Novembre 19th, 2015 Riccardo Fucile ALL’AZIENDA DELLE FARMACIE IL PADRE DI UN ELETTO, ALL’AZIENDA INFORMATICA IL COMPAGNO DI UN’ALTRA, NEL CDA DI VERITAS LA COMPAGNA DI UN TERZO SOSTENITORE…E PER RILANCIARE MARGHERA UN DIPLOMATO DELLE MAGISTRALI, COORDINATORE DI FORZA ITALIA
Parentopoli in laguna?
Di certo la girandola di nomine nelle società partecipate dal Comune di Venezia ha fornito bel po’ di argomenti alle opposizioni in consiglio comunale che non si sono lasciate sfuggire l’occasione.
Come amministratore unico di Ames, l’azienda che si occupa delle farmacie e della ristorazione scolastica, la giunta del sindaco di centrodestra Luigi Brugnaro ha nominato Gabriele Senno, padre del consigliere comunale Matteo Senno, della Lista Brugnaro.
“Parliamo di una società che ha 377 dipendenti, è pesantemente indebitata (7,7 milioni di euro a fine 2014), nonostante la gestione delle 16 farmacie comunali, e che eroga servizi di refezione scolastica non all’altezza spesso delle aspettative degli utenti — ha commentato Davide Scano, consigliere comunale dei 5 Stelle — e il signor Gabriele Senno tuttavia non ha alcuna specifica competenza o esperienza nelle materie che sono il core business aziendale”.
La consigliera comunale del Pd Monica Sambo denuncia poi in un comunicato che presidente del collegio sindacale di Venis spa, società che si occupa di informatica e telecomunicazioni, è stato nominato Stefano Burighel, compagno della consigliera comunale di maggioranza Giorgia Pea.
Anche la compagna di un altro consigliere comunale, Luca Battistella, sempre della Lista Brugnaro, è stata nominata nel consiglio di amministrazione di Veritas, società che si occupa di rifiuti.
Le denunce delle opposizioni guardano anche ai rapporti di lavoro: come quello che riguarda Paolo Bettio, nominato amministratore unico di Venis, e che, secondo la denuncia del 5 Stelle Scano, “riveste anche un ruolo di primo piano in Attiva spa, una delle venti società del gruppo industriale Umana Holding che fa capo proprio a Luigi Brugnaro ed legato al sindaco da un rapporto di lavoro”.
“E’ evidente — scrive Scano nella sua interrogazione — che Bettio si trova in una situazione di conflitto d’interessi per la sua doppia attività , conflitto rimarcato pure dal fatto che la società Attiva S.p.A. è fornitrice di beni e servizi a Ve.La. spa, altra società partecipata dal Comune e che, in un’ottica di riorganizzazione, potrebbe acquisire invece da Venis certi servizi”.
E ancora Nicola Picco, nominato nel cda di Avm Spa (mobilità ) risulta collaborare nello studio di architettura del già citato Battistella, che è anche delegato all’Innovazione.
Le nomine al Vega, società per l’innovazione tecnologica in pesante sofferenza economica hanno in particolare attirato l’interesse dei 5 stelle veneziani.
Tommaso Santini, rinominato come consigliere delegato nella società Vega è anche dirigente del ramo di Condotte che si occupa di investimenti immobiliari.
“Condotte ha interessi immobiliari — sottolinea Scano — in alcune aree attigue a dove sorge il monumentale complesso del Vega, ed in particolare sta portando a compimento un progetto immobiliare chiamato ‘Expo Gate 2015′: sono previsti infatti dei grattacieli fino a 36 piani con funzioni direzionale, commerciale e ricettivo”. L’interesse di Condotte per l’edificazione nei terreni attigui al Vega cozza con la necessità della società di ripianare velocemente il “buco” di circa 15 milioni di euro con la vendita di buona parte degli immobili di sua proprietà .
E’ stato il curriculum di Roberto Ferrara, nominato alla presidenza del Vega, ad attirare le critiche dei grillini.
“Risulta essere in possesso di un mero diploma di scuola magistrale e svolgere l’attività di agente di commercio di prodotti alimentari, mestiere certamente dignitoso ma di ben scarso rilievo per il rilancio di una società che dovrebbe a sua volta, con le proprie azioni, perseguire l’impegnativo compito di rilanciare l’area post-industriale di Porto Marghera”.
“Un osservatore in malafede — prosegue la nota dei grillini veneziani — potrebbe essere indotto a credere che la scelta sia dipesa dall’attività politica del candidato prescelto: coordinatore locale di Forza Italia e il primo dei non eletti nella lista di Forza Italia.
«Selezionare i consigli di amministrazione delle società partecipate e gli organismi dirigenti delle aziende speciali attraverso procedure trasparenti, simili ai concorsi pubblici, ovvero con valutazione dei curricula pubblicati on-line e con audizioni pubbliche dei candidati, escludendo, per serietà , persone che hanno gravitato nell’ambito politico negli ultimi 20 anni».
E’ l’impegno sottoscritto dal sindaco l’11 giugno scorso, su proposta dello stesso Movimento 5 stelle, durante la campagna elettorale.
Gianni Belloni
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 19th, 2015 Riccardo Fucile IRAQ, NIGERIA E AFGHANISTAN I PAESI PIU’ COLPITI…SOLO IL 2,62% DELLE VITTIME IN OCCIDENTE
Oltre 13mila attentati, 32mila morti e 67 Paesi colpiti. 
E’ la lunga scia di sangue del terrorismo globale, che ha raggiunto livelli record dalla caduta delle Torri Gemelle.
Nonostante gli investimenti senza precedenti (53 miliardi in tutto il mondo), gli attacchi sono aumentati dell’80%. Lo certifica il Global terrorism index.
Il 78% delle vittime si concentra in 5 Paesi: Iraq, Nigeria, Afghanistan, Pakistan e Siria. L’attentato più sanguinoso è avvenuto a Badush, in Iraq, nel giugno del 2014: 670 persone uccise.
Malgrado l’impatto mediatico, il numero di morti in Occidente è solo il 2,6% del totale.
Il 70% di questi attacchi è portato a termine da “lupi solitari”.
Boko Haram è l’organizzazione terroristica più spietata. Nel macabro conteggio globale ha causato 6.644 morti, superando anche l’Isis (6.073 morti).
