Destra di Popolo.net

CONFALONIERI PROMUOVE SALA SINDACO DI MILANO: “MI PIACE, HA ESPERIENZA COME MANAGER”

Novembre 21st, 2015 Riccardo Fucile

GELO SU SALLUSTI: “LO CONOSCO COME GIORNALISTA, COME POLITICO NON SO”

Fedele Confalonieri, intervistato nel corso della giornata “zero” di “Hackathon”, festival globale dell’economia ai tempi del digitale voluto dal deputato Pd Francesco Boccia e organizzato al Castello Svevo di Trani, in Puglia, non si è tirato indietro di fronte alle domande del giornalista Antonello Piroso.
Richiestogli un parere sul premier Renzi risponde:   “Apprezzo il lavoro che sta facendo il governo e come si è mosso Matteo Renzi in questi mesi, come ogni cittadino italiano che tiene al suo Paese”.
Ma dopo aver ricordato vari aneddoti che lo legano fin dall’infanzia a Silvio Berlusconi, gli viene chiesto un giudizio sulle candidature a sindaco della città  meneghina: e qui il presidente di Mediaset spiazza tutti.
“Sala? Mi piace, ha esperienza come manager. Paolo Del Debbio? Mi piace, ma non vuole e ha ragione. Alessandro Sallusti? Lo conosco come giornalista, come politico non so”.
Da sottolineare che mentre Del Debbio merita un “mi piace”, a Sallusti neanche quello e neppure una definizione di “buon” giornalista.
Con la gelida chiosa finale “come politico non so”.
In fondo Confalonieri rappresenta il malessere di tanti esponenti di Forza italia che dissentono dalla scelta operata dai vertici del centrodestra o presunto tale.

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I MORTI SI RISPETTANO, COGLIONI! RENZI RICORDA LIVERANI SU FB E PIOVONO INSULTI ANCHE SUL GIOVANE MORTO IN UN INCIDENTE D’AUTO

Novembre 21st, 2015 Riccardo Fucile

L’ODIO POLITICO DI CERTA FECCIA NON SI FERMA NEANCHE DAVANTI ALLA MORTE… OCCORRONO CAMPI DI RIEDUCAZIONE ALLA VITA CIVILE

L’odio politico del web non si ferma di fronte a nulla, neanche alla morte.
L’ultima dimostrazione arriva dai tanti, troppi commenti che hanno sporcato il post con cui Matteo Renzi ha deciso di salutare, su Facebook, Enrico Liverani, il candidato sindaco del Pd a Ravenna morto ieri sera in un incidente stradale.
Il ricordo, purtroppo, è diventato (anche) un’arena per insulti, sfottò e polemiche politiche.
Sulla bacheca Facebook di Renzi – in mezzo ai tanti, da Ravenna e da altre città , che hanno manifestato il loro cordoglio per l’amministratore 39enne e la sua famiglia – si leggono anche diversi commenti di tenore molto diverso, con insulti nei confronti del presidente del Consiglio, del Pd e in qualche caso dello stesso Liverani.
Commenti che hanno fatto arrabbiare i democratici.
Sulla pagina del dem bolognese Davide Di Noi (“mi fate schifo”) ha espresso la propria indignazione anche Simona Caselli, assessore regionale all’Agricoltura. “Quelli sono piazzati lì, fissi, a scaricare odio, volgarità  e insulti. Bisogna reagire anche a questa barbarie”, dice.
“Se non ci si ferma neanche di fronte alla tragedia di un uomo giovane che muore all’improvviso lasciando una bimba piccola e i suoi cari, è in gioco direttamente la civiltà “.
“Nauseato” anche il segretario del Pd di bologna Francesco Critelli. “Anche in presenza di un fatto così tragico, inorridisco a leggere insulti, aggressioni verbali, offese personali, messaggi di propaganda politica. Uno schifo, non degno di un paese che si vuole definire civile”.
Noi lo ribadiamo da tempo: certa feccia che usa i social per sfogare le proprie frustrazioni va identificata, prelevata casa per casa e sottoposta a Tso: in caso sia ritenuta capace di intendere e di volere, va collocata in campi di rieducazione al vivere civile.
Nel casi di coloro che si dichiarano “sedicenti” di destra, pena raddoppiata, come diceva Giorgio Almirante.

