Destra di Popolo.net

IN ITALIA 400.000 PERSONE NON POSSONO PERMETTERSI FARMACI

Novembre 26th, 2015 Riccardo Fucile

SITUAZIONE CRITICA IN LOMBARDIA… LE MEDICINE PIU’ RICHIESTE SONO PER LE MALATTIE RESPIRATORIE

In Italia sono 405mila le persone che non possono permettersi i farmaci di cui hanno bisogno: sono i dati del nuovo rapporto “Donare per curare” presentati oggi dalla Fondazione Banco Farmaceutico Onlus.
Nel 2015 la richiesta di medicinali da parte degli enti caritativi è risultata in aumento del 6,4% rispetto allo scorso anno.
Le malattie respiratorie sono quelle per cui c’è più richiesta, seguite da quelle cardiovascolari e gastrointestinali
Più di 4 milioni di persone spendono meno di 100 euro
Lo studio, in particolare, e’ stato condotto su un campione di 1.640 enti convenzionati con il Banco Farmaceutico, dispensatori di farmaci.
«Rispetto allo scorso anno, quindi – fa sapere il Rapporto – e’ rimasto sostanzialmente invariato il numero complessivo di persone (405.423) che non possono acquistare un farmaco, ma e’ aumentata la domanda».
Ma a crescere, soprattutto, è il numero di italiani in difficoltà : «Oggi sono 182.400, contro i 179mila dell’anno passato (+1,9%), anche se gli stranieri restano maggioritari 222.982 (55%), contro i 230mila dell’anno passato. In particolare, tra gli italiani sono gli adulti tra i 18 e i 64 anni i maggiori beneficiari».
Nel nostro paese 4,1 milioni di persone spendono 69 euro l’anno per curarsi, a fronte di una spesa media nazionale di 444 euro. Questo significa che se nelle famiglie si destina il 3,8% del budget domestico per curarsi, in quelle povere si scende all’1,8%.
La differenza tra le regioni
La maggiore richiesta di farmaci, in Italia, si riscontra in queste tre Regioni: Lombardia (18,9%), Veneto (11,1%) ed Emilia Romagna (11,1%).
In tutte le aree geografiche gli assistiti sono prevalentemente adulti (59,3%), mentre sono meno numerosi i bambini (22%) e gli anziani (18,7%).
Esiste, in Italia, una geografia della salute dei poveri: al nord prevale una richiesta dei farmaci per l’apparato respiratorio, al centro per quelli cardiovascolari, mentre al sud (dove c’è la più elevata incidenza di malattie croniche) per quelli gastrointestinali.
Per sensibilizzare i cittadini sul tema della povertà  sanitaria il Banco Farmaceutico ha realizzato una candid camera per cogliere le reazioni della gente comune nel vivere lo choc di chi non può permettersi l’acquisto di farmaci.
Alle prese con un prezzo molto più alto di quello che ci si aspettava, c’è chi si stupisce timidamente, chi chiede «82 centesimi o 82 euro?», chi si infuria.
Il video è stato realizzato dagli studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia – sede Lombardia.
Le donazioni continuano a crescere
Il dato positivo sono le donazioni, che continuano a crescere: nel solo I semestre del 2015, infatti, il Banco Farmaceutico ha raccolto quasi 1,4 milioni di confezioni, a fronte delle 915mila dello scorso anno.
Ad aumentare in modo robusto, anche la donazione da parte delle aziende farmaceutiche
La donazione dei farmaci è possibile tutto l’anno, sottolineano dal Banco Farmaceutico «grazie ai contenitori sempre presenti in farmacia dove si possono mettere farmaci integri che non si usano più, ad esempio perchè è cambiata la terapia».

