Destra di Popolo.net

IL FLOP: SALVINI SPARA 100.000, MA LA FOTO DICE 15.000 PRESENZE

Febbraio 28th, 2015 Riccardo Fucile

SE I 300 PULMANN E I 4 TRENI SPECIALI FOSSERO STATI ESAURITI, 20.000 TRUPPE CAMMELLATE AVREBBERO DOVUTO ESSERE GARANTITE DA FUORI

Che Salvini sia un contaballe è cosa risaputa: non farebbe quindi notizia la sparata dei 100.000 presenti al suo comizio in piazza del Popolo, se l’argomento non fosse stato fatto girare sui media come “autocertificazione” padana.
Fonti della questura dicono che i presenti sarebbero stati non più di 20.000, un flop se si pensa che la cifra corrisponderebbe pari pari alle truppe cammellate provenienti da altre regioni   (corrispondenti a 300 pulmann e 4 treni speciali, come da fonte Lega stessa).
Si dà  il caso che piazza del Popolo sia estesa esattamente per 7.100 metri quadrati, quindi ha capienza di 51mila persone, 3 individui a metro quadro, salvo che non   si sistemino uno sulla testa dell’altro.
Dalla foto dall’alto che pubblichiamo, scattata mentre Salvini parla, si può notare un primo artificio per “ridurre la piazza”, peraltro adottato da tutti i partiti e movimenti che tendono ad accorciare la superficie calpestabile dai manifestanti, è quella di portare avanti il palco di trenta metri e isolare le parti laterali ad esso.
Così facendo la capienza di piazza del Popolo si è   ridotta a 30.000 persone (sempre che siano pigiate in 3 a mq).
Nelle parti laterali poi altro spazio viene sottratto dai mezzi delle forze dell’ordine, dopo l’obelisco gli spettatori si rarefanno per finire con dei vuoti in prossimità  dei margini della piazza, le vie di imbocco laterale sono libere.
Da qui il computo finale che i presenti non sono più di 15.000, al 90% truppe cammellate da via Bellerio.
Ultimo dato significativo: Casa Pound aveva garantito 5.000 presenze ma, secondo più fonti ufficiali, erano solo un migliaio, meno che in altre occasioni.
Segno che molti aderenti non hanno condiviso la scelta dei vertici di aderire al comizio di Salvini. Dato politico da considerare.

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ROMA RESPINGE IL CLANDESTINO: APPENA IN 15.000 A PIAZZA DEL POPOLO, IL DOPPIO A CONTESTARLO

Febbraio 28th, 2015 Riccardo Fucile

CORNUTO E MAZZIATO: NONOSTANTE 300 PULMAN E 4 TRENI DI TRUPPE AUTOTRASPORTATE, “SISTEMAMOGLI” NON SMUOVE I ROMANI… L’UNICO INCIDENTE E’ L’AGGRESSIONE DEI LEGHISTI AI GIOVANI DI FORZA ITALIA

Vaffa a Renzi («servo sciocco di Bruxelles»), ma anche ad Alfano e alla Fornero. E poi alle «zecche» dei centri sociali che occupano chiese.
Matteo Salvini ha sparato insulti per circa mezzora dal palco di piazza del Popolo.
Ampio il ventaglio delle citazioni riprese per l’occasione dallo Zanichelli: da Don Milani a Oriana Fallaci, da Marco Paolini al siciliano Don Luigi Sturzo.
Sul palco hanno parlato anche Giorgia Meloni e Luca Zaia, unico dirigente leghista con diritto di microfono.
Ma la manifestazione si è rivelta un flop: considerando che avrebbero dovuto arrivare 20.000 persone da fuori Roma su 300 pulmann e 4 treni speciali, a cui si sarebbero dovuti aggiungere 5.000 aderenti a Casa Pound, alla fine mancano all’appello 10.000 persone.
Non solo: i romani non si sono visti e l’apporto dell’estrema destra è stato ben sotto le previsioni, segno evidente che molti non hanno condiviso la scelta dei vertici di aderire alla sceneggiata leghista.
Un successo imprevisto ha invece raccolto la contromanifestazione dei contestori di Salvini che ha superato quota 30.000.
Tutto si è svolto senza incidenti, a parte l’aggressione subita dai giovani di Forza Italia da parte dei leghisti in piazza del Popolo.
I giovani di Forza Italia, fanno sapere dal movimento ‘Azzurra Libertà ‘, hanno interrotto la loro partecipazione alla manifestazione della Lega Nord in piazza del Popolo dopo esser stati “aggrediti e costretti a fuggire” da alcuni militanti presenti all’iniziativa.
Il movimento giovanile azzurro era sceso in piazza in accordo con il presidente Silvio Berlusconi, portando anche alcune bandiere di Fi.