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IL RITORNO DI BASSOLINO: DAL PCI A RENZI, LA LUNGA MARCIA DEL COMPAGNO ANTONIO

Novembre 21st, 2015 Riccardo Fucile

OGGI L’ANNUNCIO: “MI CANDIDO A SINDACO DI NAPOLI”

Rieccolo. Due semplici parole per ufficializzare quello che ormai già  si sapeva da tempo: “Mi candido”. Con un annuncio diramato su Facebook. Roba moderna, da politica 2.0, perchè non si dica nè si pensi che ad Antonio Bassolino“di Afragola”, come specifica nel suo profilo, manchi quel tocco di modernità  in grado di farlo competere alla pari con i più freschi dirigenti che il Partito democratico eventualmente metterà  in campo nella corsa delle primarie, se mai ci saranno, per scegliere il candidato sindaco di Napoli.
O con i giovani leoni del Movimento 5 Stelle che anche all’ombra del Vesuvio non fanno mistero della grande abilità  con la quale utilizzano la Rete.   Tutti avvertiti, dunque.
Rieccolo. Sarà  stato il 1977 o giù di lì.
Trentotto anni fa, un’altra era geologica. Napoli esplodeva per la questione del lavoro. Come sempre, d’altra parte. Paralizzata ogni giorno dai cortei che bloccavano le vie del centro e non solo, la città  soffocava quando i manifestanti si materializzavano intorno alla stazione Centrale.
Imperversavano i disoccupati organizzati, movimento spontaneo cresciuto al di fuori del controllo dei grandi partiti di massa della sinistra e dei sindacati. Un’eresia per quei tempi. C’era da capire. Chi erano costoro, chi li guidava, quali gli obiettivi?
Se ti capitava di essere mandato dal tuo giornale a raccontare quegli eventi, oltre ad immergerti nel movimento per tirarne fuori leader e personaggi, tappa obbligata erano dirigenti politici e personaggi vari della città , a cominciare dagli intellettuali più o meno in vista che potevano illustrare l’inedito fenomeno.
Parlavano, parlavano, questi onorevoli, consiglieri, scrittori. Ma alla fine tutti consigliavano di andare a fare visita ad Antonio Bassolino per raccoglierne spunti e analisi.
Bassolino? Sì, proprio lui, Antonio, l’uomoche oggi ha annunciato la sua candadatura a sindaco di Napoli. A Roma quasi nessuno lo conosceva, all’ombra del Vesuvio era già  un leader ossequiato e potente. Che, con il suo eloquio sommesso (solo in apparenza) e balbuziente, ti riceveva nella scarna sede comunista illustrandoti l’universo mondo
1977: un’era geologica è passata. E anche politica, se è per questo.
Nell’Unione sovietica regnava il compagno Leonida Breznev, negli Stati Uniti presiedeva Jimmy Carter. In Italia, presidente della Repubblica era Giovanni Leone, capo del governo Giulio Andreotti, bersaglio di improperi per il suo attaccamento alla poltrona e al potere.
Tra i più critici, militanti e dirigenti del Partito comunista, proprio il Pci che in Campania aveva in Bassolino il suo segretario regionale.
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Breznev e Carter sono morti o dimenticati dai più. Anche Andreotti è trapassato e se ne comincia a perdere memoria. E’ sparita la Dc, dal oltre un ventennio dopo Breznev s’è dissolta anche l’Urss, abbiamo riunificato le Germanie, seppellito pure il Pci.
Bassolino invece è ancora qui, in corsa per il municipio di Napoli dopo una lunga e brava carriera e quello che nel 2010 era addirittura suonato come un vero addio all’attività  politica: consigliere regionale (1970), segretario della federazione di Avellino del Pci (1971), segretario della Campania (1976), membro nel comitato centrale del partito (1972), responsabile per il Mezzogiorno e successivamente per il Lavoro. E ancora, membro della Camera dei deputati (1987) sindaco di Napoli (1993), ministro del Lavoro (1998), ancora sindaco di Napoli rieletto, quindi presidente della Regione Campania (2000) gratificato dalla riconferma (61 per cento) nella tornata successiva (2005) e fino al 2010 quando, sepellito dalle contestazioni e dai guai giudiziari, s’era fatto infine da parte salutando le alte cariche.
