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GRAN PRIX DI ROMA: SI IMPONE IGOR RAYON SU FAN PETIT VEST

Maggio 26th, 2016 Riccardo Fucile

CORSE CLANDESTINE: STACCATO DI 5 LUNGHEZZE MELON TRICOLOR, DI 7 MARCHIENNE

Il Grand Prix è quello di Roma, che si è corso su una delle piste tradizionali su cui si svolgono da anni le Corse Clandestine: il prestigioso Ippodromo del   Nord Est.
Il GP di Roma, quest’anno, ha avuto una fase di preparazione piuttosto complicata, con la scuderia Varenne indecisa, fino all’ultimo istante, sul cavallo a cui affidare le proprie speranze di rivincita dopo la disastrosa sconfitta del 2013.
Alla fine, dopo aver a lungo accarezzato l’ipotesi Bertolènne, la scuderia azzurra ha puntato tutto sul più centrista Marquiènne, che aveva già  annunciato la sua partecipazione anche in assenza di un accordo con una scuderia già  affermata.
Il problema, per Marquiènne, è che alla sua destra corre veloce un’ex alleata di Varenne, Melòn Tricolor, che ultimamente sembra aver trovato una sorta di affinità  elettiva con Peu Sauf, leader della storica scuderia nordica Groom de Bootz.
Se il lato destro dello schieramento di partenza è scosso da divisioni, però, anche sul lato sinistro non si scherza.
La scuderia Fan Idòle si affida Fan Petit Vest, che ha vinto la gara interna organizzata per designare il cavallo ufficiale per il GP di Roma.
Ma gli sconfitti, che proprio non riescono a sopportare la proverbiale tracotanza di Fan Faròn, stavolta hanno deciso di correre da soli, presentando l’arzillo General Faisceau, che alla scuderia Fan Idòl ha praticamente trascorso tutta la propria carriera.
Ai margini dello schieramento di partenza, infine, la lanciatissima puledra Igor Rayon, della scuderia Igor Brick, che molti bookmaker considerano favorita per la corsa del 5 giugno, con buone probabilità  di vittoria anche al probabile GP de Ballottage in programma due settimane dopo, che vedrà  scontrarsi i primi due cavalli arrivati.
Ieri, all’Ippodromo del Nord Est, proprio Igor Rayon si è confermata in grande forma, conducendo per tutta la corsa e arrivando prima sul traguardo con un ottimo 29″. Dietro al battistrada, fin dall’inizio della gara si è sviluppato un serrato confronto per conquistare la seconda piazza del podio (essenziale per la qualificazione al GP de Ballottage).
Alla fine l’ha spuntata Fan Petit Vest, in 25″, che ha preceduto di quattro lunghezze Melòn Tricolor (20″), vincitrice del “derby” con Marquiènne, che ha chiuso in 18″. Una soddisfazione solo simbolica, però, per il cavallo dei Frerès Tricolòr, che con questo risultato non riuscirebbe a conquistare l’ambito pass per la gara del 19 giugno. Staccatissimo General Faisceau, che arriva sul traguardo in 5″.
Ancora più indietro, con tempi peggiori di 1″, tutti gli altri cavalli, compreso l’ex Fan Idòle Tiens Famille, che è sembrato un po’ appesantito.
Con questi tempi, a sfidarsi per il GP de Ballottage sarebbero Igor Rayon e Fan Petit Vest.
Con grande scorno delle scuderie che appartengono al lato destro dello schieramento di partenza, incapaci di trovare una sintonia che — con ogni probabilità  — avrebbe permesso loro una comoda qualificazione per la corsa del 19 giugno.

