Novembre 11th, 2015 Riccardo Fucile SICURI CHE AMBIENTI FORZISTI E MARONI NON LO SPINGANO VERSO IL BARATRO? … UNA SCONFITTA PROPRIO A MILANO CONTRO SALA PER SALVINI SAREBBE LA FINE
Gliel’aveva detto mesi fa e gliel’ha ripetuto domenica dopo la manifestazione di Bologna: «Devi
candidarti a sindaco di Milano, Matteo».
«Giovanni, ma come posso fare insieme tre cose…», ha risposto Salvini.
C’è un motivo però se il leader della Lega non ha potuto respingere con nettezza l’ennesima sollecitazione del forzista Toti: sta nella consapevolezza che l’argomentazione usata dall’alleato è fondata, «perchè – come spiega il governatore della Liguria – se è vero che l’obiettivo di Salvini è costruire un nuovo modello di coalizione, allora è opportuno investire le migliori energie nel progetto».
È una sorta di regola politica, «una forma di determinismo» come la definisce l’ex ministro La Russa, che – al pari di Toti – caldeggia la candidatura del segretario del Carroccio e in questo senso rilancia l’idea di un ticket alle Comunali: «Se c’è Salvini a Milano, allora c’è la Meloni a Roma».
Il capo della Lega e la leader di Fratelli d’Italia potranno anche scorgere rischi (e trappole) dietro questo disegno, ma non potranno evitare di fare i conti con l’offerta che di sicuro verrà formalizzata, e che è conseguenza della loro azione politica.
In fondo Salvini, quando domenica dal palco ha attaccato Alfano, ha inteso anzitutto spezzare il disegno di Maroni, quel «modello Lombardia» (con Ncd nell’alleanza) che il governatore leghista voleva in prospettiva proiettare (da regista) a livello nazionale, partendo dalla candidatura a Milano dell’ex ministro Lupi.
Al segretario del Carroccio, che si è intestato la «rottamazione» dei vecchi equilibri, viene a questo punto chiesto di portare a compimento la missione. E insieme alla Meloni di essere i protagonisti dello start-up alle Amministrative.
Salvini e Meloni, che certo potrebbero anche respingere l’offerta, dovrebbero però poi fronteggiare la mossa successiva: perchè un loro «no» alla candidatura aprirebbe la strada a Milano come a Roma a una soluzione civica, quel modello che non piace a Salvini ed è osteggiato dalla Meloni: «Sono contro la retorica della società civile».
È in questo puzzle da comporre che Berlusconi può tentare di recuperare nell’alleanza un ruolo da protagonista.
Sarà una lunga partita di poker, che forse finirà dopo le feste di Natale.
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 11th, 2015 Riccardo Fucile IN OTTO ANNI SONO CAMBIATI 4 ESPERTI MA ALLA FINE LA POLITICA SI E’ SEMPRE MESSA DI TRAVERSO PERCHE’ I TAGLI COSTRINGONO AD AUMENTARE LE TASSE
Arriva sempre un momento in cui anche il più esperto degli esperti finisce su un binario morto e alla fine lascia. Oppure viene congedato.
E’ così negli ultimi 8 anni abbiamo cambiato ben 4 commissari alla spending review. «In questa fase non mi sento molto utile», ha spiegato l’altra sera Roberto Perotti, prof della Bocconi, entrato appena nemmeno sei mesi fa nello staff di Palazzo Chigi ed ultimo in ordine di tempo a gettare la spugna. Il suo «coming out» in tv è servito a mettere la parola fine ad un tira e molla che durava ormai da settimane
La ricetta «inglese» di Tps
Il termine inglese «spending review», ovvero «revisione della spesa» introdotto nel gergo politico italiano nel 2006 da Tommaso Padoa Schioppa, all’epoca ministro del Tesoro nel governo Prodi, significa analisi delle spese e del funzionamento dei vari apparati allo scopo di migliorare la performance della macchina pubblica con la possibilità , anche, si risparmiare qualcosa. Da noi, invece, è sempre stata interpretata in maniera più brutale: tagli.
I 100 miliardi di Giarda
Il primo tentativo di mettere ordine ai conti risale al 2012 quando il governo Monti, che in fatto di tagli veri mica scherzava (basti pensare cosa è successo alle pensioni), affida ufficialmente il dossier a Piero Giarda.
Grande esperto di spesa pubblica, l’allora ministro per i Rapporti col Parlamento, individua circa 100 miliardi di «spesa aggredibile nel breve periodo» e ipotizza da subito circa 5 miliardi di risparmi. Non si fa in tempo a mettere in pratica il piano che Monti lo sostituisce con Bondi
Bondi mani di forbice
«Monti aveva bisogno di qualcosa di più concreto da presentare a Bruxelles», raccontano le cronache di quei giorni. E così arriva l’ex commissario Parmalat, il tagliatore forse più famoso d’Italia.