Poi i talebani (3.477 vittime). A seguire i pastori Fulani (1.229 vittime tra Nigeria e Repubblica Centrafricana) e Al-Shabaab (1.021 morti in Gibuti, Etiopia, Kenya e Somalia).
L’“inferno” è in Medio Oriente: Iraq, Nigeria, Afghanistan, Pakistan e Siria sono gli stati più pericolosi. Seguono poi Somalia e Ucraina.
Nella classifica dei Paesi a “impatto terrorismo zero” c’è tanta America Latina: Costa Rica, Cuba, El Salvador, Guyana, Panama e Uruguay.
Fra i Paesi più sicuri in assoluto, fra gli altri, ci sono anche Giappone, Sud Corea, Vietnam, Lituania, Lettonia, Polonia e Finlandia.
Filippo Femia e Ugo Leo
(da “La Stampa“)
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Novembre 19th, 2015 Riccardo Fucile L’ESTRAZIONE E LA VENDITA DELL’ORO NERO FINANZIA IL CALIFFATO: 40.000 BARILI AL GIORNO FRUTTANO 500 MILIONI L’ANNO
Il greggio, ma anche il traffico di reperti archeologi e di schiave e i riscatti degli ostaggi: sono le fonti di ricchezza e consenso.
Per questo Obama e Putin cercano di mettere in crisi un ingranaggio cruciale del sistema di potere nelle zone di Siria e Iraq controllate da Daesh
Se è guerra, lo Stato Islamico va colpito dove fa più male. Cioè nella cassa. Dunque, bombe sulla benzina dei jihadisti.
Da domenica, il comando strategico Usa ha alzato il livello della campagna aerea contro il Califfato, allargando i bombardamenti dalle infrastrutture petrolifere alle autobotti che lo distribuiscono, colpite oggi dai caccia russi.
Una scommessa politicamente e psicologicamente azzardata, che ha l’obiettivo di svuotare il più potente canale di finanziamento del regime di Al Baghdadi, ma che può avere conseguenze non immediatamente prevedibili sulla popolazione delle aree occupate.
Il bollettino ufficiale parla di 116 camion distrutti, una cifra cospicua, anche se non decisiva per quello che è il pilastro del sistema petrolifero del Califfato.
Più importante, probabilmente, per sconvolgere il business dei jihadisti, è l’aspetto psicologico: l’annuncio che l’impunità è finita e qualsiasi camion fermo ai giacimenti o diretto alle raffinerie può essere attaccato.
Il petrolio è stato, fin dall’inizio, l’elemento fondamentale per far funzionare il Califfato, dando ad Al Baghdadi e ai suoi uomini una fonte indipendente di finanziamento della loro amministrazione.
Non è l’unica fonte di soldi. Il tesoro principale dei jihadisti è quello che hanno trovato nelle banche di Mosul e degli altri territori occupati.
L’intelligence americana valuta i fondi nelle casseforti delle banche fra 500 milioni e un miliardo di dollari.
Poi ci sono gli introiti del traffico di schiave, di reperti archeologici e di ostaggi.
Più i finanziamenti diretti in arrivo dai paesi del Golfo, valutati circa 40 milioni di dollari. Ma solo il petrolio assicura un flusso costante e sempre nuovo di soldi.
Deir al-Zour, la regione petrolifera dell’Est siriano ai confini dell’Iraq, ha una potenzialità produttiva di 400 mila barili di greggio al giorno, mentre altri 100 mila barili potevano arrivare dal nord iracheno, nell’area di Mosul, presto occupato dagli uomini di Al Baghdadi. Briciole, rispetto ai migliori giacimenti iracheni, quelli nell’area di Bassora, nel sud, ad esempio, capaci di pompare milioni di barili. Ma i jihadisti non avevano bisogno di pensare in grande.
Del resto, non avrebbero mai avuto le capacità tecniche per estrarre mezzo milione di barili. All’inizio, sono probabilmente riusciti a pompare fino a 50 mila barili al giorno in Siria, soprattutto dai due campi più importanti, al Tanak e al Omar e, al massimo, altri 30 mila in Iraq.
Buona parte di questo greggio veniva avviato, con mezzi di fortuna, asini compresi, verso la Turchia, al terminale petrolifero di Ceyhan, dove veniva mischiato con il greggio proveniente da fonti legittime.
E’ quanto ha fatto per anni il regime di Saddam. Con un prezzo di mercato di 100 dollari a barile, i jihadisti potevano spuntare 40 dollari per il loro greggio, sul mercato nero. Nei momenti migliori, il traffico clandestino ha, probabilmente, portato nelle casse del Califfato fino a 3 milioni di dollari al giorno.
Poi, l’implosione del mercato del petrolio e la guerra hanno ridimensionato queste cifre. Con il crollo del prezzo del barile a poco più di 40 dollari, il greggio jihadista difficilmente può spuntare più di 10-20 dollari sul mercato nero.
Contemporaneamente, i bombardamenti americani e le difficoltà di manutenzione hanno severamente intaccato le potenzialità produttive.
Gli esperti valutano che la produzione del Califfato si aggiri oggi sui 40 mila barili, il grosso di origine siriana. E che il canale delle esportazioni si sia fortemente ridotto. Ma, nelle peculiari condizioni politico-militari di quell’area della Mesopotamia, questo ha un’importanza relativa.
Di fatto, l’Is può vendere il suo greggio, in condizioni di monopolio, nella regione che controlla, ma anche ai suoi nemici: il regime di Assad, i ribelli anti-Assad della Siria del nord, financo i curdi a est di Mosul.
Essendo il petrolio più disponibile, spesso l’unico, nella regione, il prezzo può essere fuori mercato: fino a 40 dollari a barile – appena sotto il prezzo dei mercati internazionali – per il greggio migliore di al Tanak e al Omar.
Gli esperti calcolano che questo flusso porti oggi l’equivalente di un milione, un milione e mezzo di dollari al giorno nelle casse del Califfato. In prospettiva, un tesoro di 4-500 milioni di dollari l’anno. Il comando Usa spera ora di ridurre rapidamente questo tesoro ad un quarto, da 40 a 10 milioni di dollari al mese.
L’Is gestisce, però, solo in parte il traffico. I jihadisti hanno il controllo diretto dei giacimenti e quello, diretto o indiretto, di alcune delle maggiori raffinerie.