ORDINE D’ARRIVO
Igor Rayon 29″
Fan Petit Vest 25″
Melòn Tricolor 20″
Marquiènne 18″
General Faisceau 5″

(da “TheRightNation“)

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GRAN PRIX DI NAPOLI: VINCE CON DISTACCO GALOPIN DE MAGISTRY SU LETTERIENNE

Maggio 26th, 2016 Riccardo Fucile

CORSE CLANDESTINE: SEGUONO FAN VAILLANT E IGOR MONZESE

Oltre al Grand Prix di Roma, ieri al prestigioso Ippodromo del Nord Est si è corso anche il GP di Napoli, nel quale si sfidano il campione uscente Galopìn du Magistry e il suo eterno rivale Letteriènne, già  sconfitto nell’edizione 2011 del Grand Prix Municipal partenopeo.
Il campione uscente è visto dagli allibratori come il front-runner, ma c’è grande attesa per capire con chi dovrà  fare i conti al probabile GP de Ballottage previsto per il 19 giugno.
Naturale, dunque, che i cavalli in lizza abbiano dato il meglio di sè in questa corsa di preparazione per il primo round.
E ne è venuta fuori una gara davvero emozionante.
Galopìn du Magistry ha condotto in testa fin dall’inizio, mai seriamente impensierito dagli altri contendenti.
E alla fine ha chiuso con un 41″ che non gli garantirebbe di evitare il GP de Ballottage, ma che sicuramente lo segnala come il grande favorito per la sfida finale. Alle sue spalle, Letteriènne e Fan Vaillant (la cavalla che ha battuto Fan Petit Faible nella sfida interna alla scuderia Fan Idòle) si sono dati battaglia fin dal primo giro. Alla fine l’ha spuntata Letteriènne in 22″, con Fan Vaillant (18″) che — in preda alla disperazione — si è quasi fatta raggiungere da Igor Monzèse, arrivato sul traguardo in 15″ netti.
Dietro al quartetto di testa, sono arrivati alla spicciolata tutti gli altri, guidati da Coupe La Toile.
Un inconveniente tecnico al sistema di ricezione satellitare dell’ippodromo, però, non ci ha permesso di cogliere l’esatto risultato cronometrico del cavallo della scuderia Frerès Tricolòr, giunto comunque sul traguardo con molto distacco.
Le polemiche sull’appoggio a Fan Idòle da parte della scuderia Pègase Vert, già  alleata storica di Varenne, sembrano dunque aver distratto oltre misura Fan Vaillant, che ora ha l’assoluta necessità  di raggiungere in fretta uno stato di forma decente per puntare al secondo posto in vista del GP de Ballottage.
La terza piazzaa sarebbe uno smacco davvero difficile da digerire per Fan Faròn.

ORDINE D’ARRIVO
Galopìn du Magistry 41″
Letteriènne 22″
Fan Vaillant 18”
Igor Monzèse 15″

(da “TheRightNation”)

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LA MELONI HA IL FUTURO ASSICURATO CON LA DOPPIA PENSIONE

Maggio 26th, 2016 Riccardo Fucile

LA CASTA: I CONTRIBUTI DI GIORGIA MELONI TRA VITALIZIO PARLAMENTARE CONTEGGIATO CON IL METODO RETRIBUTIVO E LA PENSIONE DA GIORNALISTA DEL “SECOLO D’ITALIA” IN ASPETTATIVA

