Novembre 12th, 2015 Riccardo Fucile INTERVENIRE COSTA MOLTO
Sostenere Vincenzo De Luca alle regionali in Campania è stato un errore, ma oggi è troppo
“costoso” intervenire.
Tutto quello che pensa Matteo Renzi del nuovo scandalo scoppiato intorno al governatore campano è condensato in questa frase, riferita a suoi interlocutori abituali. Il premier si sente stretto in una tenaglia.
Condizione che, per uno come lui, risulta estremamente scomoda.
Renzi è pentito della scelta fatta – o forse subita – alle regionali del maggio scorso. Ma ora, forse, è troppo tardi. Del resto De Luca avverte: “Chi mi assedia riceverà olio bollente”.
Ricadrà sui campani che, a suo dire, gli stanno facendo la guerra o tracimerà fino a Roma?
L’unica cosa che Renzi al momento si sente di fare è non difendere pubblicamente De Luca. E questo è il punto primo che il premier sta religiosamente rispettando da quando è scoppiato il nuovo guaio giudiziario intorno al governatore, indagato per corruzione.
Con De Luca non ha neanche voluto parlare al telefono. Nemmeno oggi che è tornato in Italia dal vertice europeo di Malta. Il segretario del Pd cerca di tenersi alla larga dal caos scoppiato a Napoli. E questo è il punto secondo.
Punto tre: lasciar trapelare tutta la rabbia in ebollizione tra Palazzo Chigi e Nazareno. Con il vicesegretario Dem Guerini su tutte le furie, il ministro Orlando delusissimo, parte del Pd campano che vorrebbe mollare De Luca. Ma Renzi per ora non apre il fuoco, pur masticando amarissimo.
Il premier è furioso. Il suo fedelissimo David Ermini, responsabile Giustizia del Pd, descrive il clima in questi termini: “Ma è possibile che abbiamo dati positivi in economia, c’è la ripresa, abbiamo fatto le riforme e dobbiamo parlare di De Luca?”. Già . Il capo del governo si aspetta un chiarimento da De Luca.
Ma a sera non gli basta quello fornito dal governatore nel lungo forum al Mattino online. Il presidente della Regione sostiene che non era a conoscenza delle minacce arrivate al suo ex capo di gabinetto, Nello Mastursi.
Non gli era stato fatto presente che tra le mille richieste di raccomandazioni e pressioni che possono arrivare ad un potente di turno come lui c’era anche quella di Guglielmo Manna, che minacciava una sentenza sfavorevole sul ricorso del governatore contro la legge Severino.
Sentenza che lo avrebbe sospeso dalla carica. Sentenza emessa dalla moglie di Manna, Anna Scognamiglio, che invece ha accolto il ricorso di De Luca senza che Manna, legale in un ospedale pubblico, sia stato promosso a manager delle Asl, come aveva chiesto.
Sì però a Palazzo Chigi queste spiegazioni risultano insufficienti.
Renzi non riesce a capire perchè De Luca non abbia denunciato la cosa settimane fa, quando è venuto a conoscenza dell’inchiesta.
Eppure il 29 ottobre ha chiesto di essere sentito dai magistrati, sapendo di essere indagato. Eppure il 9 novembre Mastursi si è dimesso dalla Regione, pur mantenendo l’incarico di responsabile Organizzazione del Pd Campano, ruolo che ha lasciato solo ieri quando il caso è scoppiato sui media.
Gli ‘eppure’ sono tanti in questa storia, che anche il presidente Pd Matteo Orfini definisce “oscura”. Ma Renzi fa sforzo di massima cautela, in attesa di capire bene il quadro.
Se sarà necessario, muoverà le sue ‘truppe’ contro il ‘governatore sceriffo’. Con i suoi, teme sviluppi inconfutabili dell’inchiesta.
Ma se si troverà schiacciato all’angolo, preso a pugni da nuovi dettagli o magari intercettazioni, Renzi uscirà per scaricare il governatore.
Ma sa già che potrebbe costargli tanto. Potrebbe costargli i legami con i senatori verdiniani campani – affiliati a quelli eletti in Campania con De Luca – che gli tengono su la maggioranza in Senato?
Nel Pd circolano anche queste voci, velenosissime per il premier. Che per ora aspetta. Sperando di non essere costretto a usare l’artiglieria pesante contro il governatore.