(da Agenzie)

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TUTTI CON HOLLANDE TRANNE L’ITALIA

Novembre 26th, 2015 Riccardo Fucile

LA FRANCIA INCASSA L’APPOGGIO MILITARE DI PUTIN, OBAMA, MERKEL E CAMERON… SI SFILA SOLO RENZI

I Tornado di Berlino voleranno sui cieli della Siria. Londra inizierà  a bombardare subito dopo il via libera di Westminster, forse già  la settimana prossima. I jet di Mosca continueranno a colpire “il male comune”. Washington rafforzerà  l’impegno a “distruggere insieme l’Isis”.
Se non fosse per la posizione di prudenza assunta dall’Italia, la maratona diplomatica di Hollande — da Washington a Mosca, cinque leader mondiali in meno di 48 ore — potrebbe essere definita un en plein.
In misure diverse, infatti, da tutti i bilaterali è uscito un aiuto concreto alla guerra dichiarata da Hollande all’Isis all’indomani degli attacchi del 13 novembre a Parigi.
Da tutti, tranne che dal bilaterale con il premier italiano Matteo Renzi.
Per ora, infatti, l’Italia riesce a restare fuori dalla rosa dei nuovi impegni militari internazionali contro l’Isis.
Nell’incontro di oggi con Francois Hollande all’Eliseo, Matteo Renzi ha messo sul piatto una disponibilità  di massima a rafforzare il contingente italiano in Libano per alleggerire il carico militare dei francesi.
Si parla di 100-150 militari in più ma non c’è nulla di deciso e l’ipotesi resta remota a Palazzo Chigi, dove prevalgono nervosismo e riluttanza rispetto a un nuovo impegno militare italiano di qualunque genere.
Renzi non segue Hollande. Non l’ha fatto dall’inizio di questa tragica storia, rifiutando l’uso della parola ‘guerra’, evitando i toni allarmistici, scegliendo una linea diplomatica che tiene l’Italia ferma agli impegni già  presi in uno scacchiere internazionale che invece è in movimento e subbuglio dopo i fatti di Parigi. All’Eliseo, nel corso di un bilaterale a colazione durato poco più di mezz’ora, caffè e croissant francesi ad alleviare la pena del momento, Renzi si è trovato di fronte un Hollande senza richieste precise verso Roma.
Segno che la Francia non si aspetta nulla da Roma, se non quello che è stato promesso: collaborazione nei controlli di polizia e intelligence e poi — ma solo se serve — un aiuto in Libano.
Solo se sarà  necessario però. La missione del premier italiano in Francia è servita più che altro a ribadire che per l’Italia è necessario un allargamento della coalizione internazionale contro l’Isis alla Russia.
La risposta in effetti arriva a sera dopo l’incontro di Hollande con Putin a Mosca. Ma per Roma non basta.
Perchè il governo italiano chiede una “cabina di regia unica” della coalizione internazionale, per elaborare una strategia comune e lungimirante. E resta scettica rispetto all’iniziativa francese, che Renzi più volte ha paragonato all’attacco unilaterale deciso quattro anni fa in Libia.
“Non vogliamo una Libia bis”, è il mantra del premier italiano, che anche oggi, proprio nella conferenza stampa di fianco a Hollande, non ha mancato di chiedere invece un impegno internazionale vero sulla Libia che “rischia di essere la prossima emergenza…”.
Hollande non ha gradito.
Come non ha gradito la mancanza di nuova iniziativa militare italiana, dopo il 13 novembre. Ma quella di Palazzo Chigi è una linea che serve anche a prendere tempo, in attesa che si chiariscano i veri problemi di una lotta comune contro l’Isis: dal destino di Assad, ai rapporti tesissimi tra Russia e Turchia, fino ai rapporti con i paesi islamici ‘vicini’ ai fondamentalisti, dall’Arabia Saudita al Qatar alla stessa Turchia. Paesi con cui tutto l’Occidente, non solo l’Italia, ha rapporti.
Resta la domanda: come mai l’Italia può permettersi una posizione così immobile laddove invece cominciano a muoversi attori importanti come la Germania e la Gran Bretagna, in aggiunta a Francia, Usa e Russia che già  da tempo bombardano in Siria?
Dal governo insistono: il motivo sta nel fatto che l’Italia è il paese europeo con il numero più alto di uomini impegnati nelle missioni militari all’estero.
