Settembre 7th, 2016 Riccardo Fucile MURARO E DE DOMINICIS RESTANO ASSESSORI, ROMEO MANTIENE IL SUO POSTO E MARRA VIENE SOLO SPOSTATO DI INCARICO NEL BLOG DI GRILLO, MA NON PER LA RAGGI… IL DIRETTORIO NON HA OTTENUTO UNA MAZZA, MA SONO TUTTI “VITTIME DEL SISTEMA”
Il «movimento resta unito» sancisce Grillo a Nettuno: e mai come in questo caso l’unione fa la farsa.
L’esordio del leader fondatore Grillo è stato da tregenda: «il regime reagisce compatto contro di noi».
«Ringrazio il direttorio che ha protetto Virginia Raggi che andrà avanti e noi vigileremo» ha proseguito paragonando Raggi al primo sindaco nero del 1968 in Mississipi (che si rivolterà nella tomba)
Il coro ritmato «onestà , onestà », avviato da Beppe Grillo sul palco e subito ripreso dai militanti in piazza, ha chiuso il comizio di M5s a Nettuno.
Nessuno si ricorda più che il direttorio aveva chiesto quattro teste ( Muraro, De Dominicis, Romeo e Marra): per la serie “abbiamo scherzato” sono tutti sul palco a reggere il moccolo al ballista Di Maio, ideale candidato premier della Repubblica dei conigli.
Mentre il capocomico miliardario genovese urla “contro il sistema”, emerge la decisione presa “di comune accordo”: non cambiare una mazza.
La Raggi non si vergogna nemmeno delle balle che ha raccontato e compare in video amatoriale per rendere noto che la Muraro resta al suo posto, nonostante sia indagata (pare pure per abuso d’ufficio, ma potrebbe anche esserle contestata la corruzione, una sciocchezza dai…) .
Lo stesso dicasi per il raccomandato dallo studio Sammarco, ovvero De Dominicis. esperto di Tinto Brass, per il fido Romeo e persino per Marra che al massimo cambia incarico.
E su Marra siamo alla farsa completa: “L’attuale vicecapo di gabinetto Raffaele Marra sarà ricollocato in un’altra sede”, si legge nel post scriptum che compare sul blog di Grillo sotto la dichiarazione della sindaca.
Ma di questa frase non ce n’è traccia nell’identico post riportato dalla sindaca sul suo profilo Facebook.
Cala il sipario, cadono le stelle.
A molti elettori grillini non solo quelle.
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Settembre 7th, 2016 Riccardo Fucile ALLA MURARO NON VIENE CONTESTATA SOLO L’ACCUSA DI “REATI AMBIENTALI”, MA ANCHE L’ABUSO D’UFFICIO… E C’E’ ANCHE L’IPOTESI DI CORRUZIONE
C’è un documento che dimostra in maniera chiara il legame tra Paola Muraro e le società di Manlio
Cerroni, il ras dei rifiuti a Roma imputato proprio per la gestione della spazzatura e adesso indagato nel nuovo filone d’inchiesta.
E avvalora il sospetto dei pubblici ministeri che nel suo ruolo di consulente di Ama, ricoperto per ben 12 anni, la donna abbia favorito le aziende private danneggiando la stessa municipalizzata.
È l’elenco dei componenti del comitato tecnico-scientifico di Ecomondo 2016, la «piattaforma tecnologica per la Green e Circular Economy nell’area Euro-Mediterranea» che quest’anno si svolgerà a novembre a Rimini.
La dicitura è eloquente: «Paola Muraro & Carlo Noto La Diega».
Noto La Diega è il socio di Cerroni nella società Gesenu e in altre aziende del gruppo, oltre a essere stato il coordinatore per il monitoraggio ambientale della discarica romana di Malagrotta.
Perchè l’assessore all’Ambiente del Campidoglio si muove in tandem con un personaggio così controverso, peraltro finito agli arresti lo scorso anno nell’ambito di un’inchiesta sulla gestione dei rifiuti a Viterbo?
Qual era la reale natura di questo rapporto che arriva direttamente a Cerroni?
Per rispondere a questi interrogativi i magistrati stanno ricontrollando tutte le delibere e hanno deciso di acquisire le dichiarazioni dei redditi della Muraro proprio per controllare le «entrate», oltre alla consulenza con Ama che per dodici anni le ha fatto guadagnare oltre un milione di euro.
In realtà la donna era molto più che una semplice consulente.
Legatissima a Franco Panzironi e Giovanni Fiscon – gli ex vertici di Ama scelti dall’ex sindaco Gianni Alemanno e poi imputati nel processo di Mafia Capitale – Muraro ha svolto un ruolo da funzionaria di alto livello, delegata alla gestione e al controllo degli impianti.
Dunque una funzione pubblica e proprio questo consente agli inquirenti di contestarle – oltre alla violazione dei reati ambientali – anche l’abuso d’ufficio.
