Novembre 23rd, 2015 Riccardo Fucile LA DESTRA XENOFOBA E’ IL MIGLIOR ALLEATO DEI TERRORISTI
In pochi giorni, l’elenco s’è già allungato di molto: spari contro un uomo di origine turca, scritte razziste su una macelleria halal, croci rosso sangue sui muri di una moschea.
Dai Pirenei alla Val-de-Marne, il sito della rivista francese Nouvel Observateur mette in fila le brevi di cronaca tra venerdì notte e ieri e conclude: «Gli atti islamofobi si moltiplicano dopo gli attentati di Parigi».
Sono notizie marginali, che in altre circostanze sarebbero passate inosservate – pietre sul furgone delle consegne di un ristorante kebab a Barentin, botte a un maghrebino a margine di un’adunata d’estrema destra a Pontivy, il cartello «fuori i musulmani dalla nostra nazione» nel corso di una manifestazione a Reims – ma che invece adesso, così assemblate, diventano l’indice di una deriva già sperimentata: l’aumento dell’intolleranza come conseguenza immediata delle stragi rivendicate dall’Isis (o da Al Qaeda).
I primi a registrarlo sono stati gli americani dopo l’11 settembre 2001. Data spartiacque anche in questa categoria: la paura dell’Islam.
Primo effetto, meno drammatico: una percezione gonfiata del numero di fedeli musulmani in Occidente.
Spaventati e diffidenti, gli intervistati nei sondaggi da quella data in poi immaginano una percentuale sproporzionata di islamici nel proprio Paese.
Chi lo sa, per esempio, che negli Stati Uniti non raggiungono neanche l’1 per cento della popolazione totale? In Europa non va molto meglio.
I francesi pensano che un terzo dei connazionali sia musulmano, ed è invece una percentuale intorno al 7,5.
I tedeschi e gli italiani direbbero che un quinto degli abitanti preghi in moschea, e invece sono rispettivamente il 5,8 e il 3,7 per cento.
E così via, esagerando.
Lo spiegava chiaramente Gilles Kepel, massimo esperto di radicalismo islamico, nell’intervista a Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera di lunedì: l’intento degli attacchi terroristici dell’Isis è «scatenare i gruppi xenofobi della destra europea contro i migranti e contro il mondo islamico tout court».
Il secondo effetto, questo più drammatico, è allora un crescendo di diffidenza e a volte di aggressività nei confronti di chi è individuato come musulmano.
Non è neanche necessario che lo sia.
I ricercatori americani hanno segnalato in questi anni numerose aggressioni ai sikh, percepiti confusamente come islamici (quando invece sono di religione sikh, appunto) per il turbante che portano in testa.
L’uomo di origine turca è stato ferito a Cambrai, nel Nord della Francia, nella notte di sabato e domenica, da proiettili sparati da un’auto addobbata col tricolore, «in ragione del colore della pelle», ha esplicitamente indicato la procura.
Un rapporto del Consiglio d’Europa indica che l’80 per cento degli atti islamofobi in Francia, cresciuti in particolare dopo la strage alla redazione di Charlie Hebdo all’inizio dell’anno, è rivolto contro le donne, perchè facilmente «individuate» dal velo: sputi, cani aizzati, hijab tirati, bottiglie lanciate da vetture in corsa.
E l’effetto non si limita alla Francia. Il quotidiano britannico The Guardian segnalava che nel Regno Unito, dopo gli attentati parigini di gennaio, i «crimini d’odio contro i musulmani sono quadruplicati».
In Italia non esiste un conteggio esatto di queste ore, ma il deputato di origine marocchina Khalid Chaouki può fare da testimonial: bersagliato di insulti e minacce durante tutto l’anno, ha dovuto assistere, sulla sua pagina Facebook e nella casella di posta elettronica, a un’impressionante impennata da venerdì sera in poi.
«La conseguenza degli attentati di Parigi è che tutti i musulmani vengono messi nello stesso calderone».
Aumento dell’islamofobia. Ma anche – è questo è il terzo grave effetto delle stragi – «aumento dello scontro dialettico».
Chaouki è appena uscito dagli uffici della polizia postale, e non è preoccupato solo delle aggressioni, ma anche di «questa polarizzazione che rischia di danneggiare il percorso di maturità delle seconde generazioni».
La trappola dell’Isis, allora, si rivela più complessa e alimenta da una parte la xenofobia dall’altra – di conseguenza – il radicalismo dei musulmani, in particolare dei figli degli immigrati che si sentono ingiustamente accusati, ancor più incompresi, «e cercano di difendersi mettendosi in contrapposizione, rinchiudendosi in un ghetto anche nel web».