Il prezzo sarebbe altissimo. Anche se, già così, rischiano di costare tanto anche le prossime amministrative.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 12th, 2015 Riccardo Fucile IL MARITO PROTESTA CON IL LEGALE DI DE LUCA PER GLI ACCORDI NON RISPETTATI
“Io non faccio il direttore generale e va bene, però tu non farai il presidente della Giunta regionale. Io perdo 5 tu perdi 100”.
Così Guglielmo Manna, marito della giudice Anna Scognamiglio, si esprimeva in una intercettazione ambientale in un’auto parlando con l’avvocato Gianfranco Brancaccio, uno degli indagati, il 20 agosto.
Nella nuova intercettazione spunta dunque il ‘patto’ tra il marito della giudice (una dei componenti del collegio chiamato a decidere sulla sospensione di De Luca) e lo staff del governatore.
Manna, come spiegano gli investigatori, fa riferimento alla decisione favorevole al presidente della Regione del 17 luglio.
“Aveva fatto quello che avevano chiesto loro – è la sintesi degli investigatori della squadra mobile – senza ottenere fino a quel momento alcuna controprestazione e che adesso, con questa seconda occasione (a proposito di un nuovo ricorso contro De Luca presentato da un gruppo di ex consiglieri del centrodestra assegnato al collegio di cui fa parte la moglie) voleva risposte certe altrimenti lui non avrebbe fatto il direttore generale, ma Vincenzo De Luca non avrebbe fatto il presidente della Regione Campania”.
Questo il passaggio della intercettazione:
“Che io non faccio il direttore generale e va bene, però tu non farai il presidente della della giunta regionale, mi pare il discorso è un poco… e io perdo, io perdo 5 e tu perdi 100”. Secondo gli inquirenti, Manna aspirava a un incarico di rilievo nel settore della sanità campana
Nella stessa conversazione, Manna accenna al nuovo ricorso di cui dovrebbe occuparsi la Scognamiglio. Spiega che una collega di lei “ha fatto in modo di gestire le carte in modo che ad Anna (Scognamiglio, ndr) tocca praticamente il ricorso abbinato come relatore e praticamente Anna già adesso la settimana prossima deve fissare l’udienza sul giudizio principale”.
Per un’intercettazione che spunta, un’altra pare venir meno.
Non trova riscontro in Procura a Roma l’intercettazione, riportata oggi dai quotidiani, tra la giudice Scognamiglio, del tribunale di Napoli, e il marito Guglielmo Manna.
Negli ambienti giudiziari di piazzale Clodio viene spiegato che quella intercettazione non esiste negli atti al vaglio della magistratura romana.
“Abbiamo finito, è fatta”. Questa la frase che, secondo quanto pubblicato da alcuni quotidiani, che citano un’intercettazione del 17 luglio scorso, la giudice Scognamiglio avrebbe rivolto al marito, l’avvocato Manna, dopo aver scritto la sentenza che consente al governatore di rimanere in carica, mentre è ancora in camera di consiglio.
Sempre secondo le intercettazioni riportate dai quotidiani, Manna avrebbe replicato: “Credi di essere intelligente solo tu e invece anche io sono furbo”. Dopo qualche minuto l’uomo avrebbe fatto partire un sms nei confronti di un componente dello staff di De Luca nel quale scrive: “è andata come previsto”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 12th, 2015 Riccardo Fucile DA MAFIA CAPITALE A DE LUCA… “LE INCHIESTE SI FANNO PER CELEBRARE PROCESSI, NON PER SCUOTERE L’OPINIONE PUBBLICA”
La nebbia si è dissolta dal porto, a Roma: “Io – ama ripetere Giuseppe Pignatone – faccio processi,
non scrivo articoli sui giornali”.
L’ultimo ha portato all’arresto, questa mattina, di 17 persone accusate di terrorismo internazionale.
Il penultimo, due settimane fa, ha scoperchiato il mondo degli appalti Anas governati dalla Dama Nera. Tra i due, a Roma, è piombato anche l’affaire De Luca.
Su tutto, il processo per eccellenza, anzi il Maxi Processo di Mafia Capitale.
Quello che per decenni è stato il porto delle nebbie, dal suo arrivo, pare il tribunale di Milano ai tempi di Tangentopoli.
