di Capri a un altrettanto prestigiosa casa a Cortina.
La madre è Vicky de Dalmases, che dopo gli esordi come presentatrice su una tv locale napoletana ha fatto valere le sue nobili origini spagnole ed è stata per un periodo consigliere diplomatico del governatore campano Antonio Bassolino, nella stagione dorata in cui la Regione vantava ambasciate in tutto il mondo.
Il trentatrenne Vittorio ha sposato Noemi in seconde nozze, subito benedette da una bambina e con una seconda gravidanza in corso.
Prole e ascesa politica sembrano andare di pari passo.
A giugno ha ottenuto la guida del settore promozione e sviluppo dei Club Forza Silvio nell’Italia meridionale.
Poi i flash dei paparazzi lo hanno fotografato alle spalle dell’ex Cavaliere nella cena di finanziamento romana del movimento: una bella rimpatriata, con Berlusconi e Francesca Pascale seduti alla stessa tavola di Noemi.
Uno scatto che forse vale un’investitura.

Alfonso Contrera
(da “il Fatto Quotidiano”)

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RIZZETTO VA IN TV E ARRIVA LA SCOMUNICA DI GRILLO

Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile

IL DEPUTATO A OMNIBUS INVITA A “PARLARE E FARE AUTOCRITICA”, UN POST LO GELA: “NON RAPPRESENTA LA POSIZIONE M5S”…MA STAVOLTA LA BASE E MOLTI COLLEGHI LO DIFENDONO

Lo si voglia edulcorare chiamandolo dibattito interno, magari riflessione, o ci si spinga fino a parlare di resa dei conti e rivolta, è un fatto che nel Movimento Cinque Stelle strategia e leadership sono, per la prima volta, messi seriamente in discussione dopo il risultato deludente delle regionali in Emilia Romagna e Calabria.
L’epicentro della tempesta in queste ore è lo scambio polemico in corso tra il deputato Walter Rizzetto e il leader Beppe Grillo.
Ma è in gran parte del movimento che si parla ormai apertamente di errori, strategie fallimentari e leadership da sovvertire.
La giornata si apre con Rizzetto che a Omnibus, su La7, apre il fronte: “Per analizzare il voto in Emilia Romagna e Calabria che non ci soddisfa serve parlare e stare intorno a un tavolo per far capire quello che ha funzionato, ma anche quello che non ha funzionato in un anno e mezzo di esperienza parlamentare. Se parte dell’elettorato ci ha abbandonato bisogna fare autocritica non violenta per apportare dei miglioramenti. Dobbiamo parlare. L’elettorato deve sapere che quando il M5S va in tv a parlare di temi che sono nostri cavalli di battaglia non deve avere nulla da temere nei confronti di altri competitor”.
Si dovrebbe parlare. Invece Grillo scrive.
O meglio, sul suo blog qualcuno digita parole di scomunica per Rizzetto. “Il M5s non ritorna nei talk show”, quindi la partecipazione del deputato a Omnibus “è stata a titolo del tutto personale, Rizzetto non rappresenta la posizione del M5S, nè qualcuno gli ha dato questa responsabilità . Libero di dire la sua opinione e di partecipare ai talk, ma non a nome del M5S”.
Dopo aver definito “troppa grazia” il “post a me dedicato”, Rizzetto preannuncia la replica sul “mio, umile, blog”. Che arriva a stretto giro.
“Caro Beppe Grillo – scrive il deputato -, vorrei capire innanzitutto chi scrive i post sul blog e come mai non si firma, quasi mai. Dai feedback ricevuti mi pare evidente che il problema ora sia più tuo che mio. Fare sana autocritica è sintomo di maturità  – prosegue -, non solo politica e non sono l’unico a pensarlo. Se ritieni che ‘Rizzetto parla a nome suo e non rappresenta il movimento’ è altrettanto evidente che io e te abbiamo un problema (#huston ndr)”.
E ancora: “Non ho detto nulla di sconveniente e non in linea con il M5S, anzi. Se uno vale uno, ciò lo è anche nell’esprimere le opinioni”.
E “non chiedo il permesso ai tuoi cortigiani per parlare del lavoro che stiamo facendo e comunicarlo a più gente possibile. Il dato elettorale dovrebbe far riflettere te, in primis”. Quindi, conclude: “#iononmollo e tu?”.
Se in altre occasioni la base aveva utilizzato la rete tanto cara ai guru del M5s per mettere all’angolo le voci stonate del coro, questa volta i militanti si schierano con Rizzetto.
Con la deputata Gessica Rostellato che promuove su Twitter un hashtag dedicato: #siamotutticonrizzetto. A cui in tanti si accodano esaltando “Rizzetto che ci ha messo la faccia” e attaccando il vigliacco anonimato di chi ha scritto quel post. Perchè “questi diktat anonimi sono la morte del m5s”.
Altri invitano a essere pragmatici: “Mentre voi vi crogiolate in queste scemenze la gente è incazzata nera o addirittura si ammazza. E poi vi meravigliate che i voti siano scomparsi”.
Anche il deputato Mimmo Pisano sta con Rizzetto: “Sono stanco di questi autogol del blog. Walter è stato bravissimo, serio e convincente. La gente deve conoscerci tutti. Chi se non noi rappresentano il M5S?”.
La deputata bolognese Mara Mucci: “Confesso. Anche io stamattina ero in tv… come da richiesta di centinaia di cittadini in queste ore di post voto”.
Con il passare delle ore altri colleghi scendono in campo.
Il deputato Tancredi Turco, esponente dell’ala critica: “Trovo incomprensibile il post, Rizzetto è un deputato del M5S e lo rappresenta egregiamente. Tra l’altro, ha detto cose totalmente condivisibili. Il fatto se andare o non andare in tv deve essere una decisione presa con una consultazione sul blog, in modo da dare a tutti gli attivisti la possibilità  di esprimersi”.
La collega Eleonora Bechis aggiunge: “Ancora una volta ci si rinchiude nel blog invece di ascoltare #siamotuttirizzetto”.
Il deputato Sebastiano Barbanti: “Cosa ne pensate? È giusto rinchiuderci ancora una volta nel blog oppure ascoltare?”.
Dalla Camera al Senato, ecco Serenella Fucksia prendere di petto su Facebook non solo lo staff – Ilaria Loquenzi, ufficio stampa M5S alla Camera, Rocco Casalino responsabile della comunicazione -, ma anche quei “cerchi magici stellari, quelli autorevolissimi che contano e fanno tendenza, che percepirono le elezioni europee scorse come una sconfitta, ma oggi a commento dei ben peggiori risultati ottenuti a livello regionale, fanno negazionismo”.
Rizzetto, dunque, non è solo. E, dopo il negazionismo, c’è chi accusa Grillo di strumentale revisionismo.
Ovvero, di aver infilato sul blog proprio ieri, nel day after elettorale, un’intervista allo storico Arrigo Petacco. Che sostiene la tesi di un Mussolini non responsabile dell’assassinio di Giacomo Matteotti. Una “trovata assolutoria” duramente contestata in una nota da Ernesto Nassi, presidente dell’Anpi Provinciale di Roma. Che invita “gli esponenti del Movimento 5 Stelle a non ricadere in strumentalizzazioni che, certamente non li onorano. Li invito invece a leggere gli interventi alla Camera di Giacomo Matteotti per capire come svolse il suo impegno in nome degli italiani, pagandolo con la vita”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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CINQUESTELLE CHIUSI IN SE STESSI

Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile

IL MOVIMENTO HA LASCIATO IL CAMPO AI MATTEO

Per il Movimento 5 Stelle va tutto bene. Beppe Grillo dice che l’astensionismo non li ha colpiti e che “il M5S ha vinto”.
Su quali basi? Sulle regionali del 2010. E in effetti è vero, rispetto a quel dato i 5 Stelle hanno aumentato elettori in Emilia Romagna: da 126.619 a 159.456.
Il Pd, in questi quattro anni e mezzo, ha smarrito più di 322mila voti e persino la Lega 55mila.
Lo stesso Renzi, in neanche sei mesi, ha perso quasi 700mila elettori nella sola Emilia Romagna. Un record o giù di lì.
Da qui a dire che il Movimento 5 Stelle ha vinto, però, ce ne passa.
È vero che i 5 Stelle sono cresciuti rispetto al 2010, ma è anche vero che nel frattempo è successo di tutto e il raffronto tra il 13.26% di due giorni fa e il dato emiliano alle politiche 2013 (24.6%) e alle europee 2014 (19%) è abbastanza impietoso.
Per non parlare del flop in Calabria (neanche il 5%).
L’unico alibi vero del M5S è che, da sempre, la loro forza ha avuto numeri molto più bassi alle amministrative e regionali.
E la tornata elettorale di domenica non fa eccezione.
Qualche domanda, però, i 5 Stelle dovrebbero porsela. L’Emilia, teatro dei loro primi successi, stavolta non gli ha sorriso. Senz’altro ha influito la resa disastrosa di alcuni ex protetti di Grillo e Casaleggio : è comprensibile che, per paura di dare visibilità  a qualche nuovo Favia, in molto siano stati a casa.
O abbiano guardato altrove, per esempio alla Lega Nord. E proprio il caso di Salvini è emblematico: come ha fatto il leader della Lega Nord a superare addirittura il 19%? Giocando alla Grillo. Non nei contenuti, ma nei modi.
Provocando . Costringendo i mass media a parlare di lui. Convogliando il dissenso, la protesta, la rabbia.
Alcuni 5 Stelle, ora, quasi ringraziano Salvini per avere “ripulito” il loro elettorato dai sostenitori più intolleranti: un ragionamento bizzarro e snobistico , che dimentica come le elezioni si vincano convincendo tutti.
Non solo “i più buoni” (ammesso poi che lo siano). Salvini ha poi occupato sistematicamente la tivù. Era ovunque.
I 5 Stelle, al contrario, si sono concessi pigramente giusto a qualche tigì. Per il resto, nisba.
Una scelta voluta da Grillo, e più che altro Casaleggio, dopo la sconfitta alle Europee. I duropuristi, ovvero gli stessi (parlamentari inclusi) che a maggio erano strasicuri di oltrepassare il 30% e bastonare Renzi, continuano a credere che sia la strada giusta e ricordano che anche Gasparri è sempre in tivù, eppure Forza Italia è quasi scomparsa. Certo: infatti la tivù non è utile a prescindere, ma solo se la si sa usare.
Salvini sa farlo, Gasparri no. Di Maio saprebbe farlo, ma in tivù non ci va quasi più.
E il risultato è che molti elettori si sono allontanati perchè hanno avuto la sensazione che il movimento sia divenuto elitario e non rispettoso di chi li ha votati, visto che non li informa (se non in Rete) del loro operato.
Che senso ha rinunciare al mezzo più usato dagli elettori over 50, ben sapendo che è proprio tra gli over 50 che i 5 Stelle non attecchiscono? Masochismo puro.
Salvini ha potuto spadroneggiare in tivù, perchè al di là  di quale intellettuale abile a metterlo in difficoltà  (tipo Pennacchi), dall’altra parte aveva le Moretti.
E dunque vinceva facile. Se a ogni sua comparsata avesse avuto contro un Di Battista, forse l’epilogo sarebbe stato diverso.
Proprio Di Battista, ieri, ha parzialmente riaperto alla tivù: “Poi, magari, qualche incursione televisiva selezionata. È utile, sono d’accordo. Ma occhio a vedere la tv come soluzione! La Tv ci omologa a un sistema che gli italiani detestano!”. Casaleggio può negarlo quanto vuole, ma a molti italiani     — dalle Europee in poi — è parso che i 5 Stelle si siano isolati da soli, abbracciando una clandestinità  narcisistica e autoreferenziale che ha finito col favorire ulteriormente Renzi e sminuire le molte battaglie che il movimento continua a portare avanti.
C’è poi un’ulteriore sensazione: quella di un Grillo un po’ stanco della sua creatura politica.
Forse rientra nella sua umoralità  congenita.
Di sicuro continuare a ripetere che “va tutto bene, siamo bravissimi”, non pare esattamente la strategia migliore.