Ed è questo che dovrebbe fare più paura.
Alessandra Coppola
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 23rd, 2015 Riccardo Fucile IL FILOSOFO TEDESCO: “COMBATTIAMO LA BARBARIE SALVANDO LA CIVILTA'”
Il presidente Hollande propone la definizione di uno “stato di guerra” che rifletta la
situazione in atto. Jurgen Habermas, cosa ne pensa? Ritiene che una modifica della Costituzione sia una risposta adeguata agli attentati del 13 novembre a Parigi?
«Mi sembra sensato adattare alla situazione attuale le due disposizioni della Costituzione francese relative allo stato d’emergenza. Ma non sono per nulla esperto in questioni di sicurezza. Questa decisione mi appare piuttosto come un atto simbolico, per consentire al governo di reagire — nel modo verosimilmente più conveniente — al clima che regna nel Paese. In Germania comunque la retorica bellicista del presidente, ispirata a quanto pare da considerazioni di politica interna, suscita qualche riserva».
Hollande deciso di innalzare il livello dell’intervento francese in Siria.
Cosa pensa dell’interventismo?
«Non è stata una decisione politica inedita, ma solo l’intensificazione dell’impegno dell’aviazione francese. Gli esperti sembrano concordi sull’impossibilità di sconfiggere con i soli bombardamenti aerei un fenomeno sconcertante come quello dello Stato islamico. D’altra parte, un intervento di truppe di terra americane ed europee sarebbe quanto mai imprudente. Le azioni condotte scavalcando i poteri locali non servono a nulla. Lo Stato islamico non si può battere col solo ricorso a mezzi militari: anche su questo punto le opinioni degli esperti coincidono. Certo, dobbiamo considerare quei barbari come nemici e combatterli incondizionatamente. Ma per sconfiggere questa barbarie non dobbiamo lasciarci ingannare sulle loro motivazioni, che sono complesse. Come è noto, i conflitti tra sunniti e sciiti, dai quali il fondamentalismo dello Stato islamico trae oggi le principali energie, si sono scatenati in seguito all’intervento americano in Iraq, deciso da George W. Bush, che ha fatto strame delle regole del diritto internazionale. Certo, la battuta d’arresto del processo di modernizzazione di quelle società si spiega in parte anche con alcuni aspetti specifici dell’orgogliosa cultura araba. Di fatto, però, almeno in parte l’assenza di prospettive e di speranze per il futuro delle giovani generazioni di quei Paesi, va addebitata anche alla politica occidentale. Quei giovani si radicalizzano per riaffermare il loro amor proprio. Accanto alla concatenazione di cause che ci conduce in Siria, ne esiste un’altra: quella dei destini segnati dalla mancata integrazione nelle strutture sociali delle nostre maggiori città ».
Secondo lei è pensabile e possibile lottare contro il terrorismo mantenendo intatto lo spazio pubblico democratico? E a quali condizioni?
«Uno sguardo retrospettivo sull’11 settembre non può che farci constatare, come hanno fatto peraltro molti dei nostri amici americani, che la “guerra al terrore” di Bush, Cheney e Rumsfeld ha deteriorato la natura politica e mentale della società americana. Il Patriot Act, adottato all’epoca dal Congresso e tutt’ora in vigore, ha eroso i diritti fondamentali dei cittadini, e incide sulla sostanza della Costituzione americana. La stessa cosa si può dire dell’estensione della nozione di foreign fighter, che ha avuto conseguenze fatali, legittimando Guantanamo e altri crimini, ed è stata accantonata solo dall’amministrazione Obama. Ma non potremmo fare come i norvegesi nel 2011, dopo lo spaventoso attentato commesso sull’isola di Utoya? Resistere al primo riflesso, alla tentazione di ripiegarsi su se stessi di fronte a un’incognita incomprensibile, di dare addosso al “nemico interno”? Spero che la nazione francese sappia dare al mondo un esempio da seguire, come già dopo l’attentato a Charlie Hebdo. Non c’è alcun bisogno di reagire a un pericolo fittizio come l’“asservimento” a una cultura straniera, che secondo qualcuno ci sta minacciando. Il pericolo è ben più concreto. La società civile deve guardarsi dal sacrificare sull’altare della sicurezza le virtù democratiche di una società aperta: la libertà degli individui, la tolleranza verso la diversità delle forme di vita, la disponibilità a immedesimarsi nelle prospettive altrui. Nel suo modo di esprimersi il fondamentalismo jihadista ricorre a tutto un codice religioso, ma non è affatto una religione. Al posto dei termini religiosi di cui fa uso potrebbe usare qualunque altro linguaggio devozionale, o anche mutuato da una qualunque ideologia che prometta una giustizia redentrice».