Rieccolo, invece, più renziano che mai dopo essere stato comunista, ingraiano e forse dalemiano, ripartire alla carica con una nuova candidatura a sindaco di Napoli nonostante l’età  (68 anni) e la lunga lista di guai giudiziari collezionati tra municipio e Regione e che parevano averlo azzoppato a tal punto da convincerlo a togliere il disturbo: rinvio a giudizio per presunti reati commessi (2000-2004) come commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania; un altro per truffa ai danni dello Stato, abuso di ufficio, falso: un’altro ancora per peculato, senza contare una condanna per danno erariale.
Quanto basta per stroncare un cavallo, seppure di razza. E difatti proprio così andò o sembrò andare, con Bassolino bastonato dal leader dell’Idv Antonio Di Pietro (“Deve dimettersi”) e impietosamente scaricato persino dal suo antico sodale comunista e segretario Pd Walter Veltroni che, senza tanti giri di parole, lo invitò, “di fronte a vicende così amare”, ad “affidarsi alla sua coscienza civile”.
Un funerale in piena regola sembrava, proprio un vero funerale con sepoltura (solo politica, per fortuna) del caro estinto, nonostante l’interessato rivendicasse l’innocenza: “Ho le mani pulite”, dichiarava Bassolino, “non ho fatto nulla di male”. Infatti, rieccolo, dopo cinque anni più pimpante che mai nonostante qualche incidente sanitario. E mentre l’ingrato Veltroni è relegato fuori dalla scena politica a confezionare film e documentari, lui, uscito nel frattempo assolto da tutti i processi, orgogliosamente è lanciato alla riconquista di quello per cui si sente da sempre tagliato: “Fare il sindaco di Napoli”.
Un’autentica rivincita. Sulla scia della quale, annunciata l’intenzione a competere, è partita la campagna con sortite pubbliche, dichiarazioni, manifestazioni d’affetto degli antichi amici e tanti articoli su organi di stampa e web.
Nel frattempo, lui parla da autentico capopartito e candidato in pectore. Anche se aperto alla competizione interna, va da sè. A Milano si vota il 7 marzo? Bassolino ci pontifica: “E lì siamo al governo, mentre a Napoli , dove tutto è più difficile, una data non c’è”. Una ragione di più per accelerare: “Indicato il giorno del voto e ribadito che quella delle primarie è la strada naturale per scegliere il candidato”, ammonisce, “ognuno deve essere pronto alla competizione, vale anche per me”.
Questi i toni, quelli di chi sente di avere la strada aperta. Vero che composita e potente appare anche la compagnia di coloro non proprio entusiasti della sua ridiscesa in campo. A cominciare dal governatore della Campania Vincenzo De Luca (“Lui candidato? Dobbiamo fare una scelta unitaria”, ha detto tempo fa) e, naturalmente, dagli altri aspiranti sindaci che scalpitano nelle file democratiche in vista delle primarie: il suo antico collaboratore e parlamentare europeo Andrea Cozzolino, per esempio, che si dichiara pronto alla discesa in campo.
E il più giovane Gennaro Migliore, sbarcato nel Pd da Sinistra ecologia libertà : dopo il ripensamento dell’ultima campagna elettorale per le regionali quando prima annunciò la candidatura salvo poi ritirarsi di fronte alle forze strabordanti di De Luca, vorrà  magari anche lui prendersi la rivincita.
Ma per Bassolino sembra spirare decisamente un’aria amica. Anche da Palazzo Chigi i segnali sembrano propizi.
I vecchi assertori della rottamazione, infatti, pare abbiano cambiato registro e non avere alcuna preclusione per il vecchio Bassolino. Basta avventure, meglio andare sul sicuro, magari puntando sull’usato garantito.
E chi meglio di lui? Dal 1993, dal suo esordio in una competizione elettorale, non ne ha persa una. Anzi, si è sempre ripetuto aumentando i consensi. Performance che nell’entourage del premier sembrano avere annotato con grande diligenza. “Dobbiamo vederci”, gli ha detto Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd: “Verrò a Napoli a trovarti”. La posta politica è troppo importante, addirittura vitale per il premier desideroso di evitare passi falsi. Perchè rischiare, perciò. Meglio andare sul sicuro, no?