Ma il trasporto del greggio verso queste raffinerie e le molte piccole e piccolissime, quasi casalinghe, è assicurato da centinaia di operatori indipendenti.
Chi ha potuto girare nelle aree controllate dall’Is dice che, fuori dai giacimenti, ci sono code fino a 6 chilometri di camion che aspettano di poter riempire le loro cisterne. Bombardandole, gli americani mettono in crisi un ingranaggio cruciale del sistema di potere del Califfato e dei suoi rapporti con la popolazione civile.
Gli studiosi sottolineano che lo Stato Islamico, quando vuole impadronirsi di un’area, usa una tecnica precisa: distrugge le strutture e le istituzioni preesistenti, crea il caos, per presentarsi, poi, come garanzia di ordine e sicurezza, quando la vittoria militare è arrivata. In questo modo si guadagna una qualche forma di consenso nella popolazione. Sconvolgere i rifornimenti di benzina, in un’area in cui quasi tutto funziona con generatori a petrolio, significa, dunque, far saltare il tassello cruciale del nuovo ordine. Quasi una forma di assedio che punta a far traballare il consenso dei jihadisti, nel momento in cui il regime incontra le prime difficoltà .
Esperti come Olivier Roy sottolineano, infatti, che l’Is ha praticamente esaurito lo spazio di espansione territoriale.
Inoltre, sta, probabilmente, finendo di svuotare le casse delle banche e vede restringersi sempre più gli incassi facili del petrolio.
Maurizio Ricci
(da “La Repubblica”)
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Novembre 19th, 2015 Riccardo Fucile SABATO 21 NOVEMBRE MANIFESTAZIONE NAZIONALE PER DIRE NO AL RADICALISMO CHE TRADISCE IL MESSAGGIO DELL’ISLAM”… ADESIONE DI NUMEROSI PARTITI
Anche la comunità musulmana in Italia è chiamata a dare un segno collettivo e popolare di
condanna, senza se e senza ma, dei nuovi attentati di Parigi e della strategia del terrore con cui lo Stato Islamico vorrebbe paralizzare la vita quotidiana degli europei.
In Francia, il Consiglio nazionale del culto musulmano diffonderà domani, nel venerdì di preghiera, un “testo solenne” di condanna “senza ambiguità ” di “tutte le forme di violenza o di terrorismo”.
Sarà letto in tutte le circa 2.500 moschee del Paese (con l’eccezione della Grande Moschea di Parigi, dove il raduno è stato annullato in queste ore per ragioni di sicurezza) per proclamare “attaccamento assoluto al patto repubblicano che ci unisce tutti e ai valori fondanti della Francia”.
In Italia l’appuntamento è per il giorno dopo, sabato 21 novembre a Roma.
Dove, alle ore 15 in piazza Santi Apostoli, i musulmani sono chiamati a partecipare una manifestazione di valore nazionale, intitolata Not In My Name e nata dal coordinamento sostenuto dalla Coreis italiana (COmunità REligione ISlamica) a livello regionale e interculturale fra musulmani italiani, marocchini, pakistani, senegalesi e turchi.
La manifestazione è preceduta da una nota, che riprende il richiamo all’appartenenza del testo francese: “Noi musulmani d’Italia condanniamo con forza la recente strage di Parigi, esprimendo il più profondo sentimento di vicinanza al popolo francese e a tutti i familiari delle vittime così barbaramente uccise. Intendiamo perciò lanciare un appello che sappia indicare una solida svolta nei rapporti con la società civile e lo Stato italiano di cui siamo e ci riteniamo parte integrante. Invitiamo quindi tutte le musulmane e i musulmani a una mobilitazione che, isolando ogni pur minima forma di radicalismo, protegga in particolare le giovani generazioni dalle conseguenze di una predicazione di odio e violenza in nome della religione. Questo cancro offende e tradisce il messaggio autentico dell’Islam, una fede che viviamo e interpretiamo quale via di dialogo e convivenza pacifica, insieme a tutti i nostri concittadini senza alcuna distinzione di credo. Questa pericolosa deriva violenta rappresenta oggi il pericolo più feroce per il comune futuro nella nostra società “.
L’appello raccoglie adesioni di ora in ora, non solo tra le componenti della comunità islamica.
Saranno in piazza tra gli altri Abdellah Redouane, del Centro Islamico Culturale d’Italia Moschea di Roma, Zidane el-Amrani Alaoui, responsabile della Confederazione Islamica Italiana, musulmani dal Marocco, Izzedin Elzir, presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia, l’imam Yahya Pallavicini, vicepresidente Coreis, Omar Camiletti, del tavolo interreligioso di Roma, Khaled Abdalat e Ahmad al Hygazi dell’Unione Medici Arabi, l’imam Abd al-Razzaq Bergia, del Coreis Piemonte. E ancora il sociologo Ali Baba Faye, il teologo della comunità sciita d’Italia Hujjatulislam Abbas Di Palma, l’amministratore delegato di Halal Italia Hamid Abd al-Qadir Distefano.
Giunge l’adesione della Comunità del mondo arabo in Italia (Co-mai), con il suo presidente, Foad Aodi, che ribadisce: “Dobbiamo essere uniti contro il terrorismo e la violenza feroce che si abbatte sui civili di tutte le religioni, senza distinzioni”.
Dalla politica, il sostegno di molti deputati del Pd, a cominciare dal presidente della Commissione parlamentare diritti Luigi Manconi e dal deputato Khalid Chaouki, uno dei riferimenti dell’iniziativa, da cui è partito anche l’invito a partecipare rivolto personalmente al segretario della Lega Nord Matteo Salvini.
Da altri schieramenti, si segnala il plauso a Chaouki da Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia, con reciproco scambio di tweet.
In piazza sabato potrebbero esserci anche esponenti di primo piano del governo.
A quanto si apprende, sono avviati contatti, l’ipotesi è che una delegazione di Not In My Name possa incontrare il premier Renzi o il ministro dell’Interno Alfano.
Ma gli organizzatori non escludono la presenza a sorpresa in piazza dei ministri o dello stesso presidente del Consiglio.