In totale 5700, quantificano alla Difesa, tra Afghanistan, Kosovo, Iraq, Libano, Africa. Della serie: abbiamo già  dato, stiamo già  dando.
Italia a parte, il tour de force di Hollande — che in due giorni ha incontrato Obama, Cameron, Merkel, Renzi e Putin — ha dato i risultati sperati.
Nel caso di Berlino, anche meglio delle aspettative.
La cancelliera Angela Merkel, infatti, ha ceduto alle insistenze di Hollande: Berlino fornirà  da quattro a sei Tornado da ricognizione, più un aereo da rifornimento in volo e una nave che si aggiungerà  alla scorta della portaerei francese Charles de Gaulle.
Ma non è tutto: la Germania ha promesso anche 650 soldati in Mali per alleggerire la Francia dal compito di stabilizzare il Paese africano.
Per Berlino, si tratta di un cambio di rotta decisivo: finora, infatti, gli sforzi tedeschi si sono concentrati sulla formazione e l’equipaggiamento dei combattenti curdi.
Ora, sotto il peso della comune minaccia terroristica, la svolta: sui cieli già  affollatissimi della Siria voleranno anche i cacciabombardieri di Berlino.
“Abbiamo preso misure difficili ma necessarie”, sintetizza il ministro della Difesa, Ursula von der Leyen. “Il nostro aiuto si basa su tre componenti: tutela, ricognizione e logistica”. Saranno impegnate una fregata di sostegno alla portaerei francese Charles de Gaulle, Tornado da ricognizione e un sistema satellitare franco-tedesco e aerei da rifornimento per i jet francesi.
Meno sorprendente è l’interventismo militare del premier britannico, David Cameron, che oggi ha chiesto al Parlamento di poter bombardare in Siria perchè il Regno Unito “non può delegare la sua sicurezza ad altri Paesi”.
Il voto di Westminster potrebbe arrivare già  la prossima settimana. “Dobbiamo colpire questi terroristi ora”, ha detto Cameron, specificando che non si tratta solo di schierarsi con la Francia, ma anche di perseguire “l’interesse nazionale”.
Quanto al rischio che i raid possano trasformare il Paese in un bersaglio del terrorismo islamico, il premier ha affermato che il Regno Unito è già  un bersaglio privilegiato del Daesh.
Al di fuori dell’Europa, la determinazione di Parigi a condurre una guerra totale contro l’Isis ha raccolto il sostegno sia di Washington che di Mosca, alleati impossibili in una partita di cui condividono l’obiettivo — la sconfitta dell’Isis — ma divisi su aspetti fondamentali come il futuro del presidente siriano Bashar al-Assad e l’assetto geopolitico dell’intera area.
La cooperazione tra Francia e Stati Uniti, di fatto, è iniziata fin dal primo bombardamento francese su Raqqa, la città  considerata la roccaforte dello Stato islamico in Siria: quei raid, infatti, sarebbero stati impossibili se il Pentagono non avesse messo a disposizione le sue informazioni satellitari e d’intelligence.
Con la sua visita alla Casa Bianca, Hollande ha rinsaldato il patto con Obama, strappando anche la promessa di un’intensificazione dei raid in Siria e in Iraq.
Quanto alla Russia, prove generali di una collaborazione militare sono in corso già  da una decina di giorni, ossia da quando il Cremlino ha ordinato all’incrociatore Moskva di cooperare “come alleati” con le forze navali francesi.
Nell’incontro di oggi a Mosca il presidente russo Vladimir Putin ha ribadito la disponibilità  della Russia a collaborare con la Francia nella lotta al “male comune” rappresentato da Daesh e dal terrorismo jihadista. “Gli attacchi terroristici ci impongono di unirci nella lotta contro il terrore”, ha detto Putin, ricordando le vittime delle stragi di Parigi e dell’areo russo abbattuto sul Sinai.
Putin ha lodato gli sforzi di Hollande per ampliare la coalizione contro lo Stato islamico. “Credo che questa coalizione sia assolutamente necessaria, su questo le nostre posizioni coincidono”, ha dichiarato il leader russo.
Ciò su cui non coincidono è cosa nota. Sul futuro di Assad, infatti, Hollande la pensa esattamente come Obama; Putin no, e lo ha ribadito anche stasera.
In questa coalizione à  la carte — da cui l’Italia, per ora, ha scelto di defilarsi — sembrano contare più le bombe che i progetti comuni.