Nel fascicolo del pubblico ministero Alberto Galanti emerge il sospetto che abbia garantito una sorta di patto affinchè gli impianti Ama funzionassero a ritmo ridotto proprio per consentire anche a quelli di Cerroni di smaltire una parte dei rifiuti della Capitale.
Per questo, denunciano i carabinieri del Noe, sarebbero state alterate le quantità di materiale trattato e prodotto.
Adesso bisognerà scoprire quale fosse la contropartita per questo interessamento, verificare se Muraro abbia tratto vantaggi.
In questo caso scatterebbe infatti anche l’accusa ancor più grave di corruzione.
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 7th, 2016 Riccardo Fucile IL M5S HA FATTO FUORI RETTIGHIERI, REO DI AVER FATTO LA GUERRA AI PRIVILEGI DEI SINDACATI CHE NON A CASO SI SONO SCHIERATI CON LA RAGGI… E, GUARDA CASO, LO SOSTITUISCE CON UN INGEGNERE CHE HA IL 5% DI UNA SOCIETA’ DI CONSULENZA PRIVATA
Tutto si può dire, tranne che non sapessero.
Da mesi nell’assessorato della «Città in movimento», o come si chiamava prima dell’avvento grillino, piovevano relazioni, lettere, avvertimenti.
L’ultimo, il 30 agosto. Ci sarebbero stati giorni difficili anche in superficie, oltre che sottoterra, diceva il direttore dell’Atac Marco Rettighieri.
Problemi di manutenzione, di pezzi di ricambio… Beccandosi per tutta risposta dall’assessora Linda Meleo, all’apice della crisi, un tweet al curaro: «Ecco l’eredità di Rettighieri. 200 mezzi in meno rispetto ai 1.400 programmati…».
Lunedì a Roma circolavano 1.150 autobus. Martedì si era saliti a 1.190.
Meno della metà del parco, che si aggira intorno ai 2.500 mezzi. In una capitale europea con pochi chilometri di metropolitana, che peraltro funzionano a singhiozzo. In pieno Giubileo. E lunedì riaprono le scuole
Di chi è la colpa? Perchè colpe ci sono eccome. Ma difficilmente una persona sola, anche se è il direttore generale, può fare un danno simile in nove mesi.
L’Atac è con ogni probabilità l’azienda pubblica più scassata d’Italia. Più scassata, se possibile, dei suoi autobus. Che hanno l’abitudine di scassarsi prevalentemente il 27 di ogni mese oppure dopo le elezioni a cui partecipano come scrutatori centinaia di suoi dipendenti.
Il top, però, si registra quando il capo del personale assume qualche iniziativa indigesta, come il blocco di 50 promozioni concordate con il sindacato: allora s’ingolfano gli iniettori, fanno crac gli ammortizzatori, saltano le turbine come niente fosse.
Si è arrivati a superare quota 800, un giorno. Un terzo dell’intero parco mezzi, metà di quelli circolanti
Vogliamo mettere anche questo sulle spalle di Rettighieri, che il prefetto Francesco Paolo Tronca aveva spedito all’Atac per metterci almeno una toppa in vista del Giubileo?
E ci vogliamo aggiungere le 111.664 ore di «agibilità sindacale» concesse nel 2015, ben 11.283 più di quelle effettivamente concedibili: come se l’Atac pagasse 82 persone per lavorare altrove?
E i 16,7 milioni pagati per le gomme, il doppio del previsto, a un fornitore di cui è direttore un dirigente dell’Atac in aspettativa?
E la barca di quattrini impegnati in modo quantomeno discutibile per una sede faraonica nella periferia romana?
Colpe ne ha Rettighieri, eccome. Per esempio aver fatto la guerra ai sindacati, che osservavano in qualche caso apertamente con favore l’ascesa di Virginia Raggi. Arrivando alla decisione di revocare accordi non scritti che per quarant’anni hanno garantito al dopolavoro in mano ai sindacalisti la gestione di mense e bar aziendali.
E certo le cose non migliorano con la fine del commissariamento.
L’acme si raggiunge quando Rettighieri decide di spostare il dirigente Federico Chiovelli: cugino, secondo la ricostruzione pubblicata dai giornali, dell’assessora grillina del Municipio XV Paola Chiovelli.
Lo scambio di colpi è virulento e Rettighieri non esita ad accusare Linda Meleo di ingerenze nella gestione dell’azienda.
Con una lettera così dura che qualcuno si spinge a ipotizzare che stia cercando l’incidente
Ma il suo destino è segnato già durante la campagna elettorale: troppo impopolare quella guerra al sindacato, in un’azienda dove sono sindacalizzati in 8.899 su 11.687.
Il direttore scelto da Tronca getta la spugna di fatto insieme a Marcello Minenna, l’unico che lo difende.