Primo Di Nicola
(da “il Fatto Quotidiano”)

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GIUBILEO, BUCO CAPITALE: OSPEDALI, POLIZIA, CANTIERI, NULLA DI PRONTO

Novembre 21st, 2015 Riccardo Fucile

DAL SAN CAMILLO: “SE SUCCEDE A ROMA QUELLO CHE E’ ACCADUTO A PARIGI QUA IN OSPEDALE CI VORRA’ UN MIRACOLO”

I pronto soccorso studiano protocolli in caso di attentato, ma le corsie già  scoppiano. Gli agenti hanno carenze di mezzi e organico, manca un piano per i vigili.
“Se a Roma succede quello che è successo a Parigi, qui ci vorrà  un miracolo”. A parlare è Sandro Petrolati, cardiologo del San Camillo — uno dei più grandi ospedali capitolini — e responsabile del sindacato Anaao.
Il problema non è la pianificazione, un protocollo ci sarebbe: si chiama Peimaf (Piano di emergenza per massiccio afflusso di feriti).
Nei nosocomi romani le esercitazioni sono iniziate in questi giorni. L’obiettivo è rispondere all’emergenza in meno di un’ora, attivando un’unità  di crisi interna che identifichi i pazienti che possono essere dimessi per liberare posti letto e trovi altri spazi per far fronte al numero straordinario di ingressi.
In poche parole, che garantisca la normalità  del servizio.
Il problema è che le parole “normalità ” ed “emergenza” sono cancellate da anni dal vocabolario dei pronto soccorso di Roma.
Le carenze di spazi e di organico sono routine quotidiana, testimoniata dall’immagine ormai consueta dei pazienti abbandonati in barella al centro delle corsie.
“L’emergenza è tutti i giorni”, taglia corto Petrolati. “Le risorse sono sempre le stesse: scarse. Avevano promesso assunzioni e ampliamento degli spazi: mancano poche settimane al Giubileo e non abbiamo visto nulla”.
Per l’Anno Santo, Roma non è pronta. Figuriamoci per un attentato.
Lo scrive un altro professionista del San Camillo, Francesco Medici, in un’allarmante lettera al Quotidiano della Sanità  del Lazio: “Aiuto. Aiutateci. Non pensiate che possiamo farcela in queste condizioni. Nessuno dica che non siete stati avvertiti”.
Anche per Medici serve un “miracolo”: “Che i pellegrini siano presi in cura dallo Spirito Santo che li guidi nel loroviaggiodifedeeliprotegga da ogni tipo di male (e dalla necessità  di cure)”.
Lavori in ritardo   Campidoglio ingolfato  
Cantieri a scoppio ritardato, inaugurazioni fuori tempo massimo e una macchina amministrativa elefantiaca, impreparata e arrugginita.
Sono ben 24mila i dipendenti del Campidoglio, altrettanti quelli delle oltre venti società  partecipate.
Ma alle porte del Giubileo dell’era 2.0, il Palazzo Senatorio è popolato ancora dai commessi “camminatori” che fanno la spola tra gli uffici per recapitare a mano i documenti.
“Siamo preoccupati, non c’è un solo atto di pianificazione sul personale, ad oggi sembra che il Giubileo non esista per la macchina amministrativa”, spiega Natale Di Cola, segretario Fp Cgil Roma e Lazio.
Vigili infuriati: manca il piano mobilità     
Sul fronte del personale il nervo scoperto è la polizia municipale. I caschi bianchi sono quasi 2 mila in meno rispetto all’ultimo Giubileo, il corpo è in fibrillazione, in conflitto con i suoi vertici.
“La macchina organizzativa del personale non è partita, ad oggi non c’è un piano di utilizzo dei vigili, il comandante è chiamato a fornirne uno durante la riunione di giovedì prossimo” racconta Giancarlo Cosentino, coordinatore delle Rsu capitoline.
Al commissario Francesco Paolo Tronca sono serviti venti giorni solo per formalizzare, ieri, le deleghe ai sub commissari.
Assicura: “Il piano sulla mobilità  è quasi pronto”. Ma non l’ha ancora visto nessuno, mentre le metro traboccano e gli allarmi bomba nelle stazioni sono continui.
Mentre il calendario di grandi eventi è già  fitto dalle prime settimane di dicembre : dall’apertura delle porte sante al “Giubileo della Famiglia” fino all’ostensione della salma di Padre Pio.
Per il turismo, cuore dell’economia cittadina, va appena meglio.
Sono in arrivo i primi 80 posti dell’Ostello della Gioventù, per gli altri 60 bisogna attendere la primavera.
Pochi agenti     e male addestrati  
Duemila agenti sparsi per la città , ha detto ieri il Questore D’Angelo. L’accordo era stato raggiunto lo scorso 3 novembre al termine di un tavolo con i sindacati di polizia. Poco più di 600 uomini stanno arrivando in questi giorni, cento dei quali recuperati dalla Questura di Milano dopo i servizi Expo.
Cinquecento saranno destinati alla Questura, che però     — denunciano Siulp, Siap Silp Cgil. Ugl e Federazione Uil Polizia — ha un deficit di 1.900 unità  (rispetto all’organico previsto, che è di 7.925 uomini).
Altri 120 quelli destinati alle specialità . La Polizia ferroviaria, per esempio, avrà  40 poliziotti in più. I duemila agenti (in media) di cui ha parlato il Questore saranno composti da reparti aggregati e territoriali: 1.300 di loro rientrano nel trattamento di Ordine pubblico fuori sede ( e quindi costeranno di più).

Silvia D’Onghia, Antonio Monti e Tommaso Rodano
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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UNIVERSITA’, ECCO COME STUDIARE (QUASI) GRATIS

Novembre 21st, 2015 Riccardo Fucile

IL COSTO MEDIO DELLE TASSE SUPERA I 1.000 EURO, SE SI INCLUDONO QUELLE PRIVATE SI ARRIVA A 7-8.000 EURO… ECCO COME RIDURRE L’ESBORSO