Ci saranno anche intellettuali, registi, attori, docenti universitari e giornalisti. Aderiscono, tra gli altri, Ermanno Olmi, Pierfrancesco Fiorato, Ascanio Celestini, Paolo Virzì, Emiliano Torre, Paolo Rossi, Milly Bossi Moratti, Gloria Ghetti, Carmelo Cantone, Massimo Magrelli, Gad Lerner, Lorenzo Fanoli, Fabio Furlanetto, Leda Petrone, Bruno Fusciardi, Nora Barbieri.
Ma non c’è solo Roma. Il messaggio sta oltrepassando i confini della Capitale.
A Milano la comunità islamica reagisce alle criminalizzazioni e il Coordinamento delle Associazioni Islamiche di Milano, Monza e Brianza (Caim), Partecipazione e Spiritualità Musulmana e Giovani Musulmani d’Italia lanciano per sabato una manifestazione da tenere in concomitanza con quella nazionale, alle ore 15 in piazza San Babila.
Per dire “no al terrorismo e alle guerre” ma anche “all’Islamofobia” e chiedere per i musulmani il riconoscimento di una cittadinanza “a pieno titolo”, colmando “lacune” nel diritto alla libertà di culto: “Abbiamo bisogno di moschee riconosciute e dignitose, di essere sostenuti nel lavoro quotidiano contro l’estremismo”.
Di Not In My Name intanto si discute oggi, sempre a Milano, a Palazzo Reale nell’ambito del forum “Libertà religiosa, educazione, sicurezza e sviluppo”, dove oltre 30 realtà religiose, istituzionali e accademiche, ebraiche, cristiane e musulmane, si scambiano opinioni e contributi con lo scopo di favorire la creazione di una Consulta cittadina che possa diventare un osservatorio permanente, un coordinamento informale, una piattaforma di sensibilizzazione per le istituzioni e i media.
E’ previsto per oggi pomeriggio un corteo per le strade del centro di Lucca.
Ieri a San Giovanni Valdarno (Arezzo), zona dove è molto alta la presenza di immigrati di religione islamica, si sono raccolte quasi cinquemila persone, oltre ai capi delle varie comunità , dal rabbino all’imam al vescovo.
A Colle Val d’Elsa, in provincia di Siena, un corteo è partito dalla moschea per arrivare al duomo. A Massa (Massa Carrara), venerdì, il confronto “senza veli” in moschea tra i giovani del Pd e i coetanei musulmani, “per costruire una relazione che al momento non c’è”, spiega la parlamentare dem Martina Nardi.
L’imam Youssef Sbai ai giovani parlerà di Not In My Name, a cui interverrà personalmente.
Il Coordinamento delle associazioni islamiche di Parma e Provincia promuove un importante momento di confronto invitando tutta la cittadinanza venerdì 20 novembre al centro culturale islamico di via Campanini a Parma, in occasione del sermone settimane dell’imam, che sarà in arabo e in italiano.
“Vogliamo far capire alle persone ciò che centinaia e centinaia di musulmani sentono – spiega il presidente della Comunità islamica locale Soufiane Lamzari – non abbiamo niente da nascondere, è da anni che ci dissociamo da questi assassini. La comunità musulmana li combatte in prima linea”.
Significativo quanto accaduto ieri al carcere “Dozza” di Bologna, durante il corso “Diritti Doveri Solidarietà – La Costituzione italiana in dialogo con il patrimonio culturale arabo-islamico”, promossa all’interno della struttura dall’Assemblea legislativa regionale insieme al Centro per l’Istruzione degli adulti metropolitano.
Tra gli oltre cento detenuti di fede musulmana presenti, in molti hanno voluto prendere la parola per esprimere la loro “netta presa di distanza dai fatti criminali commessi in nome della religione, come quelli recenti di Parigi”.
Venerdì a Palermo, dalle 17,30 alle 19, la Federazione islamica che rappresenta le dieci moschee della città scenderà in piazza Politeama per dissociarsi dalla violenza dell’Is e mandare un messaggio di pace, come annunciato da Mustafà Boulaalam, imam della moschea sunnita di piazza Gran Cancelliere: “La manifestazione è aperta a tutti, anche ai cristiani e alle associazioni laiche. Alcuni fedeli hanno paura, non tanto gli adulti ma i più giovani, gli studenti e i lavoratori. Il mio obiettivo è far passare questo messaggio: non avere paura ed essere presenti”.
In piazza Politeama ci saranno anche Cgil, Cisl e Uil.
Domenica ad Albenga, provincia di Savona, alle 10:30 scende in piazza contro il terrorismo la Comunità musulmana locale con la collaborazione dell’Associazione mamme musulmane e il patrocinio delle comunità musulmane liguri.
C’è poi la testimonianza resa ieri a RadioNorba dall’imam di Lecce, Saifeddine Maaroufi: “Dopo i fatti di Parigi volevamo fare una manifestazione di massa in strada, ma abbiamo preferito rinviare: nel vedere un gruppo di musulmani, le persone avrebbero potuto avere reazioni inattese. Stamattina (ieri, ndr) molti di noi, sul lavoro o per strada, hanno fatto una foto con la scritta: sono musulmano e non sono un terrorista. Eravamo una cinquantina, ma solo perchè era una giornata lavorativa”. Sulla manifestazione nazionale, l’imam di Lecce dice: “Le persone si aspettano questa reazione da parte dei musulmani, una voce unica e inequivocabile di condanna del terrorismo. Perchè quello che sta accadendo non rispecchia affatto lo spirito e la fede islamica”.
(da “la Repubblica”)
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Novembre 19th, 2015 Riccardo Fucile LA DERIVA ISLAMOFOBA ROMPE IL PATTO FASCIO-LEGHISTA..E ANCHE I PUTINIANI PRENDONO LE DISTANZE
“I jihadisti sono rappresentativi dell’Islam quanto il Ku Klux Klan è rappresentativo della cristianità ” diceva Alain de Benoist ai tempi dell’assalto a Charlie Hebdo.
Fu probabilmente il primo atto del divorzio tra la destra profonda e il salvinismo che oggi, davanti alla strage di Parigi, si consuma in modo definitivo.
Sono i due principali riferimenti intellettuali della destra sovranista, Pietrangelo Buttafuoco e Franco Cardini, a far emergere uno strappo senza riparo con le scelte islamofobe di Salvini e del neo-centrodestra nato sulla piazza di Bologna.