Qualora diventasse sindaco di Roma, la Meloni dovrà  affrontare tanti problemi soprattutto per la gestione della macchina burocratica della Capitale.
Di certo non dovrà  preoccuparsi del proprio futuro: una pensione la Meloni per esempio se l’è già  assicurata.
Forse due addirittura due: al vitalizio da parlamentare infatti si potrebbe aggiungere una seconda pensione da giornalista assunta al Secolo d’Italia, testata dalla quale è in aspettativa dal 2006.
Come tutti gli onorevoli e i senatori entrati nelle precedenti legislature, l’aspirante sindaco avrà  diritto a “ritirarsi” prima dei comuni mortali, con il vitalizio conteggiato — per il periodo 2006-2011 — con il metodo retributivo: cioè non calcolato sui contributi versati e quindi superiore.
Inoltre, come cronista, ha diritto a chiedere una seconda pensione versando una quota di contributi all’Inpgi per tutto il periodo in cui è stata in aspettativa per il mandato parlamentare.
Il consigliere dell’Ordine nazionale dei giornalisti e componente del collegio sindacale dell’ente di previdenza di categoria, Pierluigi Roesler, ci spiega il meccanismo: «È un privilegio consentito in base a una interpretazione stravagante e inesatta dell’articolo 31 dello Statuto dei lavoratori correttamente creato proprio per garantire a qualunque cittadino eletto di mettersi in aspettativa e di poter conservare il precedente posto di lavoro fino al termine del mandato, mantenendo anche una adeguata copertura previdenziale. In pratica, un lavoratore dipendente pubblico o privato eletto deputato, una volta cessato l’incarico a Montecitorio, potrà  tranquillamente tornare al suo vecchio posto in azienda senza perdere il diritto all’anzianità  contributiva per il periodo trascorso in Parlamento. Fino al 1999 la doppia pensione per i deputati era interamente gratis, in quanto l’intero costo dei contributi era a carico di ciascun ente previdenziale presso cui questi era già  iscritto. Nel 1999, a seguito di forti campagne di protesta, si è fatto un primo passo: adesso il parlamentare in scadenza di mandato ma in aspettativa da un qualsiasi giornale, oltre al vitalizio della Camera o del Senato, ha diritto anche alla pensione da giornalista ma solo se riscatta di tasca propria la quota del 9 per cento. In tal caso, il restante 24 per cento lo pagherà  per lui l’Inpgi. Questo vale anche per la Meloni».
Meloni dal 2004 al 2006 ha lavorato al Secolo versando i contributi come tutti.
Poi però, per il periodo di aspettativa parlamentare 2006-2008, ha pagato i contributi figurativi per il 9 per cento.
Inoltre può contare sui contributi che le spettano nel periodo 2008-2011 come ministro della Gioventù, equiparato a un dipendente di Palazzo Chigi.
Infine, nulla vieta a Giorgia Meloni ora di pagare retroattivamente i suoi contributi figurativi del 9 per cento per l’ultimo quinquennio con una sanzione modica e ottenere così il diritto alla doppia pensione.
C’è un solo modo per evitare questo privilegio, ovvero dimettersi dal Secolo d’Italia. Abbiamo chiesto al candidato sindaco se ha intenzione di scrivere la lettera di dimissioni o se davvero pensa di tornare un giorno al quotidiano (…): «Ho smesso di versare i contributi figurativi nel 2008, proprio per evitare di prestare il fianco ad attacchi pretestuosi. Se un domani dovessi riprendere il lavoro di giornalista, non intendo riscattare gli anni di “buco”, anche perchè questo non comporterebbe alcun vantaggio. Quindi non ho nessun problema: dichiaro pubblicamente di rinunciare al diritto di ottenere l’anzianità  degli anni passati in Parlamento»
Giorgia Meloni però non la racconta tutta quando dice di avere rinunciato ai contributi figurativi dal 2008 perchè non voleva prestare il fianco alle critiche.
La spiegazione potrebbe essere un’altra: dal 2008 diventa ministro ed è inutile per lei pagare ancora l’obolo del 9 per cento all’Inpgi: i contributi per tre anni e mezzo le verranno versati dalla Presidenza del Consiglio all’Inpdap, come per tutti i ministri, nella cassa speciale C.t.p.s..

(da “il Fatto Quotidiano“)

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MARONI USA 1,5 MILIONI DELLA REGIONE PER FARSI PROPAGANDA ELETTORALE A VARESE E MILANO

Maggio 26th, 2016 Riccardo Fucile

CENTINAIA DI CARTELLONI, SPOT E BANNER PER PUBBLICIZZARE INIZIATIVE DELLA REGIONE LOMBARDIA… L’OPPOSIZIONE: “CONTINUA A CONFONDERE I RUOLI”