Prima di tutto, è bene controllare in anticipo le opportunità  pubblicate sul sito dall’Andisu (Associazione Nazionale degli organismi per il diritto allo studio universitario): matricole e studenti in corso possono sfogliare la pagina dei bandi aperti suddivisi per regione (www.andisu.it/pagine/bandi_universitari) e fare una valutazione dei requisiti.
I candidati che si aggiudicano una borsa, come quelle assegnate dal Er.go in Emilia Romagna, possono accedere all’esonero totale dalle contribuzioni.
Ma non è tutto. Sono le stesse università  a proporre agevolazioni e tutele specifiche, dalle detrazioni fiscali ai bonus per gli studenti d’eccellenza.
La sola Università  degli studi di Milano ha messo in palio, per il 2015-2016, 500 borse di servizio da 1.800 euro annui e 160 borse di merito come integrazione ulteriore (fino a un massimo di 6mila euro).
Requisiti di merito
Un 100 e lode all’esame di Stato non dirà  tutto su un maturando. Ma, nell’attesa, gli regala un anno gratis in università .
È il bonus offerto per il 2015-2016 da alcune università  pubbliche, come la Sapienza di Roma e l’Alma Mater di Bologna: niente rette per tutti gli immatricolati con voto di diploma di 100/100.
Nel caso dell’Università  di Bologna, il benefit si estende ai neo-iscritti nei corsi magistrali che hanno conseguito il titolo triennale alla prima sessione utile e con valutazione minima di 110/110.
Se non si parla dell’esonero totale, sono comunque previste riduzioni vincolate al raggiungimento di un certo numero di crediti (ad esempio: 40 crediti formativi all’anno) in un arco di tempo preciso. In determinati casi, può anche essere richiesta una certa media — ad esempio: dai 24/30 — per certificare la “qualità ” degli appelli in curriculum.
Trasferirsi solo se è necessario
L’esperienza da fuori-sede può essere decisiva. Ma se l’università  è nella città  d’origine, conviene davvero spostarsi già  per la laurea di primo livello? Non sempre.
Se si considera che l’affitto incide sul 50% delle spese fuori di casa, il trasferimento può essere posticipato al biennio che conta di più: magistrale e master, magari all’estero. Anche perchè, nei tre anni iniziali, niente esclude esperienze di mobilità  tra summer school, tirocini e scambi offerti nel pacchetto dell’Erasmus+ (www.erasmusplus.it).
Senza dimenticare il double degree, la doppia laurea: una formula che permette di svolgere parte del percorso formativo in Italia e parte all’estero, con il pagamento di un’unica retta e — dati Almalaurea — un aumento di possibilità  del 20% di trovare impiego.
Sfruttare biblioteche ed e-book
Altra incognita sulle spese universitarie: il materiale didattico.
L’asticella può alzarsi a seconda del corso di studio, con picchi nell’ordine delle migliaia di euro per Giurisprudenza e Medicina. Ma è necessario comprare l’intera bibliografia? No.
Come già  consigliato da AlmaLaurea al Sole 24 Ore, conviene aspettare fino alla pubblicazione del programma di un determinato anno accademico: i testi richiesti possono essere presi in prestito dalle biblioteche d’ateneo o scaricati sotto forma di e-book dalle risorse di didattica digitale messe a disposizione dai docenti.
Uno sconto non proprio secondario, se si considera che l’investimento sui libri può spingersi oltre i 6mila euro per i corsi di laurea magistrale a ciclo unico.
Tentare all’estero conviene
Laurea in Italia o all’estero? Se si guarda ai soli costi universitari, può farsi strada la seconda. Certo: è vero che alcune delle mete più ambite dagli studenti italiani propongono rette e costi della vita ben al di sopra della media italiana, come nel caso del Regno Unito (solo il bachelor, la triennale, costa fino a 9mila sterline annue), per non parlare di Stati Uniti o business school europee.
Ma il registro cambia se si considerano i corsi di laurea, soprattutto triennali, erogati a costo zero in paesi come Danimarca, Germania, Francia o Svezia.
E se si è interessati a un master, la scelta può scattare da canali come Mastersportal (www.mastersportal.eu) e altri siti specializzati nella ricerca di corsi di studio a seconda dell’area disciplinare.

Alberto Magnani
(da “la Stampa”)

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“L’ISIS E’ UN CANCRO”: A ROMA MUSULMANI IN PIAZZA SANTI APOSTOLI

Novembre 21st, 2015 Riccardo Fucile

“CONDANNA DEL TERRORISMO, PRONTI A COLLABORARE CON LE ISTITUZIONI PER STANARE GLI ASSASSINI”