(da “Huffingtonpost”)

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ADDIO ALLA “BOMBA DEMOGRAFICA”, NEL 2016 LA FORZA LAVORO DIMINUIRA’

Novembre 26th, 2015 Riccardo Fucile

E NEL 2050 PIU’ ANZIANI E MINORI

La bomba demografica sta scoppiando, è vero, però al contrario.
Infatti l’anno prossimo, per la prima volta dal 1950, la forza lavoro complessiva delle economie avanzate diminuirà , e calerà  del 5% entro il 2050.
La frenata riguarderà  anche i Paesi emergenti come la Cina, dove l’inversione di tendenza è già  cominciata, e si capisce dalla decisione di mettere fine alla politica del figlio unico. Sono tutti dati contenuti nella versione rivista delle «World Population Prospects» per il 2015, lo studio delle tendenze demografiche globali realizzato ogni anno dalla Population Division del Department of Economic and Social Affairs dell’Onu.
Numeri che fanno preoccupare, perchè hanno un impatto su tutto, dalla crescita economica al fenomeno delle migrazioni.
La situazione in Italia
Che l’Italia fosse in calo demografico lo sapevamo già . Il nostro saldo fra nascite e decessi è negativo ormai dall’inizio degli Anni Novanta, e se continueremo di questo passo diventeremo un popolo in via di estinzione.
Questa tendenza ha un impatto negativo sulla nostra crescita economica, il sistema previdenziale, il lavoro, la sicurezza nazionale.
Ci obbliga ad accogliere migliaia di immigrati, solo per conservare l’attuale forza lavoro, nonostante le resistenze legate al populismo politico e alla paura del terrorismo.
Il problema adesso si sta allargando a tutti i Paesi sviluppati, e anche a quelli emergenti.
La popolazione mondiale ha superato la soglia dei 7 miliardi, e continuerà  a crescere fino ai 10 miliardi previsti nel 2050.
Solo il 13 per cento vivrà  nei Paesi ad alto reddito, perchè lo sviluppo porta automaticamente a una riduzione delle nascite.
Nelle regioni povere, i bambini servono a produrre ricchezza e come sostegno per le famiglie, mentre in quelle ricche sono un peso che limita le possibilità  economiche dei genitori.
Fino a quando i genitori non arrivano alla pensione, e scoprono di non avere abbastanza giovani al lavoro che contribuiscano a pagargliela.
Il problema dell’Italia tocca ormai tutte le economia avanzate, che dal prossimo anno andranno complessivamente in saldo negativo di forza lavoro.
Russia e Cina
La tendenza riguarda anche Paesi come la Russia e la Cina, che col suo miliardo e mezzo di abitanti sembrava la miccia principale della bomba demografica.
La sua popolazione compresa tra 15 e 59 anni ha già  cominciato a ridursi, e secondo le previsioni dell’Onu nel 2050 scenderà  a circa 700 milioni di persone, grosso modo lo stesso livello del 1990.
A quel punto o torneremo a fare più figli, o cambieranno le dinamiche globali del benessere.