Oltre un milione e mezzo di euro per fare pubblicità  alle nuove misure del Reddito di autonomia: succede in Lombardia, dove il governatore Roberto Maroni ha varato una mega campagna di comunicazione da 1.510.614,97 euro per affissioni, passaggi televisi e campagne social a favore delle sue nuove iniziative di welfare.
La campagna di comunicazione è stata concentrata soprattutto in due città , Milano e Varese, dove è in corso la campagna elettorale per le amministrative. Varese è anche la città  dove Maroni si presenta come capolita della Lega.
Secondo i dati forniti dalla Regione stessa, sono stati stanziati un milione e 241mila euro per comprare gli spazi di affissione dei cartelloni pubblicitari dall’1 maggio fino a martedì prossimo, il 31.
E poi poco più di 145mila euro per acquistare banner pubblicitari online da pubblicare sui principali portali web, ma anche sui social come Skype, dallo scorso 16 maggio e fino a metà  giugno, e poi altri 20mila euro per 350 passaggi pubblicitari su televisioni a diffusione regionale concnetrati tra il 29 maggio e l’11 giugno.
Nella programmazione della distribuzione regionale Varese e Milano risultano le province più ‘informatè . A Milano sono state posizionate capillarmente ben 503 affissioni mentre solo a Varese, nonostante Brescia e Bergamo siano più grandi e più popolose, si è deciso di installare, in aggiunta ai classici 30 affissioni, anche 6 poster 6×3 e un mega manifesto 12×5 in Piazza Trieste di fronte la stazione.
“Ancora una volta Maroni continua a confondere il ruolo di presidente della Regione Lombardia con quello di candidato” denunciano le opposizioni “la paura di perdere deve essere tanta se arriva a utilizzare l’istituzione regionale e i soldi dei lombardi per farsi campagna elettorale”.

(da “La Repubblica”)

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CANCELLATA LA TASSA AGGIUNTIVA SUI PERMESSI DI SOGGIORNO: IL TAGLIEGGIATORE MARONI RIMEDIA LA BRUTTA FIGURA PREVISTA

Maggio 26th, 2016 Riccardo Fucile

ILLEGITTIMO CHIEDERE UN ESBORSO EXTRA RISPETTO AGLI 80 EURO GIA’ PAGATI… ORA LA PLATEA INTERESSATA AL RIMBORSO POTREBBE ESSERE DI UN MILIONE DI STRANIERI

Una sentenza del Tar cancella la tassa sugli immigrati. O meglio il contributo extra deciso dal governo Berlusconi, un mese prima della sua caduta nel 2011, sui permessi di soggiorno.
Il decreto ministeriale fu firmato il 6 ottobre di quell’anno da Tremonti e Maroni, all’epoca titolari dell’Economia e dell’Interno.
E stabiliva un balzello aggiuntivo al costo base da 80 a 200 euro a seconda della lunghezza del permesso: 80 euro per quelli di durata inferiore o pari all’anno, 100 euro per una durata sopra all’anno e inferiore o pari a due anni, 200 euro per il lungo periodo.
Ebbene dopo il ricorso della Cgil nazionale e del patronato Inca Cgil – che hanno impugnato quel decreto nel febbraio 2012 – il Tar del Lazio si è finalmente espresso, il 24 maggio scorso.
Dicendo una cosa chiara: il contributo extra non è dovuto perchè illegittimo.
Per lo stesso motivo già  messo nero su bianco dalla Corte di Giustizia Ue con sentenza del 2 settembre 2015: perchè è in contrasto con la normativa che prevede l’integrazione dei cittadini extracomunitari e perchè supera qualsiasi esborso chiesto dalla pubblica amministrazione italiana per documenti similari, come la carta di identità .
Il governo Monti aveva promesso di cancellare il balzello (e aveva creato anche un ministro ad hoc per l’integrazione Riccardi), ma poi non se n’è fatto nulla.
I rimborsi.
E dunque cosa succede oggi? Superata l’incredulità , dopo il tam tam partito sui social alla velocità  della luce, molti immigrati si accingono a chiedere il rimborso.
“Abbiamo già  raccolto 50mila domande e preparato le prime cause pilota da inoltrare al giudice ordinario”, racconta Morena Piccinini, presidente Inca Cgil. Ma quanto è ampia la platea degli interessati?
“Stimiamo si possa arrivare a 1 milione di immigrati regolari che in questi quattro anni hanno pagato molti soldi, non dovuti. Alcune famiglie hanno sborsato anche 2 mila euro in un anno, visto che spesso si tratta di nuclei numerosi e considerato pure che i permessi vengono concessi per durate brevi e poi rinnovati anche più volte nei dodici mesi, ogni volta gravati dal contributo”.
Se così fosse, l’esborso dell’erario non sarebbe cosa da poco.
Tra l’altro, la metà  di questo gettito aggiuntivo va ad alimentare il Fondo rimpatri, istituito sempre dal decreto del 2011.
Con l’effetto paradossale degli immigrati regolari che di fatto finanziano il rimpatrio dei colleghi irregolari.
Anche con la cancellazione del balzello però, il permesso di soggiorno non sarà  gratis. Continuerà  a costare circa 80 euro.
Di questi, 30 euro e 46 centesimi rappresentano il contributo al poligrafico per la stampa, 30 euro vanno alle Poste (i pagamenti avvengono ai loro sportelli), 16 euro rappresentano la marca da bollo