Venerdì prossimo è l’ultimo giorno di lavoro. In una situazione oggettivamente drammatica.
Che fare? A mali estremi, si dice, estremi rimedi. Magari ricorrendo ai privati: il consorzio Tpl costituito fra alcuni trasportatori romani e una società pubblica umbra, che da una decina d’anni gestisce per un centinaio di milioni l’anno pagati dal Campidoglio (oltre ai costi dell’Atac), alcune linee periferiche.
Fantascienza? Un’ipotesi forse assurda, com’è assurdo tutto questo.
Però quelli hanno nei cassetti un lodo arbitrale che impone al Comune di versargli 115 milioni: un’arma letale
L’amministratore Armando Brandolese deve invece aspettare il sostituto: l’ingegnere nucleare Manuel Fantasia, titolare del 5 per cento di una società di consulenza aziendale.
Nominato con urgenza a ridosso delle dimissioni dei vertici, non ha ancora messo piede in azienda. Nè l’assemblea che dovrebbe insediarlo è stata convocata.
I prossimi giorni, in assoluto i più delicati, l’azienda rischia dunque di affrontarli senza timoniere.
O con un timoniere inesperto e spaesato. Scelta che peraltro ha già fatto storcere la bocca ai sostenitori della campagna #Saichivoti per la trasparenza delle nomine pubbliche a cui aveva aderito anche Virginia Raggi.
Adesione a parole, si è lamentato Federico Anghelè di Riparte il futuro, visto che Fantasia è stato scelto esattamente come hanno sempre fatto i partiti…
Ma il Movimento 5 Stelle non le aveva scomunicate, certe pratiche?
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 7th, 2016 Riccardo Fucile LA CLASSE POLITICA SI SELEZIONA NELLA LOTTA POLITICA, NON CON I CURRICULUM AZIENDALI
“Dilettanti allo sbaraglio”. Era questo il sottotitolo della “Corrida”, una trasmissione, prima
radiofonica e poi televisiva, che conduceva il famoso presentatore Corrado.
Il quale, con un cinismo fintamente bonario, si prendeva gioco di tanta gente qualunque in cerca di un quarto d’ora di notorietà .
E “dilettanti allo sbaraglio” ci sembra l’epigrafe più adatta per sintetizzare i primi cento, catastrofici giorni dell’amministrazione grillina della capitale.
Tempo fa avevo parlato della mezza cultura del grillino medio.
Oggi ci tocca parlare della vera e propria incultura della stessa classe dirigente a cinque stelle.
Mancanza di cultura politica, prima di tutto. Da cui discende non solo l’idea, visibilmente puerile, che la politica si riduca a “onestà privata”, ma anche quella che, oltre all’onestà , per governare ci voglia solo competenza tecnica.
Fa veramente tenerezza, o rabbia a seconda dei casi, sentir dire dalla sindaca Raggi che, per scegliere il nome di un assessore o del capo di una segreteria politica, sono stati visionati i curricola dei candidati.
Quasi che amministrare politicamente e amministrare un’azienda fossero la stessa cosa, faccende entrambe da manager.
Come si può nella patria di Machiavelli arrivare a pensare, e poi a dire, una simile sciocchezza?
La classe politica si seleziona solo nella lotta politica: altra possibilità non c’è.
La politica è prima di tutto visione, cioè chiarezza sugli obiettivi da raggiungere, e poi assunzione di responsabilità .
Nel bene, come nel male. Non si possono fuggire le telecamere, come stanno facendo in queste ore i grillini.
Nè ci si può nascondere dietro un dito, appellandosi a “scelte condivise”, quando si è avuta un’investitura personale e quasi plebiscitaria.
Nè si può tener nascosta la verità , e addirittura mentire, davanti a coloro che ti hanno eletto.
È un errore politico veramente autodistruttivo: ciò che ne va di mezzo è la fiducia personale che ti è stata concessa.
Ci vuole tanto a capire che il cittadino-elettore è disposto a perdonare persino la “disonestà “, ma non perdonerà mai la menzogna?
Ci vuole tanto a capire che qualsiasi giustificazione a posteriori più o meno bizantina, qualsiasi gioco di parole, non regge, e che l’unica scelta che un politico serio ha davanti, di fronte a circostanze del genere, sono le scuse ufficiali?
Senza aspettare settimane, senza tener nascosta nel “cassetto” la verità , nella speranza che nessuno la scopra.
Scuse ufficiali al popolo romano, che ha votato per il movimento in massa. Perchè la Raggi ci gira ancora attorno? La menzogna in politica un tempo veniva etichettata sotto la voce “arcana imperii”.
Poi, in età moderna, si è parlato più semplicemente di “ragion di Stato”, riservandola a settori speciali come i “servizi segreti”.
Nell’uno e nell’altro caso, si occultava la verità , che poteva essere perturbante, per la salus rei publicae, cioè per la salvezza della Patria.