Paolo Mastrolilli
(da “La Stampa”)

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DIFFAMO’ I NO TAV, IL SEN. PD ESPOSITO CONDANNATO A RISARCIRLI PER 20.000 EURO

Novembre 26th, 2015 Riccardo Fucile

AVEVA SOSTENUTO CHE ALCUNI ATTIVISTI AVEVANO DATO DIRETTIVE NEGLI SCONTRI DI CHIOMONTE DELL’8 DICEMBRE 2011

Il senatore Pd Stefano Esposito, noto per le sue posizioni a favore della Tav, è stato condannato dal tribunale di Torino al pagamento di 600 euro di multa e di 20mila euro di risarcimento, oltre a quello delle spese legali e processuali.
Era accusato di diffamazione nei confronti di quattro attivisti No Tav per un articolo, pubblicato sul suo blog, in occasione dei disordini al cantiere della Torino-Lione dell’8 dicembre 2011.
Nel testo Esposito aveva accusato Lele Rizzo, Dana Lauriola, Luigi Casel e Luca Abbà  di avere impartito direttive ai manifestanti che avevano avuto scontri con le forze dell’ordine.
Il pm Nicoletta Quaglino aveva chiesto una multa di 1.200 euro e le parti civili risarcimenti per 134 mila euro.
“Rispetto la sentenza e ne prendo atto, precisando che nei miei confronti non sono neanche state riconosciute le aggravanti – commenta il senatore Esposito, che è stato anche assessore del Comune di Roma -. Non cambio però opinione sulla questione e farò quindi ricorso, se necessario fino al terzo grado di giudizio”

(da agenzie)

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PERICOLO TERRORISMO? SOLO VARESE PUO’ STARE TRANQUILLA, ORA CHE HA VIETATO IL BURQA

Novembre 26th, 2015 Riccardo Fucile

FARSA LEGHISTA: VIETANO QUELLO CHE NON SI E’ MAI VISTO IN GIRO… COME SE LA FRANCIA, DOPO L’ANALOGA DECISIONE DEL 2011, NON FOSSE STATA COLPITA DAI TERRORISTI (CHE NON USANO CERTO IL BURQA)

Il burqa potrebbe presto essere vietato a Varese, anche se non se ne è mai visto uno in giro.
Il sindaco Attilio Fontana conta su un rapido via libera che, nel giro di poche settimane, faccia entrare in vigore l’ordinanza. “La mozione è passata con venti voti favorevoli – ha spiegato Fontana — sette astensioni e uno solo contrario”
A Varese la proposta per vietare il burqa nei luoghi pubblici o aperti al pubblico era stata mossa dal consigliere comunale di Forza Italia Piero Galparoli, e già  discussa e approvata a gennaio, seguita da non poche polemiche.
Il consigliere comunale aveva indicato i presupposti normativi che legittimerebbero il provvedimento: l’articolo 5 della legge 152/1975 infatti vieta “qualunque mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”.
Per Fontana “il periodo che viviamo ci obbliga a tenere conto della necessità  della sicurezza dei cittadini”
Da parte sua il prefetto di Varese, Giorgio Zanzi, non si è ancora espresso: “Non ho ancora avuto modo di leggere il documento — ha spiegato Zanzi — lo valuterò con la dovuta attenzione. A Varese ci sono comunità  islamiche storiche che conosciamo bene e anche a loro cerchiamo di garantire la sicurezza”.
La prima ad adottare il documento fu la Francia nel 2011 e successivamente la Corte europea dei diritti umani aveva confermato che la legge francese che vieta di nascondere integralmente il viso — e di fatto di indossare il burqa — non viola il diritto alla libertà  di religione nè quello al rispetto della vita privata.
Strasburgo però aveva respinto la motivazione secondo cui la legge sarebbe stata introdotta per assicurare la sicurezza pubblica in quanto un divieto totale di niqab e burqa non può essere considerato “necessario in una società  democratica”.
Il governo, infatti, avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato imponendo l’obbligo di mostrare il viso in caso di controlli d’identità .
La Francia venne quindi in parte bacchettata dai togati, che ritennero che emanare leggi come quella in questione possa contribuire a rafforzare   stereotipi e intolleranza contro alcuni gruppi sociali.
Tornando a Varese, è accertato che nessuna donna della comunità  islamica composta da 4.000 residenti indossa il burqa, per cui è evidente il mero fine da spot elettorale della delibera della giunta.
Sarebbe altresì opportuno ricordare agli amministratori locali che la motivazione sulla “sicurezza” è giù stata cassata dalla Corte di Strasburgo e che il divieto in Francia non ha certo impedito i sanguinosi attentati dei seguaci dell’Isis che notoriamente non hanno bisogno di travisarsi con un ingombrante burka.
Ma sarebbe forse chiedere troppo all’intelligenza.