Al suoi fianco altri due pezzi da novanta: Giuliano Amato, al quale viene affidato il compito di analizzare i costi della politica, e Francesco Giavazzi, che invece deve cercare di sfrondare i sussidi alle imprese, impresa che si rileva impossibile.
Bondi passa ai raggi «X » ministero per ministero, regione per regione, comune per comune, analizza spese e sprechi, e scodella un piano da 4,2 miliardi di risparmi immediati destinati a salire a 10 l’anno seguente.
A inizio 2013 però anche Bondi lascia: Monti, che si fidava ciecamente di lui, gli aveva infatti affidato anche il compito di selezionare i profili dei candidati del suo nascente partito e i due incarichi erano diventati oggettivamente incompatibili.
Dopo un breve interregno affidato al Ragionerie generale Canzio, ad aprile si insedia il governo Letta che vuol prendere il toro per le corna e per questo richiama da Washington Carlo Cottarelli.
L’uomo del Fondo
Il supertecnico del Fondo monetario, incarico triennale a 250 mila euro l’anno (ovviamente subito oggetto di polemiche), si insedia a ottobre e a inizio 2014 scodella un piano monstre: subito 7 miliardi di risparmi, quindi 18,1 nel 2015 (poi ridotti a 16) e addirittura 33,9 (quindi scesi a 32) nel 2016.
Cottarelli vuol chiudere 2 mila partecipate, accorpare i centri di spesa, tagliare sanità , pensioni, province, corpi di polizia, fondi per le imprese e auto blu.
Con Renzi strada in salita
Dopo Letta arriva Renzi ed il lavoro di Cottarelli, appena abbozzato nei mesi precedenti, potrebbe finalmente decollare e invece si affloscia. Palazzo Chigi, che nel frattempo ha preso più potere rispetto al Tesoro, per prima cosa cassa i progetti sulle pensioni e stoppa il taglio di 85 mila dipendenti pubblici.
E i risparmi? Si continua con la vecchia prassi dei tagli lineari (o semilineari) introdotti da Tremonti. Ma da 16 ci si deve fermare a quota 8,5 miliardi. Naturale che anche Cottarelli getti la spugna mentre dallo staff del premier lo accompagna l’accusa di «scarsa collaborazione».
L’ultima staffetta
Da allora è passato un anno e siamo da capo. Adesso lascia anche Perotti, subentrato lo scorso marzo nell’ingrato compito in tandem con Yoram Gutgeld, uno degli strateghi della prima ora della Renzonomics.
Perotti spinge per intervenire innanzitutto sulla montagna di spese fiscali (detrazioni, sconti e bonus vari) ma Renzi lo ferma perchè non vuole aumentare in alcun modo le tasse.
E così la spending review 2016 che puntava a al solito obiettivo ambizioso (16 miliardi) frana: prima scende a quota 10 e poi va addirittura sotto i 5.
Per far quadrare i conti Renzi preferisce l’aumento del deficit. Profetico un tweet dell’economista Riccardo Puglisi del 19 agosto: «Ma Perotti – commissario alla spending review – mangerà il panettone?».
Gutgeld resta, il Prof invece torna alla Bocconi e laconico spiega: «La spending review non è una priorità del governo».
O forse, suggerisce qualcuno, questa non è la stagione adatta per vedere all’opera dei liberisti veri come lui e Cottarelli.
Paolo Baroni
(da “La Stampa”)
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Novembre 11th, 2015 Riccardo Fucile SCOPERTI 62.000 EURO VERSATI TRA LUGLIO 2013 E LUGLIO 2014… L’EX ASSESSORE PD CHE SI BATTEVA PER NON FAR RIMUOVERE I DIRIGENTI VICINO ALLA DESTRA
Un totale di 62mila euro, divisi in otto bonifici, sono stati versati sui conti personali di Gianni
Alemamno tra il 16 luglio 2013 e il 23 luglio 2014 dalla sua Fondazione nuova Italia.
I pagamenti, sotto la voce «saldo fattura», sono stati rintracciati dalla Finanza. L’inchiesta della Dda aveva già accertato che tra gennaio 2012 e settembre 2014, le coop di Buzzi hanno versato contributi elettorali, registrati, alla Fondazione per un totale di 265 mila euro.
Sul conto corrente intestato alla Fondazione avevano la delega ad operare i soli Alemanno e Franco Panzironi, l’ex ad di Ama oggi a processo.
Sull’ex sindaco pende invece una richiesta di giudizio per corruzione.
