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SICILIA, UNA TRAGEDIA A STATUTO SPECIALE

Novembre 1st, 2015 Riccardo Fucile

UNA REGIONE VESSATA DA SCANDALI MAFIOSI E RITARDI CRONICI NELLE INFRASTRUTTURE… L’AUTONOMIA HA FALLITO

Distratti dal penoso tormentone di Roma, quasi non ci si accorge della tragedia di una terra non meno importante nel definire l’identità  del Paese, nel segnarne l’immagine all’estero, nel costituirne la grandezza e la miseria, il mito e il sangue: la Sicilia.
Parlare di tragedia non è eccessivo.
L’ex governatore Cuffaro in galera per mafia. Il suo successore Lombardo sotto processo per mafia.
Ma, quel che è peggio, l’alternanza politica non ha portato a un vero cambiamento nei costumi, nell’amministrazione, nella legalità .
Le inchieste della magistratura stanno spazzando via la nuova classe dirigente dell’isola. Certo occorre attendere le sentenze definitive. Ma già  uno dei simboli della lotta alla mafia, l’imprenditore Antonello Montante, è indagato per reati di mafia, l’ex presidente della Camera di commercio Roberto Helg è condannato in primo grado a 4 anni e 8 mesi per concussione, gli arresti si susseguono – da ultimo il presidente di Rete ferroviaria italiana Dario Lo Bosco –, l’impressione è che il peggio debba ancora venire; mentre Rosario Crocetta cambia giunta ogni sei mesi, affondando sempre più in una melma dove i veleni del passato si mescolano a un disastro amministrativo senza precedenti. Autostrade inaugurate decine di volte sono interrotte per il crollo di viadotti che nessuno ripara.
Sulle ferrovie meglio tacere.
Messina, una città  di 240 mila abitanti, è rimasta senz’acqua per una settimana.
A Palermo consiglieri regionali, che si chiamano l’un l’altro deputato e onorevole e guadagnano più di Obama e della Merkel, traghettano lo stesso sistema di potere da una legislatura all’altra, replicando il triste spettacolo di trasformismo che conferma la profezia di Tomasi di Lampedusa su un cambiamento destinato ad alimentare retoriche ma a non arrivare mai nei fatti.
Neppure sfiorati dagli scandali, eppure impotenti di fronte a un disagio sociale giunto alla soglia della disperazione, i sindaci delle due grandi città , Leoluca Orlando ed Enzo Bianco: gli stessi di vent’anni fa.
In queste condizioni, se si votasse domani i grillini vincerebbero a mani basse; e non ci si potrebbe proprio stupire.
Il paradosso è che la Sicilia non ha mai contato tanto nel Paese.
Sono siciliani il presidente della Repubblica, il presidente del Senato, il ministro degli Interni, il commissario che governerà  la Roma del Giubileo, lo scrittore più letto d’Italia (se è per questo, la letteratura del nostro Novecento da Pirandello appunto a Camilleri è soprattutto siciliana; e parlando di grandi artisti non si può dimenticare Franco Battiato, che si illuse all’inizio accettando di entrare nella giunta Crocetta per poi subito disilludersi).
Ma non è in questione ovviamente l’importanza della Sicilia per l’Italia, nè il talento del popolo siciliano.
E neppure l’enorme potenziale di sviluppo, che fa ancora più rabbia.
Un solo dato: la Sicilia ha circa gli stessi chilometri di coste delle Baleari, ma ha un decimo dei suoi turisti; mancano voli diretti per il Nord Europa, proprio in questi giorni in cui a Manchester, a Kiel, a Copenaghen, a San Pietroburgo è inverno, mentre a Palermo, a Catania, a Noto, a Pantelleria è ancora quasi estate.
Ma non ci si può limitare alla denuncia. E non è soltanto il governo centrale a dover intervenire con urgenza.
La Sicilia deve riconquistare la sua centralità  nel dibattito pubblico.
E non dobbiamo aver paura di nulla, neppure di mettere in discussione cose all’apparenza scontate, come l’autonomia dell’isola, che all’evidenza ha fallito.
Tre siciliani di formazione e idee molto diverse – Pietrangelo Buttafuoco, intellettuale critico della destra italiana, Claudio Fava, tra i fondatori di Sinistra ecologia libertà  e figlio di una vittima della mafia, Fabrizio Ferrandelli del Pd, unico a dimettersi dall’Assemblea regionale dopo l’addio di Lucia Borsellino alla giunta – hanno lanciato una campagna per superare lo statuto speciale e aprire una nuova stagione di responsabilità  e sviluppo dell’isola.
È un’ipotesi su cui confrontarsi seriamente.

Aldo Cazzullo
(da “il Corriere della Sera”)

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BERLUSCONI VUOLE SCARONI SINDACO: GIA’ ARRESTATO E CONDANNATO PER TANGENTOPOLI

Novembre 1st, 2015 Riccardo Fucile

NEL 1996, REO CONFESSO, DOPO IL CARCERE, PATTEGGIO’ UN ANNO E QUATTRO MESI… ALTRA CONDANNA A TRE ANNI NEL 2014… MALUMORE DELLA GELMINI