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SE NE SONO ACCORTI: CASO SHALABAYEVA FU “SEQUESTRO DI PERSONA”

Novembre 26th, 2015 Riccardo Fucile

INDAGATO IL CAPO DELLO SCO. IL QUESTORE DI RIMINI E CINQUE POLIZIOTTI: MA DEI MANDANTI SI SA NULLA?

Sequestro di persona: è l’accusa che i pm di Perugia contestano al capo del Servizio Centrale Operativo (Sco) Renato Cortese, al questore di Rimini Maurizio Improta, ad altri 5 poliziotti e al giudice di pace Stefania Lavore per il caso Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Ablyazov espulsa dall’Italia.
Agli indagati sarebbe stata notificata un’informazione di garanzia.
Le accuse nei confronti di Cortese e Improta sono riferite a quando i due erano rispettivamente il capo della squadra mobile di Roma e il capo dell’ufficio stranieri della questura della Capitale.
Con la stessa accusa, nel registro degli indagati della procura perugina – competente ad indagare in quanto è coinvolto un giudice del distretto di Roma – compaiono poi Luca Armeni e Francesco Stampacchia, all’epoca rispettivamente dirigente della sezione criminalità  organizzata e commissario capo della squadra mobile di Roma, Vincenzo Tramma, Laura Scipioni e Stefano Leoni, tre poliziotti in servizio presso l’ufficio immigrazione.
Nell’informazione di garanzia inviata agli otto, secondo quanto si apprende, si sosterebbe che i poliziotti e il giudice di pace, in concorso con alcuni funzionari dell’ambasciata del Kazakistan di Roma, il 31 maggio del 2013 avrebbero sequestrato la Shalabayeva e sua figlia di sei anni nella villa di Casal Palocco a Roma e successivamente le avrebbero espulse.
La donna e la figlia, ha affermato la Cassazione in una sentenza del luglio del 2014, non dovevano essere espulse dall’Italia e il provvedimento di rimpatrio era viziato da «manifesta illegittimità  originaria».
Ma se questi poliziotti sono stati gli esecutori, come   mai nessuno ci dice nulla sui mandanti dell’infame sequestro?

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IL BONUS DI 500 EURO AI DICIOTTENNI NON PORTERA’ VOTI A RENZI

Novembre 26th, 2015 Riccardo Fucile

L’OPINIONE DEI SONDAGGISTI: “IL 55% NON VOTA E TRA CHI VOTA I GRILLINI SONO AL 37%, POI C’E’ IL PD”