Alemanno ha aperto una partita Iva il 28 giugno 2013, qualche settimana dopo esser stato sconfitto alle elezioni per il Campidoglio e – scrivono i finanzieri, «le causali dei bonifici appaiono verosimili». Ma nel mondo politicamente daltonico di Mafia capitale, sponsorizzati e sponsor militavano spesso su fronti opposti.
Così l’ex sindaco Gianni Alemanno avrebbe fatto pressione sui suoi manager affinchè, nei pagamenti, privilegiassero le coop di Salvatore Buzzi, centrosinistra con tessera Pd.
«Nel periodo in cui non era più amministratore delegato Ama – ha raccontato ai pm Cascini, Ielo, Tescaroli, l’ex dg Giovanna Anelli, indagata per corruzione – Panzironi interveniva nei miei confronti, forte dei legami che si erano creati e del suo ruolo di consigliere del sindaco, per sollecitarmi dei pagamenti anche nei confronti della 29 giugno di Buzzi».
Non solo Panzironi, tuttavia. «Analoghe richieste – mette a verbale la Anelli – mi sono pervenute direttamente da Alemanno, un paio di volte per telefono».
I bonifici alle coop buzziane erano proprio un’ossessione a destra.
Racconta ai pm Cascini, Ielo e Tescaroli, il ragioniere del Campidoglio Maurizio Salvi: «Gramazio veniva nella sua qualità di coordinatore della maggioranza comunale e evidenziava delle criticità , cui chiedeva di porre rimedio».
Anche Alemanno e il suo capo segreteria Antonio Lucarelli premevano per bonificare alle coop e a Eur spa: «Venivano da me -dice Salvi – perchè comprendessi dove erano eventuali intoppi, anche a livello di dipartimenti, perchè fossero rimossi. Io avevo una visione più generale. La disponibilità di cassa non era sempre sufficiente a far fronte alle spese e gli impegni del comune verso Eur spa erano legati non solo ad investimenti ma anche a canoni di locazione e relativi accessori. I pagamenti non erano sempre puntuali e Alemanno interveniva su questo».
Lanciate in aria da un consigliere politico, bandiere e ideali, atterravano tra le braccia del suo opposto.
In una riunione di giunta del 2014 Daniele Ozzimo (pd) sembra cavalcare a briglia sciolta la guerra liberal contro l’assenteismo dei dipendenti pubblici.
Per contenere lo spoil system di Ignazio Marino e forse anche l’eventuale danno al circuito delle coop, Ozzimo si dice contrario «alla rimozione dei dirigenti apicali (alemanniani, ndr)».
E invece si dice favorevole «al controllo sulla qualità dell’operato dei lavoratori, eventualmente anche in remoto e sul contrasto all’assenteismo».
Ilaria Sacchettoni
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 11th, 2015 Riccardo Fucile NESSUN CASO ROMA-BIS, A DIMOSTRAZIONE CHE MARINO DAVA FASTIDIO PER ALTRE RAGIONI, MENTRE DE LUCA HA LE COPERTURE GIUSTE
“Ma quale metodo Marino?”. Nella cerchia strettissima del premier Matteo Renzi rispondono anche sdegnati rispetto agli accostamenti dell’opposizione tra il caso del governatore campano Vincenzo De Luca, indagato per corruzione, e il caso dell’ex sindaco di Roma Ignazio Marino, indagato per l’inchiesta sugli scontrini e sfrattato dal Pd a suon di “non governa bene la città ”.
La risposta non cambia se l’accostamento lo osa un Dem come Stefano Esposito: “Su De Luca dobbiamo usare lo stesso metro di valutazione di Roma”, dice all’Huffpost. Nel pomeriggio, il presidente del Consiglio parte per Malta, per partecipare al vertice europeo sull’immigrazione. Ma prima di partire, lascia le consegne ai suoi: De Luca per ora resta in sella a Palazzo Santa Lucia.
Nervosismo e preoccupazione per questa nuova bomba mediatico-giudiziaria scoppiata nel Pd non giustificano, per ora, nessun anatema di Palazzo Chigi contro il governatore. Renzi per ora è con lui, malgrado questa vicenda non gli piaccia per niente.
Il capo del governo vuole ancora vederci chiaro. Aspetta le altre notizie che verranno fuori dall’inchiesta giudiziaria. Ma per ora ha in mano le dichiarazioni di De Luca, che si dichiara “parte lesa” di tutta la vicenda.