Buttafuoco denuncia il “sabba degli sciacalli” e punta l’indice contro «la destra che ci tocca in sorte, figlia della stagione di George W. Bush».
«Come Piscicelli rideva al caldo delle lenzuola all’idea di fare affari dopo il terremoto a L’Aquila — scrive — così la destra da Bar Sport, davanti alle stragi islamiste, si sente sciogliere l’acquolina in bocca” perchè “pensa solo al pallottoliere elettorale».
Cardini, in un articolo molto politico, sanziona chi sta tentando di criminalizzare l’intero mondo islamico, contesta la tesi dello scontro di civiltà , ricorda che la stragrande maggioranza dei musulmani di tutto il mondo è «concettualmente parlando la prima vittima, in quanto le azioni criminali dell’Is si riflettono in termini di sospetto e di ostilità da parte dei non-musulmani proprio su di loro».
Sono posizioni inconciliabili con il salvinismo, alle quali corrisponde il ritrarsi dal fronte fascioleghista (per usare un neologismo pessimo ma efficace) delle frange più politiche della destra radicale italiana.
«Salvini è scivolato su posizioni neocon rovinando un anno di lavoro di molti», scrivono delusi i fan del nuovo corso su Fb.
La goccia che fa traboccare il vaso è la ridicola proposta di una legge che introduca l’obbligo di solidarizzare “senza se e senza ma” con le vittime del terrorismo, sfoderata nella trasmissione “La Gabbia” dall’accoppiata del momento, Salvini e Santanchè.
Tramonta a destra, insomma, l’illusione di contaminare il salvinismo facendone qualcosa di più e di meglio di un atteggiamento muscolare verso il mondo.
E si svela anche la superficialità dell’adesione leghista al “modello Putin”.
Il Putin che piace alla destra profonda è quello che respinge la visione teocon dello scontro di civiltà , capace di bombardare i covi terroristi ma anche di inaugurare negli stessi giorni, senza imbarazzi, a piedi scalzi, la nuova e bellissima moschea di Mosca.
Il Putin che piace a Salvini è una caricaturale versione russa di Bush senjor, bombe contro l’Islam e buoni affari per i piccoli esportatori del Nord-Est.
Ed è qui, nella ribadita adesione del salvinismo al vecchio modello dell’identità occidentale transatlantica, dello scontro di civiltà , della cosiddetta esportazione della democrazia, che va cercata la vera faglia del divorzio tra destra profonda e salvinismo.
La Lega che parla di diritto dei popoli in Padania è incapace di estendere questa visione alle identità specifiche di altri popoli e di altre culture nazionali.
Difende il titolo di “Libero” sui «Bastardi islamici» perchè nella guerra all’Isis non vede lo scontro tra l’Europa e uno stato terrorista e illegittimo ma l’opportunità di riaprire la guerra dell’Occidente all’Islam promossa dalla predicazione dei vecchi conservatori americani (coi risultati che sappiamo).
Su questo terreno la destra profonda non può più seguire Salvini, ed è per questo che si rompe il patto fascioleghista.
Resteranno a fianco dell’altro Matteo le truppe opportunistiche in cerca di seggi che di queste cose se ne fregano.
Per il resto, credo che l’adieu sia definitivo.
Flavia Perina
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Novembre 19th, 2015 Riccardo Fucile CON LA PREGHIERA SI LEGGERA’ UN TESTO DI ADESIONE ALLA COSTITUZIONE: UNO SCHIAFFO ALL’ISIS E AI LORO FIANCHEGGIATORI XENOFOBI
Lo chiamano Abdullah. Ha 40 anni, ed è studente dell’università islamica. 
Ieri mattina quando la polizia ancora teneva sotto assedio il quartiere dove vive e studia da Imam da quasi due anni; quando i suoi amici raccoglievano nelle case i cocci delle esplosioni della notte e i bambini dei palazzi vicini, come per esempio i figli di Gregory, cominciavano ad affacciarsi nel cortile, increduli di questo giorno di scuola saltato.
Mentre tutte le televisioni del mondo avevano gli obiettivi aperti su di loro, in quel momento Abdullah si è messo in un angolo.
E ha cominciato a pregare. Con il Corano stretto tra le mani. “Allah non avrebbe voluto nulla di tutto questo. Allah non perdonerà nulla di tutto questo”, spiega, affannandosi a tratti anche in un italiano dignitoso, “sono stato nel vostro paese per quasi due anni spiega”.
Perchè prega? “Non potrei fare nient’altro. Solo a Dio possiamo affidarci per trovare una spiegazione a quello che sta succedendo. Questi ragazzi”, lo dice e indica la strada dove si è fatta esplodere stamane Hasna Autboulahcen insieme con una persona, o forse con due, “hanno ucciso o comunque volevano uccidere degli innocenti, uomini e donne che non avevano alcuna responsabilità . Non ci può essere alcun Dio che voglia che qualcuno muoia per niente”.
Eppure, dicono, che lo fanno proprio in nome del libro che Abdullah tiene stretto per le mani. “Ci sono tre motivi che possono aver spinto quelle persone a fare quell’immonda carneficina. Il primo è che sono matti. Il secondo è che sono nervosi, esasperati, arrabbiati per quello che sta accadendo in Medioriente dove vivono parenti, amici. E dove continuano ad arrivare bombe che uccidono civili. Il terzo è che qualcuno li paga per quello che hanno fatto. In nessuna delle tre soluzioni, come vedete, c’entra la religione”.
Per questo Abdullah domani sarà per strada, a Parigi, nella grande manifestazione che la Grande Moschea di Parigi, la Gmp, ha organizzato alle 14: “Siamo tutti a Parigi!” è il motto, appeso da ieri sulle porte di tutte le moschee della città .
L’obiettivo è far promettere a tutti i musulmani fedeltà a tutti i valori repubblicani.
“La mobilitazione e la raccolta dei cittadini sono una necessità e la migliore risposta a chi vuole infondere il veleno della discordia e del sospetto nella comunità ” spiega Dalil Boubaker, il rettore della Grande moschea.
Che avrà al suo fianco il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo.
“Chiediamo – ha detto Boubaker – a tutti i cittadini musulmani e ai loro amici di venire domani per la grande preghiera per dimostrare il loro profondo attaccamento a Parigi e alla Repubblica, davanti alla grande Moschea “, che è il simbolo dell’Islam in Francia.
