Settembre 19th, 2016 Riccardo Fucile PATELLI ERA UNO DEGLI ESPONENTI DI PUNTA DEL CARROCCIO DELLE ORIGINI, ORA LAVORA CON I RIFUGIATI A BUSTO ARSIZIO…OGNI TANTO UN PADANO NORMALE C’E’ , INFATTI SE N’E’ ANDATO DAL PARTITO
“Se Matteo Salvini vuol venire qui si prenda un caffè e gli spiego io un po’ di cose”. Alessandro Patelli è
stato il tesoriere della Lega Nord nei primi anni ’90, quella che cambiò gli equilibri della politica decretando la fine della sofferente Prima Repubblica.
Finì anche invischiato in Tangentopoli; oggi invece lui, classe 1950, gestirà un centro per profughi a Busto Arsizio, in via dei Mille.
Richiesto a gran voce in quel ruolo dai migranti stessi.
Da circa due anni infatti Patelli – come racconta la Prealpina – lavora come responsabile delle manutenzioni nei palazzi dei rifugiati gestiti da una cooperativa. Solo che negli ultimi tempi i profughi hanno protestato contro i vertici della coop per come funzionano le cose dentro il palazzo, per la qualità del cibo servito dalla struttura e la lentezza con cui vengono esaminati documenti e richieste di asilo; malcontento che è sfociato in una rivolta vera e propria, barricate all’ingresso annesse. Sono stati proprio gli ospiti della comunità a chiedere al sindaco Emanuele Antonelli di far gestire il centro a “Sandro”, apprezzato dai migranti per l’umanità e la gentilezza.
Insomma, l’ex leghista come garanzia di pace. E lui ha accettato.
“Diciamo che la mia nomina è stata una soluzione perchè così si è sventato uno sgombero forzoso. Sono contento perchè mi è stato riconosciuto di aver costruito un rapporto umano con queste persone. Loro logicamente non conoscono nulla della mia vita passata”, sorride Patelli.
Già , un passato di peso: segretario amministrativo del Carroccio dal 1989 al 1992, e poi organizzativo fino al ’94. Finisce in mezzo alla bufera per una tangente dall’Enimont di 200 milioni di lire, soldi che va a nascondere alla sede del partito.
Un anno e mezzo dopo viene arrestato. Viene condannato a 8 mesi. Lui si dà del “pirla” da solo. Insomma, si immola e non tira in ballo i vertici.
Un leghista delle origini in soccorso dei migranti, sembra il mondo alla rovescia: “Ma il mio passato politico non influisce, di sicuro la mia esperienza giovanile di scout sì, sul sociale sono sempre stato molto attento. L’accoglienza è un dovere”.
Oggi Patelli non apprezza la svolta nazionalista del Carroccio: “Io credevo e credo nell’autonomia e nel regionalismo. Oggi che ci faccio con la Le Pen? Ricordo che all’epoca mi dicevano: ‘Se ti si avvicina La Russa dagli una sberla’”.
Patelli ha un vitalizio come ex consigliere regionale in Lombardia ma andrà in pensione a fine ottobre, quindi la sua missione è a tempo. “Se il segretario della Lega si fa un giro qui lo faccio parlare coi ragazzi, c’è gente che s’è vista ammazzare madre e fratelli. La stragrande maggioranza è fatta da persone che vogliono cambiare la propria vita”.
A Busto Arsizio anche grazie alla supervisione di un padano degli albori.
(da “il Corriere della Sera“)
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Settembre 19th, 2016 Riccardo Fucile LA GRANDE IMPUNITA’ ITALIANA: ALL’ESTERO I COLPEVOLI DI REATI FINANZIARI SUBISCONO ANCHE CONDANNE ALL’ERGASTOLO, DA NOI SE LA CAVANO CON POCHI MESI
Sulla base dei precedenti non c’è da farsi davvero molte illusioni sulla punizione dei responsabili della sospetta (direi quasi certa) pessima qualità costruttiva di molti degli edifici crollati nel recente terremoto dell’Italia centrale.
Infatti, come ha messo bene in evidenza l’inchiesta di Guastella e Pasqualetto pubblicata qualche giorno fa dal Corriere , nei decenni passati – dal Friuli all’Emilia passando per l’Irpinia e il Molise – tutte le numerose azioni giudiziarie conseguenti ai relativi terremoti occorsi in quei luoghi hanno portato a niente altro che ad appena 14 condanne di progettisti, costruttori e responsabili amministrativi, per un totale di pochi mesi effettivi di carcere
È un dato che tuttavia non fa notizia. E si capisce perchè: esso rimanda infatti a un fenomeno più generale, anche questo quasi scontato.
In Italia, in prigione forse anche i benestanti, i professionisti, le persone più o meno importanti e quelle che appartengono a una certa classe sociale ci fanno qualche volta una capatina: ma quanto a restarci ci restano solo i poveracci.