E poi Renzi basa il suo giudizio sul fatto che i pm stessi scrivono che De Luca è stato minacciato di “sentenza sfavorevole” da parte del tribunale civile di Napoli qualora non avesse assegnato una nomina importante nella sanità campana a Guglielmo Manna, marito della giudice Anna Scognamiglio, relatrice della sentenza che quest’estate ha accolto il suo ricorso contro la legge Severino permettendogli di rimanere in carica.
Per ora dunque il premier non muove alcun passo contro il governatore. Pur preoccupato per una vicenda che getta altro fango sul Pd, soprattutto in vista delle amministrative di Napoli la primavera prossima.
Di preoccupazione infatti parla anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando, ex commissario del Pd in Campania, uno che quel territorio lo conosce bene, pur essendo ligure.
“Sono preoccupato — dice il Guardasigilli — perchè per quello che si capisce si tratta di una vicenda non particolarmente esaltante, ma sarei cauto nel trarre delle conclusioni perchè siamo ai primi indizi”.
Renzi parte per Malta con un bagaglio di rammarico: quella di De Luca è l’ennesima vicenda che gli consegna la fragilità del Pd nei territori.
Ma qui “piove sul bagnato”, dicono i suoi. Nel senso che lo stato comatoso del Pd in Campania, come in altri territori, è ultra noto, fonte di preoccupazione per il voto nelle grandi città dell’anno prossimo.
Nel Pd renziano c’è imbarazzo e un strano clima di disarmo.
La posizione di Stefano Esposito, che dichiara all’Huffpost “su De Luca dobbiamo applicare lo stesso metro di valutazione usato su Roma”, resta isolata. Perchè De Luca non è Marino.
E poi anche perchè la vicenda romana, pur vinta da Renzi, ha seminato un pesantissimo strascico di macerie sul Pd, tanto che ora è difficile risollevarsi per affrontare il voto delle amministrative, si riflette a taccuini chiusi nei capannelli renziani in Transatlantico.
Il punto è che i taccuini restano chiusi in tutti i sensi: anche per difendere De Luca. Pubblicamente nessuno ci mette la faccia. Nemmeno Renzi.
Come fa sempre ogni volta che spunta una difficoltà sulla quale vuole prendere tempo prima di esporsi, Renzi si immerge nei dossier di governo.
Che in effetti gli danno un bel dafare. Prima di partire per Malta diffonde la sua enews, ridiventato ormai un appuntamento comunicativo settimanale. Non una parola su De Luca, caso che di cui da ieri sera parlano tutti i tg, talk show e siti internet. Renzi parla di immigrazione: “Oggi parto per Malta dove in serata e domattina sarà molto interessante il lavoro dei leader africani e europei. Si tratta di un appuntamento importante. È inutile dire ‘aiutiamoli a casa loro’, se poi non aumentiamo i fondi per la cooperazione, non investiamo di più in Africa e non creiamo rapporti istituzionali e diplomatici più forti. È quello che stiamo provando a fare. E pensiamo che questo sia l’unico modo per dare all’Europa un’anima. Non è solo un parametro, l’Europa”.
C’è da scommettere che il caso De Luca sarà ancora qui ad aspettarlo, al suo ritorno in Italia domani.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 11th, 2015 Riccardo Fucile IPOTESI AZZERAMENTO DEI VERTICI REGIONALI
Metà pomeriggio. Capannello di campani in Transatlantico a Montecitorio: “Se continuiamo così,
Napoli è la cronaca di una sconfitta annunciata. Dobbiamo fare qualcosa”.
Imbarazzo. Paura. In pochi se la sentono di commentare. In Campania è già terremoto. L’ipotesi di un azzeramento dei vertici del partito è sul tavolo.
Deciderà Matteo Renzi al ritorno da Malta, con più elementi di valutazione sull’inchiesta. Ma a questo punto, il problema non è rinviabile più di tanto: va separato il partito da Vincenzo De Luca.
Finora l’unione aveva il nome di Nello Mastursi, l’ombra del governatore, che ricopriva al tempo stesso l’incarico di capo della segreteria e di vice segretario regionale. Non è un caso che, proprio oggi, viene fatto sapere che ha lasciato anche l’incarico di partito dopo aver mollato quello in Regione.
Separare Pd da De Luca. Perchè tutti hanno visto e ascoltato la conferenza stampa in cui il presidente della Campania si difende dall’accusa di “concussione per induzione”, e c’è un passaggio del discorso che ha fatto arrabbiare, e non poco, buona parte del Pd locale.
Ed è quello in cui il governatore ha detto che da Napoli viene “lanciata la sfida della trasparenza. Noi e il partito in cui milito (Pd ndr) siamo protagonisti di questa sfida e non arretreremo di un passo”.
“Napoli” e “Pd”. Due parole associate e pronunciate da De Luca che hanno fatto saltare sulla sedia chi in queste settimane è in affanno in vista di una campagna elettorale che si prospetta più che difficile.