Tonino Di Pietro, l’eroe nazionale di allora nel pool di Francesco Saverio Borrelli, riconosce alcuni tratti comuni: “Quando la procura della Repubblica ha in mano un fascicolo c’è l’obbligatorietà dell’azione penale, ma come svilupparla dipende dalla serietà e dalle capacità del pm inquirente. Lo puoi fare in modo notarile o da investigatore. Pignatone non lo fa in modo notarile, lo fa da bravissimo investigatore”. E infatti ha messo fine al porto delle nebbie, di quel tribunale che ai tempi della Roma andreottiana valeva un paio di ministeri, perchè sinonimo di controllo e garanzia di non disturbo dei manovratori.
Ora piazzale Clodio è l’epicentro di un sisma.
Davanti alla commissione d’inchiesta Antimafia disse: “Le inchieste si fanno per celebrare processi e produrre sentenze”. Non per scuotere l’opinione pubblica. Consapevole dell’effetto extragiudiziario delle proprie azioni, non è però un contropotere in toga che si pone come Borrelli col governo di allora: “Resistere, resistere, resistere, come su una irrinunciabile linea del Piave”.
Poco amato da Magistratura democratica e da parecchi pm diventati parlamentari dei Ds prima e del Pd dopo, viene raffigurato come un magistrato moderato.
Prudente, poco mediatico, poco appassionato alla ricerca di trame occulte, è stato considerato per decenni l’opposto di Caselli e di Ingroia, fautori dei grandi teoremi accusatori, come la trattativa tra stato e mafia.
Proprio il suo essere magistrato puro però gli ha consentito di arrestare Bernardo Provenzano attraverso un lavoro scrupolosissimo: “La zona grigia — dice chi lo conosce bene — è la sua ossessione, la ricerca delle talpe, la rete dei fiancheggiatori”.
E proprio il suo essere magistrato puro gli consentì di sciogliere Reggio Calabria per ‘ndrangheta o di arrivare alla condanna di Cuffaro, a cui contestò il favoreggiamento aggravato e non il concorso esterno in polemica con Ingroia e Caselli.
Prosegue Di Pietro: “Quando ti dico che puoi fare il magistrato in modo notarile o in modo investigativo, intendo questo: arrestato Mario Chiesa in flagranza, potevo mandavo a giudizio per direttissima, giusto? Giusto. Avrei fatto il mio dovere, ma lo avrei fatto in modo notarile. Ci sarebbe stato il processo, la condizionale e ora starebbe da qualche parte a fare il direttore generale di chissà che azienda. Io invece che facevo l’investigatore, non l’ho mandato per direttissima ma ho cominciato a scavare e ho fatto Mani Pulite. Ecco: Pignatone ha ricevuto notizie di reato, ma non si è accontentato di fare il notaio”.
Il suo “metodo” è rigoroso e fattuale: “Fa i processi per vincerli — dice chi lo conosce bene – non per andare sui giornali”.
La sua vita è riservata, poco mondana. A Reggio viveva in una caserma dei carabinieri. Pignolo, infaticabile studioso, la sua forza è la capacità di fare pool.
A Roma lo ha seguito la squadra di Reggio Calabria, a partire da Michele Prestipino. E c’era, tra gli altri, Stefano Russo, comandate dei Ros di Reggio e, dopo Roma, andato a Trapani, la provincia di Messina Denaro.
In un’intercettazione, Massimo Carminati, Er Cecato, così commenta l’arrivo di Pignatone al porto delle nebbie: “Questa è una persona che non gioca. Tira brutta aria. Questo butta all’aria Roma. Ha cappottato tutto in Calabria. Non si fa ingloba’ dalla politica”.
Qualche tempo dopo, Mafia Capitale, l’inchiesta che travolge Roma, in modo bypartisan . Il metodo è quello usato per le ‘ndrine.
Le microspie conducono gli inquirenti nel “Mondo di mezzo” di Carminati e Buzzi. E da lì al Palazzo.
Il reato di associazione mafiosa affibbiato all’intreccio tra politica, imprenditoria grigia e malavita è buono per animare i dibattiti tra giuristi per i prossimi decenni, ma il timbro della Cassazione è già arrivato: è Mafia nella Capitale.