Andrea Scanzi
(da “il Fatto Quotidiano”)

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I CINQUE STELLE SPROFONDANO MA IL BLOG PARLA D’ALTRO: MATTEOTTI E MUSSOLINI

Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile

SONO MOLTI I PARLAMENTARI CHE AVANZANO CRITICHE ALLA GESTIONE DEL MOVIMENTO E SI SENTE L’ESIGENZA DI TORNARE IN TV

Da “Vinciamo noi” a “l’astensionimo non ci ha colpito”. Dai proclami di trionfo pre-Europee, con avvisi di sfratto per Matteo Renzi, alle braccia alzate al cielo per cinque consiglieri eletti in Emilia.
A Regionali ancora calde, il blog e il profilo Twitter di Beppe Grillo giocano la carta del meno peggio: e pazienza per i sogni di sei mesi fa.
Ora è tempo di dati sull’astensione “che non ha toccato il Movimento”, di assicurare che “i cittadini non hanno più fiducia nei partiti”. La voce del capo lo ripete più volte: “I numeri non sono opinioni”.
Ma sono gli stessi numeri che descrivono un disastro (annunciato) in Calabria, con il 4,89 per cento e nessun consigliere eletto.
E di un 13,2 in Emilia Romagna che è il minimo sindacale, nella regione dove il M5S è nato.
Cifre che fanno ribollire i dissidenti, compatti nell’invocare “l’autocritica” dei vertici. Affiora anche l’umore nero di tanti parlamentari, che chiedono di tornare in tv, prima possibile.
Mentre Alessandro Di Battista, il più ascoltato dai diarchi, prova a dettare la linea: “Usciamo dal Parlamento, da questo postribolo di massoni come diceva Beppe mesi fa”.
In un diluvio di parole, il silenzio di Luigi Di Maio. Il “numero tre” guarda il gioco. E riflette sul complicato futuro.
Eppure raccontano di un Casaleggio “abbastanza soddisfatto” per il risultato dell’Emilia. La ragione può ritrovarsi nel video di Max Bugani, consigliere a Bologna, vicinissimo al guru: “Ci sono grandissimi problemi in regione, una grande dissidenza interna: abbiamo ricevuto boicottaggi da diversi eletti”.
Insomma, poteva andare peggio.
E la Calabria? Non se ne parla, punto e basta. Ma c’è chi ammette la disfatta, nella regione dove le faide tra parlamentari e gruppi locali avevano già  portato all’1,86 per cento nelle Comunali a Reggio Calabria, il mese scorso.
Il senatore Nicola Morra, calabrese d’adozione: “Siamo stati percepiti come gli altri partiti. Ma la legge elettorale, con la soglia dell’8 per cento per i non coalizzati, ci ha penalizzato. E noi non sappiamo cosa sia il voto clientelare”.
Resta il fatto che l’M5S calabrese è devastato: “Dobbiamo resettare i meet up, fare pulizia. Io non ho mai fatto polemiche, ma altri…”.
Sul fronte opposto un altro senatore calabrese, Maurizio Molinari: “Siamo diventati un nugolo di fazioni dentro ad una setta”.
In tarda mattinata, i dissidenti si ritrovano alla Camera. E battono il tamburo delle critiche. “Quando i risultati non sono soddisfacenti è giusto chi ha tenuto il timone lasci spazio ad altri” riassume Tancredi Turco.
“Grillo e Casaleggio hanno commesso errori” sibila Gessica Rostellato. “Meno social network e più politica” sostiene Walter Rizzetto.
Da Parma irrompe il capogruppo M5S Marco Bosi: “Di autocritica neanche l’ombra. E chi se ne importa se 6 mesi fa ci votavano 277.000 persone in più”.
Interessante viatico all’assemblea degli eletti convocata in città  da Federico Pizzarotti, per il 7 dicembre. “Analizzeremo i nostri problemi” promette il sindaco ribelle.
Ma l’adunata potrebbe segnare la nascita di un’area organizzata, che chiede maggiore democrazia interna e vuole il dialogo con i partiti.
Una simil-corrente più forte, dopo il voto di ieri.
Ma non parlano solo i critici. La “moderata” Giulia Grillo: “Non abbiamo costruito un tessuto di fiducia in certi territori: e andare in tv può servire”.
È il filo rosso della giornata. L’anatema dei diarchi contro il piccolo schermo va rimosso, lo dicono quasi tutti.
Perfino Laura Castelli, contraria (“la tv non è uno strumento elettorale”) ammette: “Risulta difficile spiegare agli attivisti perchè non ci andiamo”. Concorde la senatrice Barbara Lezzi: “Come chiede buona parte del M5S, si dovranno valutare le partecipazioni televisive”. Ma c’è pure altro: “Taluni, eletti e non eletti, non partecipano a manifestazioni e assemblee, oppure utilizzano il loro status per illustrare teorie deliranti”. A margine, la tentazione: smobilitare dal Parlamento e invadere le piazze, come ha ripetuto venerdì a Bologna Grillo, primo fautore dell’Aventino.
Di Battista rilancia: “Siamo visti come parte del sistema. Qualcuno resti a studiare decreti per denunciare le indecenze. Gli altri nelle piazze, con gli operai a prendere manganellate se necessario”.
Suona anche come una stilettata ai fautori del dialogo con il Pd: da Di Maio a Danilo Toninelli, gli uomini della trattativa sulla Consulta. A breve, assemblea congiunta. Doveva essere domani, ma è probabile che salti.
In serata il blog di Grillo apre con un’intervista ad Arrigo Petacco: “Mussolini non ha ucciso Matteotti”.
Si parla d’altro. L’ultimo espediente.