Soprattutto perchè il partito è in confusione totale. Non c’è un candidato e neanche una data per le primarie, se si faranno. “Dopo quest’uscita di De Luca siamo ancora più penalizzati. Prima ci disconosce, prende le decisioni da solo senza consultarci, e adesso ci tira in ballo”, osserva qualcuno.
Un altro difende il governatore: “Alla fine potrebbe uscirne rafforzato, perchè volevano ricattarlo e lui non ha ceduto”.
Sta di fatto che c’è chi aggiunge: “Facciamo chiarezza e in tempi brevi. Le sentenze non solo si rispettano. Non si condizionano neppure”.
A metà pomeriggio arriva la nota in cui Carmelo, detto “Nello”, Mastursi annuncia che si dimette dall’incarico di responsabile dell’organizzazione del Pd della Campania. È la segreteria regionale del Pd a diffondere la notizia. Mastursi è anche lui indagato dalla procura di Roma.
A questo punto, la deputata del Pd Valeria Valente chiama in causa direttamente il Nazereno: “È evidente che quanto accaduto, indipendentemente dagli esiti, rischia oggi di penalizzare seriamente il Pd, rendendo ancora più difficili le sfide elettorali che sono davanti a noi”.
E poi aggiunge: “Penso che il vero punto politico da sciogliere in Campania, chiami direttamente in causa il Partito democratico. Dobbiamo recuperare un profilo politico serio e autonomo. Un profilo che, purtroppo, il Partito democratico ha offuscato a livello territoriale”.
Nell’attesa che il partito batta un colpo (per adesso ci sono solo dichiarazioni ufficiose), i parlamentari campani e i consiglieri regionali si sono dati appuntamento per venerdì pomeriggio nella sede del Pd di Napoli per provare a serrare le file.
Di un partito, quello campano, estremamente frastagliato.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 11th, 2015 Riccardo Fucile IL GOVERNATORE SAPEVA MA NON HA DENUNCIATO
Sapeva, ma non ha parlato.
Già il 29 ottobre scorso Vincenzo De Luca era a conoscenza dell’indagine della procura di Roma che lo accusa di concussione.
E’ lo stesso governatore a rivelarlo pubblicando sul sito della Regione Campania la lettera firmata dal suo legale Paolo Carbone e inviata al procuratore Giuseppe Pignatone con la quale chiedeva di essere interrogato dai magistrati. Nonostante questo l’ex sindaco di Salerno non ha ritenuto di denunciare pubblicamente la presunta minaccia che Anna Scognamiglio — uno dei tre giudici del collegio del Tribunale civile di Napoli chiamato a pronunciarsi sul ricorso per la sospensione degli effetti della legge Severino — avrebbe messo in atto insieme ad altre persone nei suoi confronti: una sentenza sfavorevole se non fosse arrivata la nomina di Guglielmo Manna, marito della Scognamiglio, ad un’importante carica dirigenziale nella sanità campana. Non solo.
Come lui stesso ammette indirettamente, il 29 ottobre De Luca sa anche che il capo della sua segreteria Carmelo “Nello” Mastursi è iscritto nel registro degli indagati.
Le sue dimissioni però arrivano solo il 9 novembre e vengono motivate con un generico “troppo lavoro“.
Ma secondo i magistrati, Manna telefona proprio al braccio destro del governatore per chiedere un’assunzione in cambio di un trattamento di favore nella sentenza.
Mastursi oggi ha lasciato anche l’incarico di responsabile dell’organizzazione del Partito democratico campano.
L’indagine comunque non preoccupa il Pd nazionale, che minimizza: “E’ un atto dovuto, si chiarirà ”. Mentre il governatore nella lettera spiega di aver mantenuto la dovuta riservatezza per un procedimento in corso
In tutto gli indagati dalla procura di Roma sono sette.
Il lavoro dei magistrati capitolino nasce da un’inchiesta dell’Antimafia di Napoli sui rapporti tra camorra, politica e gli affari nel settore della sanità .
L’accusa nei confronti di De Luca è di concussione per induzione (non di corruzione come era emerso in un primo momento), articolo 319 quater: induzione indebita a dare o promettere utilità .
L’iscrizione nel registro degli indagati significa che secondo la procura il governatore, invece di denunciare il presunto ricatto, avrebbe dato seguito in qualche modo alle presunte richieste del giudice Scognamiglio (che rigetta le accuse) e del marito.
La vicenda delle presunte minacce viene descritta dettagliatamente nel capo di imputazione allegato ai decreti di perquisizione.