Se sul piano politico è in corso la polemica sul bonus cultura ai neodiciottenni (se sia o meno una mancia elettorale), sul piano statistico già  è arrivata una prima risposta: i 500 euro a circa 550 mila ragazzi che compiranno 18 anni nel 2016 non porteranno voti a Renzi.
Lo sostengono diversi sondaggisti interpellati dal quotidiano La Stampa.
“Tra i 18enni, l’orientamento maggiore è l’astensione: oltre il 55% non vota”, fotografa il quadro delle intenzioni di voto il direttore di Ipr Marketing, Antonio Noto, “la prima forza politica è il M5S, che noi stimiamo al 28% in generale ma al 37% nella fascia d’età  tra i 18 e i 24 anni, a seguire il Pd”.
Un trend confermato anche da Ixè: “Negli elettori fino ai 55 anni il primo partito è quello di Grillo”, dice il presidente Roberto Weber.
Stesso discorso lo fa Demopolis. Secondo il direttore Pietro Vento i “ragazzi credono in valori “tradizionali” come la famiglia, il lavoro, l’amicizia, l’amore, ma non nei partiti”
Solo tre su dieci saprebbero chi votare, e tra i pochi che andrebbero alle urne (negli under 25, Demopolis registra un’affluenza alle politiche sotto al 50%) «il più votato sarebbe il M5S, nettamente sopra il Pd in quella fascia d’età ».
L’unico in controtendenza è Nicola Piepoli dell’omonimo istituto, che suddivide i giovanissimi che votano suppergiù in tre parti uguali tra centrosinistra, centrodestra, e Cinque stelle.
Sia Vento che Noto ritengono che però la formazione del consenso richieda tempi lunghi: “La formazione del consenso — afferma Noto — avviene in tempi lunghi, non su una singola iniziativa. Possono far cambiare orientamento ai giovani politiche che affrontino veramente le loro problematiche, non un assegno una tantum”.

(da “Huffingtonpost“)

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IL PIANO DI RENZI: STOP A BASSOLINO E MARINO

Novembre 26th, 2015 Riccardo Fucile

SI PUNTA A UN ACCORDO CON LA MINORANZA SU CANDIDATI UNICI MA SERVE IL 60% DELLA DIREZIONE… NO DEI BERSANIANI A COALIZIONI APERTE A NCD

Il Pd mette da parte l’idea di una regola per impedire agli ex sindaci di correre alle primarie, ma proverà  lo stesso a “cancellare” Antonio Bassolino a Napoli e Ignazio Marino a Roma.
Matteo Renzi cerca, nelle due città , un candidato dem che metta d’accordo tutto il partito o quasi.
A quel punto, con l’attuale statuto e il voto favorevole di almeno il 60 per cento della direzione, diventerà  il concorrente unico del Pd alle primarie di coalizione.
Bassolino o Marino, per partecipare, dovranno crearsi una loro lista alleata con il centrosinistra (ed essere accettati) .
Del resto, i due ex sindaci faticano, almeno per il momento, a trovare consensi fuori dalla cerchia renziana. La sinistra interna non li considera potabili, o sostenibili e preferisce semmai condizionare la scelta del segretario su altri nomi.
A Napoli è molto forte Celeste Condorelli, manager impegnata nel sociale.
A Roma, dove il ritardo è maggiore, si cerca un profilo simile. E se il grosso del Pd rimarrà  unito verranno tagliati fuori sia Bassolino sia Marino.
Questo è il piano.
Semmai qualche problema nel capoluogo campano potrebbe crearlo l’accordo raggiunto ieri sera con il Nuovo centrodestra. Il partito di Alfano entra ufficialmente nella coalizione di sinistra e parteciperà  alle primarie.
Ai bersaniani sembra solo l’antipasto del partito della Nazione, anche perchè uno schema simile verrà  con ogni probabilità  replicato a Milano
Reggerà  dunque la moratoria chiesta da Renzi sulle amministrative?
La direzione del Pd è fissata a gennaio. Servirà  a pronunciare il no definitivo a Bassolino che però è in piena competizione.
«A Renzi piace vincere e a me pure – ricorda a Corrieretv -. Anzi, io ho vinto più di lui». L’ex sindaco dunque sposta il tiro dai vicesegretari al segretario-premier. E l’offensiva è destinata a crescere nei prossimi giorni rendendo molto più complicato il rispetto di una tregua fino alla fine delle vacanze natalizie.
Renzi è convinto di poter reggere l’urto e intanto di trovare i candidati giusti per Napoli e Roma.
A Milano Beppe Sala aspetta solo di definire alcune pratiche dell’Expo poi accetterà  la candidatura e correrà  alle primarie. Che lì potrebbero tenersi prima del 20 marzo.
Il 7 febbraio o alla fine dello stesso mese.
A Largo del Nazareno infatti si pensa di anticipare dappertutto l’election day interno: la fine di marzo concede davvero troppo vantaggio agli avversari.
E soprattutto può aprire qualche crepa dentro al Partito democratico. L’incertezza complessiva, con l’eccezione di Bologna e Torino, crea problemi e concede spazio a chi, anche nella maggioranza renziana, considera poco incisiva la guida di Renzi nel Pd.
Ma la linea del premier non cambierà : è sempre sull’azione di governo che scommette per immaginare il futuro.