Luca De Carolis

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APPROVATO IL JOBS ACT CON 2 SOLI VOTI DI SCARTO: IL PD SCEGLIE I POTERI FORTI

Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile

303 ABBANDONANO L’AULA CONTRO IL JOBS ACT, 6 NO E 5 ASTENUTI: TOTALE 314… LA PATACCA DI RENZI RACCOGLIE APPENA 316 SI’

L’aula della Camera ha approvato il ddl di delega al governo sul Jobs act.
I sì sono stati 316, i no 6 e gli astenuti 5. Sono 303 i deputati che sono usciti dall’Aula per protesta.
A favore hanno votato Pd, Ncd, Per l’Italia e Scelta Civica.
Hanno annunciato in aula il loro voto contrario M5S, Forza Italia, Sel e Lega che poi, però, hanno abbandonato l’aula. No anche da Fdi-An.
Il provvedimento, dopo le modifiche di Montecitorio, torna al Senato per il via libera definitivo.
La decisione, per la minoranza Pd, è stata un parto. Ma alla fine, dopo un lungo travaglio, è stato deciso di dare un segnale di dissenso.
La notizia è che la decisione viene presa collettivamente. Anche se si materializza con modalità  diverse.
Per intendersi: Pippo Civati e altri deputati della sua cerchia decidono di votare no alla legge delega sul lavoro che oggi sarà  licenziata dall’aula della Camera; altri 30 deputati della minoranza Pd invece lasciano l’aula al momento del voto.
Tra loro ci sono Stefano Fassina, Davide Zoggia, Alfredo D’Attorre, Gianni Cuperlo il quale si occupa anche di stilare un documento comune di tutti, anche per Civati, da presentare al premier.
Nel testo si difende il lavoro della Commissione presieduta da Cesare Damiano, che la scorsa settimana ha siglato un accordo con il segretario Pd proprio sul Jobs Act, “ma in sostanza diciamo anche che quella mediazione è arrivata su una base di riforma troppo regressiva”, spiega il bersaniano Zoggia.
La mediazione di Damiano permette ai due ex segretari Pierluigi Bersani e Guglielmo Epifani di votare a favore del Jobs Act.
Ma i 30 più Civati e i suoi alla fine decidono di staccarsi: non dal partito, ovvio, ma semplicemente dall’indicazione di voto del capogruppo Roberto Speranza.
Fin qui i tecnicismi. Ma questa storia è fatta di travaglio, di ansie, di risvolti psicologici che hanno tenuto banco per una giornata intera nei colloqui interni della minoranza, tra i banchi in aula, nelle telefonate con i referenti nelle regioni.
A pranzo una riunione comune di tutte le aeree ha sfiorato la rottura: tra chi insisteva sulla necessità  del voto contrario come Civati e chi spingeva per una modalità  più soft come l’abbandono dell’aula al momento del voto.
Qui alla Camera nessuno nasconde che la nuova agitazione della minoranza Dem si è scatenata maggiormente per il risultato delle regionali, per quel crollo dell’affluenza alle urne che ha cambiato i connotati politici di una regione come l’Emilia Romagna, da sempre fortino di voti Pci e Pd.
E dunque, mentre a metà  della settimana scorsa la mediazione di Damiano era stata accolta come una strada possibile (tranne che per Civati o per singoli come Cuperlo e Fassina), adesso più di 30 Dem non vi si riconoscono. Dunque, la sommossa.
Tutto inizia già  in mattinata, quando Fassina, Cuperlo e Civati partecipano ad una riunione con una cinquantina di delegati della Fiom Lombardia ospitati da Sinistra e Libertà  alla Camera.
Ed è stato subito ‘dramma’. Perchè, raccontano a Montecitorio, da una parte c’erano gli operai convinti di trovarsi di fronte a deputati decisi a votare no al Jobs Act. Dall’altra, c’era il travaglio e il ventaglio delle scelte.
Gli operai ora sono in tribuna, in aula, per assistere al voto sulla riforma che li ha già  portati in piazza per lo sciopero di categoria e che li riporterà  a manifestare il 12 dicembre per lo sciopero generale indetto dalla Cgil e dalla Uil.
In Transatlantico Civati è furente con gli altri della minoranza: “Io non posso non votare no e gliel’ho detto…”.
Ma poi arriva Zoggia a dargli la notizia: “Abbiamo deciso, tutti e trenta si esce dall’aula…”. Sollievo.
Cuperlo stende il documento per tutti, per i contrari e per chi esce dall’aula.
Il pericolo più grosso è stato scampato: cioè quello di dividersi in tante forme di protesta, tra voto contrario, astensione, non partecipazione al voto.
Un rischio grande che li avrebbe esposti a sicura derisione da parte dei renziani.
I quali per ora assistono senza battere ciglio. “Se vogliono, possono uscire dal partito”, ti dicono in Transatlantico escludendo ipotesi di provvedimenti disciplinari da parte di Renzi, “significherebbe costruire martiri e non è il caso…”.
Se ne discuterà  alla direzione del Pd il primo dicembre. Ma “certo — aggiungono i parlamentari renziani riferendosi alla minoranza — stanno agendo come se fossero un altro partito, ormai fanno iniziative con Sel e ora anche la protesta al momento del voto…”. Se ne parlerà , di certo.