Qui invece si è mentito per piccoli interessi di bottega, personali, e proprio mentre si faceva della “trasparenza” il mito fondativo della nuova politica. Da non credere!
Alcuni giornali, a esempio “il Foglio”, insistono sulla incompatibilità fra la grammatica grillina, fondata sul valore dell’ onestà , e il governo politico di una società .
Sono d’accordo, ma solo fino a un certo punto. Con l’onesta, valore non politico, si può fare politica. Basti pensare solo un attimo all’esperienza del giacobinismo, anche nelle sue propaggini totalitarie novecentesche, che su quella grammatica, su un’astratta idea di “virtù”, si è costruita fino ad arrivare al Terrore.
Qui, più che a una fenomenologia della mente rivoluzionaria, siamo però di fronte alla fenomenologia della ignoranza umana.
Ignoranza della politica e delle sue regole, a cui, diceva Benedetto Croce, è vano ribellarsi.
Pena lo spettacolo pietoso di questi giorni. “Dilettanti allo sbaraglio”, appunto.
Il problema, come diceva quel tale, non è l’ignoranza, ma l’ignoranza attiva. E mai come in questa estate romana si son visti tanti ignoranti attivi e presuntuosi. Imperdonabile.
Non so se era tutto già scritto, come pure si è detto. Fatto sta che fa davvero meraviglia come un abbaglio così grande lo abbia potuto prendere un popolo come quello romano, di sana e scettica diffidenza verso tutto ciò che si presenta come nuovo e originale.
Caduti così in basso, forse ora, non si può fare altro che risalire.
Corrado Ocone
filosofo
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 7th, 2016 Riccardo Fucile E POI NON ABBIAMO SOLDI PER COSTRUIRE CASE POPOLARI, AUMENTARE LE PENSIONI MINIME, EVITARE I DISSESTI GEOLOGICI
Il conto più caro lo paga l’Italia. Ovviamente senza fattura.
L’Iva evasa lascia un vuoto nelle nostre casse pubbliche pari a 36,9 miliardi l’anno: basterebbe meno di un terzo di quel gettito mancato per sistemare i conti nella prossima finanziaria ed evitare così di dover chiedere a Bruxelles nuova flessibilità . Nessun Paese nell’Unione Europea registra una cifra simile.
Il buco per l’Iva evasa, nell’intera Ue, nel 2014 è stato di 159,5 miliardi di euro. Rispetto all’anno precedente c’è stato un piccolo miglioramento (recuperati 2,5 miliardi), ma non basta: «Alcune riforme sono state avviate, ma ne servono di più radicali» dice la Commissione, che ha fatto realizzare questo studio sull’evasione tra i Ventisette (Cipro non è stata inclusa)
A scorrere i dati Paese per Paese, ne esce un’Europa con differenze abissali.
Se il valore medio dell’evasione dell’Iva nell’Ue si aggira attorno al 14%, si va da Paesi come la Romania che hanno un tasso del 37,9% ad altri come la Svezia che non si scostano dall’1,2%.
Per l’Italia il peso del «nero» è del 27,55%, ma in termini assoluti la cifra più alta viene registrata qui.
Da sola equivale quasi a un quarto dell’intera evasione europea.
Anche da noi qualche passo avanti è stato fatto rispetto all’anno precedente (2013), quando il tasso era del 29,27% e il valore dell’Iva evasa pari a 38,88 miliardi.
Il dato resta però allarmante.
«È inaccettabile che i Paesi perdano tutti questi miliardi – attacca il commissario agli Affari Economici Pierre Moscovici -. L’attuale regime resta di fatto inerme di fronte alle frodi. Serve un dibattito franco e costruttivo tra gli Stati»
La Commissione un progetto per frenare l’emorragia ce l’avrebbe pure: l’ha messo sul tavolo ad aprile, presentando un piano d’azione per uno spazio unico europeo dell’Iva. Nel 2017 verrà formalizzato con una vera e propria proposta legislativa che avrà l’obiettivo di «ristabilire il principio di imposizione sugli scambi transfrontalieri».
È proprio questo il punto su cui si vuole intervenire.
Si calcola infatti che l’evasione per le compravendite tra i diversi Stati ammonti a circa 50 miliardi di euro l’anno (quasi un terzo del totale) e la Commissione stima di poter ridurre dell’80% questa cifra.
Serve però la volontà degli Stati che dovranno andare oltre l’attuale sistema che regola gli scambi transfrontalieri, in vigore dal 1993 e pensato per essere transitorio.
Un sistema che, secondo la stessa Commissione, «lascia spazio alle frodi».
In cambio di regole comuni e maggiore scambio di informazioni, il governo dell’Ue è pronto a concedere agli Stati maggiore flessibilità sulla scelta delle aliquote e la possibilità di ridurre – o eliminare – l’elenco dei beni e dei servizi su cui poter applicare l’Iva agevolata.