Non a caso è intervenuto anche il Consiglio francese del culto musulmano (Cfcm), l’organo di rappresentazione di le 2.500 moschee del paese che ha invitato, per voce del suo presidente, Anwar Kbibech, “tutti i musulmani a pregare per la Francia”.
“Di fronte all’orrore e l’indignazione suscitata dalla barbarie sanguinaria che ha colpito il paese – ha detto l’imam Boubaker – l’unica risposta è andare in piazza “.
E così come accadde dopo la strage di Charlie Hedbo, è attesa una grande mobilitazione da parte dei fedeli: alla mosche dell’XI arrondisment, a pochi passi dal teatro Bataclan, una di quelle considerate dal governo francese come potenzialmente pericolosa perchè recentemente frequentata da elementi radicali, ieri sera già organizzavano gli striscioni da portare alla manifestazione.
Anche perchè in questo frullatore di storie, lutti, emozioni, capita che accadano anche delle cose incredibilmente belle.
Clementine e Anais, le sorelle di Guillaume Le Dramp, una delle vittime, hanno deciso di incontrare la comunità musulmana di Cherbourg, la loro città di provenienza.
“Siete francesi come noi. Ed è giusto che siamo qui, ora, a piangere Guillaume con voi. Vogliamo dimostrare alla gente che noi familiari delle vittime, siamo qui con voi, perchè vogliamo l’integrazione. Nostro fratello aveva tanti amici di diverse nazionalità e religioni. Molti dei nostri amici sono musulmani. E ora stanno soffrendo con noi”.
Giuliano Foschini
(da “La Repubblica”)
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Novembre 19th, 2015 Riccardo Fucile “IL LEADER DEL M5S E’ IL MOVIMENTO STESSO, NON SONO IMPORTANTI I NOMI, MA I PROGRAMMI E LA PARTECIPAZIONE”
Il nuovo simbolo, con la scomparsa del nome di Beppe Grillo, «è un pit-stop. Noi abbiamo fatto il cambio gomme, gli altri resteranno presto senza benzina».
Quel che sta accadendo con il terrorismo è il «ritorno degli imperi centrali. Abbiamo preteso di tracciare i confini con il righello e ora la storia ci presenta il conto».
In Vaticano «è in corso la notte dei lunghi coltelli». Tra cinque anni si vede a «trascorrere più tempo in famiglia e a curare un bosco abbandonato».
Si dice soddisfatto del sistema di scelta dei candidati alle amministrative, e alla richiesta di un pronostico risponde «miglioreremo ovunque il risultato».
Il capo futuro del Movimento? Nè Di Maio nè Di Battista, perchè «il leader del Movimento Cinque Stelle è il M5S stesso».
Gianroberto Casaleggio è più Casaleggio che mai. Cita Gaber, alla domanda come sta? risponde con decisione «Bene», conferma la sua fede nella rete.
Se Grillo sceglie di fare un passo indietro dalla prima linea mediatica del Movimento, lui ne fa uno avanti, confermando di essere il regista della vita della formazione politica.
Se fossimo al tavolo del casinò (situazione che non gradirebbe), sarebbe il banco. Un banco che dà le carte con le lunghe pause che conosciamo, ma dirige il gioco, e vuol controllare anche la punteggiatura. Tanto che il nostro colloquio – giunto come sempre al termine di lunghe trattative e avvenuto in parte al telefono, in parte per iscritto – inizia con lui che fa le domande all’intervistatore: «Che gliene pare del nuovo logo?».
“E’ normale che se un movimento vuole pensare al lungo periodo si affranchi dal fondatore, no?
Sì, altrimenti si rischia di non sopravvivere. Guardi cosa è successo a Berlusconi».
Perchè questa mossa adesso?
«Sarebbe potuta capitare fra tre mesi. Era nelle cose. Abbiamo fatto un pit-stop per il cambio gomme, mentre gli altri presto rimarranno senza benzina».
Come funziona operativamente il lavoro con Beppe Grillo?
«Ci sentiamo spesso e ci vediamo qualche volta durante il mese, a Milano o a Genova. Non c’è un metodo, se non quello di condividere le idee e quando necessario prendere delle decisioni».
Una volta Bruce Sterling paragonò Beppe Grillo a Garibaldi e lei a Mazzini. Poi aggiunse che il problema del M5S era di non avere un Cavour in parlamento o pronto a governare. Potrebbero essere Luigi Di Maio o Alessandro Di Battista?
«Sterling faceva riferimento a un’altra epoca storica, i suoi accostamenti possono essere interessanti, ma nel M5S non esistono nè Garibaldi, nè Mazzini, nè tantomeno un Cavour. Il leader del M5S è il M5S stesso, non sono importanti i nomi, ma i programmi e la partecipazione. Non è una partita di tennis o di calcio in cui si vince o si perde. Come cantava Gaber Libertà è partecipazione. Il nostro obiettivo è la partecipazione diretta dei cittadini alla cosa pubblica, la democrazia diretta senza leader».
In primavera si vota in alcune città chiave, tra le quali Milano, Roma, Torino, Napoli, Bologna. Dove avete la possibilità di vincere?
«Il mio pronostico è che miglioreremo ovunque il risultato delle precedenti elezioni comunali. Cercheremo di arrivare comunque al ballottaggio e vincere. Sono già state fatte ottime scelte come Chiara Appendino a Torino, Patrizia Bedori a Milano e Massimo Bugani a Bologna. In futuro verrà votato online il candidato sindaco di Roma. Nel 2016 andranno al voto 1283 comuni grandi e piccoli, il Movimento 5 Stelle cercherà di essere presente in ogni comune con una lista».
Appendino è una scelta eccentrica rispetto ad altri vostri profili, no?
«Il Movimento non è fatto solo di persone alternative, è un mito da sfatare. Appendino ha un’estrazione che un tempo si sarebbe detta borghese, ha studiato in Bocconi, ha mostrato di sapere lavorare in azienda. Farà bene».
Pensa ancora che la Rete sia uno strumento efficace per selezionare i candidati?
«Certo, non ho mai cambiato idea. Penso alla Rete come a un’intelligenza collettiva. Oggi sono iscritte al Movimento 5 Stelle circa 130mila persone, in continua crescita. Finora ci sono stati percentualmente pochi casi di candidati, sui 1600 eletti nelle istituzioni, rivelatisi inadatti in seguito alle votazioni on line».