(da “Huffingtonpost”)

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L’EMILIA ROSSA A CACCIA DEI “DISERTORI”: LA FIOM CONTRO, I PENSIONATI DELUSI

Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile

IL PARTITO SCOSSO DAL CROLLO DEI VOTANTI: VIAGGIO TRA GLI ISCRITTI

La tempesta perfetta continua sul ballatoio del circolo Arci Benassi. «Certo che non ho votato, dopo quegli scandali la Regione possono anche chiuderla».
«Anche io mi sono rifiutato, quel Renzi e il suo Jobs act o come si chiama sono roba di destra».
I due pensionati si chiamano Luciano e Dino, ma i nomi sono interscambiabili con quelli degli altri cento che stanno giocando a carte nella sala all’interno della sezione Pd più grande di Bologna, una palazzina enorme con vista sulle luci che illuminano la strada per San Lazzaro di Savena.
Alle pareti di un posto che rappresenta soprattutto un’idea di partito e di sinistra che ti accompagna per tutta la vita non c’è il consueto album di famiglia, ma solo poche e ben selezionate foto.
C’è un Romano Prodi ancora baldo e sorridente, c’è il sorriso sotto i baffoni di Renzo Imbeni, il sindaco galantuomo diventato simbolo della via emiliana al comunismo nei tempi moderni.
E soprattutto c’è un incontro con annessa stretta di mano tra don Giuseppe Dossetti e il partigiano Giuseppe Dozza, gli uomini che ispirarono la politica emiliana delle due Chiese.
Tu chiamalo se vuoi, consociativismo, declinato attraverso la delega ai famosi corpi intermedi, della quale questa Regione è indiscusso regno.
Nella piazza Zanti di Cavriago oltre a quella del Pd ci sono altre 16 sedi di associazioni, sindacati, cooperative, comitati.
Il paese più rosso dell’Emilia, famoso per il busto di Lenin donato nel 1920 dal partito comunista sovietico, è rimasto a casa.
Su 8.000 abitanti sono andati a votare solo in 2.600, quattro punti sotto la già  disastrosa media regionale.
Stefano Corradi, segretario del Pd locale, non si stupisce. «Se predichi l’abolizione dei corpi intermedi, perchè questi dovrebbero votarti?».
Nel 1970 alle prime Regionali nella storia dell’Emilia Romagna votò il 96,6 per cento degli aventi diritto.
La caduta del muro e il cambiamento di nome del Pci non ebbero influenza sul rito della democrazia partecipata: nel 1990 votò un bulgaro 92,9%.
In questa Regione la Cgil conta 800.000 iscritti, la differenza tra il successo di massa e la vittoria in solitudine.
Vincenzo Colla, il segretario regionale, ha votato con poca convinzione. «Non si può negare che il governo ha un problema con il mondo del lavoro. E liquidare tutto con un due a zero e palla al centro è un modo debole di commentare l’accaduto»
Ieri mattina Bruno Papignani, il leader regionale Fiom teorico della diserzione elettorale, aveva la voce impastata di soddisfazione mista alla paura di chi ha fatto bingo e al tempo stesso l’ha combinata grossa.
«Renzi è venuto qui a mostrare i muscoli contro i deboli, a recitare la sua litania liberista-gaullista, e adesso dovrebbe meditare: ha perso».
In una terra che ha ancora una concezione sentimentale ed etica della politica, i falsi rimborsi dei consiglieri regionali e altre vicende non proprio edificanti di amministrazione locale hanno fatto danni peggio della grandine.
Nella Brescello che fu di Guareschi e oggi è in odore di ‘ndrangheta, con un sindaco che finge di non vedere un problema sotto gli occhi di tutti, è andato alle urne appena il 20,80 per cento.
Sarà  anche vero, come disse Silvio Berlusconi, che «questi comunisti» voterebbero anche un gatto se glielo chiedesse il partito, ma a queste elezioni si è arrivati con un presidente condannato e dimissionario, Vasco Errani, l’inchiesta sulle spese pazze, dodici consiglieri regionali indagati ma ricandidati, e come ciliegina sulla torta le primarie più assurde dell’epoca moderna, frutto del compromesso tra le imposizioni giunte da Roma e i tentennamenti del nuovo presidente. «Ho sbagliato anch’io» ammette Bonaccini, che ieri non aveva esattamente la faccia del vincitore «Commisi un errore a sottovalutare la rapidità  delle decisioni che dovevamo prendere data l’emergenza che si era creata».
L’Emilia Romagna è sempre stata invisa a Roma ma non è un posto da prendere sottogamba.
Le fibrillazioni del mondo prodiano, con Sandra Zampa a sostenere che Bonaccini «è stato lasciato solo» e che qualcuno avrebbe potuto fare un pensiero sull’utilizzo dell’ex presidente del Consiglio, e il professore che usa una frase sibillina, «come ti fai il letto, così dormi», lascia intendere un cambiamento di verso che potrebbe non piacere a Renzi.
L’Ulivo comunque sta crescendo bene. L’alberello piantato nel cortile del bar Ciccio, all’indomani del patto che siglava la nascita dell’alleanza poi vittoriosa alle Politiche del ’96, è sempre al suo posto nonostante le intemperie.
Fausto, fratello del celebre Ciccio, esce dal locale della sinistra pura e dura a due passi dalla casa di Dozza.
«Ho votato solo per rispetto dei nostri padri morti per darci il diritto di farlo. Mio figlio che è giovane invece non c’è andato. E io sono due giorni che non gli parlo».