La questione dell’evasione fiscale all’interno dell’Ue è un tema caldo e spinoso e il caso Apple in Irlanda ha riacceso il dibattito.
Venerdì e sabato ne parleranno anche i ministri dell’Economia e delle Finanze nel Consiglio informale in programma a Bratislava.
Sul tavolo ci sarà una proposta della presidenza slovacca, che verrà discussa sabato, che avrà l’obiettivo di «garantire un equilibrio tra un’effettiva lotta all’evasione e la necessità di garantire un contesto fiscale stabile e prevedibile».
Bratislava teme una fuga delle multinazionali, per questo chiede che siano fissate regole certe e che ci sia maggiore cooperazione tra gli Stati in questo senso.
Tra le altre proposte che la presidenza slovacca porterà alla riunione, ci sarà anche un nuovo fondo europeo per proteggere l’Ue da eventuali choc finanziari.
Marco Bresolin
(da “La Stampa“)
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Settembre 7th, 2016 Riccardo Fucile SONO RIUSCITI A FARSI MALE DA SOLI
La cosa più stupefacente è che hanno fatto e stanno facendo davvero tutto da soli. Quello che sta accadendo a
Roma, dove un’esperienza amministrativa appena nata si sta accartocciando su se stessa davanti allo sguardo sbigottito anzitutto degli elettori grillini, è un avvenimento politico di prima grandezza.
Destinato ad avere ripercussioni almeno pari a quelle del referendum e capace di imprimere una brusca svolta alla vicenda italiana e alla natura stessa dei cinque stelle. La pietruzza di un’assessora maldestra e (quantomeno) reticente, rotolando giù dal colle del Campidoglio, ha colpito prima la sindaca Raggi e poi, a cascata, il candidato in pectore Luigi Di Maio.
Macchiandone l’immagine e indebolendolo sul piano interno a favore di un altro potenziale leader come Alessandro Di Battista.
Perchè «Roma è Roma», come disse lo stesso Di Maio, non è Quarto o Livorno. Se il Movimento cade nella Capitale è finito.
A ben vedere non è la prima grave crisi di maturità dei cinque stelle dalla loro clamorosa affermazione nel 2013.
Altri momenti molto difficili furono le espulsioni di massa del primo anno, culminate con l’assalto degli eretici alla villa di Grillo a Marina di Bibbona, la sconfitta alle Europee da parte di Renzi, la gestione dei sindaci di Parma e Quarto.
Nulla di paragonabile al caso Raggi. E c’è una ragione precisa che porta a considerare questo il passaggio centrale per capire quello che sarà e come evolverà il partito-non-partito che ha rivoluzionato la politica italiana.
Il motivo si chiama Gianroberto Casaleggio.
Il vero leader dei Cinquestelle, il capo «politico». «Il movimento farà a meno di me e di Grillo», disse in una intervista a Lucia Annunziata del 2014.
Quel momento è arrivato. Cosa avrebbe fatto Casaleggio? Possiamo supporre che avrebbe convocato a Milano Raggi e le avrebbe intimato di cacciare su due piedi l’assessore Muraro e tutto quel giro di strane figure di staff di cui si è circondata.
Pena l’espulsione immediata.
Non avrebbe aspettato di essere travolto dallo scandalo e dalle bugie, avrebbe agito in contropiede. In maniera anche brutale. In fondo si deve a Casaleggio quell’articolo 9 del codice di comportamento degli eletti che impone al sindaco e a «ciascun assessore e ciascun consigliere di dimettersi laddove, in seguito a fatti penalmente rilevanti, venga iscritto nel registro degli indagati».
E’ quello che il Direttorio ha chiesto in extremis alla sindaca: la cacciata delle anime nere che hanno «contaminato» la purezza del M5s.
Ci sono arrivati però dopo mille reticenze, mezze bugie, afasie e convulsioni, disvelando in questo modo una sorda lotta di potere interna.
Da come il partito-non-partito uscirà da questa vicenda si capirà non solo chi comanda davvero a Roma – se i vertici M5S o la sindaca scelta da quasi 800 mila romani – ma soprattutto se il gruppo dirigente che ha preso in mano il Movimento dopo la morte del leader ha la capacità e lo spessore di candidarsi a guidare il Paese.
«E’ in arrivo una tempesta, con lampi e tuoni», profetizzò ai primi di agosto uno stralunato Beppe Grillo in un video che fece molto rumore.
Quello che non si aspettava è che avrebbe piovuto solo sui suoi ragazzi.
Francesco Bei
(da “La Stampa”)
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Settembre 7th, 2016 Riccardo Fucile DECINE DI COMMENTI CANCELLATI: “DOV’E’ LA TRASPARENZA?”
Proteste, richieste di dimissioni e commenti censurati.
Il blog di Beppe Grillo è la cartina di tornasole dell’imbarazzo che regna sovrano all’interno del Movimento Cinque Stelle sul caos romano.