Tanto che commissione prefettizia, a luglio chiese lo “scioglimento” del Comune.
Il 17 novembre la prossima udienza. Si vedrà .
Un dato è acquisito: “Un dato straordinario e incredibile — dice Nichi Vendola — è come è stata scoperchiata la procura di Roma. E come è venuto alla luce l’insediamento di criminalità , di welfare mafioso, i protagonisti della Roma criminale degli anni 70. Segno che per quarant’anni c’è stata, a dir poco, distrazione, della procura, della prefettura. E mi fermo qui”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 12th, 2015 Riccardo Fucile BERLUSCONI E SALVINI VEDREBBERO BENE UN SUO IMPEGNO, MA SOLO SE RESTASSE NELLE RETROVIE… IL TIMORE CHE VOGLIA ESSERE IL NUMERO UNO
Che sia politica o sport, in queste ore sono in tanti ad aspettare una sua mossa.
La Sampdoria lo prega di rinunciare alla clausola rescissoria e lasciar andare Vincenzo Montella. I moderati che si sentono orfani di un leader, aspettano che decida di scendere in campo e trasformare “Noi italiani” da associazione pre-politica a partito.
Ma lui, Diego Della Valle, sembra resistere. Sull’uno e l’altro fronte.
Tace. E così sono gli altri a parlare di lui e per lui.
Silvio Berlusconi, a Porta a Porta, gli fa quasi da portavoce.
“Mi ha personalmente garantito — afferma – che non ha intenzione di diventare un protagonista della politica”.
Il fatto è che, al di là delle pubbliche aperture di dialogo, sia il numero uno azzurro che Matteo Salvini guardano alle ambizioni di Mr Tod’s con grande freddezza: va bene un suo impegno ma soltanto se resta nelle retrovie.
Il leader della Lega, ieri, un po’ a sorpresa, ha annunciato di non vedere l’ora di incontrare l’imprenditore marchigiano “che — ha detto — so essere molto critico nei confronti di Renzi”. “Molto critico” è per la verità un eufemismo, visto che Della Valle, tra l’altro, è arrivato a definire il presidente del Consiglio “una sòla”.
Un tempo erano sodali ma pare che l’imprenditore si sia legato al dito l’endorsement del premier verso il suo arcinemico Sergio Marchionne. E da allora tutto è cambiat
Un po’ come con Montella, Della Valle non sembra intenzionato a perdonare. Può bastare l’antirenzismo a fare da collante?
Al di là delle dichiarazioni del Cavaliere, infatti, l’unica certezza sull’impegno in politica dell’imprenditore è che la riserva non verrebbe sciolta a breve: semmai, a ridosso della Politiche, per non farsi logorare.
E nel centrodestra l’eventualità è vissuta più come un problema che come una opportunità .
E questo vale tanto per Matteo Salvini quanto per Silvio Berlusconi, che in privato ha mostrato scetticismo e insofferenza.
Anche se, l’uno ieri, l’altro qualche mese fa, pubblicamente hanno lanciato segnali di interesse nei confronti di un impegno di Della Valle.
La legge elettorale, non c’è dubbio, incentiva le aggregazioni: il timore è un’affermazione del M5s e l’obiettivo è battere Matteo Renzi.
Ma è pensabile che Della Valle accetti di entrare in un listone siffatto?
In assenza di una parola chiara del diretto interessato, può forse essere utile sentire cosa ne pensa un suo grande amico come Clemente Mastella.
“Io non so — dice all’Huffington Post — se deciderà di fare politica, ma di certo non da subito, ora è tutto troppo confuso”.
Quanto alla possibilità di un dialogo con il leader della Lega, scherza: “Magari si possono incontrare se Salvini va in un negozio a Milano per comprarsi una felpa o un Fay. Il resto lo vedo un po’ più complicato”.
Il fatto è che anche dagli inner circle del leader leghista e di quello azzurro emerge un’altra verità : nessuno dei due è disposto a fare spazio per lasciare la leadership nelle mani dell’imprenditore marchigiano.
Sarebbe certo il benvenuto — è il ragionamento – se non avesse l’ambizione di fare il numero uno, anche perchè possiede una qualità che in politica fa sempre comodo: i soldi. Ma Berlusconi e Salvini sanno bene che se dovesse scendere in politica non lo farebbe per essere gregario di nessuno. L’obiettivo sarebbe quello di essere alternativo.