Esce di scena Paolo Del Debbio, entra Paolo Scaroni.
Sarà  lui il candidato sindaco del centrodestra a Milano?
All’ex amministratore delegato di Eni ed Enel, Silvio Berlusconi ha regalato un pacchetto di azioni del Milan, in segno di stima. Ora gli ha chiesto di candidarsi per il dopo Pisapia, in una competizione che potrebbe vederlo opposto al commissario Expo Giuseppe Sala: una sfida all’ultimo manager.
L’idea del leader di Forza Italia, rallentata dal fatto che Scaroni fosse indagato per corruzione internazionale, ha ripreso quota dopo che il giudice, a inizio ottobre, lo ha prosciolto nel procedimento relativo al pagamento di tangenti per 198 milioni di euro in Algeria per far ottenere appalti da 8 miliardi di euro a Saipem, partecipata da Eni, di cui Scaroni era ad.
Nei prossimi giorni sapremo se la proposta di Berlusconi supererà  le riserve di Scaroni e i malumori di Mariastella Gelmini, coordinatrice lombarda di Forza Italia, a cui piacerebbe tanto essere lei la candidata del centrodestra per succedere a Giuliano Pisapia.
Ai compagni di partito che le fanno notare che difficilmente i milanesi voterebbero una bresciana, lei ricorda che anche Scaroni non è milanese, ma di Vicenza, dove è nato nel 1946.
Per un paio d’anni è stato anche presidente del Vicenza Calcio. A Milano però Scaroni ha studiato e lavorato per molti anni. Laurea alla Bocconi e, dopo un master alla Columbia University di New York, lavora alla McKinsey, alla Chevron, alla Saint Gobain, infine alla Techint, il gruppo della famiglia Rocca.
Proprio come amministratore delegato della Techint inciampa nell’inchiesta Mani Pulite: il 14 luglio 1992 viene arrestato con l’accusa di aver pagato tangenti per ottenere appalti alla centrale Enel di Brindisi.
Torna in cella, per un giorno, nell’aprile 1993.
Confessa: “Dal 1985 a oggi ho versato al Partito socialista circa 2 miliardi e mezzo di lire, consegnando denaro a volte in contanti e a volte su conti esteri”.
Nel 1996 patteggia la pena: 1 anno e 4 mesi.
Segue un periodo di apparente eclissi, durante il quale però realizza il suo capolavoro: per conto della Techint, in alleanza con la britannica Pilkington, compra la Siv, un’azienda di Stato (gruppo Efim) che produce vetri per auto e che viene privatizzata dopo Tangentopoli.
La porta a casa per soli 210 miliardi di lire: la metà  del valore assegnatole da una perizia di Mediobanca.
Dopo qualche tempo, la Pilkington rileva l’intera Siv e Scaroni si trasferisce a Londra, come chief executive officer dell’azienda.
Di Tangentopoli, dunque, Scaroni è stato due volte protagonista: la prima, come manager che ha comprato appalti pubblici in cambio di mazzette ai partiti, contribuendo così a formare la voragine del debito pubblico che ha portato nel 1992 l’Italia sull’orlo della bancarotta; la seconda, come beneficiario delle privatizzazioni rese necessarie per salvare il Paese dai guasti di Tangentopoli.
Cugino dell’ex ministra socialista Margherita Boniver, amico dei boss craxiani Massimo Pini e Gianni De Michelis, Scaroni ha un rapporto forte soprattutto con Luigi Bisignani, ex giornalista, ex democristiano, ex P2, eterno lobbista, con una condanna a 2 anni e 8 mesi per la tangente Enimont e un patteggiamento a 1 anno e 7 mesi per la cosiddetta P4.
È Bisignani, insieme a Gianni Letta, che propizia il ritorno di Scaroni in Italia, nel 2002, come amministratore delegato dell’Enel: proprio l’azienda pubblica da cui dieci anni prima aveva comprato appalti a suon di tangenti (“Something that in retrospect is somewhat ironic”, si permise di commentare il Financial Times).
Ma c’è di più: come ad il manager è stato condannato nel 2014 a 3 anni per avere inquinato il delta del Po con la centrale di Porto Tolle.
Per capire qualcosa di lui si può leggere un suo libro che a metà  degli anni Ottanta fu un piccolo caso editoriale: Professione manager, editore Mondadori.
In copertina come autore era indicato “Anonimo”, seguito da “a cura di Angelo Maria Perrino”, allora giornalista di Panorama e oggi direttore di affaritaliani.it.
Il gioco era fatto per essere scoperto: l’“Anonimo” era proprio lui, Paolo Scaroni, che insegnava i segreti per avere successo.
Ma di tangenti non parlava.

Gianni Barbacetto
(da “il Fatto Quotidiano”)

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SONO PROPRIO RIDOTTI MALE SE TUTTI CERCANO MARCHINI

Novembre 1st, 2015 Riccardo Fucile

E CICCHITTO PROPONE UNA “GRANDE LISTA CIVICA PER BATTERE I GRILLINI”