Contro il terrore, le stragi di Parigi, gli attacchi dell’Isis sono scesi in piazza anche i musulmani. Riuniti a Roma (ma anche a Milano) in piazza Santi Apostoli dietro lo slogan della mobilitazione “Not in my name”: il sit-in è stato aperto da un minuto di silenzio per ricordare le vittime del terrorismo ed è stato chiuso dalle parole del deputato italo marocchino Khalid Chaouki.
Sul palco è stata espressa “condanna netta contro tutti i terrorismi, quelli di Parigi sono stati drammatici. Noi siamo pronti per collaborare con le istituzioni per difenderci”
La manifestazione dal valore nazionale è nata dal coordinamento sostenuto dalla Coreis italiana (Comunità  Religione islamica)   che ha chiamato in piazza musulmani italiani, marocchini, pakistani, senegalesi e turchi.
“No all’Isis, no al terrorismo, noi ci siamo”. Con questi cori un gruppo di manifestanti musulmani sono giunti in corteo in piazza Santi Apostoli per “Not in My name”.
“Non abbiate paura di noi”, grida una manifestante. “L’Isis è un cancro del corpo islamico. Quello che hanno fatto è un attacco contro la comunità  intera”.
È uno dei cartelli portati alla manifestazione. “Il messaggio è chiaro: il terrorismo non può continuare a colpire ovunque in nome dei musulmani. Da Roma vogliamo che tutto il mondo ci ascolti”. Così il segretario del Centro islamico della Grande Moschea della capitale Abdellah Redouane ha sintetizzato il senso di “Not in My Name”.
In piazza anche, tra gli altri, Zidane el-Amrani Alaoui, responsabile della Confederazione Islamica Italiana, musulmani dal Marocco, Omar Camiletti, del tavolo interreligioso di Roma, Khaled Abdalat e Ahmad al Hygazi dell’Unione Medici Arabi, l’imam Abd al-Razzaq Bergia, del Coreis Piemonte.
E ancora il sociologo Ali Baba Faye, il teologo della comunità  sciita d’Italia Hujjatulislam Abbas Di Palma, l’amministratore delegato di Halal Italia Hamid Abd al-Qadir Distefano.
Ad aderire anche la Comunità  del mondo arabo in Italia (Co-mai).
Dal mondo del cinema, della letteratura, dell’università  e del giornalismo hanno aderito Ermanno Olmi, Pierfrancesco Fiorato, Ascanio Celestini, Paolo Virzì, Emiliano Torre, Paolo Rossi, Milly Bossi Moratti, Gloria Ghetti, Carmelo Cantone, Massimo Magrelli, Gad Lerner, Lorenzo Fanoli, Fabio Furlanetto, Leda Petrone, Bruno Fusciardi, Nora Barbieri e molti altri.

(da “La Repubblica“)

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MIGLIAIA DI MUSULMANI IN PIAZZA A MILANO CONTRO I TERRORISTI

Novembre 21st, 2015 Riccardo Fucile

“NO AL TERRORISMO, NO ALL’ISLAMOFOBIA: DOBBIAMO ISOLARE I VIOLENTI”

Tantissime ragazze, centinaia di partecipanti, migliaia, la piazza gremita.
I musulmani di Milano hanno risposto all’appello e sono scesi in strada per gridare “Not in my name”.
E’ la   manifestazione dei musulmani ‘Not in my name’ che ha richiamato in piazza San Babila più di 80 fra associazioni e moschee contro il terrorismo.
“Facciamo appello a ebrei e cristiani per combattere assieme a noi il fanatismo e l’estremismo”, “bisogna isolare chi uccide in nome dell’Islam”, “l’Islam è pace”.
Domani alle 17, sempre a Milano, una preghiera interreligiosa ci sarà  alla Casa della carità  di via Brambilla, a Crescenzago, con don Virginio Colmegna e i leader di tutte le fedi.
Davide Piccardo, il giovane responsabile del Caim, coordinamento delle associazioni islamiche), ha convocato la manifestazione.
L’imam-architetto Asfa Mahmoud della affollata Casa della Cultura musulmana di via Padova 144 è invece a Roma alla manifestazione della Coreis e del deputato pd Khalid Chaoucki.
Ma Abdel Hamid Shaari, uno dei capi storici della grande comunità  musulmana milanese, 120mila anime almeno che pregano al tendone davanti all’ex Palasharp dove si ritrovano i fedeli della moschea di viale Jenner, è in piazza San Babila a manifestare, anche se il suo Istituto culturale non fa parte del Caim.
“No al terrorismo sì alle moschee – ha detto Piccardo – con il riconoscimento delle moschee ci sarebbe maggiore sicurezza per tutti. Non c’è spazio per il terrorismo e questa escalation di violenza ci preoccupa molto”.
“La islamofobia – ha aggiunto – crea tensione e invece avremmo bisogni di convivenza e dialogo”.
La mobilitazione era iniziata già  ieri, in tutti i luoghi di preghiera, dove gli Imam, come se si fossero messi d’accordo hanno pronunciato sermoni nei quali sono risuonate durissime le parole di condanna per le stragi di Parigi, Egitto, Libano, Siria.
Come un coro unanime, si è levato il grido di dolore per le vittime “quelle di tutte le fedi, di tutti i paesi colpiti, dalla Francia alla Siria, perchè il sangue innocente non ha nazione, nè religione”. Oggi questa preghiera è stata rilanciata con forza.
“Condanniamo il terrorismo, condanniamo di cerca di dividerci. C’è un’intera comunità  criminalizzata per alcuni fanatici, no all’islamofobia”. “Il cosiddetto califfo è un criminale assassino. Dio ci salvi da chi uccide e fomenta odio”.
“Evitiamo di diffondere un clima di inquisizione verso i musulmani che sono prime vittime dell’estremismo violento”.
“Siamo soddisfatti della partecipazione, che è il miglior modo per far capire che siamo contro ogni forma di violenza” ha spiegato ancora Piccardo. “E’ fondamentale – ha aggiunto – il riconoscimento dei luoghi di preghiera. Ce ne sono 700, di cui 695 informali. Come possiamo istruire i nostri giovani ai valori dell’Islam in questo modo?”. Sul palco in piazza San Babila si sono alternati i rappresentanti delle altre associazioni islamiche. Brahim Baya, portavoce dell’Associazione Islamica delle Alpi, ha dichiarato: “No ai seminatori di odio e no al terrorismo, noi musulmani siamo cittadini di questo Paese e dobbiamo essere rispettati. I musulmani sono le prime vittime dei criminali dell’Isis”.