I magistrati capitolini scrivono che gli indagati, con più “azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso ed in tempi diversi, Anna Scognamiglio, magistrato presso il tribunale civile di Napoli e giudice relatore nella fase di merito del ricorso intentato da De Luca contro la sospensione dalla carica di presidente della Regione ai sensi della legge Severino, abusando della sua qualità e dei poteri decisionali, in concorso con il coniuge Guglielmo Manna, e con gli intermediari Poziello e Brancaccio, minacciando De Luca, per il tramite di Vetrano e Mastursi, di una decisione a lui sfavorevole da parte del tribunale con conseguente perdita della carica ricoperta, inducevano il medesimo a promettere a Manna la nomina ad una importante carica dirigenziale nella sanità campana”.
“Condotta reiterata — si legge nel decreto di perquisizione — in occasione dell’udienza tenutasi presso il tribunale di Napoli l’11 settembre scorso avente ad oggetto la legittimità del decreto della presidenza del Consiglio dei Ministri che aveva sospeso De Luca dalla carica di presidente della Regione”.
Il procuratore Giuseppe Pignatone precisa che la sentenza del tribunale di Napoli “non è oggetto di esame da parte della procura di Roma”.
Giudice indagato: “Non conosco De Luca”
In conferenza stampa De Luca si è difeso sostenendo di “non essere a conoscenza di nulla, di nulla, di nulla”. “Leggo di questo Manna: io non so chi sia, dove viva, cosa faccia. Nessuno in maniera pubblica nè privata mi ha mai fatto cenno a questa persona” ha assicurato il governatore, che si è dichiarato “parte lesa, io e l’istituzione”.
Anche il giudice Anna Scognamiglio interviene con una dichiarazione diffusa dal suo avvocato Giovanni Battista Vignola. “L’unico elemento indiziante a mio carico è costituito dal fatto che beneficiario della richiesta illecita rivolta al De Luca sarebbe mio marito il che potrebbe comportare, sul piano astratto, il legittimo sospetto di un mio coinvolgimento nei fatti. Nel mio caso — prosegue — però, un siffatto sospetto non ha motivo di essere poichè, da tempo, i rapporti con mio marito si sono fortemente incrinati tanto da indurmi, già tre anni orsono, a presentare in Tribunale un ricorso di separazione“.
“La convivenza — continua Scognamiglio — era solo formale e dovuta alla necessità di salvaguardare l’equilibrio psichico dei nostri due ragazzi ; insomma vivevamo da ‘separati in casa’”.
Il giudice sottolinea di non conoscere “nè De Luca, nè Mastursi, nè Vetrano con i quali non ho mai avuto contatti di alcun genere, nè, quindi, ho loro mai chiesto, nè potuto chiedere, alcun favore nè per me nè per mio marito”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 11th, 2015 Riccardo Fucile “UN UOMO POLITICO DI FRONTE A UN RICATTO, AMMESSO CHE SIA COSI’, DENUNCIA IL RICATTO”
“Questa di De Luca è una brutta storia, che fa male al Pd. Il nostro principio cardine deve essere
la legalità ”.
È appena finita la conferenza stampa di Vincenzo De Luca. Stefano Esposito, nel suo studio al Senato, accende una sigaretta. E scuote la testa.
Membro dell’Antimafia, è stato assieme ad Alfonso Sabella l’uomo della legalità contro Mafia Capitale. A Ostia chiese il commissariamento del municipio prima della magistratura.
Arrivato ai Trasporti come assessore, fece a Cantone la prima telefonata per chiedere una verifica degli appalti dell’Atac.
La relazione di Cantone mise nero su bianco un dato sconvolgente: dal 2011 tutti irregolari.
Ora all’HuffPost dice: “Su De Luca dobbiamo applicare lo stesso metro di valutazione usato su Roma”.
Esposito, ha ascoltato il monologo di De Luca, un unicum nel suo genere: conferenza stampa senza domande.
Lasciamo perdere le abitudini comunicative di De Luca… Andiamo alla sostanza che mi pare assai seria.
Andiamo alla sostanza.
Questa è una brutta storia. Che si scarica su tutto il Pd, non solo in Campania ma ovunque. Situazioni come questa mettono in tensione un’organizzazione fatta di gente perbene e mandano in sofferenza il nostro tessuto vitale.
Dice De Luca: sono io la parte lesa.
La vera parte lesa è il Pd e tutte le persone perbene di questo partito in Campania e tutta Italia.
Sta dicendo che De Luca non è una persona perbene?
Dico, da garantista, che De Luca ha il diritto di difendersi . Ma dico anche che il punto politico è uno solo: ammettiamo che De Luca fosse oggetto di un ricatto da parte della giudice, come si legge in queste ore. Se così fosse, un esponente di punta del Pd sa come si deve comportare?