Non ingannino a questo riguardo le dure condanne, che pure ci sono, come quella a 10 anni di prigione inflitta pochi giorni fa ai vertici dell’industria farmaceutica Menarini. Le condanne in primo e magari anche in secondo grado ci sono, ripeto: peccato che però non corrispondano a nessuna punizione effettiva, cioè non mandino in prigione nessuno
Novantanove volte su cento, infatti, con il tempo, con gli appelli, i contrappelli e la Cassazione, anche le condanne iniziali vengono poi cancellate.
Sicchè alla fine solo gli extracomunitari, gli infimi spacciatori, gli emarginati a vario titolo, gli appartenenti alle classi povere, popolano le nostre galere
Nei Paesi che ci piacerebbe emulare non è così.
In Germania, non molto tempo fa, il ricco e potente presidente del Bayern Monaco, condannato per evasione fiscale a due anni e poco più di prigione, ne varcò i cancelli nel giro di un paio di giorni.
Un altro esempio: negli Usa i responsabili dei fallimenti bancari e assicurativi del 2008 sono da tempo dietro le sbarre con condanne pesantissime che, c’è da giurarci, sconteranno in grandissima parte.
Il famoso finanziere Madoff, colpevole di aver ingannato e spogliato centinaia di ricchi e avidi gonzi che gli avevano affidato i loro capitali, si è beccato una condanna all’ergastolo
Tutte cose in Italia impensabili: anche se nessuno sembra farci caso, nessuno solleva il problema.
Meno che meno l’ineffabile Consiglio superiore della magistratura, pur così instancabilmente sollecito delle sorti della giustizia.
E dire che proprio i magistrati, invece, sarebbero i più titolati a spiegarci il perchè della vasta impunità italiana.
A spiegarci, ad esempio, perchè in mano ad avvocati abili, che però solo le persone agiate possono permettersi, le procedure assurde e i codici malfatti che ci governano consentono, attraverso tutto un sistema di rinvii, di prescrizioni e ricorsi, di vanificare indagini e sentenze.
Chi lo sa meglio di loro? A quel che ricordo, invece, solo il presidente dell’Anm, Pier Camillo Davigo, vi ha in varie circostanze dedicato qualche attenzione
Eppure – c’è bisogno di dirlo? – questo doppio standard nell’amministrazione della giustizia ha conseguenze vaste e gravissime.
La prima conseguenza è la vanificazione di fatto, prima che del senso della legalità nei cittadini, della legalità effettiva in quanto tale.
Una legge che non valga per tutti, infatti, non è più una legge: è un provvedimento arbitrario.
Rispetto poi a chi dovrebbe obbedire, ai cittadini, è difficile immaginare che una qualunque legge sia davvero rispettata se sulla base dell’esperienza si diffonde la convinzione che a qualcuno è consentito non rispettarla senza essere sanzionato.
Da ciò la seconda conseguenza: il discredito dell’intera sfera pubblica, a cominciare dalla magistratura per finire con la politica e con il governo: le loro leggi non valgono nulla dal momento che chi sa e soprattutto chi può le viola senz’alcun danno, e dunque anche quei poteri che le emanano e le amministrano non valgono nulla, non meritano alcun rispetto.
Anche perchè, siano essi di destra o di sinistra, pur sapendo bene come stanno le cose non muovono un dito per cambiarle.
Il modo d’essere della giustizia è così divenuto la manifestazione forse più importante della placida doppiezza morale che domina la società italiana.
La quale quando parla (specie se parla in pubblico) s’inebria dei nobili concetti di solidarietà e di progresso, mostra regolarmente d’ispirarsi ai più alti principi dell’equità e della benevolenza sociale, ma quando invece si muove nella realtà d’ogni giorno, allora si scopre ferocemente classista, assuefatta ai privilegi come poche, spudorata cultrice di una vasta impunità .
Ernesto Galli della Loggia
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 19th, 2016 Riccardo Fucile I RITARDI AIUTANO LA CORRUZIONE A SCAPITO DELLA SALUTE: L’INCHIESTA DI “PRESA DIRETTA”
La formula recita più o meno così: «La lista d’attesa è di diversi mesi. Ma a pagamento può venire già
domani».
Il cortocircuito della sanità pubblica sta in queste due frasi, che sempre più spesso gli italiani si sentono ripetere quando si rivolgono a ospedali statali.
I dati nazionali diffusi dall’ultimo Pit Salute 2015, realizzato dal Tribunale del Malato, parlano di tempi medi per le prestazioni che sono ben lontani dai 30 e 60 giorni previsti rispettivamente per visite ed esami diagnostici dal piano del Ministero della Salute recepito dalle Regioni e tuttora in vigore.