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BERSANI NON SI FIDA PIU’ DI RENZI

Febbraio 28th, 2015 Riccardo Fucile

“IL TRADIMENTO SUL JOBS ACT PESA ANCORA”

Stavolta è diverso. Non si tratta solo di correnti che si sbranano o leader che si accoltellano. C’è dell’altro dietro l’escalation guidata da Pierluigi Bersani.
È la fregatura sul Jobs act ad aver scassato il Partito democratico, portando la minoranza sul piede di guerra.
«Sì – ammette l’ex segretario, appoggiandosi a una colonna del Transtlantico – Avevamo discusso durante la direzione del partito, era stato preso un impegno. Le due commissioni avevano espresso un parere, anche se non vincolante. E nelle commissioni ha votato tutto il Pd: non solo i bersaniani, ma i bersaniani i renziani e tutti quanti gli altri. Poi però si è deciso di non tenerne conto. Ma insomma, ma come si fa…».
Una sberla che brucia. Un tradimento, per la sinistra del Pd.
«Ma non è solo questo – ricorda a due passi dall’Aula – Sulle istituzioni, ad esempio, avevamo lavorato seriamente. Subito dopo Mattarella, però, non ho visto altro che smentite a quel metodo, che pure aveva funzionato ».
È un Bersani trasformato. Sereno, però più aggressivo. Combattivo.
Interventi, uscite pubbliche, ieri pure un’intervista al giornale radio Rai.
Nulla a che vedere con il solito risiko del Pd, ragiona mentre attraversa il lungo corridoio che porta a piazza del Parlamento.
«Non se ne può più di queste veline che circolano sui media e che dipingono quanto accade come una questione di potere».
È piuttosto uno scontro tra due mondi che non si riconoscono più.
«Io sono un deputato semplice. Non ho nulla da chiedere, non reclamo posti. Bisogna che si convincano che è esclusivamente un problema di idee. Possiamo confrontarci? Possiamo almeno discutere sul serio e non per spot?».
Non fa altro da giorni, l’ex segretario. In Aula con tanti dei suoi colleghi, mentre tutto attorno sbocciano aree a differente tasso di renzismo pronte a farsi la guerra.
In Transatlantico, con pazienza, mentre le minoranze tornano a parlarsi. E pure al cellulare, con i vecchi amici che gli chiedono consigli: “Pierluigi, dove stiamo andando?”.
Alla convocazione di Matteo Renzi non ha risposto. Si tormenta gli occhiali rossi, poi tutto d’un fiato: «Certo che no. Le riunioni vanno fatte per davvero. Convocare i gruppi parlamentari per discutere di fisco e altri tre temi per quattro ore non va bene. Il confronto deve essere serio. Nè è accettabile che parta subito il giochino di quelli che dicono: “Quando facciamo le riunioni e vogliamo la discussione, voi vi sfilate”». È comunque agli atti la clamorosa mossa di boicottare il seminario promosso dal premier in persona.
Il rischio di delegittimare il leader non ha frenato le minoranze, anche se a disertare è un ex segretario del Pd.
«Veramente all’epoca Renzi non è mai venuto a una riunione e io ho fatto il segretario tranquillamente. Mai venuto a una riunione, mai… Comunque lui ha detto: “Fatevi venire un po’ di idee”. Me le sono fatte venire e le ho mandate».
Palazzo Chigi ha già  fiutato il cambio di passo.
E a nessuno dei quattrocentosedici parlamentari dem è sfuggito quel passaggio di Bersani sull’Italicum. Una mina piazzata tra le fondamenta della legislatura, si allarmano i renziani.
«Da quanto tempo è che lo dico? Da tempo avverto: “Guarda che in queste condizioni non si vota questa legge elettorale”. Se poi il tema diventa Bersani contro Renzi e nessuno si preoccupa di come si organizza la democrazia, allora vabbè….».
Riflette solo un attimo, inforca gli occhiali rossi: «Però, ecco, sollevo questo punto: che tipo di democrazia stiamo costruendo? Non mi sembra esattamente irrilevante, anche se nessuno ne parla».
Stavolta l’offensiva dell’opposizione interna non provoca l’immediata reazione di Renzi. Anzi, due sere fa l’unico passaggio davvero polemico è stato il riferimento del premier ai vecchi caminetti della Ditta.
«Vabbè, lasciamo stare i vecchi caminetti che sono cretinate… Se continua a rispondere in quel modo lì non si va da nessuna parte».
Appunto, che si fa? Come se ne esce?
«Il segretario prenda in mano la situazione. Dica che si vuol parlare di quale democrazia va costruita con un approccio serio. Di liberalizzazioni, ma sul serio. Perchè è giusto discutere e poi decidere: e però sul lavoro abbiamo discusso, discusso e ancora discusso, ma poi ha fatto come gli pare… ».
Una tregua, comunque, sembra distante anni luce.
Quando Massimo D’Alema promette una dialettica interna sempre più vivace, a qualcuno vengono i brividi.
Bersani invece evita previsioni. Auspica, al massimo: «Bisogna capire che è necessario tener conto delle idee degli altri. Se facciamo con il metodo Mattarella, va benissimo. Se al contrario facciamo finta di discutere e poi uno tira dritto – sospira mentre lascia la Camera – allora è un problema».