(da “La Repubblica“)

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I BOSS SU ALFANO: “VOTATO DA NOI, POI CI HA TRADITO”

Novembre 21st, 2015 Riccardo Fucile

CORLEONESI IN MANETTE: L’IDEA BIZZARRA DI “UCCIDERE IL   MINISTRO SOLO QUANDO NON AVRA’ PIU’ LA SCORTA”… ALFANO GLISSA SUI MOTIVI DELLA MINACCIA

Sono mafiosi corleonesi, sono vicinissimi a Totò Riina e si sentono “traditi” dal ministro Angelino Alfano. Al punto di ucciderlo:
“Dovrebbe fare la fine di Kennedy e se c’è l’accordo gli cafuddiamo (sferriamo, ndr) una botta in testa”, dicevano a telefono due boss che avevano pensato di uccidere il ministro dell’Interno e leader del Ncd, “portato qua con i voti degli amici” e poi ritenuto responsabile del mantenimento del 41 bis.
Volevano ammazzarlo solo dopo che gli fosse stata tolta la scorta, cosa che “al momento non è pensabile”, come dice il procuratore di Palermo Franco Lo Voi per il quale parlare di progetto di attentato “è un’espressione avanzata: si tratta — ha detto Lo Voi — di uno sfogo di cui bisogna valutare il significato”.
Arrivano segnali inquietanti dal Corleonese rivolti al ministro dell’Interno proprio nel giorno in cui Berlusconi annuncia il ritorno di Gianfranco Miccichè alla guida di Forza Italia in Sicilia.
È stato probabilmente un altro progetto di omicidio, legato a questioni ereditarie e sventato, a fare scattare all’alba di ieri il blitz dei carabinieri del gruppo di Monreale che con l’aiuto di un elicottero hanno arrestato sei boss nel Corleonese in contatto con la famiglia Riina, in prevalenza allevatori delle campagne tra Corleone, Chiusa Sclafani e Contessa Entellina, al confine delle province di Palermo e Agrigento, la città  di Alfano.
“È un porco— dicevano di lui al telefono — chi minchia glielo ha portato allora qua con i voti di tutti… degli amici… è andato a finire là … insieme a Berlusconi e ora si sono dimenticati di tutti…”.
Soprattutto dei detenuti, lamentano i boss al telefono: “Dalle galere dicono cose tinte (brutte, n-dr) su di lui — dicono i mafiosi Pietro Masaracchia e Vincenzo Pellitteri —, è un cane per tutti i carcerati   Angelino Alfano”. E subito dopo il riferimento al presidente degli Stati Uniti ucciso nel 1963: “Perchè a Kennedy chi se l’è masticato (chi l’ha ucciso, ndr)? Noi altri in America.E ha fatto le stesse cose: che prima è salito e poi se li è scordati”, lasciando intendere che i colpi che uccisero a Dallas John Fitzgerald Kennedy provenivano dalle armi di Cosa Nostra.
L’ipotesi però viene smorzata dallo stesso procuratore Lo Voi: “Mi pare improbabile immaginare che tre mafiosi del Corleonese sapessero particolari sull’omicidio del presidente Kennedy —ha detto il procuratore—. Siamo davanti a una conversazione tra soggetti che commentano criticamente le attività  svolge dal ministro con riferimento al carcere duro, che è uno dei principali motivi di doglianza dei boss verso lo Stato”.
Quelle parole non hanno scosso più di tanto il ministro dell’Interno : “Vi sono tante donne e tanti uomini servitori dello Stato che rischiano ogni giorno come e più di me — ha detto ieri Alfano al termine del Consiglio Ue degli Affari interni —. Ho deciso io, come tutti loro, di non curarmi di queste minacce e andare avanti”.
Non una parola ha speso Alfano, però, sul presunto tradimento elettorale di cui parlano i boss al telefono.