L’atteggiamento tedesco nei riguardi dell’afflusso dei rifugiati ha sorpreso positivamente, anche se ultimamente la Germania ha fatto un passo indietro. Pensa che l’ondata terroristica possa modificare questa disposizione ?
«Spero di no. Siamo tutti sulla stessa barca. Il terrorismo e la crisi dei rifugiati costituiscono sfide drammatiche, forse definitive, ed esigono solidarietà e una stretta cooperazione che le nazioni europee non si decidono ancora ad avviare».
Nicolas Waill
(da “Le Monde”)
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Novembre 23rd, 2015 Riccardo Fucile L’ECONOMISTA: “IL CROLLO DELLA FIDUCIA PORTEREBBE GRAVI DANNI ALL’ECONOMIA”
La comunità globale degli economisti «vuole aggiungere la sua voce a tante altre esprimendo sgomento per l’attacco terroristico a Parigi e in altri luoghi, e mandando un abbraccio alle famiglie delle vittime».
Nouriel Roubini, nato nel 1958 in Turchia da famiglia ebraica iraniana, cresciuto in Italia e diventato, da cittadino americano, uno dei più prestigiosi economisti mondiali, oggi docente alla New York University, è di nuovo preoccupato.
Non per l’eccesso di speculazioni che portò alla crisi finanziaria del 2008 in America con tutto quello che ne è seguito, ma per il colpo di freno ad un sereno sviluppo mondiale che i fatti di questi giorni possono provocare.
«Intendiamoci — puntualizza — è ancora presto per una vera e propria modifica delle previsioni macroeconomiche, ma c’è il pericolo che si materializzi uno dei rischi più seri in grado per dare uno scossone alla già precaria ripresa in occidente. In particolare per la Francia ci sono seri rischi di un impatto negativo sul Pil».
In conseguenza diretta degli attacchi?
«Sì, perchè l’effetto sulla psicologia e quindi sulla fiducia, che in economia è tutto, sarà naturalmente molto violento. I tre mesi di stato d’emergenza probabilmente avranno conseguenze dirette sulla crescita, particolarmente se il turismo e anche l’attività di business rallenteranno bruscamente. In qualche misura, sulla produzione questo sarà controbilanciato dall’aumento degli investimenti pubblici in termini militari e di sicurezza, e ciò è valido in tutta Europa, avallato dalla flessibilità fiscale della commissione. Ma su queste spese militari ci sarebbe molto da discutere ».
In che senso?
«Prendiamo gli Stati Uniti: hanno speso ormai l’incredibile somma di 2mila miliardi di dollari nelle guerre in Iraq e Afghanistan con l’unico risultato di creare più instabilità . Se l’occidente continua a ignorare le reali necessità del Medio Oriente o tratta i problemi della regione solo in termini militari, invece che affidarsi alla diplomazia e riservare le risorse finanziarie al supporto della crescita locale e alla creazione di posti di lavoro, l’instabilità e l’incertezza in tutta l’area possono solo peggiorare. E i risultati di questa scelte in ultimo danneggeranno l’Europa, gli Stati Uniti e tutta l’economia globale per molti decenni a venire».
Vuol dire che la crisi non sarebbe confinata al Medio Oriente?
«Certo che no. Che esportino terrorismo si è visto. Ma anche dal ristretto punto di vista dei mercati finanziari, lo shock da un’escalation in Siria, il caso più rovente, contagerebbe tutte le economie attraverso il canale della fiducia: investitori, imprenditori e consumatori sono molto vulnerabili. Senza contare il coinvolgimento diretto di Paesi importantissimi quali Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Russia. Il Fondo monetario identifica nella Cina e in altri Paesi emergenti il rischio di una nuova contrazione a livello mondiale, ma anche questa minaccia non va sottovalutata. L’intero Medio Oriente è una polveriera ora più che mai, con conseguenze mondiali. E ora non può più neanche contare sulla risorsa del petrolio per finanziare il suo sviluppo».
Perchè i prezzi sono bassi? A proposito, perchè non risalgono come era sempre successo in presenza di tante tensioni nell’area?