Dopo il fallimento della giunta Marino, e quello ancora più eclatante della squadra di Alemanno, un fantasma si aggira per la Capitale: quello di una grossa coalizione con tutti dentro, o meglio: di una lista civica con tutti i principali partiti, dal Pd a Forza Italia, nel nome di Alfio Marchini, benedetto qualche sera da Berlusconi e da sempre in buoni rapporti con il Pd, tanto da essere determinante nel trovare le forme per dimissionare Marino.
Un fantasma che per ora non ha padri nè madri, e anzi a sentire i dem l’ipotesi di un sostegno a Marchini viene definita “improbabile”.
E tuttavia Fabrizio Cicchitto, ex berlusconiano di ferro e ora teorico del partito della Nazione, non ha paura a metterci la faccia e dire che “oggi a Roma parlare di centrodestra o di centrosinistra significa non capire il dramma che purtroppo la politica sta vivendo in questa città  per cui l’unica via d’uscita è una grande lista civica che è tutt’altro che un’arca di Noè ma l’unica alternativa possibile al M5S”.
Un listone civico che mescoli e nasconda i simboli dei vecchi partiti, salvando dal naufragio una parte della nomenklatura, e contrapposto ai grillini nel nome della politica.
Un’ipotesi prematura ma tutt’altro che inverosimile. Tanto che lo stesso Marchini a Repubblica ha raccontato di quei dem che gli hanno già  proposto, riservatamente, una lista “Democratici per Marchini”. Magari alleata con la lista di Forza Italia priva però del nome e del simbolo.
Al Nazareno per ora non si parla di possibili candidature.
Renzi ha in testa solo il lavoro del “dream team” guidato dal prefetto di Milano Paolo Tronca che ha il compito di rimettere in piedi la città  in un paio di mesi.
Una mission assai più difficile dell’Expo, e tuttavia è a quel modello di successo che ormai il Pd attinge a piene mani. Oltre al pressing su Giuseppe Sala come sindaco di Milano, infatti, anche la squadra che dovrà  traghettare Roma ha il timbro del “partito dell’Expo”: non solo Tronca, ma anche per il ruolo di subcommissari ai Trasporti e ai Rifiuti (i due capitoli più sofferenti nella Capitale) il premier guarda al team di Expo: per i trasporti si parla di Marco Rettighieri, general manager costructions per i padiglioni di Rho, e per i rifiuti a Gloria Zavatta, manager per la sostenibilità  di Expo.
“Nomi forti, che ci aiutino a lasciarci alle spalle il disastro il prima possibile”, ha spiegato Renzi ai suoi. Dunque prima si testerà  il lavoro del dream team, e solo tra qualche mese si passerà  alla ricerca del candidato, con una serie di sondaggi che vedranno testato anche Fabrizio Barca, oltre ad alcuni ministri romani tra cui Beatrice Lorenzin, Marianna Madia e Paolo Gentiloni.
Non Matteo Orfini, che ha già  fatto capire di voler restare fuori dalla partita.
Ma l’ipotesi di candidare un politico, almeno per ora, resta sullo sfondo. Troppo forte la bruciatura, troppo alto il rischio di non arrivare neppure al ballottaggio.
Che, ad oggi, sembra assai più probabile tra Marchini e un grillino, con il Pd fuori dai giochi. Sempre che i dem alla fine non decidano di saltare sul carro del costruttore.
Nel caso del listone pro Marchini, resterebbero con tutta è probabilità  fuori la Lega e Fratelli d’Italia, pronti a candidare Giorgia Meloni, la prima a ribellarsi all’ipotesi del costruttore ex rosso.
Salvini, per ora, non si sbilancia: “La Meloni la conosco e la stimo, Marchini non lo conosco e non esprimo giudizi. Dico solo che l’ultima cosa di cui c’è bisogno in Italia, e in particolare a Roma e Milano è litigare”.
Su Marchini la sua per ora è una posizione di attesa. Non ci sono stati incontri e neppure telefonate dirette. Ma di fronte all’ipotesi di un listone civico con dentro il Pd il Carroccio si chiamerebbe certamente fuori.
La sinistra di Sel e dintorni, a sua volta, pare aver definitivamente chiuso l’alleanza col Pd.
Al prossimo giro si ragiona su una candidatura in proprio. Civati ha lanciato il senatore Walter Tocci, che fa ancora parte del Pd. Ma si sta ragionando anche sull’ipotesi di candidare Stefano Fassina, il nome più forte sulla piazza romana, per testare nella sfida clou delle amministrative 2016 la nuova forza politica che nascerà  a gennaio.
E senza alleanza con i dem, è probabile anche un sostegno di Civati.
In casa M5s regna ancora l’incertezza.
Grillo e Casaleggio sono consapevoli di giocarsi la partita della vita, ma ancora oscillano tra la volontà  di rispettare le regole e candidare un militante come i 4 consiglieri comunali uscenti (la favorita è l’unica donna, Virginia Raggi), o allargare le maglie delle prossime “comunarie” in modo da consentire la corsa a personalità  civiche del calibro del giudice Ferdinando Imposimato.
Casaleggio non è rimasto particolarmente colpito dalla performance tv dei 4 moschettieri due settimane fa da Lucia Annunziata a “In Mezz’Ora”.
E tuttavia non intende derogare ai regolamenti che impediscono la corsa di un parlamentare in carica come Di Battista. Lavori in corso.
L’unica certezza è che il “Dibba”, Grillo e anche Di Maio saranno in prima fila nella campagna elettorale con il Campidoglio. In ogni caso.
Convinti di poter conquistare la Capitale sulle rovine dei partiti.

(da “Huffingtonpost”)

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PER IL CAMPIDOGLIO SPUNTA IL NOME DI BARCA