Valentina Conte
(da “La Repubblica”)

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EQUITALIA PIGNORA I VITALIZI DEI CONSIGLIERI REGIONALI CALABRESI

Maggio 26th, 2016 Riccardo Fucile

IN CINQUE NON HANNO PAGATO LE MULTE ARRETRATE… ORA IL RISCOSSORE GLI TAGLIA L’ASSEGNO

Sono una Casta, ma non per Equitalia.
Di fronte al Grande esattore pure i consiglieri regionali diventano comuni mortali.
Con i debiti da saldare e gli agguerriti creditori da placare.
In Calabria, evidentemente, i lauti stipendi degli eletti — che attualmente guadagnano dagli 8 ai 9mila euro al mese — non erano così alti da permettere loro di pagare le cartelle esattoriali per tempo.
E ora Equitalia ha pensato bene di scalfire il totem per eccellenza dei privilegi dei politici: il vitalizio. Che, tra molti pregi, ha il fastidioso difetto di non essere occultabile. È pubblico e i creditori possono aggredirlo rivolgendosi all’ente di riferimento, senza che i diretti interessati possano opporsi in alcun modo. Così è stato, infatti.
Negli ultimi due mesi, ben cinque ex consiglieri regionali calabresi hanno subìto il pignoramento della loro pensione speciale, in molti casi maturata dopo solo pochi anni di lavoro a Palazzo Campanella, sede del parlamentino regionale.
Gli omissis  
I loro nomi sono riservati, coperti da una sfilza di omissis. Vige la privacy, ma non sulle cifre.
Ecco quindi che nelle disposizioni del Consiglio calabrese compare l’esatto ammontare dei debiti degli ex onorevoli. Uno di loro dovrà  corrispondere per intero circa 31mila euro, attraverso una piccola trattenuta di 1/7 sull’assegno mensile, pari a 690 euro.
Non un grande sacrificio, conti alla mano, dal momento che il già  consigliere in questione incamera un vitalizio di quasi 5mila euro al mese.
Meno complessa la situazione finanziaria degli altri quattro politici finiti nelle maglie di Equitalia.
Uno di loro dovrà  estinguere, da qui ai prossimi anni, un debito di 17mila euro (ne guadagna 4.831 ogni 30 giorni); un altro sarà  costretto a percepire una pensione decurtata fino a raggiungere gli 11mila (4.063). Equitalia non perdona.
Il vitalizio  
Attualmente la Regione Calabria ha sul groppone il vitalizio di 138 ex consiglieri regionali. Niente a che fare con le pensioni normali. I politici di lungo corso, quelli che hanno occupato gli scranni di Palazzo Campanella per più legislature, arrivano a intascare un assegno superiore ai 7mila euro al mese.
È il caso dell’ex vicepresidente della giunta regionale e tra i più importanti esponenti del Pd regionale, Nicola Adamo (7.490 euro), del già  europarlamentare Mario Pirillo (7.505) o anche dell’attuale consigliere per le questioni sanitarie del governatore Oliverio, Franco Pacenza (7.208).
Le meteore  
Nemmeno le meteore se la passano male: chi in Consiglio c’è stato per soli 5 anni può comunque contare su un assegno non inferiore ai 2.200 euro.
Da ricevere per sempre e senza prescrizioni. Il vitalizio, infatti, è cumulabile, e chi ha continuato la propria carriera politica in altre istituzioni, dal Parlamento a Bruxelles, quando sarà  il momento potrà  percepire due pensioni, entrambe dorate.
Sarà  così anche per Oliverio, che al termine del mandato porterà  a casa l’assegno regionale oltre a quello maturato durante gli anni trascorsi alla Camera.
Sono gli ultimi fortunati. Nella scorsa legislatura il vitalizio è stato cancellato.
I consiglieri regionali in carica non lo percepiranno. E, a quel punto, Equitalia dovrà  trovare altre strade per ottenere i suoi crediti.