Francesco Alberti e Marco Imarisio
(da “il Corriere della Sera”)

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“CI HANNO ASCOLTATO E RENZI E’ STATO ROTTAMATO”: INTERVISTA A BRUNO PAPIGNANI DELLA FIOM EMILIA

Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile

L’INDICAZIONE DELLA FIOM: “FATE UNA SORPRESA A RENZI, NON VOTATE BONACCINI”

È stato il primo ad averlo detto.
La sera del 20 novembre, un minuto dopo aver sentito Matteo Renzi al Paladozza di Bologna parlare di politica e sindacato, Bruno Papignani, segretario Fiom dell’Emilia Romagna, ha preso il suo smartphone, ha aperto il proprio profilo su Facebook e ha lanciato il suo messaggio in bottiglia: “Fate una sorpresa a Renzi, non votate Bonaccini”.
Il motivo lo spiegava poco dopo: “Delirio, delirio di onnipotenza… questi qua sono pericolosi”.
Quando è tirato in ballo in giudizi politici Papignani mette le mani avanti: “Io rappresento la Fiom solo quando mi occupo di lavoro e sindacato, in questi casi sono un libero cittadino che parla a titolo personale”.
Ma a Bologna, e in Emilia Romagna, l’opinione di Papignani è seguita da molti.
Non c’è fabbrica in cui, a sessant’anni compiuti, non si sia recato o iscritto alla Fiom che non conosca e non lo conosca. In queste ore, del resto, l’opinione dei sindacalisti è molto gettonata.
Susanna Camusso, ad esempio, punta il dito direttamente contro Renzi, come era prevedibile. E imputa l’astensionismo a chi produce “una divisione nel Paese” ricordando che “nessuno può esultare per i risultati ottenuti”.
Più diretto Maurizio Landini il quale ricorda che “chi non vota vuole mandare un messaggio” e Renzi farebbe bene a coglierlo perchè il messaggio inviato dice che “non ha il consenso necessario” e non ha il pieno “mandato”
Bruno Papignani, invece, è ancora più esplicito.
Si trova in Brasile, dove incontrerà  il sindacato, il Pt al governo e visiterà  le fabbriche della Volkswagen, ma parla volentieri dell’Emilia: “La gente ha voluto dire semplicemente una cosa: che si è rotta. E ha mandato un segnale”
Lei ha fatto un appello preciso al non voto, qual è il primo pensiero che ha avuto leggendo dell’astensione?
Più che un appello ho pubblicato una frase sul mio profilo di Facebook per dire di non andare a votare Bonaccini. A quanto pare è stato seguito. (ride).
A mente fredda cosa ne pensa del voto?
Renzi ha fatto proclami liberisti contro i lavoratori, contro gli scioperi. Ed è stato sconfitto. Nonostante sia giovane, a mio avviso è già  sulla strada della rottamazione. In Emilia, poi, uno che è stato eletto con il 49% sul 37% degli elettori si pone un problema di verifica del mandato. Secondo me tra un anno si dovrebbe tornare a votare.
Che hanno fatto i lavoratori domenica?
Il voto delle fabbriche corrisponde a quelle percentuali. Le fabbriche non hanno votato Renzi. Non ho dati numerici ma la sensazione di un cittadino maturo che vive tra la gente e non sui camper.
Senta Papignani, lei è della Fiom e si reputa di sinistra. Che sinistra vorreste in Italia?