(da “La Repubblica”)

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NOZIONE E RIMOZIONE: IL CASO PALESTINA

Febbraio 28th, 2015 Riccardo Fucile

IL NOSTRO MOTTO: NEI SECOLI INFEDELI

Ieri l’Italia ha riconosciuto la Palestina per quasi cinque minuti, il tempo intercorso tra la mozione favorevole del Pd e quella irta di distinguo dei suoi alleati di centro, entrambe approvate dalla maggioranza dei parlamentari con il sostegno entusiasta del governo.
Poi uno si chiede come ci vedono all’estero. Così. Nei secoli infedeli.
Adulteri esistenziali, incapaci di rispettare un patto e di finire una guerra dalla parte in cui l’hanno incominciata.
Il Paese degli inciuci e dei distinguo, delle leggi dove il secondo comma contraddice sistematicamente il primo.
Di un primo ministro (Berlusconi, ma Andreotti non fu da meno) che la mattina visitava in lacrime un ospedale di Gaza e al pomeriggio abbracciava calorosamente i deputati di Tel Aviv.
In Italia, diceva Flaiano, la linea più breve tra due punti è l’arabesco.
Alla schiena dritta si preferiscono le evoluzioni dei dervisci e alle mosse rigide delle torri quella del cavallo, un passo avanti e due di lato, ma solo per tornare a farne uno indietro.
Gli esperti sapranno sicuramente spiegarci le sfumature di questo ridicolo o forse geniale pateracchio che ha rassicurato gli israeliani e illuso i palestinesi senza deluderli del tutto, lasciando una porta aperta, per quanto spalancata sul vuoto.
Tanto vale rassegnarsi.
Accettare il talento cialtrone che il mondo intero ci riconosce.
Sorriderne, magari.
E continuare a esercitarlo con la professionalità  che, almeno in questo campo, non ci è mai venuta meno.

Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)

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IL MARCIO SU ROMA: SALVINI, IL GIOVANE VECCHIO, DAI TALK SHOW A ROMA LADRONA

Febbraio 28th, 2015 Riccardo Fucile

IL PADANO PIÙ AMATO DALLE TV È IN POLITICA DA VENT’ANNI…. OGGI IN PIAZZA DEL POPOLO CON I PIRLA DI DESTRA PER APPARIRE NUOVO

Matteo Salvini è un professionista   della politica da oltre un ventennio. Uno dei più anziani della Seconda Repubblica.
Dal 1993 al 2012 è stato consigliere comunale a Milano, la sua città .
Dal 2004 fa l’europarlamentare. Per due volte è stato eletto alla Camera, ma ha rinunciato per Strasburgo.
Le poltrone gli danno da campare. Ha quasi 42 anni (il genetliaco cade il prossimo 9 marzo) e oggi pomeriggio arriva a Roma per un comizio in Piazza del Popolo.
Salvini è “l’altro Matteo” della politica italiana. Esploso d’improvviso grazie ai talk-show televisivi e ai social network. Confidava la scorsa settimana Giancarlo Giorgetti a un gruppetto di amici alla Camera: “Ora Matteo è come la gallina dalle uova d’oro, non solo ha evitato l’estinzione della Lega ma l’ha persino rilanciata, il problema è gestire questo successo”.
Giorgetti     e il cerchio magico
Giancarlo Giorgetti è stato indicato per anni come il delfino e il successore naturale di Umberto Bossi alla guida del Carroccio.
Arriva dalla provincia di Varese, la Betlemme leghista. Così come Roberto Maroni e lo stesso Senatùr.
Giorgetti è il principale consigliere del milanese Salvini. Il cerchio magico del leader neroverde ha cinque anelli, compreso Giorgetti che è anche l’ambasciatore filoberlusconiano presso Arcore.
Gli altri quattro sono: gli economisti Claudio Borghi e Armando Siri (fondatore del Pin, Partito Italia Nuova, e inventore della flat tax al 15 per cento); il bresciano Raffaele Volpi, che sta organizzando lo sbarco della Lega nel Mezzogiorno; il senatore Roberto Calderoli, il papà  del Porcellum.
Qualcuno inserisce nell’elenco dei consiglieri Pietrangelo Buttafuoco: Salvini è rimasto colpito dall’ultimo saggio del giornalista, Buttanissima Sicilia.
In pratica, il tridente che sta alle spalle del fenomeno dell’altro “Matteo” è lo stesso che ha gestito la Lega prima della deriva familista di Bossi: Maroni, attuale governatore della Lombardia, Calderoli e Giorgetti.
Gli amori     sistemati
A proposito di familismo. La prima moglie di Salvini, Fabrizio Ieluzzi, che gli ha dato un figlio oggi dodicenne, Federico, ha lavorato al Comune di Milano per dieci anni, grazie all’allora marito.
La seconda compagna, Giulia Martinelli, mamma della secondogenita salviniana, Mirta, è stata invece accasata alla Regione amica, con 70mila euro annui di stipendio. Adesso la nuova fidanzata di Salvini è una stellina della Rai, Elisa Isoardi, in passato vicinissima all’ex direttore generale Mauro Masi.
Sotto il palco i riciclati di An
Sul palco di piazza del Popolo, oltre a Salvini, parlerà  solamente Luca Zaia, il governatore del Veneto.
Ci sarà  anche un videomessaggio di Marine Le Pen, icona del populismo europeo antieuro e antimigranti.
Per un giorno le polemiche con Flavio Tosi, il sindaco di Verona che non vuole Zaia nè Salvini, dovrebbero passare in secondo piano.
Sul Carroccio del vincitore Matteo parecchi ex An, a partire dai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e Ignazio La Russa.
Ci saranno poi Barbara Saltamartini, ex Ncd, e Andrea Ronchi, ex finiano della Capitale.
Le bandiere nere con la tartaruga dei fascisti di Casa Pound sventolaranno con quelle russe dell’autocrate Putin.
Lepenismo, putinismo, neofascismo, padanismo.
Altri colori rispetto alla marcia del dicembre ’99 voluta da Bossi. Da Milano partì il treno “Nerone Express” dei militanti, al ritmo del grido di Brenno: “Guai ai vinti”.     Da “Napoli colera” al lepenismo
Milanista, maroniano, già  comunista padano con l’orecchino, nel 2009 Salvini fu sorpreso a cantare “Napoli merda, Napoli colera”.
In Europa, nel parlamento di Strasburgo, il suo mentore storico è stato Mario Borghezio, xenofobo a dir poco e studioso ossessionato dagli extraterrestri.
La manifestazione di oggi è intitolata “Renzi a casa”.
Due i simboli grandi sul palco. Quello storico della Lega e quello blu con la scritta “Noi con Salvini”. Un altro embrione di partito personale. Ovviamente di lotta e di governo.
Un conto è fare i comizi, un altro annunciare e poi smentire il divorzio da Silvio Berlusconi, presunto proprietario del logo padano grazie a un accordo notarile con Umberto Bossi.
Il fascioleghismo arriva a Roma
Matteo Salvini, nel 1985 e nel 1993, ha partecipato da concorrente a due quiz di Canale 5.
È un gemello di Matteo Renzi anche nell’esordio televisivo. È diventato segretario della Lega meno di due anni fa.

Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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CERTO DI MORIRE PER MANO DI PUTIN

Febbraio 28th, 2015 Riccardo Fucile

OMICIDIO NEMTSOV, I SUOI TIMORI IN UNA INTERVISTA: “MI VUOLE UCCIDERE”

Boris Nemtsov, oppositore irriducibile di Vladimir Putin ucciso ieri notte in un agguato, ha continuato fino all’ultimo secondo a criticare il governo di Mosca. Quando i sicari lo hanno freddato con almeno quattro colpi di pistola, il leader dell’opposizione stava tornando a casa con un’amica dopo aver partecipato a un programma radiofonico per L’Eco di Mosca.
Nella sua ultima intervista, il 55enne si è dimostrato combattivo e critico come al suo solito nei confronti delle autorità  moscovite.
Il suo ultimo appello, rivolto a tutti gli abitanti di Mosca, era di partecipare alla marcia contro la guerra che si terrà  domani, primo marzo. “Se siete per la fine della guerra russa con l’Ucraina, se sostenete la fine dell’aggressione di Putin, venite alla marcia di Primavera”.
Per lui non ci sarà  più nessuna marcia e nessuna Primavera.
“Temo che Putin voglia uccidermi”, aveva dichiarato in una recente intervista, rilasciata il 10 febbraio scorso al quotidiano Sobesednik.
Di minacce ne riceveva giornalmente: arrivavano nella sua casella email, o tramite i social media. Ma lui non ha mai smesso di attaccare Putin, considerandolo una rovina per la Russia e i suoi abitanti.
Un passaggio della sua ultima intervista. “Pensiamo che, per rimettere in piedi il nostro Paese e superare la crisi, siano necessarie riforme politiche. In particolare, è necessario portare avanti delle elezioni oneste con la partecipazione delle opposizione, cancellando la censura e fermando questa propaganda bugiarda e assolutamente miserabile che ha rigirato e mangiato le menti del popolo russo”.
E ancora: “È chiaro che abbiamo bisogno di riforme politiche in questo paese. È evidente che, quando il potere è concentrato nelle mani di un’unica persona, e questa persona comanda sempre, tutto finisce in un modo assolutamente catastrofico”.
Il presidente Putin si è affrettato a condannare il delitto come “un crudele assassinio”, ma allo stesso tempo ha parlato di “provocazione”, annunciando una immediata consultazione con i vertici della sicurezza e il suo “diretto controllo” sulle indagini, come se questo fosse una garanzia per l’individuazione dei veri mandanti.
In queste ore pressochè tutti i leader mondiali, da Obama a Merkel, stanno chiedendo al Cremlino di “fare di tutto” per “assicurarsi che su questo assassinio sia fatta luce e che i responsabili siano chiamati a risponderne” (parole della cancelliera).
Peccato, però, che la storia recente russa sia ricca di esempi che lasciano presagire il contrario.
La morte di Nemtsov, infatti, ricorda da vicino quella di altre figure scomode della vita pubblica russa.
Ed è forse l’omicidio più clamoroso – anche per le inevitabili reazioni in Occidente e i sospetti che è destinato a generare – dall’agguato che il 7 ottobre 2006, sempre a Mosca, costò la vita alla giornalista Anna Politkovskaia.
Fisico di formazione, padre di quattro figli, Boris Iefimovic Nemtsov era stato indicato nella seconda metà  degli anni ’90 come un possibile delfino di Boris Ieltsin per la successione al Cremlino. Alto, bruno, affascinante, buon oratore, era emerso come una delle figure più spendibili e meno impopolari fra gli allora “giovani riformatori” della leva ieltsiniana postsovietica.
Già  governatore di Nizhni Novgorod, era arrivato a Mosca nel 1997 per ricoprire l’incarico di primo vicepremier nel governo guidato da Viktor Cernomyrdin. Ma quando la crisi del ’98 aveva spazzato via gran parte dei giovani liberali, la sua stella aveva cominciato a declinare lasciando spazio a quella che nel giro di un anno sarebbe stata la repentina ascesa di Vladimir Putin, uscito dai ranghi dei servizi segreti.
Fu in quella fase che Nemtsov diede vita all’Unione delle Forze di Destra, una formazione liberale capace ancora di entrare alla Duma. Ma fin da subito si differenziò dagli altri cofondatori, l’ex premier Serghiei Kirienko e l’altro ex vicepremier Anatoli Ciubais, ponendosi in forte e aperta critica nei confronti di Vladimir Putin. Un atteggiamento divenuto sempre più radicale negli ultimi anni, sullo sfondo di una polemica sempre più dura con il presidente in carica, da lui accusato di autoritarismo e bellicismo.
Oppositore dichiarato in questi mesi anche della politica ucraina del Cremlino, Nemtsov aveva aderito all’ormai imminente manifestazione anti-Putin del primo marzo, convocata fra gli altri dal blogger Andrei Navalni.