Pietro Bellantoni
(da “La Stampa”)

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CLAMOROSO, INVALIDATE LE REGIONALI 2010 IN LOMBARDIA: “FIRME FALSE PER FORMIGONI”

Maggio 26th, 2016 Riccardo Fucile

GLI ATTI RESTANO VALIDI MA ORA I CONSIGLIERI DI FORZA ITALIA E LEGA DOVRANNO RESTITUIRE MILIONI DI EURO… LA DENUNCIA DEI RADICALI HA PORTATO ALLA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO

La notizia è passata sotto silenzio, eppure è clamorosa: le elezioni regionali lombarde del 2010 sono state azzerate dal Consiglio di Stato.
A causa delle firme false con cui era stato presentato il listino di Roberto Formigoni. Restano validi gli atti politici e amministrativi, ma ora i radicali di Marco Cappato chiedono indietro i soldi a Formigoni e ai consiglieri di Forza Italia e Lega.
Milioni di euro: le spese per la tornata elettorale, le indennità , le diarie, i vitalizi, le indennità  di fine mandato, i rimborsi spese, i trattamenti di missione, le erogazioni per i gruppi consiliari, i rimborsi elettorali e, infine, il danno d’immagine subito dall’istituzione regionale, oltre alle spese legali sostenute dalla Regione per la difesa in giudizio.
Cappato, che con Lorenzo Lipparini denunciò Formigoni e i suoi per le firme false già  prima delle elezioni del 2010, ora aspetta che la Corte di conti tiri le conseguenze economiche di quelle elezioni invalidate dal Consiglio di Stato nel 2015.
“Noi l’avevamo detto un mese prima delle urne”, ricorda Cappato (oggi candidato sindaco a Milano), “che le liste erano state presentate in modo del tutto illegale. Un mucchio di firme erano state fatte dalla stessa mano. Non ci hanno ascoltato. Cinque anni dopo, la giustizia amministrativa ci ha dato ragione e così pure il tribunale penale, che nel 2014 ha condannato in primo grado 5 persone responsabili di aver presentato liste con firme false. Così oggi è ufficiale: 10 milioni di italiani, in Lombardia, hanno votato per elezioni dichiarate nulle a causa delle firme false. Adesso devono pagare”.
Molti politici, di destra e di sinistra, sostengono che i radicali si appassionano ai cavilli giuridici. “Non sono cavilli”, replica Cappato. “La politica è rispetto delle regole. La certezza del processo elettorale è la precondizione della democrazia. Le regole non vanno interpretate, vanno applicate con il massimo rigore. E devono valere per tutti. Formigoni ci disse più o meno: ‘Che cosa volete voi? Io ho preso il 60 per cento dei voti e voi radicali neanche uno’. Come il Marchese del Grillo: ‘Io sono io e voi…’. Ma le regole devono essere uguali per tutti, devono valere anche per il più potente”.
Senza guardare se chi non rispetta le regole è di destra o di sinistra. “Certo, noi Radicali abbiamo chiesto il rispetto delle regole da parte della destra in Regione, ma anche della sinistra in Comune, a proposito dell’ineleggibilità  di Giuseppe Sala”.
Nell’esposto-denuncia alla Procura della Corte dei conti, Cappato e Lipparini chiedono anche la restituzione delle spese legali sostenute dalla Regione nelle cause amministrative e civili contro i loro ricorsi.
“Sì, perchè Formigoni ha fatto pagare la Regione, ma si difendeva come candidato, non come presidente, dunque non poteva farlo a spese dell’istituzione”.

Gianni Barbacetto
(da “il Fatto Quotidiano”)

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CALABRIA: SCOPELLITI CONDANNATO IN CASSAZIONE A PAGARE 300.000 EURO PER ACQUISTO DI UN BENE INUTILE