Nei giorni in cui puntuale si ripresenta il balletto di fine estate sui possibili tagli alla sanità , conviene infatti ripartire dai numeri: tredici mesi per una risonanza magnetica; un anno per una mammografia o una Tac; nove mesi per un’ecografia; sette per una radiografia.
E ancora: tredici mesi per una visita psichiatrica, nove per un controllo oculistico, otto per un appuntamento dal cardiologo, sei per essere ricevuti dall’oncologo e altrettanti dall’ortopedico.
Sono tempi inaccettabili perchè rischiano di compromettere il senso stesso della prevenzione e della diagnosi tempestiva.
A raccontare la sanità negata è il reportage «Liste d’attesa», realizzato da Alessandro Macina per il programma di Riccardo Iacona «Presa diretta», in onda su Raitre.
Un viaggio tra ritardi, disorganizzazione e impossibilità di accedere alle cure al punto da doverci rinunciare.
Gli ultimi dati Censis dicono che nell’ultimo anno 11 milioni di italiani — uno e mezzo in più rispetto all’anno precedente — hanno rinunciato alle terapie a causa dei tempi troppi lunghi e dell’impossibilità di pagare una visita privata o in intramoenia. Mentre è in costante aumento la spesa sanitaria annuale sostenuta di tasca propria dai pazienti: 34,5 miliardi nel 2015, oltre 500 euro a persona.
In due anni l’incremento è stato del 3,2%, il doppio rispetto all’aumento della spesa per i consumi delle famiglie nello stesso periodo, pari a +1,7%.
«Chi ha più soldi, oggi si cura prima e meglio. Ma così si lede anche un principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini rispetto alla cura», ammette il Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, che sta studiando una strada per frenare il ricorso all’intramoenia.
Il mancato rispetto delle liste di attesa, inoltre, è il principale responsabile del fatto che i pazienti debbano andare fuori Regione a fare gli esami.
La chiamano «mobilità passiva» e costa alla collettività un sacco di soldi: 300 milioni di euro alla Regione Campania, 270 alla Calabria, 200 milioni alla Puglia.
Fin qui i dati. Ma la realtà rischia di essere anche peggiore.
Nelle Regioni dove non c’è ancora un unico centro di prenotazione, come prevede la legge, ma tanti Cup che non sono in rete tra di loro, può essere difficile persino riuscire a prenotare una visita.
“DUEMILA EURO AL PRIMARIO PER ESSERE OPERATO PRIMA”
Mazzette per saltare le lunghe liste d’attesa. Nelle pieghe di un servizio pubblico che non riesce a far fronte alla domanda si annida la corruzione.
L’inchiesta della Procura di Salerno ha svelato un collaudato sistema di malaffare all’Ospedale Ruggi, dove il dottor Luciano Brigante, primario di neurochirurgia, è stato arrestato a giugno con l’accusa di aver dato la precedenza ad alcuni pazienti in cambio di denaro.
«Abbiamo versato duemila euro in contanti per passare avanti agli altri», racconta Teresa Di Giacomo, sorella di Angelo.
Il fratello ha lottato due volte contro il cancro. Quando è morto, il 2 dicembre 2015, aveva 49 anni. «Il professore ci chiamò in disparte, ci disse che doveva essere operato d’urgenza. Spiegò che la lista d’attesa era lunga un paio di mesi. Ma aggiunse che pagando, invece, l’intervento si sarebbe potuto fare subito».
La signora Teresa, disperata, non ebbe esitazioni: «Tornai a casa con mia sorella e parlammo con gli altri fratelli. Ognuno di noi mise un tot e raccogliemmo la cifra richiesta». I duemila euro vennero consegnati direttamente nelle mani del primario, «in una busta bianca».
Nel gorgo d’illegatità dell’ospedale pubblico Ruggi di Salerno c’erano interventi svolti abusivamente da chirurghi non autorizzati, operazioni eseguite a pagamento senza che fosse mai stato fatturato un solo euro, un giro di mazzette con importi che andavano dai 1.500 euro fino a 20.000 euro per un singolo intervento.
La Corte dei Conti contesta ora ai presunti responsabili dei fatti un danno erariale di 566 mila euro.
Secondo l’ultimo report di Transparency international, ogni anno la corruzione sottrae alla sanità sei miliardi di euro, un’azienda su tre ha registrato fenomeni di corruzione e oltre il 90% delle strutture è a rischio tangenti.
“OGGI BASTANO DUE GIORNI PER L’ESAME SALVAVITA”
Prenotazioni, esame e referto: tutto in due giorni. Nel panorama a tinte fosche della sanità italiana, non mancano le eccellenze. Come quella dell’istituto tumori dell’ospedale Regina Elena di Roma, dove da qualche giorno hanno raggiunto un risultato degno di nota.