«Per motivi che vanno dalla sovrapproduzione alla frenata cinese. E poi perchè i mercati sono purtroppo così abituati alla tensioni in Medio Oriente da non reagire più a battaglie e terrorismo. Però bisogna seguire con la massima attenzione le relazioni interne a tutta l’area, dove le vicende militari ed economiche sono drammaticamente interconnesse. Per esempio c’è una guerra “per procura” in corso fra Arabia Saudita e Iran, non solo di potere interno all’Opec, se è vero che in Siria i due Paesi appoggiano uno le varie frange combattenti sunnite e il secondo il regime di Assad. Tutto questo conoscerà uno sviluppo ulteriore con il boom di produzione iraniana previsto appena si sbloccherà il dopo-sanzioni, che porterà a un ulteriore eccesso di offerta e quindi un ribasso dei prezzi: e visto che l’Arabia Saudita comincia ad avere seri problemi di bilancio (oggi il deficit è il 20% del Pil) e che deve fronteggiare crescenti spese militari (non solo in casa ma in Egitto, Yemen e Siria) le sue reazioni in presenza di un ennesimo crollo dei prezzi sono tutte da verificare. Infine, non dimentichiamo che la crisi in Medio Oriente ha già creato una crisi ancora maggiore in Europa con il problema dei rifugiati, che ha ovviamente riflessi economici perchè impone ai Paesi di creare infrastrutture e sostentamento per questi disperati, e anche riflessi politici tali da squassare le cancellerie».
Ha preoccupazioni per la tenuta della Merkel?
«Certo, questa vicenda, con le sue incertezze e i ripensamenti, potrebbe costarle la rielezione nel 2017. Potrebbe essere eletto allora Schaeuble, con quali risultati in termini di austerity e di stretta europea è facile immaginare. Altro che crescita. E anche Hollande, che pure sta reagendo duramente agli attacchi, rischia sul fronte immigrazione di lasciare strada alla Le Pen».
Eugenio Occorsio
(da “La Repubblica”)
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Novembre 23rd, 2015 Riccardo Fucile LA RICERCA DEL PEW RESEARCH CENTER
L’attacco di Daesh e dei terroristi alle idee di libertà e democrazia è violento. Ma è il caso di
tenere i nervi saldi: i valori occidentali sono forti. Non allo stesso modo ovunque, ma forti in tutto il mondo.
Una ricerca condotta da Pew Research Center in 38 Paesi dei cinque continenti ha stabilito che, in media, il 56% della popolazione ritiene che sia «molto importante» il diritto di espressione senza censura; il 55% pensa che lo sia anche il diritto di cronaca; il 50% vuole un Internet libero.
Il 74% considera «molto importante» la libertà di religione, il 65% stabilire gli stessi diritti tra uomini e donne, il 61% l’esistenza di un sistema politico fondato su elezioni periodiche con almeno due partiti.
Le percentuali crescono, sempre sopra all’ 80% e fino al 94% nel caso della libertà di religione, se a chi ritiene questi valori «molto importanti» si somma chi li considera «in qualche modo importanti»
In assoluto, la quota più alta di massimo riconoscimento di queste conquiste di libertà e democrazia la si incontra negli Stati Uniti: per esempio, 91% sulla parità dei diritti tra uomo e donna (l’Italia è all’ 82% ) e 84% sulla libertà di culto ( 75% in Italia).
La situazione è meno brillante nei Paesi del Medio Oriente considerati (i più aperti) ma non drammatica: il 57 % dei turchi è per la libera scelta in fatto di religione, la stessa quota dei giordani, ma la percentuale sale a 73 nei Territori palestinesi, a 75 in Israele e 86 in Libano.
Anche in fatto di diritti di genere, il Libano ( 75% ) e Israele ( 69% ) sono sopra la media globale ( 65% ): Palestina, Turchia e Giordania sono invece tra il 40 e il 50% . Ovunque, i cittadini più istruiti e con un reddito maggiore riconoscono l’importanza della libertà dei media più dei meno istruiti e più poveri (con un record della Germania dove, tra chi ha studiato di più, l’ 82% ritiene molto importante il diritto di cronaca, contro il 60% di chi ha studiato meno).
Due elementi che sottolineano l’importanza dell’educazione e della crescita economica nell’affermazione globale delle libertà e della democrazia.
Con questi numeri, Daesh e simili non possono sperare di farcela.
Come non possono cambiare una città con 376 sale cinematografiche (in Arabia Saudita ce n’è una), 134 musei, 143 teatri, 69 librerie pubbliche, più di 300 tra monumenti, chiese, statue, edifici, fontane illuminate ogni notte.
E che per di più si chiama Parigi.
Danilo Taino
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 23rd, 2015 Riccardo Fucile RAPPORTO CENSIS: “LE PERIFERIE ROMANE SONO PIU’ COESE DELLE BANLIEU PARIGINE”
Oramai esiste una «via italiana» all’integrazione degli immigrati, una via controversa, non uniforme e meno «reclamizzata» rispetto ai modelli delle banlieue parigine e delle innercities londinesi, ma con caratteristiche tali che finora hanno impedito alle nostre periferie di trasformarsi in polveriere.