Maggio 26th, 2016 Riccardo Fucile

LA VICENDA ITALCITRUS SI CHIUDE CON LA CONDANNA DELL’EX PRESIDENTE DELLA REGIONE PER DANNO ERARIALE

Nel 2009 il reato fu dichiarato prescritto. La Corte dei Conti, invece, andò avanti e ieri è arrivata la sentenza definitiva della Cassazione che ha condannato l’ex governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti per danno erariale: dovrà  risarcire la pubblica amministrazione con 300mila euro.
La vicenda è quella dell’ex Italcitrus, un vecchio stabilimento per la trasformazione di agrumi che il Comune di Reggio, quando Scopelliti era sindaco, acquistò nel 2004 dall’imprenditore Emidio Francesco Falcone.
Due milioni e mezzo di euro per un capannone abbandonato e pieno di amianto dove Scopelliti voleva realizzare una sede Rai.
Erano gli anni della Reggio “da bere”, di un Comune capace di impegnare milioni di euro in feste e spettacoli.
Pagato il proprietario dell’ex Italcitrus, il Comune non riconvertì mai quei terreni e quel capannone. Non ci fu un utilizzo proficuo per la collettività , nonostante la necessità  dell’acquisto fosse stata motivata per ospitare un fantomatico centro della Rai che non ha mai visto la luce.
Per i magistrati, quella di Scopelliti era risultata “l’azione trainante in tutta l’operazione”.
In primo grado l’ex governatore era stato condannato dalla Corte dei Conti della Calabria, nel 2009, a risarcire il danno con 697.511 euro perchè i giudici contabili avevano ritenuto che fosse stato corrisposto “un prezzo largamente superiore” al valore del bene immobiliare, oltre al fatto che era stato acquistato un bene “inutile rispetto all’interesse pubblico”.
In secondo grado nel 2014, invece, la Corte dei Conti sezione centrale aveva ridotto l’entità  del risarcimento a 300mila euro dopo aver eliminato la prima voce di addebito per via “dell’incertezza del reale valore di mercato del complesso immobiliare, alla luce delle diverse stime espresse in più perizie”, e lasciando fermo invece il secondo motivo di addebito relativo alla inutilità  dell’acquisto.
Per questo motivo era stata messa sotto ipoteca la casa coniugale di Scopelliti.
La vicenda dell’ex Italcitrus era scoppiata nel 2007, durante le elezioni comunali vinte dall’esponente di centrodestra.
All’epoca si era candidato a sindaco anche l’imprenditore Eduardo Lamberti Castronuovo, oggi assessore provinciale alla Cultura e alla Legalità .
Proprio Lamberti Castronuovo aveva sollevato la polemica sull’acquisto inopportuno dell’ex stabilimento di agrumi ed era stato querelato per diffamazione per aver inviato, durante la campagna elettorale, un opuscolo sulla vicenda a casa dei cittadini.

Lucio Musolino
(da “il Fatto Quotidiano”)

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FIRENZE: CONDOTTA CAMBIATA DOPO L’ALLUVIONE DEL ’66 E NON MONITORATA, LO SPECCHIO DI UN PAESE ARRETRATO

Maggio 26th, 2016 Riccardo Fucile

SENZA MANUTENZIONE “E’ TUTTA COLPA DEL TUBO”