Manuel Vescovi, segretario della Lega Nord Toscana, però, non è stupito dell’apertura di Salvini al parton della Fiorentina. “Per chi vuole essere un leader è normale dialogare con tutti”, spiega.
Ma ammette anche che l’idea che il segretario del Carrocccio accetti di fare il numero due sarebbe alquanto improbabile. “Certo — osserva — mi stupirebbe. Ma la realtà sta già superando la fantasia, chi se lo sarebbe aspettato appena tre anni fa di vedere Salvini a Napoli? La Lega è un partito in grande evoluzione”.
Il dato di fatto è che in questo momento il centro è un campo contendibile e, in attesa di mosse definitive, tutti parlano con tutti.
Per questo, viene spiegato, Salvini ha mostrato il suo lato dialogante. In fondo, per una vecchia regola della politica, parlar male di qualcuno equivale ad elevarlo a proprio avversario, a competitor. Insomma, più bacio della morte che vera apertura.
Non è un caso se le voci di una discesa in campo dell’imprenditore, ormai cicliche da due anni, sono tornate a circolare all’indomani della manifestazione di Bologna e della foto di gruppo di Salvini, Berlusconi e Meloni.
Ed è per la stessa ragione che il partito che più è entrato in fibrillazione per questo è Forza Italia. Perchè quello di Della Valle non sarebbe un avvicinamento ma una opa ostile. In molti non hanno condiviso la scelta di Berlusconi di essere ospite della piazza leghista a Bologna, anche se pochi escono allo scoperto, come Lara Comi che ha apertamente dichiarato di vedere in Della Valle un anti-Salvini per i moderati.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 12th, 2015 Riccardo Fucile DON VITTORELLI A SETTEMBRE PARTECIPO’ AL CONGRESSO
Prende la parola, ringrazia e saluta, mentre l’eurodeputato Antonio Tajani gli sistema il microfono. 
E’ l’11 settembre e Don Pietro Vittorelli partecipa al congresso di Forza Italia, al Palazzo della Fonte di Fiuggi.
L’ex abate di Montecassino, indagato per aver usato 500mila euro destinati all’abbazia in cene, viaggi e droga, ha frequentazioni politiche trasversali.
Oltre all’ex governatore del Lazio Piero Marrazzo, al quale – dopo lo scandalo escort – offrì alloggio per un riabilitazione spirituale, Don Pietro è vicino a Tajani, un vero e proprio amico.
Al convegno “Le radici cristiane dell’Europa” è tra i relatori.
A margine, il vescovo si fa immortalare in posa proprio con l’eurodeputato e con Mario Abbruzzese, consigliere forzista alla Regione Lazio.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 12th, 2015 Riccardo Fucile CITA IL PREMIER COME UN “LEADER DEL CENTRODESTRA”
Silvio Berlusconi torna in tv, nel salotto di Bruno Vespa, e sfodera un lapsus che ha un che di freudiano: confonde Renzi e Salvini, e cita il sindaco di Firenze tra i leader dei partiti di centrodestra.
«Chiunque voglia venire con i tre partiti del centrodestra sarà il benvenuto. Meloni porterà la determinazione, io la creatività e Renzi la grinta».
Ha detto Silvio Berlusconi parlando a Porta a porta delle componenti attuali del centrodestra, ma confondendo il nome del leader della Lega, Matteo Salvini, con quello del premier, Matteo Renzi.
Quando Bruno Vespa glielo fa notare, Berlusconi sorride e spiega: «È tanto che manco dalla televisione, sono un pò in confusione…».
Matteo Renzi «non è certamente un uomo di sinistra, tanto è vero che gli uomini della sinistra italiana portano verso di lui un sentimento negativo in quanto si trovano un partito guidato da un vecchio democristiano, seppur giovane di età » ha poi proseguito Berlusconi a Porta a porta.
«Nel Patto del Nazareno c’era la modifica della Severino»
«Assolutamente sì». Così Silvio Berlusconi a Porta a porta spiega che uno dei motivi per cui Forza Italia si è sfilata dal Patto del Nazareno siglato con Matteo Renzi è stata la mancata modifica della legge Severino che, appunto, per Berlusconi «faceva parte del patto». Non ne faceva parte, invece, una grazia da parte del Quirinale: «No, no», spiega Berlusconi.