Lo sostiene un interessante rapporto del Censis «Rischio banlieue per Roma?» che, pur circoscrivendo l’analisi alle periferie della capitale francese e di quella italiana, consente di allargare il campo visivo a tutta la realtà nazionale.
Spiega Massimiliano Valerii, nuovo direttore generale del Censis: «La delusione per la mancata ascesa sociale è un propellente molto più forte in Francia rispetto all’Italia, dove nel periodo 2012-2015 i titolari di impresa stranieri sono aumentati del 12,9% mentre le imprese guidate da italiani sono diminuite del 4,7%. Per un complesso di ragioni storiche e sociali, nelle banlieue parigine si determina una concentrazione di luoghi escludenti, nei quali finisce per incepparsi il meccanismo relazionale: l’Islam diventa la grammatica quotidiana e quindi anche un veicolo di rancore».
Una «apartheid» sociale e urbanistica ancora prima che religiosa, quella di Parigi, nella quale l’Islam diventa un propellente?
Certo la realtà di Roma è diversa da quella più critica del Triveneto, certo l’immigrazione di religione musulmana in Italia non ha assolutamente le proporzioni di quella francese, eppure anche la situazione romana è interessante: anche perchè in evoluzione, con una possibile evoluzione negativa.
A Roma l’immigrazione straniera è diventata una componente strutturale della città : «Gli stranieri iscritti in anagrafe sono 363.000, più che raddoppiati rispetto al 2000 (+115%), mentre gli italiani sono diminuiti del 5,2%», «l’incidenza sulla popolazione complessiva è passata dal 6% del 2000 al 12,7% del 2014» e quanto alla demografia «è stata salvata dalle donne immigrate: il saldo è ancora positivo (+2%) grazie agli stranieri».
Certo, a Roma convivono diverse confessioni religiose (i musulmani sono il 20% rispetto al 30% di ortodossi della comunità rumena), ma il vero valore aggiunto è rappresentato finora dalla mancanza di zone ad altissima concentrazione di immigrati.
In sostanza le periferie romane «sono più coese delle banlieue parigine», anche perchè a Roma c’è un «interclassismo» sociale ed etnico sia nei quartieri centrali che in quelli periferici che «finora l’ha preservata dal costituirsi di territori come veri e propri “santuari” del disagio sociale».
Finora, perchè nell’ultimo periodo si sta intensificando la concentrazione, in particolare dei musulmani, nel quartiere di Centocelle e dunque anche la diversità romana sta diventando a rischio.
Dall’analisi parallela della banlieue parigina per eccellenza, la Seine Saint Denis, si scopre che in tutto il dipartimento c’è una presenza media del 28,4% di stranieri, ma la quota sale in alcuni comuni del dipartimento a oltre il 42%.
E da queste percentuali sono escluse le seconde e terze generazioni, i cosiddetti beurs, perchè sono francesi a tutti gli effetti.
Quartieri nei quali la concentrazione etnica si incrocia con la concentrazione di disagio sociale: accanto ad un tasso di povertà del 24% e ad una quota di proprietari della propria abitazione del 26%, «l’islam è molto visibile per le macellerie che si definiscono hallal, per la presenza di donne che indossano l’hijab e per la molteplicità di organismi sociali e culturali che vi si richiamano esplicitamente» e quindi «se è una forzatura l’immagine della banlieue islamica come corpo straniero in terra di Francia, è però indubbio che in alcuni contesti», «l’islam si è andato affermando come un potente organismo identitario, organizzativo, socio-culturale, capace appunto di veicolare senso di appartenenza, modelli di comportamento e sistemi di regole in grado di imporsi in contesti connotati da alto rischio di anomia».
Fabio Martini
(da “La Stampa”)
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Novembre 23rd, 2015 Riccardo Fucile “OGNI ALTRO REATO PASSA IN SECONDO PIANO”
Mentre tg e talk-show rigurgitano di mitragliette, cani-detector, nuovi crociati e poliziotti
in assetto di guerra, a Milano, a 10 minuti di metropolitana dal Duomo, va avanti da mesi una storia di terrore quotidiano che inizia come “Condominio“, il capolavoro di James Ballard.