Novembre 1st, 2015 Riccardo Fucile

L’IDEA DEL PD DI COMMISSIONARE UN SONDAGGIO PER TESTARE 20 NOMI

Un sondaggio su venti nomi, anche più di uno. Da commissionare tra dicembre e gennaio «perchè adesso siamo nel momento di massima crisi e non servirebbero a niente», dice Matteo Renzi.
La scommessa, per recuperare Roma e provare a vincere nella primavera del 2016, è dare subito un segno di cambiamento.
Come? Mettendo risorse economiche a disposizione dell’amministrazione e del commissario su tre capitoli chiave di una svolta per il Campidoglio: trasporti pubblici, pulizia, periferie.
Questi sono i punti fissati da Renzi e dal presidente del Pd Matteo Orfini.
«L’identikit perciò lo facciamo a gennaio, dopo aver visto i sondaggi». E dopo aver provato a cambiare il trend nella Capitale.
Tra i venti candidabili il Pd inserirà  personalità  della società  civile, politici, alcuni ministri romani e Fabrizio Barca.
L’ex ministro del governo Monti sembra oggi una figura in grado di tenere unito il Partito democratico, di recuperare il voto a sinistra malgrado lo strappo di Sel ed è stimato dal premier che Barca non ha mai attaccato pur avendo una storia politica completamente diversa.
È anche un possibile concorrente che ha il pregio di far coincidere sul suo nome tutte le correnti Pd e ricompattare il centro sinistra, ovvero può consentire di saltare le primarie perchè, come dice Orfini, «se c’è un solo candidato non si fanno ».
Il premier e il commissario romano hanno ricordato nei loro primi colloqui i precedenti di Sergio Chiamparino e Nicola Zingaretti, vincenti nelle loro regioni senza passare dai gazebo.
Ma sono precedenti che rimandano a esperienze in cui avevano sostituito un centrodestra diviso e travolto dagli scandali. Qui la situazione è opposta.
Oggi le primarie sono ancora in campo. Meglio non offrire nuovi argomenti polemici, non prestare il fianco ad altri attacchi.
Ma l’obiettivo, nella partita più delicata delle amministrative, è proprio quello di evitarle. In questo senso Barca appare il personaggio ideale, la soluzione unitaria per eccellenza.
A oggi, naturalmente. L’ex ministro della Coesione sociale era del resto il vero candidato di Pier Luigi Bersani al comune di Roma.
Un candidato che non sarebbe passato dalla prova dei gazebo. Ma Barca rifiutò malgrado un pressing costante e il Pd di si rifugiò nella competizione interna che promosse Marino. Per Bersani e per la minoranza in genere sarebbe quindi difficile dire di no a Barca.
Certo non bastano queste caratteristiche.
Ieri sono partiti all’attacco Sergio Lo Giudice e Sandra Zampa chiedendo un nuovo congresso romano e il rimescolamento delle carte nel Pd capitolino.
È un segno che questo primo affondo non sia venuto dai bersaniani. Ma non bisogna dimenticare che qualche giorno fu Nico Stumpo, deputato vicino all’ex segretario, a chiedere una verifica sul commissario Orfini, a denunciare l’allungamento del mandato per un anno senza passare da una discussione interna.
Insomma, non andrà  tutto liscio nelle prossime settimane ma il prefetto Franco Tronca godrà  di una prima fase di pace intorno a lui.
La rimonta dem passa ora dagli stanziamenti che aiuteranno Roma.
La prima fiche andrà  sui trasporti: si parla di 150-200 milioni di investimenti sulla manutenzione in primo luogo e sul sistema in generale.
Uno stanziamento ingente che toccherà  a Marco a Rettighieri gestire.
Il Giubileo, con la sua eccezionalità , servirà  a coprire le spese che verranno dirottate anche sulla pulizia delle strade e sulle periferie. A quel punto sarà  più semplice ragionare sul sindaco.
Dal totocandidati si tira fuori Raffaele Cantone. Il presidente dell’anticorruzione sta confermando anche in queste ore ai suoi interlocutori che la sua intenzione è quella di non entrare in politica, con alcun incarico.
Fuori dalle ipotesi è anche Alfio Marchini ma per altri motivi: andrà  a destra e soprattutto il feeling con Renzi è quasi inesistente.

Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)

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INTERVISTA A CACCIARI: “ORFINI INCAPACE, RENZI HA SOSTITUITO LA POLITICA CON TECNICI E AMICI SUOI”

Novembre 1st, 2015 Riccardo Fucile

“EVOCARE EXPO’ NON C’ENTRA NULLA”… “A ROMA VINCERANNO I CINQUESTELLE”

«La cosa comica è che è in atto una sostituzione della politica con tecnici e magistrati proprio per mano di uno che si è presentato dicendo che la politica doveva tornare al comando».
Non usa mezzi termini Massimo Cacciari per criticare l’eccessiva presenza di tecnici in ruoli che dovrebbero essere affidati a politici
Per Roma, Renzi ha puntato sul prefetto Tronca perchè vuole applicare il modello Expo.
«Sì, ma c’è una piccola differenza: Expo era un evento eccezionale ed è dunque normale che venisse gestito da tecnici, mentre Roma è un Comune. Il modello Expo non c’entra nulla. Per il Giubileo c’è già  un commissario, Gabrielli».
Quindi le scelte di Renzi non vanno nella giusta direzione?
«Diceva di voler rimettere la politica al comando. Invece in tutte le situazioni critiche deve ricorrere a tecnici. E a livello amministrativo locale ai vari Fassino, Chiamparino, De Luca e magari anche Bassolino. Vorrei capire chi ha rottamato, oltre a D’Alema»
Non è che l’Italia è obbligata a seguire la strada dei tecnici perchè la politica non è in grado?
«Va be’, se è così allora prendiamone atto. Facciamo delle riforme istituzionali che ne tengano conto: aboliamo il Parlamento. Ma non scherziamo, dai».
Allora che bisogna fare?
«Per rifondare la politica bisognerebbe ripartire da una riorganizzazione della medesima, formare un partito come dio comanda, istituire una formazione della classe politica decente… E non solo attorniarsi di amici e portaborse…».
La nostra classe politica è inadeguata?
«Per lo meno quella che sta attorno al capo del governo. Guardiamo quello che è successo a Roma: il Pd ha fatto ricorso a un politico per risolvere il problema. La prima cosa da mettere in discussione sarebbe l’operato di Orfini. Renzi ha messo lì un suo braccio destro che avrebbe dovuto avere autorevolezza e capacità  per dirimere quel casino e invece guarda che disastri ha lasciato che accadessero. Si è dimostrato totalmente incapace. E allora lo caccino. Lo mettano a fare il capo sezione a Orbetello».
E ora a Roma cosa succederà ?
«Il centrodestra cercherà  di competere con Marchini, ma vinceranno i Cinque Stelle. Il Pd non arriverà  al 10%. Ci sarà  una lista Marino: ormai è quasi costretto, per salvarsi la faccia».
A Marino cosa si può rimproverare?
«Assolutamente nulla. Lui era uno che non sapeva neanche che fosse di casa a Roma, non aveva alcuna esperienza amministrativa. Era soltanto un semplice megalomane: questo era risaputo da tutti, dalla comunità  scientifica, dai suoi stessi colleghi. La responsabilità  non è sua, ma di chi l’ha messo lì, a dimostrazione dell’assoluta mancanza di una politica di formazione della classe dirigente. Avevano Gentiloni e invece si sono inventati Marino: bene, questo è il risultato».
Marino però ha vinto le primarie
«Le primarie, fatte in questo modo totalmente dilettantesco, non servono a niente. Servono solo alla resa dei conti interna al partito. O sono normate con regole rigidissime, con un albo degli elettori, come negli Usa, o sono delle bufale colossali».
Che scenari prevede per il Pd alle Comunali?
«Roma è perduta. Milano la possono salvare solo con Sala».
Che, guarda caso, è un tecnico…
«Certo. Perchè non hanno nessun politico in grado di affrontare emergenze, nè sul piano della giustizia nè sul piano amministrativo. Se vuole salvarsi il sederino, Renzi a Milano dovrà  mettere Sala. Altrimenti rischia la pelle. E se Renzi perde sia a Milano che a Roma, voglio vedere come continua a governare il Paese…».