Come?
Un esponente di punta del Pd e delle istituzioni di fronte ad un ricatto fa una cosa semplice e banale: denuncia il ricatto. Non ci sono giustificazioni di sorta se le cose sono come emergono. Uno ti ricatta? Vai alla magistratura, denunci e poi fai una bella conferenza stampa.
Oppure se non è così?
Oppure, e questo ce lo dirà la magistratura, se non sapeva nulla se c’è stata una “trattativa” a sua insaputa per una sentenza che lo riguardava è comunque imbarazzante. E allora significa che ha sbagliato a scegliersi i collaboratori. Il suo capo di segreteria è un suo collaboratore di lungo corso, che conosceva da tempo. Dico che se un collaboratore così si muove per nome e per conto tuo, non puoi negare la tua responsabilità politica.
E ora cosa si aspetta dal Pd e da Renzi su questa vicenda?
Al netto del garantismo, urge una riflessione tutta politica sui riflessi di una vicenda come questa. Non ho bisogno di dare consigli. Ricordo che su Roma non abbiamo fatto sconti e va applicato lo stesso metro di valutazione.
Lo stesso metro di valutazione usato per Marino, sugli scontrini e sul fatto che non aveva visto la corruzione attorno a lui. Qui c’è un’inchiesta sulla corruzione e, nel migliore dei casi, una trattativa a insaputa di de Luca.
Appunto. Ripeto: stesso metro di valutazione. Io questo ragionamento lo faccio perchè non possiamo reggere l’accumularsi di situazioni come queste. Il principio della trasparenza e della legalità è un principio cardine del Pd. Sento una grande sofferenza dei nostri iscritti, militanti ed elettori. Non siamo di fronte a fatti locali, ma a questioni nazionali. Prima le viviamo come tali e prima riusciamo a dare le risposte che i nostri militanti meritano.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 11th, 2015 Riccardo Fucile “QUELLI CHE URLAVANO CONTRO SALVINI NON ERANO DEI CENTRI SOCIALI, ERANO I CREDITORI DELLA LEGA”
La copertina di Maurizio Crozza ha aperto ieri la nuova puntata di Dimartedì (La7): commentando ironicamente la manifestazione del centrodestra a Bologna e rivolgendosi scherzosamente alla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ospite in studio Crozza ha ironizzato: “A Bologna, in piazza Maggiore, 100mila persone? L’ha scritto Salvini su un tweet. Qualcuno ha fatto un calcolo: la piazza è 115 metri per 60. Significherebbe 23 persone a metro quadrato. Ma era una manifestazione o una tartare? Ventitrè persone in un metro quadro non ci stanno nemmeno liofilizzate. Ma che ce ne importa, quello che conta non è la quantità , ma la qualità . Sul palco c’eravate lei, Berlusconi e Salvini. Ma sai che forse era meglio puntare tutto sulla quantità ?“.
E aggiunge: “Con Bologna è rinato il centrodestra. I moderati italiani hanno nuovamente una casa. E’ Casa Pound, ma ce l’hanno. In effetti, il coro ‘duce, duce’ si è sentito, però l’hanno urlato da moderati. In realtà , chi è uscito bene da quella manifestazione è Angelino Alfano. Salvini gli ha dato dell’inutile e del cretino. E questi erano i pregi. Figurati i difetti. Ma la Lega non governa Liguria e Lombardia grazie ad Alfano? Così inutile non mi sembra”.
Il comico poi si sofferma sul Cavaliere: “Vedere sul palco Berlusconi che fa da spalla a Salvini è come vedere Kevin Costner quando fa la pubblictà delle scatolette di tonno. Da sex sumbol a ex simbol”.
Crozza imita quindi Berlusconi e continua: “Qualche tempo fa Salvini aveva detto: ‘Basta per sempre con Silvio’. E Berlusconi gli aveva risposto: ‘Arrogante, è deriva estremista’. E adesso si abbracciano? E’ come se domani vedessimo Marquez e Valentino Rossi limonare nei box.“.
Crozza cita il processo per la truffa sui rimborsi elettorali, in cui è imputato Bossi, e aggiunge: “La Lega deve restituire 59 milioni di euro, tutti negano ogni responsabilità . Bossi nega, Salvini nega, Maroni nega. Cos’è, è nato il nuovo partito “la Nega Nord”? Meloni, a Bologna fuori dalla piazza quelle migliaia di persone che urlavano non erano i centri sociali, ma i creditori della Lega. Non è che il Carroccio adesso si mette con Berlusconi solo perchè ha la grana? E’ la vecchia storia dell’anziano ricco con la badante spiantata. Con Berlusconi e Salvini insieme siamo a un passo dalla circonvenzione d’incapace. L’unico problema è trovare tra i due quello capace“.