Giuseppe Lo Bianco
(da “il Fatto Quotidiano“)

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PIZZAROTTI PRENDE LA PORTA DOPO LO SCONTRO CON DI MAIO

Novembre 21st, 2015 Riccardo Fucile

IL SINDACO DI PARMA VUOLE RICANDIDARSI: SE M5S GLIELO VIETA PRONTA UNA LISTA CIVICA

L’addio tra Federico Pizzarotti e il M5S è una prospettiva sempre più concreta. Funziona un po’ come in quelle relazioni burrascose che non riescono a trovare un equilibrio: tornare ai litigi, dopo un labile periodo di serenità , è il segnale che le cose proprio non vanno.
E se poi ci si mette di mezzo un terzo, che magari si chiama Pd, allora la crisi è pronta a esplodere.
Lui, loro, gli altri. Eppure fino alla fine dell’estate sembrava che Luigi Di Maio avesse trovato la chiave per far tornare nel gruppo dei “ragazzi meravigliosi” il sindaco della città  più importante governata dai Cinquestelle.
Il vicepresidente della Camera, che nel Movimento è anche responsabile degli enti territoriali, aveva ottenuto che Casaleggio smettesse di minacciare ogni due settimane Pizzarotti di espulsione per alto tradimento dell’ideale movimentista a causa di quell’inceneritore mai spento, mentre l’altro aveva preso a tenere un profilo basso, lontano dai regolari esercizi di critica ai vertici praticati per molto tempo.
Poi le interviste accigliate del sindaco di Parma sono tornate sui giornali, infastidendo Di Maio tanto da spingerlo a rimproverarlo nell’incontro riservato avuto a Imola, mentre all’autodromo si svolgeva il raduno del M5S.
La tensione è salita ulteriormente quando Pizzarotti è sceso a Roma per presentare un emendamento alla legge di Stabilità  che chiedeva fondi al Governo per il festival Verdi.
«È contrario alle regole del Movimento che vietano i provvedimenti localistici e poi l’ha presentato con la senatrice Mussini, una ex-Cinquestelle», hanno tuonato dal Movimento.
Ma a far tracimare la rabbia dei vertici M5S è il sospetto, per la verità  fondato, che Pizzarotti stia costruendo per sè un’alternativa politica che gli consenta di restare sindaco per altri cinque anni dopo la scadenza del mandato, nel 2017.
La situazione di Parma è molto particolare; a destra e a sinistra del sindaco non si sono ancora formate delle alternative chiare.
Il centrosinistra, che negli ultimi anni in città  ha perso quattro elezioni su quattro, si sarebbe così rivolto al sindaco in carica per capire quali siano i margini di interlocuzione.
Lui avrebbe risposto spiegando di volerle tentare tutte per restare il candidato del Movimento ma di avere già  in testa l’idea di una corsa da indipendente con una lista civica.
Prospettiva che, non escludendo apparentamenti, è molto appetibile per i dem e lascia loro sperare in un ritorno in giunta. Di più: il 28 novembre Pizzarotti sarà  a Milano per un’iniziativa della scuola di politica dei FutureDem, associazione di giovani del Pd.
Troppo anche per Di Maio che pure aveva scommesso sul recupero di Pizzarotti alla causa. Ieri nel M5S è girata l’ipotesi di scomunicare il sindaco a mezzo post, come ai tempi delle espulsioni dopo processi sommari che i Cinquestelle sembravano essersi messi alle spalle.
Poi s’è deciso di lasciar perdere, ma solo per non ritrovarsi tra le mani il cerino della rottura.
Ora il rapporto è congelato, in attesa che da una delle due parti arrivi un segnale.
La strada perchè Pizzarotti resti è affidata a quel che resta del rapporto con Di Maio e a quanto questi possa accogliere le richieste del sindaco di Parma, che poi sono sempre le stesse da mesi: un riconoscimento del buon lavoro fatto in comune, l’espulsione di quei consiglieri che accusano Pizzarotti di non essere “abbastanza Cinquestelle” votandogli spesso contro in consiglio comunale e un coordinamento continuativo tra i parlamentari e i sindaci.
Il tempo dirà  se si tratta di un ultimatum o se ci sono la volontà  e lo spazio per l’attività  nella quale Luigi Di Maio è più bravo di tutti i suoi colleghi di gruppo: la mediazione.

Francesco Maesano
(da “La Stampa”)

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