(da “La Repubblica”)

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GRIDA E INSULTI AI CONS. REG. M5S PER GLI STIPENDI NON RESTITUITI

Novembre 26th, 2015 Riccardo Fucile

BOLOGNA, ASSEMBLEA AGITATA AL CIRCOLO MAZZINI: “VERGOGNATEVI”… “ASPETTIAMO CHE LA REGIONE COSTITUISCA UN FONDO AD HOC”

“Ver-go-gna-te-vi”. E giù urla, grida, insulti.
È ormai notte quando l’assemblea grillina del circolo Mazzini di Bologna perde definitivamente le staffe contro i propri consiglieri regionali, accusati di non restituire l’extrastipendio come promesso in campagna elettorale.
“Avevi detto che ti saresti tenuta 2.500 euro netti, e invece come mai, sommando tutte le voci,   ne percepisci 5.900?” sibila la compagna di Nick il Nero, Serena Saetti, alla capogruppo in regione Giulia Gibertoni, già  finita sulla graticola a Modena, sempre per lo stesso motivo.
Al microfono gli organizzatori assicurano: “Questo non è un processo”, ma è vero il contrario.
Il clima lo danno i fogli con nove domande al vetriolo per gli eletti in Regione distribuiti all’ingresso (tra soldi e vecchi rancori gli rinfacciano pure di aver tenuto con loro i collaboratori dell”epurato Favia”).
Le opposte tifoserie si infiammano, qualcuno difende gli eletti (“stanno lavorando molto e bene, cosa importa quanto guadagnano?”), i più li attaccano.
Il consigliere cesenate Andrea Bertani   sbotta: “Ho portato il mio raccoglitore di scontrini qui con me”.
La triade soldi-onestà -trasparenza cigola. I più puri (dei puri) non transigono: vogliono che i consiglieri decidano cosa fare del proprio extrastipendio, una volta per tutte.
Perchè il fatto è che dalle elezioni 2014 ad oggi, nessuno dei successori di Giovanni Favia e Andrea Defranceschi ha ancora restituito un centesimo.
“Aspettavamo che la Regione aprisse un fondo ad hoc, se non sarà  possibile da gennaio verseremo tutto nel fondo nazionale per il microcredito”, promette la Gibertoni.
Si ma tutto quanto?   Si va da chi come Silvia Piccinini ha messo via 21mila euro a chi come la romagnola Raffaella Sensoli in un anno ne ha accantonati poco meno di 6mila, mentre la capogruppo si è fermata a quota 8.100.
“Bisogna anche considerare – precisa Gibertoni – che alcuni di noi sono in aspettativa,   e quindi hanno un datore di lavoro che accantona contributi e tfr per loro, altri no”.
Il pasticcio insomma deriverebbe da un eccesso di zelo: “Nel cancellare i vitalizi la Regione Emilia-Romagna non ha previsto nessuna pensione alternativa”.
Senza contare che: “Siamo già  una regione virtuosa. Noi prendiamo   meno di tutti in Italia”.
La discusione è tra chi sostiene che quel “avremo un’indennità  di 2500 euro” annunciato in campagna elettorale sia da interpretare in maniera letterale e chi lo legge come “5mila euro lordi”.
Alla fine l’attivista imolese strappa a tutti un sorriso: “Chi guadagna 5mila euro lordi qui in sala si alzi in piedi”.   Applausi. Da seduti.
L’assemblea è aggiornata, sui soldi si deciderà  a fine anno.

Caterina Giusberti
(da “La Repubblica”)

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