Lunedì sera – mentre davanti alla Commissione Ecomafie e sulle agenzie di stampa andava in scena lo scaricabarile tra Virginia Raggi e il direttorio su chi fosse o meno informato dell’indagine della Procura sull’assessora Paola Muraro – il sito del leader M5S proponeva un video in cui la sindaca esordiva con un «ciao, stiamo lavorando per Roma», spiegava ai cittadini di aver incontrato «resistenze», ma di non essere spaventata.
Nella giornata di ieri il filmato, quantomeno infelice per tempistica, era scivolato più in basso, soppiantato dal post «L’euro è il problema dell’Europa».
Ma la base, nelle ultime ore, non pare interessata a monete uniche e tassi di cambio.
Utenti bannati
Sui siti della galassia grillina e sui social i militanti sono in rivolta.
Accusano la sindaca di aver nascosto all’opinione pubblica l’inchiesta su Muraro, invocano «onestà e trasparenza», lamentano il tradimento dei princìpi del Movimento e il «silenzio assordante» dei vertici. I
l video autoassolutorio di Raggi raccoglie centinaia di commenti. «Virginia deve dimettersi prima che la situazione travolga tutto il M5S», scrive Michele De Donato.
«La sindaca di Roma sta disperdendo un immenso patrimonio di consensi in modo del tutto stupido», sostiene Mauro Ciccarelli.
Di fronte alla valanga di proteste, gli amministratori del blog rispolverano la censura.
Il sito “nocensura.eusoft.net” raccoglie i commenti rimossi dal blog di Grillo: gli interventi cancellati dai moderatori della Casaleggio sono decine.
Come quello di Mario C., che si dice «esterrefatto da come siete cambiati in peggio in un paio di mesi».
«Parlo dello scandalo Raggi – spiega -, sperpero di soldi con compensi doppi rispetto alle amministrazioni precedenti, collaboratori raccolti tra gente che ha creato il danno, la Muraro indagata da mesi e Virginia che tace facendo finta di niente.
E anche beppegrillo.it tace quando queste schifezze sono sulle prime pagine di tutti i giornali». Marco Gradozzi si rivolge direttamente alla sindaca: «Ti ho votato molto volentieri, però credo che tu sia venuta meno ai principi fondamentali, trasparenza e onestà . Perciò penso che ti dovresti dimettere».
«Siete come i vecchi con vestiti nuovi e niente più, che schifo», sbotta Enrico Fratus. «Come si fa a lasciare un governo così importante in mano a delle persone che non si fanno scrupolo di mentire? Beppe devi intervenire», chiede Antonella Guglielmino.
Sfogatoio collettivo
La base è in fibrillazione. Brama risposte, ma dal direttorio tutto tace.
Di Maio cancella l’intervista su Raitre e Di Battista interrompe il tour. Tanti iscritti invitano Grillo a prendere in mano la situazione.
Il blog diventa sfogatoio collettivo. «Qui scricchiola tutto. Muraro sapeva. Raggi sapeva. Raggi ha informato i vertici. Tutti hanno negato», accusa Stefano Mennei.
Marcello Bini fiuta il complotto: «Raggi è un’infiltrata, creata a tavolino da certi poteri». «Siete tutti uguali», chiosa un altro utente.
Mentre Giovani Baroso avvisa: «Fallire a Roma significa fallire con il governo del Paese». Bisogna scorrere decine di commenti prima di scovarne uno a difesa della Raggi. È quello firmato da Carlo S.: «Virginia tieni duro, continua la lotta contro la casta».
«Non mollare», concorda Giuseppe Di Vico. Roberto Rossi è già pronto al perdono: invita la sindaca a chiedere scusa e ad andare «avanti a testa bassa».
Mentre sui social rimbalza il video in cui Raggi chiedeva trasparenza a Pizzarotti accusandolo di aver «nascosto il suo avviso di garanzia», Beppe Grillo prende tempo. Rilancia su Twitter e Facebook la lettera anti-euro dei pentastellati eletti a Bruxelles, ma in risposta ottiene una caterva di domande sulla baraonda in Campidoglio.
Rispunta pure Daniele Martinelli, licenziato tre anni fa dallo staff comunicazione M5S: «Un grillino non racconta frottole, e soprattutto non gioca sulle parole tra “avviso di garanzia” e “indagine”. Il Movimento che ho conosciuto io, una cosa così, non l’avrebbe tollerata».
Nel giorno più lungo del Movimento, tornano a galla vecchi rancori. L’ex ideologo Paolo Becchi ne approfitta per pubblicizzare il suo libro su Casaleggio.
«Non vi voto più»
A settanta giorni dal trionfo nelle urne, la disillusione dell’elettorato grillino deborda in rete. Quello di Igor Fabbri è un addio: «Dopo la schizofrenica gestione della città di Roma, non voterò mai più il Movimento».