Il Cavaliere: «Voteremo a favore dell’abolizione della tassa sulla prima casa»
«Se dalle promesse – aggiunge Berlusconi – si arriva poi a delle proposte in Parlamento, non è detto che voteremo contro».
Del resto, ricorda, «Renzi sta copiando il nostro programma ma lo sta facendo male». E poi, «bisogna vedere se la sinistra in Parlamento lo seguirà ».
Il giudizio sulla legge di stabilità è però complessivamente negativo, perchè «Renzi ha annunciato di voler abrogare la tassa sulla casa ma lo fa senza tagliare la spesa pubblica e aumentando il debito, così scarica sulle spalle di chi verrà dopo il costo».
(da “il Secolo XIX“)
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Novembre 12th, 2015 Riccardo Fucile LA SINISTRA DA GIUSTIZIALISTA A GARANTISTA PER TUTELARE I PROPRI UOMINI
Per 20 anni e più, la sinistra ha fatto sfoggio di ogni azione mediatica e di tutti i possibili mezzi di
comunicazione ed informazione per diffondere – e cavalcare – il seme del “giustizialismo oltranzista”, dei “processi sommari” e del “qualunquismo giudicatorio e giudicante”.
Un continuo clima di sospetto, ricco di illazioni, mezze verità , strumentalizzazioni di ogni sorta: “tutto andava bene” purchè si “distruggesse” l’antagonista politico “di turno”…
Oggi “non gradisce più”, però.
Oggi si è attestata sulla sponda del garantismo, “dell’attendiamo le decisioni dei giudici”; del “non celebriamo processi sommari”…
Personalmente sono e sarò sempre un garantista. Chi entra in un’aula di Giustizia e’ innocente fino a prova contraria e spetta “a chi di dovere” – nelle regole delle dinamiche dibattimentali e non – dimostrarla, la presunta colpevolezza…
Una società matura ne sarebbe consapevole e non si farebbe prendere dalla frenesia di anticipare il “momento della verità processuale” sostituendolo con “giudizi da bar” ovvero consumati tra una “primo piatto” ed il “secondo” mentre si sta pranzando.
La nostra società è molto lontana dal senso sincero della libertà e dal riconoscimento autentico dei diritti, ed una reale maturazione sul punto non sarà “cosa” facile, ovviamente.
Ci vorrà un percorso culturale molto ampio perchè, ritrovare il senso reale della dignità umana; pervenire alla riscoperta dei valori etici, del senso civico, del rispetto delle istituzioni e degli stessi uomini (al di là del colore della pelle, dell’appartenenza politica, delle tendenze sessuali ovvero etiche), sarà una vera e propria “democratica rivoluzione”, e “visto lo scenario” oltremodo imbelle, non c’è di che “rallegrarsi”… Sarà fondamentale il ruolo della scuola ma, anche, degli stessi “genitori”, degli adulti, di chi “è capace”…
In ogni caso, al netto del diritto di difesa e della presunzione di innocenza, non posso fare a meno di pensare che “chi ricopre un Pubblico Ufficio” o chi “incarna” una Istituzione, abbia comunque il dovere di mettersi da parte nei casi “di dubbio”.
De Luca dovrebbe dimettersi. Lo stesso Renzi dovrebbe invitarlo a farlo.
Nelle more di una decisione che “è cosa da uomini veri” – e non tutti lo sono – usare la giustizia e l’informazione come strumento di lotta politica, però, proprio no…
Non è cosa degna di un Paese civile.
Non è cosa degna di un Paese che è stato, e resta, la culla del diritto…
Che l’informazione informi. Che si discuta pure.
Non ci si dimentichi mai, però, che l’oggetto del “contendere” resta pur sempre l’uomo” e quella dignità che nessuno ha il diritto di calpestare…
Salvatore Castello
Right BLU . La Destra Liberale
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Novembre 12th, 2015 Riccardo Fucile DE LUCA NON SI DIMETTERA’ NEANCHE SE ARRIVASSE L’AVVISO DI SFRATTO…ORMAI SIAMO AL DELIRIO DI ONNIPOTENZA
Quando gli chiediamo se sentirà Matteo Renzi nel pomeriggio, Vincenzo De Luca sgrana gli occhi,
mantiene il sorriso, si infila in auto blu e se ne va.