E per decidere le priorità dell’agenda politica?
«Vale lo stesso discorso fatto per i candidati, se possibile rafforzato. I cittadini devono scegliere priorità e metodi di intervento. Non possono essere calati dall’alto dal politico di turno».
Che fine ha fatto Rousseau, il sistema operativo digitale per la gestione del movimento?
«È in ritardo, lo so, ma in arrivo».
Dove si vede tra cinque anni? Ancora alla testa del Movimento (anche se lei preferisce definirsi garante), oppure a dedicare il suo tempo ad altro?
«I miei interessi principali sono la Rete e i cambiamenti che può portare nella realtà quotidiana. Tra cinque anni, come ora, mi occuperò di questo, anche in termini professionali come consulente per le organizzazioni. Passerò più tempo con la mia famiglia e i miei amici. Potrò anche curare un piccolo bosco abbandonato che ho comprato negli anni in Canavese».
Supponiamo le concedano un superpotere per risolvere il problema più urgente di questo Paese. Che farebbe?
«Darei agli italiani la consapevolezza di essere cittadini e di decidere in prima persona della loro vita senza delegare ad altri».
Come si affronta il terrorismo?
«Come abbiamo detto in parlamento. Più spesa per l’intelligence, no agli affari con i paesi collusi come l’Arabia Saudita, no alla possibilità per l’Isis di continuare a vendere il petrolio, con un ricavo annuo di 500 milioni».
Allargando la visuale, secondo lei cosa sta accadendo?
«È il ritorno degli imperi centrali: allora la Germania, oggi l’Europa; l’impero Ottomano, la Russia. Cambiano le alleanze ma il punto vero è che in Medio Oriente abbiamo tracciato i confini con il righello. E ora la storia ci presenta il conto».
Il tema delle migrazioni è un’emergenza globale. Come lo affronterebbe?
«Le migrazioni sono un effetto. Bisogna eliminare le cause. Quindi le guerre, la spoliazione delle materie prime e dello stesso territorio dei Paesi da cui arrivano, bloccare la vendita di armi e incentivare gli investimenti nei Paesi coinvolti. Per i migranti vanno poi accelerate le procedure di riconoscimento, che superano spesso i due anni. Ci dovrebbe essere il riconoscimento dell’asilo entro i 30 giorni dalla presentazione della domanda, con una decisione nei successivi tre giorni su chi è profugo e chi è clandestino, e inoltre bisognerebbe eliminare il regolamento di Dublino che impone al profugo di rimanere nel Paese di prima accoglienza. Ciò gli impedisce di muoversi liberamente nell’area Ue, con il risultato che la maggior parte dei migranti arriva e rimane in Italia e in Grecia».
Nel periodo peggiore della crisi economica lei affermò: «Parliamo sempre di spread e mai di valori, i soli che ci potrebbero aiutare a superarla». Forse la crisi la stiamo archiviando. E i valori?
«La crisi non è per nulla archiviata, bisognerebbe chiederlo alle persone che hanno perso il lavoro, che non riescono più a pagare il mutuo o che per curarsi devono rivolgersi alla sanità privata con costi insostenibili dopo i tagli del governo. Alcuni dati: il tasso di disoccupazione italiano è dell’11,8%, il doppio dell’area Ocse a 6,7%; le famiglie italiane hanno sempre più difficoltà con il pagamento delle spese che riguardano le utenze domestiche, i mutui e gli affitti. Si tratta di ben tre milioni di italiani, vale a dire l’11,7% della popolazione; il rapporto Censis segnala che il 41,7% delle famiglie ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria per i costi troppo salati e le liste d’attesa troppo lunghe. Questo governo ha tagliato la sanità più di qualunque altro. Solo un anno fa il fondo sanitario nazionale era a quota 112 miliardi ed era previsto per il 2016 a 115,4 miliardi di euro. Nel corso del 2015 il Fondo è stato abbassato a 109,7 miliardi di euro e la previsione per il 2016, di conseguenza, a 113,1 miliardi; nella legge di Stabilità 2016 in esame al Senato, il governo ha rincarato la dose. Altri due miliardi di tagli al Fondo sanitario nazionale, che nel 2016 scenderà quindi a 111 miliardi. Quanto ai valori, la solidarietà , la conservazione dell’ambiente, il superamento del totem del denaro e dell’arricchimento a qualunque costo purtroppo non sono presi ancora in considerazione dalla politica».
Il presidente dell’Inps Tito Boeri ha fatto di recente una proposta molto simile al vostro reddito di cittadinanza. Che ne pensa?
«Lo considero l’ennesimo depistaggio al ribasso, come quello di Michele Emiliano, il governatore della Puglia. Il M5S ha presentato una proposta di legge sul reddito di cittadinanza che nessun apparato del sistema vuole, dal governo, ai partiti, ai sindacati. Il reddito di cittadinanza ci è stato chiesto dalla Ue da molti anni, in Europa non è presente solo in Italia e in Grecia, consente una vita dignitosa a chi è privo di reddito in attesa di trovare un’occupazione. Non è, come vorrebbe la propaganda governativa, assistenzialismo, ma un aiuto temporaneo a chi è in difficoltà , e si perde se si rifiutano tre proposte di attività . La copertura di circa 15 miliardi per un assegno mensile di 780 euro in assenza di altri redditi, è stata trovata (e certificata) dal M5S con il taglio degli sprechi ed è documentata».
Uno dei pensatori che cita spesso è David Graeber, l’ispiratore del movimento Occupy Wall Street. Ora sostiene che il cancro peggiore della nostra società è la burocrazia. Concorda?
«La burocrazia in sè non è buona o cattiva. Il problema è l’eccesso di burocrazia. La burocrazia inutile va eliminata. È un esercizio difficile perchè la burocrazia si nutre di se stessa e i burocrati non vogliono perdere i loro privilegi. Si moltiplicano uno con l’altro come le amebe. Il problema fondamentale non è la burocrazia, ma la mancanza di onestà , che nel tempo ha corroso e corrotto la nostra società ».
È stato ad Expo?