I moderatori fanno sparire gli interventi più duri dal blog, ma non basta.
«Ho criticato civilmente la Raggi e sono stato censurato, non ci posso credere! Che sta succedendo?», chiede Mario.
Nessuno risponde.
Gabriele Martini
(da “La Stampa”)
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Settembre 7th, 2016 Riccardo Fucile L’URBANISTA A UN PASSO DALLE DIMISSIONI: “O SPARIGLIAMO O E’ IL PANTANO E LA FINE”
Paolo Berdini, l’assessore all’Urbanistica della giunta romana, è convinto che ormai il caso Muraro sia
trasfigurato nel caso Raggi tout court.
Dunque non c’è scampo: o la sindaca si scioglie dai «legami oscuri che la stanno imprigionando» o non si esce «dal pantano in cui siamo finiti dopo soli due mesi».
Per questo il più politico degli assessori tecnici (una storia di militante di sinistra accanto a una lunga esperienza da urbanista per le amministrazioni pubbliche) ha deciso ieri «di sparigliare», come ha spiegato ai suoi più stretti collaboratori, «chiedendo la testa» di Raffaele Marra, il potente vicecapo di gabinetto a capo del giro stretto della Raggi, che ha fatto fuori in un colpo il capo di gabinetto Raineri e il superassessore Minenna.
Perchè la questione non è più solo la sorte della Muraro (già un mese fa Berdini aveva suggerito alla sindaca di considerare l’opportunità di un passo indietro dell’assessore all’Ambiente), ma quella del «grumo di potere» che ispira e condiziona tutte le decisioni strategiche di Virginia Raggi.
«Marra deve fare un passo indietro», ha detto Berdini in radio. Ma il suo j’accuse in privato è assai più esplicito, e inquietante.
Ai suoi collaboratori, Berdini ha detto che «Marra è il punto di riferimento di questo grumo di potere che condiziona dalla nascita la vita della giunta Raggi. Per questo ho chiesto la sua testa».
Di quale grumo di potere si tratti, l’assessore si sta facendo un’idea: «C’è qualcosa di opaco, dei fili oscuri che tengono imprigionata la Raggi, e sono difficili da identificare.
In parte – ha spiegato Berdini – si capiscono o intuiscono ascoltando la prima dichiarazione di questo nuovo assessore al Bilancio, Raffaele De Dominicis, che ha detto anche in maniera improvvida (nelle conversazioni private Berdini usa un’espressione meno british) di esser stato sponsorizzato dall’avvocato Sammarco». Ma, si domanda Berdini, «perchè la Raggi non taglia questi fili oscuri?».
Qui dobbiamo fare un paio di piccoli passi indietro per aiutare a ricostruire questa parte della storia. Fin dai primi passi della giunta Raggi, Berdini aveva individuato in Marcello Minenna il suo interlocutore privilegiato.
L’urbanista marxista e il funzionario Consob: lontanissimi per biografie, i due avevano condiviso l’esigenza di dare alla giunta Raggi un profilo istituzionale, facendo prevalere competenza (qualunque idea si abbia poi dei loro piani) e rigore sull’avventurismo grillino e sull’ipoteca di personaggi legati alla stagione Alemanno (vedi Marra-Romeo, e Muraro).
I due avevano trovato una affidabile sponda tecnico-giuridica nella Raineri, capo di gabinetto, e in Luca Bergamo, assessore alla Cultura, anch’egli di provenienza di sinistra.
L’asse si era rinsaldato su diversi dossier strategici: dal bilancio (no a suggestioni di default pilotato) alle Olimpiadi (prima di dire no, offrire un’idea alternativa e scoprire le carte di Coni e Palazzo Chigi).
Quando Berdini aveva portato in Consiglio comunale una delibera sullo sviluppo urbanistico della ex fiera, era stato Minenna a evitare il peggio.
I consiglieri comunali grillini si rifiutavano di votare a favore, impauriti dagli interventi dei consiglieri del Pd, che paventavano l’intervento della Corte dei Conti. Berdini li aveva affrontati di petto («Ragazzi, svegliatevi, se vi spaventate per così poco è meglio che non fate politica e tornate a casa») ma i novizi si erano ugualmente rivolti a Minenna terrorizzati.
Solo le rassicurazioni dell’assessore al Bilancio sulla regolarità della delibera avevano evitato la prima crisi della giunta.
È successo che i tecnici, anche di provenienza ed estrazione politica, si erano saldati per creare un cordone istituzionale attorno alla giunta. Andati via Minenna e la Raineri, l’asse tra i tecnici non esiste più.
E da giorni si susseguono voci di imminenti dimissioni di Berdini. Il quale le smentisce: «Non è vero che mi sono già dimesso. Dipende da come va a finire con Marra, e con Muraro. Dopo, farò delle valutazioni».