Marco Bresolin
(da “La Stampa”)

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ALFIO BIFRONTE: “NE’ A DESTRA, NE’ A SINISTRA, SI’ AI VOTI DI BERLUSCONI MA STO CON LA MIA LISTA”

Novembre 1st, 2015 Riccardo Fucile

MARCHINI AMMETTE L’INCONTRO CON IL CAVALIERE: “NON HO MAI VOTATO PCI”…”HO GIA’ IN TESTA LA SQUADRA PER IL CAMPIDOGLIO”

Mette in conto che Roma potrebbe diventare la sua tomba politica ora che Berlusconi lo ha cresimato o forse meglio scresimato: “Piace alle donne e dunque appoggeremo Alfio Marchini ” .
Ma come, il figlio del Pci, l’erede della tradizione ghibellina, a capo dei guelfi?
E Marchini racconta di un bisnonno ghibellino che fu cacciato da Firenze: “A lui dobbiamo il nome Alfio: era un fabbro che amava la cavalleria Rusticana”.
Nell’Italia dove Renzi passa per il figlio politico di Berlusconi, questo figlio della sinistra candidato della destra sarebbe l’ultimo paradosso.
Perciò gli dico che se davvero si presentasse con il Centrodestra non solo non lo voterebbe, come ha già  detto, sua cugina Simona Marchini, ma neppure sua madre, la signora Milly.
E Marchini ride: “Amor omnia vincit”. Poi si fa serio: “Nel 2013 quando mi presentai da solo con il cuore come simbolo, tutti dissero: quel giovane signore capriccioso sarà  spazzato via e il mondo riderà  di lui. Non è andata così e abbiamo sfiorato il 10 per cento”.
Dunque, di una cosa Marchini è sicuro: “Correrò di nuovo con lo stesso simbolo, il cuore, e correrò da solo “.
Berlusconi del resto è stato il primo a dirgli: “Il mio abbraccio potrebbe esserti mortale”. Si sono visti, ma Marchini non è mai andato in via del Plebiscito nè tanto meno ad Arcore: “Se Berlusconi facesse un passo indietro e, come ha detto ieri, desse davvero l’indicazione di votare Marchini, io lo ringrazierei. Ma io non mi sposto di un millimetro, non cambio e non contratto posizioni, non vado in casa di nessuno, non sarò mai ospite nelle liste di destra o di sinistra: hospes e hostis, ospite e nemico, appartengono allo stesso campo semantico”.
Davvero lei pensa che Berlusconi abbia la saggezza di esserci senza starci, la lungimiranza di tenersi a distanza, la generosità  di dare senza prendere?
“E’ quello che mi ha detto e non è certo uno stupido. Perchè non dovrei credergli? “.
E se fosse astuzia?
“Si rivelerebbe con le gambe corte, come tutte le bugie”.
Con Renzi, invece, non si sono visti. “Se potessi dargli un consiglio non richiesto lo inviterei a riunire, almeno una volta al mese, tutti gli ex presidenti del Consiglio e gli ex capi dello Stato. Sono loro i veri senatori”.
Anche a sinistra, dove tutto dovrebbe essergli più facile, Marchini sa riconoscere gli abbracci insidiosi.
E infatti mi racconta che ci sono molte personalità  che pensano a una lista “Democratici per Marchini”.
Per la prima volta dunque la minaccia a Renzi non verrebbe dalla sinistra ideologica e neppure dal populismo di piazza, ma dalla tradizione più rossa e allo stesso tempo dalla borghesia più rassicurante: “Siamo riusciti a liberare Roma da Marino perchè era inadeguato. Il Pd, che insieme a noi lo ha cacciato, dopo due anni è venuto sulle mie posizioni. Non c’è però alcun dubbio che la sconfitta di Marino è una sconfitta del Pd”.
Marchini di sè dice: “Sono un innovatore e sono un conservatore “.
Pensa davvero che Roma, “l’emergenza della nostra amatissima Roma”, non abbia bisogno dei soliti indipendenti di sinistra o di destra, dei furbi neutrali di una volta “ma di coraggiosi che si sospendano dai luoghi mentali noti, come sono appunto la destra e la sinistra, e si appendano in quelli ignoti, e non per ignavia ma per formare, sul campo della capitale occidentale più bella e degradata del mondo, i nuovi codici della politica”.
Mancano ancora otto mesi alle elezioni “e otto mesi in politica sono un’eternità “, ma Marchini sta già  preparando la squadra : “Ci saranno personalità  di alto livello, sarà  una specie di manifesto per Roma. Sono convinto che l’ottanta per cento dei romani capisce che coprire le buche o pulire le strade non è nè di destra nè di sinistra”.