(da “Huffingtonpost“)

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RONCHI INDOSSA LA CAMICIA PADANA, ORA SIAMO CERTI DI ESSERE DALLA PARTE GIUSTA: L’OPPOSTA

Febbraio 28th, 2015 Riccardo Fucile

 PER L’EX CAMBIA-PARTITO “SALVINI PUO’ UNIRE IL CENTRODESTRA”… DA MINISTRO ALLE POLITICHE COMUNITARIE A NO EURO?

“Se domani sarò alla manifestazione della Lega in piazza del Popolo? No, perchè avevo già  un impegno precedente, ma ci saranno rappresentanti di “Insieme per l’Italia”.
Peccato che l’ex An, Pdl, Fli ecc. ecc, nonchè ministro del governo Berlusconi in quota Fini, alias Andrea Ronchi, non abbia informato per tempo Salvini del suo improrogabile impegno, altrimenti il segretario della Lega avrebbe sicuramente rinviato la manifestazione.
Anche perchè avrebbe riempito Piazza del Popolo solo con gli aderenti a “Insieme per l’Italia”, guidati dal suo intrepido leader.
Ma l’analisi di Ronchi è avvincente ed epica: “L’iniziativa di Salvini sarà  un pezzo importante per il risveglio del Paese. Lui ha portato in quest’ultimo anno la Lega ai livelli dei Cinque Stelle nei sondaggi”.
Oddio, da un esperto comunitario magari ci si aspetterebbe una più attenta lettura dei sondaggi, visto che almeno sono cinque i punti che separano il M5S dalla Lega, ma perdoniamolo, lui è un esperto nel chiedere perdono.
Ma ecco che Ronchi individua il motivo per cui indossare la felpa verde: “Salvini ha ripreso con forza temi cari al centrodestra e persi per strada”.
Ma come, da moderato liberale che di strada ne ha fatta tanta, che ci viene a dire?
Ma quale destra? Ma quale temi?
Non ci risulta che sia da liberali affogare i profughi, discriminare gli esseri umani in base alle origini o alla razza o sia etico accompagnarsi a un “sistemamogli”: nei governi conservatori che tanto ama, basta aver copiato una tesi di laurea per essere costretti a dimettersi, figurarsi chi piazza congiunti negi enti locali a chiamata diretta, suvvia.
E poi, non sono forse queste nostre convinzioni quelle che Ronchi ha sostenuto con orgoglio quando ha militato in Futuro e Libertà ?
O si cambiano anche le idee e i valori se si cambia partito?
Su un concetto espresso da Ronchi concordiamo: “il centrodestra ha perso nove milioni di voti negli anni, ma nessuno si è chiesto come fare a riprenderli”
A parte che la fluidità  dell’elettorato non ci obbliga a “riprenderci” proprio quel tipo di votante (Renzi insegna), di una cosa siamo certi: che non sarà  il neo-estremista Ronchi a riportarlo a casa.
Ammesso che lui nel frattempo non abbia già  traslocato altrove.