“I lanci di bottiglie sono cominciati sei mesi fa — racconta Delia — ma all’inizio avvenivano solo di notte o alle prime ore del mattino, mentre adesso colpiscono a tutte le ore, anche di giorno”
Delia Rimoldi, regista e attrice, anima una piccola ma vivacissima associazione culturale che si chiama DiLà Spazio Teatrale, e in via Cardinal Romilli, fra Corvetto e corso Lodi, organizza corsi e spettacoli, ma giovedì 19 novembre è stata costretta a interrompere tutte le attività . “Dovevamo tutelare l’incolumità fisica degli allievi e del pubblico — racconta l’organizzatrice -, ho visto con i miei occhi una bottiglia lanciata dai piani alti che sovrastano l’ingresso dell’associazione spaccarsi a terra e mancare per un soffio un bambino di otto anni“.
Chiedo: “Quindi chi ha lanciato la bottiglia ha visto che in cortile c’era un bambino?”. “Assolutamente sì — risponde Delia — e due giorni prima è stato colpito a una spalla un adulto, un condomino. Per fortuna aveva una giacca pesante. Lanciano bottiglie di birra, succhi di frutta, piatti, vasetti della marmellata. Sono stufa di raccogliere cocci e di telefonare al 112 senza che nessuno intervenga! I condomini hanno fatto un esposto in questura ma non è accaduto nulla”.
Giovedì scorso, quando, a seguito dell’ultimo lancio, deve mandare a casa cinque ragazzi che si erano presentati a un corso di recitazione, Delia prende il suo sacco di cocci di vetro e si presenta a sporgere denuncia alla caserma dei carabinieri. La scena successiva è degna del miglior Beckett e offre un quadro realistico di che cos’è il vero volto dell’Italia “allerta 3“.
“Quando ho spiegato che ho un laboratorio di teatro — racconta Delia — il maresciallo mi ha fatto un sacco di domande più sulla mia attività che sui lanci di bottiglie. Poi mi ha spiegato che, dato che ‘siamo in allerta 3′, le forze dell’ordine sono pronti ad attacchi terroristici, e ogni altro reato passa in secondo piano rispetto a questa priorità . Mi ha detto che, certo, si rendeva conto della gravità di quello che sta accadendo nel nostro quartiere, ma che, se io non so chi è che tira le bottiglie, loro non possono nè uscire nè fare delle indagini. Il maresciallo ha quindi suggerito a me e ai condomini di identificare il lanciatore (o forse la lanciatrice) di bottiglie e di fare denuncia. Poi il magistrato deciderà se è il caso che loro, i carabinieri, intervengano oppure no. Infine mi hanno chiesto se nello stabile vivono dei musulmani“.
In un paese normale, un condominio con un problema del genere verrebbe passato a setaccio prima di trovarsi col morto nel cortile, ma dato che “siamo in allerta 3″ , cioè in attesa del Megattentato che darà ad Alfano l’occasione di tranquillizzare il Paese, nessuno alza un dito.
L’ipotesi poi che musulmani particolarmente fondamentalisti lancino sui condomini le bottiglie di birra che non possono bere ha un suo fascino, specie pensando a un condominio dove il portiere è egiziano, si chiama Mustafà e, da mesi, sposta i sacchi di spazzatura schivando bottiglie…
Tu chiamala se vuoi “Guerra di civiltà “…
Mimmo Lombezzi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 23rd, 2015 Riccardo Fucile ARMANDO MARINI, EX ASSESSORE A PALAZZOLO DELL’OLIO, VICINO ALLA LISTA MARONI… PER LA LE PEN SAREBBE UNO DEI TANTI “STRONZI” CHE ISTIGANO ALL’ODIO, MA IN ITALIA E’ ANCORA A PIEDE LIBERO
“La pace verrà dopo lo sterminio degli islamici”. Così si esprime Armando Marini, consigliere comunale di una lista vicina al centrodestra a Palazzolo sull’Oglio, nel bresciano. Dopo la strage di Parigi condivide sulla sua pagina Facebook una raffica di post sulla situazione dei migranti e sulle politiche di accoglienza che dovrebbe attuare l’Europa. Tra gli aggiornamenti, frasi che inneggiano al nazismo, allo sterminio dei musulmani e all’affondamento dei barconi.
“Non esiste distinzione sono tutti da eliminare”, scrive Armando Marini il 15 novembre in risposta all’invito del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker a “non confondere i terroristi con i rifugiati”.
E poi, ancora: “Affondare tutti i barconi è un dovere civico”, “Dobbiamo bombardare il territorio dell’Isis con almeno 10 bombe atomiche almeno siamo sicuri che non esisteranno più”.
Ma alcuni contributi, pubblicati anche prima degli attentati terroristici del 13 novembre in
Francia, sono ancora più espliciti: “Vi stiamo aspettando” (riferito ai terroristi dell’Is), si legge sotto la foto dell’attore Edward Norton nel film American History X, con una svastica tatuata sul petto.