Lo incrociamo quando esce dalla sede del Mattino di Napoli, insieme ai capi del giornale che lo hanno intervistato in un lungo e spumeggiante forum online.
Un forum alla ‘De Luca’. La verve è la stessa, nonostante la rabbia per l’inchiesta giudiziaria che lo riguarda. Renzi non lo ha sentito. Ma i suoi giurano che non si dimetterà dalla Regione, nemmeno se il premier dovesse fargli arrivare avvisi di sfratto. Parola d’ordine: resistere.
Il premier è avvisato: non vorrà mica aprire un altro caso Marino in Campania?
Qui a Napoli il gelo che separa Palazzo Santa Lucia da Palazzo Chigi si taglia a fette. Nonostante un clima da infinita estate di San Martino.
E malgrado Renzi non abbia ancora scomunicato il governatore indagato per corruzione. Anzi, fino a ieri lo ha difeso, seppur non esplicitamente e con grande imbarazzo.
Certo, nel forum con il Mattino, il governatore ha buon gioco a rispondere che non ha sentito Renzi in quanto il premier “era fuori”.
In effetti il capo del governo torna solo oggi pomeriggio da Malta. Ma nel frattempo De Luca non ha sentito nessun renziano di prima o di seconda fascia, giurano i suoi in Regione. C’è un raffreddamento in corso, a monte di tutto il garantismo che Renzi possa esercitare e di solito è tanto.
Anche per questo De Luca passa al contrattacco. Questa mattina è arrivato in Regione intorno alle 9.30. E solo stamattina ha deciso di parlare al Mattino online, dopo aver sentito il direttore del giornale, Alessandro Barbano.
Meglio tenere botta continuando a parlare, è la linea.
Tanto che ha intenzione di dare battaglia a colpi di conferenze stampa anche nel weekend. Tutte incentrate però sulla “rivoluzione”, la chiama così, che sta portando avanti in Regione.
Ad ogni modo, chiude la telefonata con Barbano e si dedica agli incontri in agenda: uno con Sergio Sciarelli, professore universitario, è uno con Paolo Siani, fratello di Giancarlo, il giornalista del Mattino assassinato dalla Camorra.
Perfetto e impeccabile, si presenta al Mattino a due passi dalla Regione.
Renzi? “Non sono adottato da nessuno”. Chiaro.
Solidarietà dal Pd? Non è arrivata esplicitamente. E infatti De Luca puntualizza: “Mica siamo una famiglia. Io sono la Regione Campania. Mica si tratta di fare una tavolata…”.
Brillante, imperiale e con la battuta sempre pronta, “arzillo come un fringuello, una cinciallegra”, dice di sè.
Dentro, però, tanta rabbia. Furia vera, torciglioni alla stomaco che non gli piace esibire, dicono i suoi. Pare non lo abbia fatto nemmeno con Mastursi, l’ex capo di gabinetto accusato di aver ricevuto le pressioni di Manna, marito di Anna Scognamiglio, la giudice che ha accolto il ricorso del governatore contro la legge Severino, permettendogli di restare in carica.
Con Mastursi il governatore non parla dal giorno in cui si è dimesso, il 9 novembre scorso: così dice ai suoi. È arrabbiato ma non lo dà in pasto alla stampa: “Mi ripugna gettare la crose addosso agli altri. Se ne occuperà la magistratura. Ma è stato un errore. Tutti possono compiere errori”.
Un errore prestarsi a fare da terminale di richieste e minacce. Un errore non aver informato il governatore: che sia vero o no, questa è la linea di De Luca.
Il pomeriggio lo trascorre in Regione: affari correnti. Tenta di immergersi nell’amministrazione, “fiducioso” che tutto si risolverà .
Ma se da Roma gli scateneranno addosso l’artiglieria, se Renzi dovesse decidere di mollarlo, lui resisterà .