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RUSSIA, UCCISO L’OPPOSITORE DI PUTIN, IL LIBERALE NEMTSOV: SONO I REGIMI CHE PIACCIONO A SALVINI

Febbraio 28th, 2015 Riccardo Fucile

UCCISO PER STRADA CON QUATTRO COLPI DI PISTOLA IL LEADER DELLA DESTRA CHE AVEVA CRITICATO L’AGGRESSIONE RUSSA ALL’UCRAINA

Boris Nemtsov, uno dei leader dell’opposizione a Vladimir Putin ed ex vicepremier liberale all’epoca della presidenza Eltsin, è stato ucciso in un agguato mentre passeggiava nel centro di Mosca, nelle immediate vicinanze del Cremlino.
L’ufficio stampa del ministero dell’Interno ha reso noto che la polizia ha lanciato un’operazione su vasta scala per catturare gli assassini.
Secondo la ricostruzione diffusa su Twitter da Iuri Barmin, amico e compagno di lotte politiche di Nemtsov, una o più persone sono scese da un’automobile bianca e hanno freddato la loro vittima con almeno quattro colpi d’arma da fuoco alle spalle sul ponte Zamoskvoretskiy, di fronte alla basilica di San Basilio e a pochi passi dalla piazza Rossa. Stando ai mezzi di informazione, al momento dell’attentato l’esponente dell’opposizione era in compagnia di una donna.
Putin ha immediatamente condannato l’omicidio affermando che potrebbe trattarsi di un delitto su commissione e anche di una “provocazione” in vista della protesta indetta dall’opposizione per domenica. Il presidente ha inoltre annunciato una immediata consultazione con i vertici della sicurezza e il suo “diretto controllo” sulle indagini.
“Chi ha ucciso Nemtsov dovrà  pagare un duro prezzo”, ha commentato sconvolto Mikhail Kasyanov, ex primo ministro e a sua volta portabandiera dell’opposizione, precipitatosi immediatamente sul luogo dell’omicidio.
E l’ex campione del mondo di scacchi Garry Kasparov, altro esponente dello schieramento anti-Putin, ha scritto su Twitter: “Devastato nell’apprendere del brutale assassinio di Boris Nemtsov, da lungo tempo compagno nell’opposizione. Quattro colpi, uno per ogni figlio che lascia”.
Aleksiei Kudrin, ex ministro delle Finanze ed economista liberale che aveva accettato di collaborare con Putin prima di distanziarsene in anni recenti, ha parlato dal canto suo di “tragedia per la Russia”.
Fisico di formazione, 55 anni, Nemtsov aveva quattro figli.
Nella seconda metà  degli anni ’90 era stato indicato come un possibile delfino di Boris Eltsin per succedergli al Cremlino.
Affascinante, buon oratore, era emerso come una delle figure più spendibili e meno impopolari fra gli allora “giovani riformatori” della leva eltsiniana postsovietica.
Già  governatore di Nizhni Novgorod, era arrivato a Mosca nel 1997 e aveva ricoperto importanti incarichi di governo, fino a quello di vice del premier Viktor Cernomyrdin. Ma quando la crisi del ’98 aveva spazzato via gran parte dei giovani liberali, la sua stella aveva cominciato a declinare lasciando spazio alla repentina ascesa di Putin, uscito dai ranghi dei servizi segreti.
Fu in quella fase che fondò l’Unione delle Forze di Destra, una formazione liberale che riuscì a entrare nella Duma, il Parlamento russo.
Ma fin da subito si differenziò dagli altri cofondatori, l’ex premier Serghiei Kirienko e l’altro ex vicepremier Anatoli Ciubais, ponendosi in forte e aperta critica nei confronti di Putin.
Un atteggiamento ulteriormente approfonditosi negli ultimi anni, sullo sfondo di una polemica sempre più dura con il presidente in carica, da lui accusato di autoritarismo e bellicismo.
Oppositore dichiarato in questi mesi anche della politica del Cremlino in Ucraina, Nemtsov aveva aderito alla manifestazione anti-Putin del primo marzo a Mosca convocata fra gli altri dal blogger Andrei Navalni.
Oggi aveva invocato ancora una volta l’unità  delle forze di opposizione russe e aveva scritto: “Se siete per la fine della guerra russa con l’Ucraina, se sostenete la fine dell’aggressione di Putin, venite alla marcia di Primavera”.
La sua morte ricorda da vicino quella di altre figure scomode della vita pubblica russa. Ed è forse l’omicidio più clamoroso – anche per le inevitabili reazioni in Occidente e i sospetti che è destinato a generare – dall’agguato che il 7 ottobre 2006, sempre a Mosca, costò la vita alla giornalista Anna Politkovskaia.