Gli faccio notare che, senza nomi, la trasversalità  delle liste è solo una slogan, campagna elettorale: “Lo capisco, ma io ci credo davvero e so tacere quando devo tacere “.
Di fronte al lago Trasimeno, dove si rifugia tra cani e cavalli, Marchini mi racconta di questa sua strana stirpe, del nonno comunista, quello che costruì Botteghe Oscure, “ma non mi convinse mai a votare Pci. Votavo repubblicano”.
Tutti sanno che nonno Alfio e lo zio Alvaro, che fu a lungo presidente della Roma, erano soprannominati “Calce e martello” oppure “Rosso San Pietro”, a riprova che a Roma perfidia e grandezza sono da sempre la stessa cosa o, se preferite, che non esiste l’univocità  e non bastano le chiavi etiche per acchiappare la storia.
In fondo, questo nuovo Alfio, trasversale tra le macerie della destra e quelle della sinistra, si ricongiunge davvero alla Roma dei ponti, quella che dal Vaticano portava a Botteghe Oscure, un ponte pubblico e tuttavia segreto.
Alfio Marchini va a messa ogni mattina e in Argentina ha conosciuto bene questo Papa, anche se non riesco a strappargli nulla sull’argomento, neppure quando gli dico che lo hanno visto entrare nella Domus Santa Marta …
E’ stato amico di Cuccia, di Shimon Peres, di don Giussani “che una volta mi portò a braccetto dentro l’arena del Meeting di Rimini e, io che pure avevo litigato con i ciellini romani, mi presi tutti quegli applausi “.
Con D’Alema e Veltroni è ancora amico. Marchini ha spesso mediato tra i due: “Una volta che non si parlavano, organizzai un incontro a casa mia, e fu una bellissima notte d’amicizia “.
Un giorno nonno Alfio lo nominò capofamiglia e lo mandò in cantiere: “Studiavo e lavoravo “. Poi arrivò la stagione dei sequestri: “Rapirono un mio zio”. E allora cominciarono a spostarsi, a disinvestire dall’Italia: Londra, l’Argentina …:
“Io non sono mai stato mondano, mi piace la solitudine, al rosso fuoco dell’Inferno o al giallo del Paradiso preferisco il pastello, le sfumature tenui la cui forza sta nella durata, amo la sobrietà  e la discrezione. Eppure mi chiamano il bel Ridge, dicono che sono bello per dire che sono stupido”.
Anche la lieve balbuzie che in lui viene liquidata come l’imperfezione che turba, una variante dello strabismo di Venere, è in realtà  pensiero affollato.
Infatti Marchini balbetta di più in privato, quando perde il controllo.
“Mio nonno mi diceva: Non sottovalutare mai nessuno e sii contento quando ti sottovalutano”.
C’è la foto che lo ritrae mentre gioca a Polo e quella con la regina Elisabetta che lo premia. E però nel retroscena della sua vita non c’è la futilità  e neppure il libertinaggio che sospetta Berlusconi.
C’è invece una ferita che si può infettare ma mai si rimarginerà  : “Era una serata come oggi, stessa ora, più o meno …”. Marchini era in macchina e squillò il telefono. Gli dissero di accostare. Gli passarono la madre … “e fu un dolore talmente grande da non riuscire neanche a disperarsi “.
Alessandro, il padre, aveva scelto di andarsene dal mondo: era delicato, aveva una sensibilità  acuta e soffriva di diabete. “Mio nonno una volta mi disse: sei sopravvissuto a ogni cosa, anche a me, sopravviveresti a tutto. Non era vero”.
Marchini ha cinque figli. Il più grande si chiama Alessandro, come quel fragile nonno. Capitò che, mentre andava in motorino, fu travolto da un’auto e rimase in coma per sette giorni.
“Mi rivolsi a Dio e gli dissi di perdonarmi, ma che non ce l’avrei fatta a sopravvivere a mio figlio”.
Il settimo giorno il ragazzo si svegliò “e io mi risvegliai con lui: decisi di tornare in Italia e di mettermi in gioco”.
Oggi i sondaggi gli attribuiscono il 25 per cento, in competizione con il grillino Di Battista e con Giorgia Meloni. Marchini è una specie di Giano di Roma, quello che dà  nome al Gianicolo, il colle dell’epopea risorgimentale, e ha due facce: una per sbrogliare gli ultimi nodi del Novecento, l’altra per imbrogliarne gli ultimi sfilacci.