E sull’allerta lanciato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano alle prefetture per trovare una casa ai profughi? “Sì, camere a gas” risponde il consigliere, che scanso di equivoci poi precisa: “Basterebbero delle docce vecchio stile Adolf”.
Marini, capogruppo della lista “Palazzolo Civica” (che alle elezioni del 2012 sosteneva l’ex sindaco di Palazzolo ora consigliere regionale della lista “Maroni Presidente”, Alessandro Sala), raggiunto al telefono da IlFattoQuotidiano.it parla di “un momento di debolezza”, poi si chiude in un impenetrabile: “Non commento”.
La pagina Facebook di Marini è stata oscurata o è rimasta offline per alcune ore, poi è tornata di nuovo consultabile. I post non sono stati rimossi. Anzi, i contenuti sono stati rivendicati dallo stesso consigliere comunale e da alcuni amici e sostenitori: “Non mollare!”.
Il caso è stato sollevato dal settimanale locale Chiari Week, che ha ricordato come il consigliere comunale in passato abbia ricoperto anche la carica di assessore. Immediata la richiesta di dimissioni della lista Città in Testa e del movimento identiario Mos, a cui si è aggiunta anche quella del Pd.
Andrea Tornago
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 23rd, 2015 Riccardo Fucile DUE MILIARDI DI DANNI, MA RENZI FA FINTA DI NON VEDERE… “RICETTE PER I FAMILIARI E MANCATI CONTROLLI”
Una ricetta rossa per tutta la famiglia. Il farmaco contro la pressione del nonno, gli antibiotici dei figli e l’antistaminico per il padre: tutti prescritti a nome di una sola persona, l’unica che non paga il ticket.
L’Italia è la terra degli esenti e questo è solo uno dei tanti sistemi utilizzati per evitare la tassa sanitaria.
Sarà odiosa, ingiusta e spingerà pure tanti cittadini a rivolgersi al privato ma è un dato di fatto che a pagarla alla fine sono in pochi.
Solo un quarto di visite specialistiche, esami e prescrizioni farmaceutiche riguardano persone che compilano il modulo per il pagamento del ticket. In tutti gli altri casi le Asl non incassano un centesimo.
Se si vanno a vedere le ” teste” cioè quanti sono i pazienti che si rivolgono in un anno al sistema sanitario, gli esenti sono circa la metà , ma consumano di più in ragione del loro status, perchè hanno problemi di salute e comunque perchè sanno di non pagare e si fanno meno problemi a chiedere controlli.
L’evasione fiscale diffusa che affligge l’Italia non risparmia la sanità , che in più ci mette del suo, tra controlli scarsi, impiegati che non conoscono bene le regole (quando, come nel recente caso del Lazio, non tentano loro stessi la truffa) e una normativa che fa acqua. Così in un anno entrano nelle casse delle Regioni attraverso il ticket 3 miliardi di euro, una cifra da poco se si pensa che il fondo sanitario è di 111 miliardi.
Quanti sono i falsi esenti? Un dato preciso non esiste, ovviamente, anche perchè nella categoria degli esenti rientrano varie tipologie di persone.
Ci sono quelli che non pagano in ragione di una patologia (e consumano 41 milioni di ricette all’anno) o di una invalidità (32 milioni di ricette), e quelli che sono sollevati dalla tassa per il reddito (67 milioni di ricette): perchè hanno più di 65 anni o meno di 6 e la loro famiglia guadagna meno di 36mila euro all’anno.
L’alta diffusione dei falsi invalidi è nota, ma forse i numeri maggiori, in fatto di evasione di ticket, si hanno nella terza categoria, quella legata al reddito.
In molte regioni basta un’autocertificazione per essere esentati e i controlli a campione non sono molti.
Secondo alcune stime, circa il 20 per cento degli esenti sarebbero per vari motivi irregolari, che significa il 10 per cento di coloro che si rivolgono al sistema sanitario.
Si può dunque stimare che l’evasione faccia mancare alle casse delle regioni circa 1,8 miliardi all’anno.
Il dato è solo indicativo ma se abbinato ad altri più certi rivela l’esistenza di un problema serio.
Ci sono infatti regioni dove gli esenti consumano intorno al 60 per cento delle prestazioni, come Lombardia Veneto, Friuli, Liguria, Emilia, Toscana, Umbria.
E altre, al sud, che viaggiano non molto sotto o addirittura oltre l’80 per cento: Campania, Sicilia e Calabria. Non ci sono ragioni che giustifichino una tale differenza.