«No. È un’iniziativa che poteva andare bene all’inizio del secolo scorso. Oggi per accedere all’informazione c’è la Rete. E poi lo slogan “Nutrire il Pianeta” cementificando un milione di metri quadri di terreno agricolo mi sembra una contraddizione. Vogliamo dare il cemento al posto del pane a qualche decina di milioni di affamati? Consiglio a chi voglia farsi un’idea di Expo al netto della propaganda il libro di Gianni Barbacetto: Excelsior, il gran ballo dell’Expo».
Il premier Renzi dice che il ponte sullo Stretto si farà . Che ne pensa?
«Che non è una priorità e nemmeno una necessità . La Sicilia è senz’acqua e ha enormi problemi infrastrutturali. Il ponte può aspettare, anche per i suoi costi che ammonterebbero a 8,5 miliardi di euro».
Lei una volta mi disse che non guardava mai la tv, perchè il concetto di palinsesto lineare era finito. Ma che se ci fosse stato Netflix ci avrebbe ripensato e forse l’avrebbe riaccesa. Ora Netflix è arrivato. Che fa?
«Guarderò Netflix come le avevo anticipato, ma è solo l’inizio. È in atto una rivoluzione che riguarda quella che abbiamo chiamato finora televisione e che più propriamente dovrebbe essere definita “main screen” che si integrerà con il cosiddetto “second screen”, quindi con un qualunque dispositivo mobile come uno smartphone, collegato a Internet, che disponga di applicazioni per interagire sia con il programma televisivo che con i social media degli utenti collegati. Finalmente è la fusione della vecchia tv con la Rete, e siamo solo all’inizio».
Che idea si è fatto dello scandalo Vatileaks?
«In Vaticano è in atto una notte dei lunghi coltelli».
Massimo Russo
(da “La Stampa“)
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Novembre 19th, 2015 Riccardo Fucile ” COMPRATE FALSE TESTIMONIANZE RESE DALLE OLGETTINE”: 7 MILIONI A RUBY E 3 ALLE OLGETTINE PER TACITARLE
La Procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per Silvio Berlusconi, accusato di corruzione in
atti giudiziari, e altre 30 persone, tra cui Karima El Mahroug, nell’ambito del fascicolo cosiddetto ‘Ruby ter’.
E molte delle “olgettine” accusate di aver testimoniato il falso nei processi a carico dell’ex Cavaliere e, nel Ruby bis, di Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti. Spetterà al gup decidere se il leader di Forza Italia dovrà affontare un nuovo processo.
Il 30 giugno, il procuratore aggiunto Pietro Forno e i pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio avevano chiuso le indagini a carico dell’ex premier e di altre persone e oggi è stata formulata la richiesta di rinvio a giudizio.
Silvio Berlusconi è stato assolto in Cassazione nel processo principale, che lo vedeva imputato di prostituzione minorile e concussione. Sul fonte del Ruby bis, la Cassazione ha disposto un nuovo processo per Fede e Minetti, accusati di aver procurato ragazze per i festini di Arcore, che poi venivano retribuite da Berlusconi in cambio di prestazioni sessuali.
Il terzo imputato, l’ex agente tv Lele Mora, aveva rinunciato a ricorrere in cassazione dopo la condanna in appello a sei anni e un mese, in continuazione con il reato di bancarotta per il crac della sua Lm Management.
Il nuovo fronte — il Ruby ter — è stato aperto dalla Procura di Milano che ha ritenuto false numerose testimonianze in favore di Berlusconi e degli imputati nel bis, in un periodo in cui l’ex presidente del consiglio continuava a retribuire diverse ragazze chiamate a deporre.
Sono indagati per corruzione in atti giudiziari anche l’avvocato Luca Giuliante e la stessa Ruby, che avrebbe percepito, stando alle indagini, circa 7 milioni di euro dall’ex Cavaliere in cambio del suo silenzio ai processi.
Altri 3 milioni di euro, da quanto è emerso dalle indagini, dalle email, dalle intercettazioni, da messaggi e scambi su Whatsapp, sarebbero andati invece ad altre ‘Olgettine’, che avrebbero aggiustato i loro racconti sulle “cene eleganti” dell’ex Cavaliere.
Nelle scorse settimane, su richiesta della Procura, il gip aveva archiviato invece la posizione di altri 13 indagati tra cui gli avvocati di Berlusconi e parlamentari di Forza Italia Niccolo Ghedini e Piero Longo.
I pm la scorsa settimana hanno anche chiesto di archiviare la posizione della funzionaria della questura di Milano Giorgia Iafrate, che affido Ruby ancora minorenne a Nicole Minetti.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 19th, 2015 Riccardo Fucile IN PLACE DE LA REPUBLIQUE IL RAZZISMO NON PASSA: IL VIDEO RACCOGLIE 10 MILIONI DI VISUALIZZAZIONI
“Sono musulmano e si dice che io sia un terrorista. Io mi fido di voi, ma voi vi fidate di me? E allora datemi un abbraccio”.
Sono queste le parole che si leggono sui cartelli esposti da un giovane musulmano che, qualche giorno dopo gli attacchi terroristici a Parigi, ha messo alla prova la fiducia dei parigini.
Bendato, al centro di Place de la Rèpublique, ha sfidato le persone ad abbracciarlo per dimostrare come non ci sia nulla da temere.
Il filmato che ha immortalato il momento ha ricevuto più di 10 milioni di visualizzazioni su Facebook e mostra il calore e la commozione dei cittadini francesi: alcuni lo abbracciano senza pensarci due volte, altri sprofondano letteralmente nelle sue braccia in lacrime. “Sono musulmano ma questo non fa di me un terrorista. Non ho mai ucciso nessuno. Posso anche dirvi che lo scorso venerdì era il mio compleanno, ma non sono neanche uscito”, ha spiegato il giovane alla folla.
“Mi sento vicino a tutte le famiglie delle vittime – ha aggiunto -. Voglio dirvi che ‘musulmano’ non significa necessariamente ‘terrorista’. Un terrorista è un terrorista, uno che uccide un altro essere umano per nulla. Un musulmano non farebbe mai una cosa simile. La nostra religione ce lo impedisce”.
Non è la prima volta che un video di questo genere circola in rete.
A febbraio, un musulmano aveva aperto le braccia agli sconosciuti in Canada chiedendo loro di abbracciarlo e di non giudicarlo un terrorista. Anche quell’esperimento era andato a buon fine.
(da “Huffingtonpost“)
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