Una sinistra moderata, socialdemocratica. Ma che unisca il mondo del lavoro e organizzi una società  con più tutele sociali e idee di sviluppo. In cui al centro non ci sa l’abolizione dell’articolo 18.
È Landini che potrà  costruire questa sinistra?
No, Landini è troppo prezioso per il sindacato. E poi, basta con le persone sempre prima del progetto. Abbiamo già  dato con Ingroia, Tsipras, etc. Io voglio un progetto.
Ma ci sono le forze in circolazione per una simile proposta?

Le forze sono quelle che sono. In realtà  ci sarebbe bisogno di una “quinta stagione”, quella che non c’è. Siamo invece davanti alle solite quattro stagioni, quelle che si danno tutti gli anni. Ci sono i piccoli partiti della sinistra litigiosi; c’è un Pd che vuole dimostrare di saper randellare i lavoratori meglio della destra; ci sono di nuovo pulsioni razziste. Quello che manca è la quinta stagione. Io lavorerei per quella.

Salvatore Cannavò
(da “il Fatto Quotidiano“)

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INTERVISTA AL POLITOLOGO PASQUINO: “L’UOMO SOLO AL COMANDO RESTA SOLO”

Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile

“BONACCINI NON HA MAI LAVORATO IN VITA SUA, SE NON NEL PARTITO: FARA’ UNA GIUNTA CON QUALCHE AMICO DI RENZI E QUALCHE NIPOTE DI PRODI”…. “CON RENZI NON ESISTE DEMOCRAZIA”… “FORZA ITALIA PAGA L’ASSENZA DI UNA CLASSE DIRIGENTE, LA LEGA HA PERSO VOTI, NON HA VINTO UN BEL NULLA”

Professor Pasquino, partiamo dalle reazioni? Renzi dice che l’affluenza non è la cosa più importante.
Mi sembra un commento post moderno. Post tutto. Post it, quegli adesivi che si attaccano e staccano. Poi si buttano.
Lei è il più autorevole dei politologi di quell’area che un tempo si chiamava sinistra. Ha insegnato ad Harvard. È stato anche parlamentare. Oggi è il critico più severo del suo stesso partito.
Non sono mai stato del Pd. Ma non c’entra niente. In Emilia Romagna ha votato la metà  delle persone rispetto al 2010, e la percentuale era già  bassa. Il Pd perde centinaia di migliaia di elettori, non ha più iscritti e non si confronta più con la base. Non posso che essere critico.
Ma non è che perdere iscritti e voti rientri in un disegno lucido?
In un disegno sicuramente, quanto sia lucido non saprei. La sinistra si confrontava, interloquiva, era un grande movimento per questo motivo. Senza questo ha un uomo solo al comando che non si rende conto di essere destinato a rimanere solo e basta. Un giorno non avrà  più nessuno.
Ha vinto Stefano Bonaccini. Può governare con un consenso che si aggira attorno al 16 per cento se calcoliamo gli astenuti?
Potrebbe farlo. Con una buona squadra che non risponda alle logiche di correnti. Ma non sarà  così.
Cosa prevede?
Molti fiorentini, qualche nipote di Prodi. Questa sarà  la giunta.
Si aspettava questi numeri?
No. Non pensavo sotto il 50 per cento.
Non le pare di rivivere i tempi in cui Guazzaloca si prese Bologna.
No, siamo di fronte a fenomeni diversi, allora il centrosinistra perse, questa volta comunque ha vinto. Di uguale c’era l’atteggiamento del partito, oggi arrivato al culmine. Mi spiego. Non era diversa la Bartolini quando parlava in maniera molto sprezzante di un macellaio come avversario. Quel macellaio era uno che aveva lavorato, Bartolini no. La stessa cosa è Bonaccini, uno che non ha mai lavorato se non nel partito, ma che non riesce a trattare con i suoi elettori, con la base che non c’è più. Scomparsa.
Era l’idea di Veltroni, più o meno. Giusto?
Era un percorso che ha prodotto questo.
Astenersi dal voto cosa vuol dire?
È il segnale peggiore. Vuol dire che il tuo elettorato lo hai maltrattato, non l’hai ascoltato. Dentro o fuori dal cerchio magico è la logica renziana. Vuol dire che non esiste democrazia.
Il Movimento 5 stelle ha vinto, come sostiene Grillo?
Ha guadagnato 30mila voti rispetto alle passate regionali. Questo è un dato che nessuno può negare. La protesta esiste, e si chiama Grillo, appunto. Chi pensava non esistesse più ha sbagliato. Da parte sua il comico genovese ci mette una assoluta incapacità  conclamata nel guidare il movimento.
Forza Italia e Lega?
Il partito di Berlusconi paga la catastrofe di un’assenza di classe dirigente. La Lega non ha vinto. Ha perso 25mila voti rispetto al 2010.