Il comico, infine, commenta la situazione a sinistra: “Lì sono capaci di fondare un nuovo partito con Stefano Fassina. Si chiamerà Sinistra Italiana. E’ incredibile come nella sinistra ci debba essere sempre qualcuno più a sinistra degli altri, ma prima o poi qualcuno starà talmente a sinistra che, pur di non uscire dal Parlamento, farà il giro e si siederà a destra. E poi ricomincerà a spostarsi a sinistra, senza fine e senza mai prendere un voto. E’ una specie di morto perpetuo“.
E chiosa: “In questo nuovo partito Fassina è leader. La dizione ‘Fassina leader’ nella lingua italiana non è nemmeno classificata tra gli ossimori. E’ proprio segnata come errore grammaticale grave, come ‘qual è’ con l’apostrofo. E infatti io mi chiedo: ma qual è l’elettorato di Fassina?”
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 11th, 2015 Riccardo Fucile BALCONI PERICOLANTI, LA MISURA RIGUARDA 124 ALLOGGI
Ricordate le casette post-terremoto dell’allora premier Silvio Berlusconi? 
Ebbene, si sono rivelate friabili come biscotti.
Già lo scorso anno la protezione civile era dovuta intervenire per verificarne la staticità dopo il crollo di un balcone. Ma la propaganda di allora si trasforma in briciole. Stamattina il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente ha firmato un’ordinanza con la quale dispone lo sgombero di 124 alloggi distribuiti nei quartieri del progetto “Case” (complessi antisimci sostenibili ed ecocompatibili) di Cese di Preturo, Arischia e Sassa Nucleo industriale.
Nel testo dell’ordinanza, si legge che la decisione arriva per motivi di pubblica incolumità legati proprio alla tenuta dei balconi.
Si tratta, in particolare, delle piastre 14, 20 e 21 del quartiere Case di Cese di Preturo, delle piastre 6, 8 e 16 del quartiere Case di Sassa Nucleo industriale e delle piastre 1, 2 e 3 del quartiere Case di Arischia.
Nel primo caso, vale a dire Cese di Preturo, gli sgomberi verranno effettuati entro 30 giorni dalla notifica dell’ordinanza sindacale, nel secondo, Sassa nucleo industriale, entro 45 giorni dalla notifica, nel terzo, Arischia, entro 60 giorni, sempre a far data dalla notifica.
Il documento ricorda inoltre che, a seguito del crollo del balcone di un appartamento del quartiere Case di Cese di Preturo, in via Gian Maria Volontè, il 2 settembre dello scorso anno, a causa delle infiltrazioni d’acqua, con conseguente “totale marcimento della struttura lignea del balcone”, e delle risultanze delle perizie tecniche effettuate per verificare le condizioni statiche dei balconi degli altri 22 edifici della medesima tipologia, si era intervenuti con ordinanze di sgombero degli alloggi della stessa piastra (la numero 19) e con opere di messa in sicurezza, ricordando altresì il sequestro preventivo di tutti i balconi di tali edifici, disposto dal Tribunale dell’Aquila.
L’ordinanza — si legge poi in una nota del Comune dell’Aquila — rileva quindi come, il 5 novembre scorso, il servizio di manutenzione del Progetto Case ha rilevato che il balcone di un alloggio, posto al secondo piano della piastra 14 del complesso di Cese di Preturo, si sia distaccato dal muro, presentando evidenti condizioni di rischio di crollo, circostanza che ha portato allo sgombero dell’alloggio e all’avvio delle operazioni di rimozione del balcone.
“Valutato — si legge ancora nel testo — che non è possibile, attraverso il semplice controllo a vista, prevenire efficacemente il rischio di crollo dei balconi, ma è necessario effettuare interventi invasivi, non compatibili con la permanenza degli abitanti negli alloggi interessati, e che,nelle more degli interventi suddetti, sussistano condizioni pregiudizievoli per l’incolumità delle persone, si ordina lo sgombero degli alloggi degli edifici dei progetti Case succitati, in cui sono presenti le più alte percentuali di balconi che presentano situazioni di rischio”.
“I nuclei familiari interessati dall’ordinanza — ha dichiarato il sindaco Massimo Cialente — verranno trasferiti in altri alloggi disponibili dei complessi Case, salvo i casi in cui gli assegnatari fossero già stati raggiunti da provvedimenti di sgombero a causa di morosità , sia in riferimento al pagamento dei canoni di locazione e compartecipazione che a quello delle utenze”.
(da agenzie)
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