È anche a causa della diffusione dell’esenzione e della difficoltà dei controlli che il lavoro sull’attesa riforma di tutto il settore dei ticket ha rallentato.
L’idea era quella di agganciarsi all’Isee e di limitare alcune esenzioni per patologie croniche quando gli interessati sono benestanti.
Intanto si va avanti con 21 tasse diverse, considearto che ai ticket storici nel 2011 si è aggiunto un “superticket” che ogni Regione ha declinato a modo suo.
Qualcuno nelle scorse settimane ha ipotizzato nuovi aumenti, poi esclusi dalle regioni perchè farebbero solo arrabbiare i cittadini e spingerebbero chi può permetterselo a rivolgersi ancora di più al privato, che ha prezzi concorrenziali e liste di attesa inferiori.
E meno non esenti negli ambulatori significa anche meno soldi nelle casse del pubblico.
Per ora i furbetti del ticket la stanno avendo vinta.
Michele Bocci
(da “La Repubblica”)
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Novembre 23rd, 2015 Riccardo Fucile “SALLUSTI? OTTIMO CANDIDATO PER FAR PERDERE IL CENTRODESTRA”
“Tempo fa ho dato la mia disponibilità a candidarmi alle primarie del centrosinistra e il Pd,
dopo mezz’ora, ha mandato un comunicato: ‘Di Pietro mai’. Il Movimento 5 Stelle ha detto che ho già fatto politica e quindi non vado bene. Alle primarie per la corsa a sindaco di Milano ripresenterò la mia candidatura. Voglio vedere quale clausola s’inventano nel Pd per non farmi partecipare“.
Sono le parole dell’ex leader dell’Idv Antonio Di Pietro, intervenuto ai microfoni di Ecg Regione, su Radio Cusano Campus.
L’ex magistrato si esprime sulle prossime elezioni amministrative milanesi e, in particolare, sul direttore de Il Giornale, candidato papabile del centrodestra: “Sallusti? E’ un buon candidato per far perdere il centrodestra. Rappresenta una parte di quel popolo che esprime i suoi mal di pancia in maniera violenta e irriguardosa nei confronti di alcune realtà . Il candidato di centrosinistra? Sarà scelto dall’alto e non sarà quello che vorrebbero i cittadini. Per il resto, massimo rispetto per le altre formazioni politiche, come il M5S che invece si cerca da solo i candidati“.
E aggiunge: “Il Pd fa sempre così. Quando non gli va uno che vuole partecipare alle primarie del centrosinistra, mette una clausola ad hoc, come ad esempio la richiesta di iscrizione nel partito da due anni. Ma se io voglio partecipare alle primarie di una coalizione di centrosinistra, perchè devo essere iscritto al Pd?“.
A riguardo, Di Pietro racconta un aneddoto: “Quando è esploso lo scandalo su Expo, uscì un bando di gara con cui si cercava un direttore generale per le infrastrutture per l’evento. Ho presentato anche io la domanda, perchè avevo una certa esperienza come avvocato, magistrato, ministro per le infrastrutture, conosco le persone dell’ambiente, forse qualcosa c’azzecco. Invece mi è stato detto che la mia domanda era inammissibile perchè non avevo sufficiente esperienza”.
L’ex ministro commenta la situazione internazionale successiva agli attentati di Parigi: “Non mi lamento e chiedo ai cittadini di non lamentarsi del fatto che ci sia più controllo e più prevenzione. Rinviare il Giubileo? Non c’è niente di peggio in questo momento che comportarsi come chi ha paura. E’ normale e umano avere paura, ma proprio per questo bisogna prevenire, contrastare e non darla vinta ai terroristi. Se rinunci alla sovranità , vengono direttamente loro a governare”.
Poi l’apprezzamento per il governo Renzi: “L’ho sempre criticato per le cose che dice e le cose che non fa, però in questo caso sta facendo bene. Sta collaborando con la realtà internazionale per confrontarsi con un’indeterminata cerchia di terroristi che ci vogliono ammazzare e che dovrebbero essere tutta chiusa in un manicomio”.
E chiosa: “Un grosso aiuto a contrastare l’Isis lo può dare il mondo musulmano. Questi terroristi non è che vivono nel nulla. Se Salah è scappato con la Bmw, vuol dire che qualcuno gliel’ha data, lo sta accompagnando. Dovremmo essere tutti poliziotti di noi stessi. Se vedo qualcuno sospetto devo segnalarlo alle autorità . Poi magari, se mi sono sbagliato, gli chiedo scusa”
(da “il Fatto Quotidiano”)
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