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INTERVISTA A GOVERNALI (COLLETTIVI): “SALVINI VA SMASCHERATO”

Febbraio 27th, 2015 Riccardo Fucile

IL RESPONSABILE DI “COMMUNIA”: “LA LEGA HA GOVERNATO PER NOVE ANNI AL SERVIZIO DELLA FINANZA EUROPEA, ORA SI PROCLAMA CONTRO L’AUSTERITA'”

“Le provocazioni? Semmai arrivano dall’altra parte. Noi non vogliamo impedire a nessuno di manifestare, ma solo sbugiardare chi oggi si proclama contro l’austerità  e per nove anni ha governato al servizio dell’Europa”.
Luciano Governali è uno dei responsabili di Communia, tra le sigle dell’universo alternativo romano che sfileranno sabato per dire #MaiConSalvini.
Governali, perchè marciate contro la Lega?
Perchè penso che la strategia di Salvini vada smascherata. Parliamo di un partito che oggi fa della sua bandiera la sfida all’austerità  ma nei nove anni in cui ha governato con Berlusconi non ha fatto altro che mettere in campo politiche devastanti come la legge Biagi o la liberalizzazione dei mercati, obbedendo agli ordini dell’Europa. E ora promuove il nuovo corso soffiando sul razzismo, alimentando una guerra tra poveri e alleandosi con Casapound.
Ma perchè manifestare lo stesso giorno? Non c’è il rischio di episodi di tensione?
Da parte nostra non ci sono mai state dichiarazioni o minacce contro chi sabato sarà  in piazza del Popolo. Non neghiamo a nessuno il diritto di manifestare. Ma le contromanifestazioni esistono da sempre, basterebbe leggere i libri di storia.
Dalla Questura filtra che nel vostro corteo potrebbero infiltrarsi dei violenti.
È sempre la stessa storia, ogni volta che scendiamo in piazza. Io ho partecipato ai movimenti studenteschi del 2008 e del 2010 che, per come li descriveva il questore, avrebbero dovuto provocare decine di morti. Invece non successe nulla.
Può garantire che non provocherete e non cederete alle provocazioni?
“Le provocazioni sono già  arrivate. Casapound ha annunciato un presidio a piazza Vittorio due ore prima del nostro corteo. Non siamo noi a volere la violenza, al nostro corteo ci saranno semplicemente persone che da anni si sporcano le mani lavorando nel sociale e ora non accettano le strumentalizzazioni della Lega su fatti come quelli di Tor Sapienza”.

Car. Sol.
(da “il Tempo”)

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