Emiliano Liuzzi
( da “il Fatto Quotidiano“)

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BERLUSCONI PREPARA IL COLPO DI SCENA: STOP ITALICUM E ALLEANZA CON SALVINI E ALFANO

Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile

UFFICIO DI PRESIDENZA CONVOCATO D’URGENZA, MA RINVIABILE SE FITTO NON ARRIVA IN TEMPO… SILVIO CAMBIA STRATEGIA PER CERCARE DI RIMETTERE INSIEME I COCCI DEL CENTRODESTRA

La resa dei conti si consumerà  quando nel fortino di Piazza San Lorenzo in Lucina, in un ufficio di presidenza convocato di urgenza dallo stato maggiore di Arcore, si troveranno l’uno di fronte all’altro Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto.
Un incontro-scontro che questa volta — annota un conoscitore delle questioni del centrodestra — potrebbe giungere allo strappo finale, con l’ex governatore pugliese costretto a ripetere l’espressione che ha tanto reso celebre la cacciata di Gianfranco Fini in una direzione del fu Pdl: “Che fai, mi cacci?”.
La riunione potrebbe essere rinviata perchè Fitto — europarlamentare — ha chiesto di posticiparla perchè è impegnato nella giornata della visita di Papa Francesco a Strasburgo.
Ma i motivi del contendere restano tutti.
Del resto l’attacco di Fitto dal blog — “basta con le nomine, basta con i gruppi autoreferenziali che hanno determinato in questi mesi una politica e una comunicazione inefficaci e di prive di qualunque credibilità ” — non lascia spazio ad altre interpretazioni ponendo di fatto l’ex Cavaliere con le spalle al muro.
Insomma, o si   cambia strategia, o “nella disperazione — ripete a ilfattoquotidiano.it un ‘soldato’ di Fitto — tutto può essere in discussione”.
Non succederà  nulla di tutto ciò, però.
Parola di un senatore forzista: “Berlusconi riserverà  un colpo di scena”.
E cioè, come aveva anticipato Il Fatto Quotidiano alcuni giorni fa in un colloquio con lo stesso ex Cavaliere, rompere l’accordo con Renzi sulle riforme, quella elettorale e quelle istituzionali.
Altro che scricchiolare: il Patto del Nazareno rischia di andare in frantumi.
Colpo di scena imposto dal contesto in cui si trova Fi.
Ad oggi il saldo finale della linea filogovernativa, del sostegno alle riforme del governo Renzi, è più negativo che mai.
Il verdetto delle regionali in Calabria ed Emilia è oltre le peggiori aspettative della vigilia. “Sapevano che finisse male, ma così rischiamo di farci superare anche da Angelino, che è tutto dire” avrebbe detto l’ex premier nel solito pranzo del lunedì con i familiari e i fedelissimi.
I numeri sono drammatici: nelle due regioni a votare per Fi sono stati complessivamente 200mila elettori.
Cifre che segnano il destino di   un partito come Forza Italia che, “se continuasse con questa linea politica che disorienta il nostro elettorato — spiega   un senatore di peso- potrebbero finire per farlo diventare una corrente della Lega Nord”.
Già , la Lega di Salvini. L’exploit del Carroccio accelera la trattativa con il fronte forzista.
Trattativa gestita da Giancarlo Giorgetti, per quanto riguarda la Lega, e dal consigliere politico dell’ex premier Giovanni Toti.
I due sono in continuo contatto, e non è da escludere che già  nel prossimo week end Matteo Salvini possa varcare l’ingresso di Arcore.
Ecco perchè la strategia di un Cavaliere — che i bolettini definiscono “teso e irritato” — prevede un colpo di scena.
Di certo, durante l’ufficio di presidenza — spiegano a taccuini chiusi parlamentari che preferiscono rimanere nell’anonimato — si farà  carico di rintuzzare i dissidi interni (leggi l’uscita al vetriolo di Maurizio Bianconi) e di chetare l’atteggiamento “arrogante” di Raffaele con la promessa di assicurargli il 30% dei candidati in lista alle prossime politiche e un paio di candidati governatori per le regionali di marzo.
Ma il colpo di scena passerà  dal cosiddetto Patto del Nazareno.
Difatti, nonostante all’esterno continuerà  a mostrarsi favorevole al patto per le riforme con l’inquilino di Palazzo Chigi, durante il caminetto di oggi pomeriggio dirà  espressamente che all’atto del voto sull’Italicum il gruppo parlamentare si dovrà  opporre all’approvazione del provvedimento.
“Il problema di Forza Italia non è legato alla scelta, ma alla sopravvivenza. E la sopravvivenza — spiega un deputato a ilfattoquotidiano.it — impone che ci sia una legge elettorale con il premio di maggioranza non alla lista, ma alla coalizione. O rimetti insieme i cocci del vecchio centrodestra, o non tocchi palla”.
D’altronde, gli equilibri della tornata elettorale di ieri l’altro impongono all’ex Cavaliere di bussare alla porta della Lega di Salvini e, soprattutto, evocano una legge elettorale ridisegnata con il premio alla coalizione e non alla lista.
Discriminante, quest’ultima, necessaria per consentire anche il rientro di Angelino Alfano, che l’ex Cavaliere potrebbe incontrare prima dell’inizio delle festività  natalizie.
In questo modo l’inquilino di Arcore utilizzerebbe l’Italicum per fare pressione sull’esecutivo di Matteo Renzi.
E per continuare a trattare sul successore di Giorgio Napolitano.
Stando così i giochi, bisognerà  solo capire cosa deciderà  di fare Raffaele Fitto.

Giuseppe Alberto Falci
(da “il Fatto Quotidiano”)

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