Francesco Merlo
(da “la Repubblica“)

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ROMA-MILANO (E RITORNO)

Novembre 1st, 2015 Riccardo Fucile

IL BLUFF DEL “MODELLO MILANO” PER RISANARE LA CAPITALE

Che sarà  mai questo mirabolante “modello Milano” che, giubilato Marino in tempo per il Giubileo, il nostro premier ha in mente per salvare Roma dal baratro in cui l’ha cacciata il suo stesso partito?
Tre ipotesi si rincorrono.
1) “Modello Milano”significa prendere il prefetto meneghino Francesco Paolo Tronca e farlo commissario del Comune di Roma per “dare inizio al Dream Team” (Matteo Renzi dixit), “così il Giubileo andrà  bene come l’Expo” (Angelino Alfano).
Ora, il Tronca è talmente milanese da esser nato a Palermo, però gli son bastati gli ultimi due anni da prefetto all’ombra della Madonnina per diventare un bauscia modello. Quattro anni fa l’Unità , non ancora house organ renziano, raccontò che Tronca, non ancora prefetto ma solo capo del Dipartimento Vigili del Fuoco (nominato dal ministro leghista Bobo Maroni), usò un’auto e un autista destinati al soccorso antincendi per far scarrozzare allo stadio Olimpico suo figlio e un amichetto per la partita Roma-Inter di Coppa Italia.
Fra un taglio di bilancio e l’altro, le rappresentanze sindacali dei pompieri denunciarono il caso e aggiunsero — sempre secondo l’Unità  — che “al prefetto Tronca sarebbero stati assegnati ben due attici, in via Piacenza, a due passi dal Quirinale: alloggi di servizio che non gli spetterebbero”, e addirittura alcune “auto nuove nuove dei Vigili del Fuoco di Cortina d’Ampezzo”.
Allora Tronca era considerato vicinissimo alla Lega e figurarsi la gioia di Maroni, nel frattempo asceso dal ministero dell’Interno al Pirellone, quando due anni dopo se lo ritrovò prefetto di Milano.
Ora però Tronca è stato scelto personalmente da Renzi, quindi non è più leghista, ma alfiere del“modello Milano”: a patto che l’Unità  non ripeschi dall’archivio quella notiziola sul suo malvezzo — più romano che milanese — di far scarrozzare il figlio in auto blu.
C’è chi, come l’ex portavoce di Fini Salvo Sottile, per un caso analogo s’è beccato una condanna per peculato.
Sarebbe seccante ricordarlo proprio ora che Troncava al posto di un sindaco indagato per peculato. Il modello Milano andrebbe subito a farsi fottere.
2) “Modello Milano” significa trapiantare le virtù della “capitale morale d’Italia” — l’ha detto Raffaele Cantone, quindi sarà  vero senz’altro — nel corpaccione vizioso della capitale politica, perchè la prima“ha gli anticorpi”e l’altra no (Isernia e Caltanissetta, per dire, ancora non si sa, ma il commissario anticorruzione ci farà  tosto sapere).
Fermi restando i noti vizi e stravizi della Roma che conta, resta da capire quali siano esattamente le virtù di Milano che conta.
Lì, finchè non fu aperta Expo e la Procura schiacciò il tasto “pausa” per carità  di patria ad arresti e avvisi di garanzia, era tutto un susseguirsi di retate perchè i virtuosissimi politici e amministratori di destra e di sinistra non erano riusciti a completare i lavori della kermesse (40% di opere mai fatte), ma in compenso le mazzette viaggiavano con puntualità  svizzera.
E, a occuparsene, non erano nuove leve del malaffare, insospettabili e irriconoscibili a occhio nudo: erano le stesse di Tangentopoli, solo invecchiate di vent’anni.
Greganti, Frigerio, Grillo (Luigi), Maltauro.
Eppure nè il commissario Occhio Di Lince Sala, nè i suoi sponsor al Comune e alla Regione, s’erano accorti di nulla.
Siccome poi la Regione Lombardia era stata sciolta anzitempo nel 2013 per gli scandali Formigoni, Minetti, Trota, Boni, Penati e note spese, col contorno di qualche ‘ndranghetista (milanesissimo, dunque provvisto di robusti“anticorpi”), anche i nuovi inquilini del Pirellone si son dati da fare: il 1° dicembre il governatore Bobo Maroni andrà  a processo per turbativa d’asta ed è indagato per i suoi favori a due amichette sue; il suo vice Mario Mantovani, forzista, soggiorna attualmente a San Vittore per corruzione. Completano il quadro, sempre a proposito di “modello Milano” e “anticorpi”, i comuni dell’hinterland infiltrati dalle mafie, come Buccinasco, Desio e Sedriano.
Degna, anzi sacra corona per la Capitale Morale.
3) “Modello Milano”vuol dire che Roma, per il Giubileo,deve prendere esempio da Expo. Il tempo è poco, ma ce la si può ancora fare.
Funziona così. Si favoleggia dell’arrivo di 24-30 milioni di visitatori da tutto il mondo, poi ne arrivano solo 18 (record storico negativo dal 1962, pari al dato di Expo Hannover 2000, detto anche “il flop del millennio”), ma si arrotonda a 21 e lo si spaccia per un trionfo.
Si buttano dalla finestra 2,4 miliardi di denaro pubblico (1,3 per la costruzione, 960 milioni per la gestione e 160 per l’acquisto dei terreni da privati, decuplicando il prezzo di mercato), poi si dice che i costi saranno coperti dalla vendita dei biglietti a 22 euro di media, poi la media ufficiale scende a 19 euro e quella reale a molto meno (centinaia di migliaia di ticket regalati o svenduti a 5 euro), con un bel buco finale di 1 miliardo a carico nostro, ma nessuno ci fa caso.
Si scopre poi che i terreni sono altamente inquinati, dunque vanno bonificati, per un costo preventivato di 5 milioni a carico dei proprietari, che però non vogliono pagare e intanto il conto sale a 72 milioni, e indovinate chi li paga.
Si shakera il tutto con copiosi investimenti pubblicitari su giornali e tv, che in cambio suonano trombe e trombette.
Infine si proclama eroe nazionale l’artefice del capolavoro, con monumento equestre incorporato, e lo si candida a sindaco.
Ora, per carità , va bene tutto: ma abbiamo come il sospetto che di magliari e leccaculi Roma ne abbia a sufficienza, senza bisogno di importarli da Milano.

Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)

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AUTO E AUTISTA DEI VIGILI DEL FUOCO PER PORTARE IL FIGLIO ALLO STADIO