Berdini non è assimilabile ai poteri forti evocati dalla Raggi dopo le dimissioni di Minenna.
Metterà alla prova sindaca, assessori e consiglieri sulle cose che gli stanno a cuore, dice. Ma ha deciso di spendersi nella giunta a modo suo, «sparigliando per non morire nella palude».
Jacopo Iacoboni, Giuseppe Salvaggiulo
(da “La Stampa”)
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Settembre 7th, 2016 Riccardo Fucile “LA CORTINA DI PROTEZIONE PER VIRGINIA NON HA RETTO”
Riguardo al nome del programma in 6 puntate che condurrà in autunno su Rai 2, Michele Santoro riesce a tenere il massimo riserbo senza lasciarsi sfuggire una parola, ma è invece un fiume in piena per quanto riguarda le vicende politiche degli ultimi mesi: vicenda Raggi e nomine Rai in primis.
Pronto a fare i bagagli per Venezia, dove verrà presentato in anteprima il suo documentario Robinù, il navigato conduttore di talk show ha però trovato il tempo di rilasciare infuocate dichiarazioni a Repubblica, in cui non risparmia niente e nessuno.
Cosa pensa di quello che sta accadendo a Roma?
“A Roma la campagna non l’ha fatta la Raggi, l’ha fatta la magistratura con Mafia capitale. Quanto ai problemi della sindaca, mi pare tutto chiaro. Il suo stesso movimento la considerava debole e le ha costruito una cortina di protezione. Solo che non ha retto”.
Per Santoro, del resto, il sindaco capitolino ha un appeal ben diverso da quello della collega torinese, che inoltre gode di un forte consenso popolare.
“Si chieda perchè a Torino Appendino non ha i suoi disastri. Ha vinto sulla base di una spinta popolare fortissima e ora siamo davanti a un caso di leninismo: una cuoca al governo. Raggi è stata un caso internazionale. La Amanpour della Cnn è venuta a intervistarla. Bisognerebbe chiederle con che impressione se ne è andata. Io lo so, taccio per carità di patria. Poi diciamola: tutto quello che sta intorno alla Raggi è di destra”.
Il giornalista, comunque, non si pente di aver dato spazio al Movimento 5 Stelle nei suoi talk, come da più parti gli viene rivendicato.
“Io rivendico di aver dato spazio a un movimento che è diventato un grande protagonista della scena nazionale. Non significa che io condivida la loro tecnica di formazione della linea politica. Se i movimenti si limitano a registrare l’umore della Rete, la politica è finita”.
Tra l’altro, tra Grillo e Santoro in passato c’è stato un filo diretto, di stima reciproca, come conferma il conduttore stesso.
“Buoni politici fanno buone leggi e cattivi politici fanno cattive leggi. Io nella politica ho sempre creduto. Tanto che quando Grillo, non ancora in politica, mi chiamava per dirmi “tu hai una forza politica immensa nelle mani”, io gli dicevo “non è la tv che deve cambiare il sistema”. Grillo ha messo in pratica quello che consigliava di fare a me”.
Ma sono tanti i “personaggi” politici creati da Santoro, che difatti ne va fiero.
Lei ha creato anche De Magistris e Ciancimino icona anti- mafia. Orgoglioso anche di questo?
“De Magistris era una bellissima storia, andava raccontata. Ciancimino icona non lo abbiamo creato noi, succede a chiunque va in tv. Se vuoi capire qualcosa di mafia, con chi vuoi parlare? Prenda il caso Vespa, l’intervista al figlio di Riina l’avrei fatta anch’io. Non è colpa di Riina junior se non è venuta come l’intervista di Biagi al boss Luciano Liggio”.
Santoro però ha voglia di parlare anche del referendum previsto per il prossimo autunno, che potrebbe decidere le sorti del Governo.
“Ai 5stelle dico: non basta fare le pulci a Renzi e dire sempre no. Per esempio, se vincete il referendum cosa fate? Ditecelo ora. Perchè se volete lasciare il pallino a D’Alema e al governo Padoan, non servite a niente. Per paradossale che sia, possiamo sperare solo che Renzi e i 5stelle ce le facciano. Tutto il resto è restaurazione”.
Infine, il conduttore se la sente di dire la sua anche sulla vicenda molto dibattuta delle nomine Rai, che a suo avviso poteva essere trattata diversamente ma che è ben lontana dall’oscurantismo berlusconiano.
“Se parla del Tg3, penso che dopo sette anni ci stia un passaggio di mano, ma una maggiore attenzione ai tempi e ai modi non avrebbe guastato. Parlare però di editti alla Berlusconi non ha senso. Berlusconi controllava un monopolio, oggi il rischio non c’è. Piuttosto, vedo nel renzismo televisivo un desiderio di ordine, anche in senso buono, di enfasi sui buoni e le belle notizie, ma il servizio pubblico non è pedagogia”.
(da “Huffingtonpost”)
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