“Devi resistere. Questa è la sfida”, di un amministratore intento a fare la “rivoluzione”, spiega, “che tante volte non hai nemmeno il tempo di mangiare e torni a casa la sera e mastichi sangue amaro per quello che non sei riuscito a fare…”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 12th, 2015 Riccardo Fucile UNA PERDITA DI ALMENO 400-500 MILIONI CHE VERRA’ COPERTA DALLA CASSA DEPOSITI E PRESTITI, OVVERO DAI CONTRIBUENTI… 150 MILIONI IN MENO DEL PREVISTO DAI BIGLIETTI (6 MILIONI DI VISITATORI IN MENO)… E I TERRENI COMPRATI DAI PRIVATI PER DIECI VOLTE IL LORO VALORE ORA NON LI VUOLE NESSUNO
Il piano per il dopo-Expo col genoma, i Big Data, i ricercatori?
Al momento, sembra più che altro il piano per occultare i buchi di bilancio dell’evento: i conti, per ora, sono ancora segreti, ma secondo fonti contattate dal Fatto Quotidiano, si parla di uno sbilancio di gestione che oscilla tra i 400 e i 500 milioni di euro, al netto del costo dei terreni e di ulteriori extracosti.
Su questo, però, non è possibile avere un confronto pubblico: l’Esposizione milanese deve essere un successo, Giuseppe Sala — o, come dicevan tutti,“Beppe”- il salvatore della patria, Matteo Renzi il conquistatore di Milano.
Per ottenere questo risultato il governo sta predisponendo il decreto per il dopo-Expo (andrà in Consiglio dei ministri domani), utile soprattutto a buttare un po’ di polvere sotto il tappeto: oggi i vertici di Expo Spa (che ha gestito l’evento) e di Arexpo Spa saranno a Roma per discutere con l’esecutivo come tirarsi fuori dai casini.
Arriva Cdp, le promesse a Regione e Comune Il primo problema sono i terreni. Arexpo li ha comprati (a debito) dai privati a dieci volte il prezzo di mercato (Fondazione Fiera di Milano è il maggior venditore e pure socio di Arexpo).
A bilancio valgono 300 milioni, ma quando ha provato a venderli a 315 l’asta è andata deserta.
I soci — Regione, Comune e Fiera — cominciavano a preoccuparsi: gli era stato detto che i privati avrebbero fatto a gara per comprarseli e invece niente.
Roberto Maroni e Giuliano Pisapia non hanno i soldi per creare da soli il futuro Polo tecnologico, nè per valorizzare l’area e poi venderla.
Quasi tutte le infrastrutture del sito hanno collaudi scaduti al 31 ottobre: bisognerà rifare quasi tutto da capo, nonostante lo Stato abbia già speso 1,3 miliardi a fondo perduto per le opere.
Regione e Comune, però, sono state rassicurate da Palazzo Chigi.
I soldi li metterà Cassa depositi e prestiti, probabilmente rilevando le quote di Fondazione Fiera.
Il veicolo per fare tutto questo non è ancora chiaro e anche di questo si discuterà oggi: la soluzione più razionale (e veloce) sarebbe trasformare Arexpo — che doveva essere smantellata dopo l’Esposizione — in soggetto attuatore del piano per il “dopo” con relativa annessione di Expo Spa.
La tentazione del governo, però, è la creazione di una società ex novo in cui far confluire tanto Expo Spa che Arexpo.
Il vantaggio? Occultare il buco dell’Esposizione, cioè il conto che si scaricherà sui cittadini.
Soprattutto quello di Expo Spa, la società (di Tesoro, Regione e Comune) che ha gestito l’evento sotto l’illuminata guida di Giuseppe Sala: dei suoi conti ad oggi non si sa nulla, ma secondo fonti qualificate il bilancio di gestione fa segnare un rosso da mezzo miliardo.
Bonifiche, visitatori, bilanci e altri misteri
Per spiegarsi servono un po’ di numeri: la gestione dell’evento costa 840 milioni secondo Expo Spa, ma il conto sale a 960 milioni se, come segnala la Corte dei Conti, vengono correttamente riclassificate alcune poste di bilancio.
Nel business plan iniziale i ricavi da biglietti valevano 530 milioni (24 milioni di ticket a un prezzo medio di 22 euro). Sala, dopo i primi mesi un po’ negativi, ci ha ripensato: 380 milioni (19 euro medi per 20 milioni di biglietti).
Ora ci dicono che gli “ingressi” a Expo sono stati 21,5 milioni circa, cifra a cui si arriva contando pure i 14mila addetti al sito che entravano ogni giorno: i visitatori veri sono stati circa 19 milioni.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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