Novembre 1st, 2015 Riccardo Fucile

QUANDO L’UNITA’ DENUNCIO LA VICENDA DEL NUOVO COMMISSARIO DI ROMA, ALLORA AL COMANDO DEI VIGILI DEL FUOCO

La storia è questa: nel maggio 2011 il giornale legato al Pd (e poi, ufficialmente, il partito in Parlamento) denunciò che Tronca, allora prefetto e capo del dipartimento dei vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile, per un uso improprio di risorse pubbliche.
Il quotidiano (era un’altra stagione, lo dirigeva Concita De Gregorio) raccontò un’inchiesta interna dei sindacati dei vigili del fuoco: l’11 maggio del 2011 un autista e un mezzo dei vigili del fuoco vennero «distolti dal servizio» per essere utilizzati come noleggio con conducente, ma gratuito, per portare «il figlio del dottor Francesco Paolo Tronca e un’altra persona» a un incontro di calcio (Roma-Inter di Coppa Italia).
I sindacati denunciarono anche, e il giornale lo riportò, che «al prefetto Tronca sarebbero stati assegnati due attici, in via Piacenza, a due passi dal Quirinale. Alloggi di servizio che non gli spetterebbero».
In quella stagione un’Unità  molto libera ricevette tante querele – finora tutte perse dai querelanti, e spessissimo temerarie.
Chiamiamo Jolanda Bufalini, l’autrice dell’articolo: non solo non arrivò nessuna querela, ma neanche una smentita.
Arrivò invece un’interrogazione parlamentare del Pd – allora guidato da Pierluigi Bersani. La firmò il senatore Mario Gasbarri: «È noto che i vigili operano quotidianamente in tutto il territorio per garantire il soccorso ai cittadini, nonostante la scarsità  di fondi, organico e risorse (…). Per questo occorre sapere se il ministro dell’Interno sia a conoscenza delle notizie riportate affinchè ci informi se corrispondono a verità . Se così fosse, l’onorevole Maroni deve assolutamente chiarire quali siano i provvedimenti che intende adottare nei confronti di quei dirigenti pubblici che hanno distolto per motivi personali uomini e mezzi che avrebbero invece dovuto essere impiegati in operazioni di soccorso e quelli che con il proprio operato hanno permesso che ciò avvenisse».
Maroni (tra parentesi, era stato lui a nominare Tronca) non rispose.
Del resto, le campagne anticasta erano di là  da venire, la storia non ebbe conseguenze penali, e da allora la carriera del prefetto non ha fatto altro che continuare a salire.

Jacapo Iacoboni
(da “La Stampa”)

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AUTO BLU, ATTICI E VOLI: IL NUOVO COMMISSARIO PER ROMA

Novembre 1st, 2015 Riccardo Fucile

I PECCATI PASSATI DEL PREFETTO TRONCA, NEO COMMISSARIO DELLA CAPITALE

“Non so se vedrò Ignazio Marino. La prima cosa che farò quando arriverò a Roma sarà  incontrare il prefetto Gabrielli. Io terrò una linea di rapporti estremamente istituzionali”.
Francesco Paolo Tronca dice addio alla poltrona di prefetto di Milano chiudendo l’Expo e inaugura la sua esperienza di commissario del Comune di Roma.
Lo fa con una frase che potrebbe essere estremamente istituzionale. O fortemente politica. Comunque pare l’ennesimo schiaffo a Marino.
Di sicuro è un passaggio delicato per i rapporti Milano-Roma.
Prima ci aveva pensato Raffaele Cantone: “Milano si è riappropriata del ruolo di Capitale morale d’Italia”.
E Roma? “Non sta dimostrando di avere gli anticorpi morali di cui ha bisogno”.
Poi era toccato al ministro Maria Elena Boschi:“ Per il Giubileo vogliamo il modello Expo”. Infine, ecco che a guidare il Campidoglio arriva il prefetto di Milano.
Una sfilza di colpi all’autostima dei romani. La Capitale messa sotto tutela dalla Lombardia.
Il volto che rappresenta la svolta è quello di Tronca, 63 anni.
Un palermitano venuto dal freddo, perchè la sua carriera si è svolta al Nord. Nelle roccaforti della Lega.
Ma chi è davvero Tronca? Se chiedi a chi l’ha incrociato raccogli opinioni diverse. A volte opposte.
C’è chi ti descrive un alto funzionario che ha dedicato tutta la sua vita professionale allo Stato.
Altri dipingono un prefetto che ha saputo piacere alla politica (dalla Lega ad Angelino Alfano per arrivare a Matteo Renzi). Ancora: per alcuni è l’uomo che in nome della sobrietà  ha abolito i rinfreschi in Prefettura a Milano.
Altri rispolverano le polemiche di quando Tronca era alla guida dei Vigili del Fuoco: quel giorno che suo figlio andò a vedere la partita all’Olimpico con un’auto di servizio.
L’attico dello Stato dove l’allora capo dei Vigili del Fuoco sarebbe vissuto, la casa del Corpo a Cortina dove sarebbe andato in vacanza.
Fino all’aereo P180 dei pompieri che, secondo i sindacati, avrebbe usato senza eccessivi risparmi.
Il curriculum ufficiale di Tronca ricorda il servizio militare nella Finanza, poi l’ingresso in polizia.
Prefetto dal 2003, nel 2008 diventa numero uno dei Vigili del Fuoco.
Il suo nome compare raramente nelle cronache. Fino all’agosto 2013 quando diventa prefetto di Milano.
“In due anni ha cambiato la faccia della Prefettura”, dicono i sostenitori.
Certo, non era difficile cambiare stile rispetto al predecessore, Gian Valerio Lombardi, che riceveva in Prefettura l’olgettina Marysthell Garcia Polanco. Con tanto di posteggio garantito.
Tronca proprio no.Tra cronaca e forse una spruzzatina di “mito”lo si descrive che esplora a piedi i quartieri più sfigati di Milano.
E i rapporti con la politica? Di sicuro ha molti estimatori. A cominciare dalla Lega di Roberto Maroni, ai tempi ministro dei governi Berlusconi.
Secondo i critici, Tronca avrebbe dato pronta attuazione alla circolare del ministro Alfano, cancellando le nozze gay volute da Giuliano Pisapia.
“Una mossa per conquistare l’appoggio del Vaticano”, sostengono i maligni.
Ma chi lavora con Tronca racconta un’altra storia: il prefetto subì quella circolare, tentò di mediare. Scrisse più volte al sindaco.
Poi c’è l’Expo. Per l’iconografia renziana un successo.
Quindi Tronca ha un posto nell’Olimpo. Di sicuro è lui che ha assunto 70 provvedimenti interdittivi antimafia nei confronti di imprese sospette. Lui che ha precettato vigili e dipendenti della società  di trasporti che volevano scioperare durante l’Expo.
“Un volto non certo da Rambo, ma un tipo tosto”, giurano i collaboratori.

Ferruccio Sansa
(da “il Fatto Quotidiano”)

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