«Comodo, no? Il tubo non può essere portato in tribunale. E allora diciamo che è tutta colpa del tubo e la cattiva coscienza nazionale è salva. Una vecchia storia».
Ride amaro Franco Siccardi, docente di ingegneria idraulica a Genova e presidente della fondazione Cima (centro internazionale monitoraggio ambientale).
A guardare le foto di Firenze c’è il rischio di cadere in uno di quei «pezzi facili» di cui è piena la letteratura sull’Italia che va sott’acqua – per cause naturali e incuria umana, spesso per entrambe.
E allora diciamo subito che non ci troviamo in Sicilia, Calabria e Campania, dove da vent’anni non viene applicata la legge sul servizio idrico.
Non possiamo prendercela con un carrozzone pubblico di politici trombati da additare alla facile indignazione.
Non si può almanaccare sul profondo Sud che negli ultimi quindici anni non è riuscito a spendere 3,2 miliardi disponibili per nuovi depuratori.
Non siamo in quel grande pezzo d’Italia (40% della popolazione e 20% dei Comuni) che non depura gli scarichi fognari, tanto da meritarsi dall’Unione Europea una multa di 300 milioni l’anno.
«La Toscana – spiega Mauro Grassi, capo della task force di Palazzo Chigi sul servizio idrico – è all’avanguardia in Italia da ogni punto di vista: aziende, tariffe, riscossione, investimenti».
PUBBLICO E PRIVATI  
Il servizio è gestito da Publiacqua, azienda costituita da 46 Comuni nel 2000 e nella quale, dieci anni fa, sono entrati al 40% colossi privati come Acea (Caltagirone-Comune di Roma), Suez Environnement (francese, numero 2 al mondo nel settore) e Monte dei Paschi.
Publiacqua rivendica performance che la collocano al top nel panorama nazionale: 60 euro pro capite di investimenti annui (la media nazionale è 35 e nei casi peggiori si scende a 15, nel Nord Europa si sale a 100), finanziate con tariffe adeguate (le più care d’Italia: troppo, sostengono i critici) e riscosse con efficienza, mentre gran parte del Paese registra tariffe «politiche» e tassi di morosità  del 50% (al Sud anche oltre il 70%) tollerati per quieto vivere.
In questo contesto di efficienza aziendale, è sufficiente dire che «si è rotto un vecchio tubo», come sostiene la vulgata che si è diffusa ieri?
Il tubo che si è rotto ha il diametro di 70 centimetri, «dunque fa parte della condotta principale che gira attorno alla città  umbertina, non lontano dall’acquedotto», dice Renzo Rosso, docente di costruzioni idrauliche al Politecnico di Milano e in passato a Firenze.
Dopo l’alluvione del 1966, tutti i tubi furono cambiati per il forte inquinamento prodotto dalla distruzione delle vasche di nafta.
Il tubo è di ghisa grigia, materiale molto diffuso all’epoca, ora desueto e sostituito da ghisa sferoidale (meno soggetta a corrosione), acciaio, plastica.
A quasi cinquant’anni un tubo di ghisa è vecchio al punto da rompersi così?
«No», dice Francesco Laio, che insegna ingegneria dell’ambiente al Politecnico di Torino. «I cedimenti dei metalli sono rari e si verificano presto. L’invecchiamento della ghisa esiste ma non tale da compromettere le caratteristiche strutturali. Ci possono essere incrostazioni o perdite dai giunti, ma una rottura sarebbe sorprendente».
TROPPI ANNI O POCHI?  
Gli esperti concordano: non esiste una regola automatica che associa una certa età  alla vetustà  di una condotta.
La ghisa può resistere anche alcuni decenni in più, ma ad alcune condizioni. Prima: verifica e, se possibile, limitazione delle sollecitazioni meccaniche, che patisce. Una condotta sotto una strada trafficata rischia molto di più. Per dirla con la cruda metafora del professor Rosso: «Se poggi il piede sulla pancia di un bimbo non succede niente, se ci salti sopra ripetutamente lo ammazzi».
La seconda condizione è la manutenzione. E qui c’è l’altra voragine, fiorentina e nazionale, in un Paese che investe 1,8 miliardi l’anno nel sistema idrico, mentre ne servirebbero sei.
Dice il professor Siccardi: «Cercare le perdite è un servizio molto utile e antico, ma sempre meno praticato. Di notte gli operai degli acquedotti non devono dormire, ma girare le città  come rabdomanti, con un sensore che evidenzia dove ci sono perdite. Quando si trovano, si rompe la strada e si tappa il buco. Se non lo fai, ti ritrovi a intervenire con le auto sprofondate».
Publiacqua monitora attraverso la pressione dell’acqua, senza controlli precisi e localizzati.
Ma così le piccole perdite non emergono e possono persistere indisturbate. Questo potrebbe essere accaduto sul Lungarno, dove la sperimentazione di un nuovo e più preciso sistema di sensori non è ancora arrivato.
La foto che evidenzia una vegetazione sull’argine più fitta e rigogliosa proprio nel punto della voragine non è decisiva, ma rende verosimile l’ipotesi di una perdita occulta e ignorata, non rilevata dai misuratori di portata per l’entità  esigua ma tale da provocare, nel tempo, il collasso del materiale su cui era posato il tubo e la rottura fatale. Se scoperta in tempo da un operaio con un sensore, sarebbe stata risolta facilmente.
Anche così, nell’avanguardia delle performance, sprofonda l’Italia.

Giuseppe Salvaggiulo
(da “La Stampa”)

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