Nel dipartimento di medicina nucleare, infatti, sono riusciti ad abbattere le liste d’attesa per l’esame Pet, una tac fondamentale per la diagnosi del cancro.
«Ora riusciamo a fare 24 esami in un giorno, prima erano molti di meno», racconta la dottoressa Marta Branca, commissario straordinario degli Istituti Ifo.
«Avevamo una lista d’attesa di tre mesi, un tempo improponibile per un malato di tumore che deve ottenere una diagnosi. Questo faceva sì che molte persone decidessero di andare a fare questo esame al Nord, oltretutto con un costo maggiore per la Regione Lazio a causa della mobilità passiva. Oggi la lista d’attesa è di 2 giorni». Di fatto i tempi sono azzerati. Al paziente basta telefonare per richiedere l’esame e ottiene subito un appuntamento.
Questo miglioramento è stato reso possibile da più fattori: innanzitutto è stato riorganizzato e ottimizzato tutto il percorso dell’utente, a partire da quando arriva in reparto.
Ora si visitano più pazienti, con minore dispendio di risorse: si sono ottimizzati i turni del personale evitando le sovrapposizioni ed è migliorato l’utilizzo del costoso radiofarmaco necessario per l’esame Pet.
Alla riorganizzazione dei processi interni si sono aggiunti inoltre importanti investimenti tecnologici fatti con la Regione e il Ministero.
Anche le modalità di lavoro sono cambiate. I nuovi macchinari permettono «diagnosi più selettive e precoci, con un risparmio di studi diagnosti aggiuntivi», aggiunge la dottoressa Branca. «I processi sono più scorrevoli, la formazione è continua per garantire personale sempre più specializzato e l’interdisciplinarietà è garantita».
Gabriele Martini
(da “La Stampa”)
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Settembre 19th, 2016 Riccardo Fucile IL CAPITANO DI GUARDO AVEVA UNA CONDANNA PER TRUFFA… IL TENENTE DI VASCELLO FRANCESCA MOLA SUGGERIVA COME TRUCCARE L’APPALTO
“La sintassi, che diavolo non dico tanto, ma almeno la sintassi. (…) Quelli avevano anche l’aroma terapia (…) e voi nemmeno un livello ba-si-co!. (…) E mi raccomando non faccia proprio la copia, altrimenti finiamo tutti in galera”.
Se si è in cerca di un manuale su come si trucca un appalto, senza troppo pelo sullo stomaco, è il caso di ricordarsi bene queste parole della tenente di Vascello, Francesca Mola, prima militare donna italiana arrestata per mazzette e la storia della gara bandita dalla Marina militare per il servizio di pulizia e sanificazioni per i prossimi tre anni a Taranto e Napoli.
Affidamento che, se non fossero arrivati i militari della Guardia di Finanza, sarebbe andato a finire alla Teoma, ditta dell’imprenditore Vincenzo Pastore.
Grazie alle mazzette pagate o promesse al capitano Giovanni Di Guardo, capo della Maricommi della Marina e alla sua assistente, la tenente Molo.
Le 30 pagine di intercettazioni telefoniche, registrate grazie a un virus inviato sull’Iphone di Di Guardo che si è dunque trasformato in un registratore telefoniche, offrono uno spettacolo desolante sulla situazione degli uffici militari di Taranto.
E dimostrano come la corruzione sia in Italia ferma ancora ai tempi di Tangentopoli. Ma la storia ha aspetti davvero paradossali. Di Guardo arriva a Taranto per ‘moralizzare’ lo scorso anno dopo lo scandalo tangenti: la Procura scopre che un giro di ufficiali della Marina applica la ‘legge del 10 per cento’ su ogni appalto.
Cioè, incassano una mazzetta di un decimo del valore dell’affidamento. Vengono arrestati in otto, in un undici (compresi due civili) stanno per affrontare il processo.
La Marina sceglie Di Guardo per la sostituzione, chiedendogli di ripristinare ‘chiarezza e trasparenza’, sorvolando su un particolare del suo curriculum: una vecchia condanna per truffa. E così il capitano ci ricasca.
Giovedì scorso viene arrestato dal pm Maurizio Carbone con in mano una tangente da 2.500 euro, acconto secondo gli inquirenti di una da 200mila, pagata da Pastore.
Di Guardo si è difeso dicendo prima che era il prezzo per la vendita di un’auto e poi di non sapere addirittura cosa ci fosse in quella busta (la mazzetta a sua insaputa).
Ma a leggere gli atti ci sono pochi dubbi su quello che è successo. Pastore partecipa alla gara. Ma la sua proposta è molto peggiore di quella delle concorrenti. Arriva così al capitano e cerca di capire cosa si può fare.
“Non abbiamo ancora cominciato ed è venuto con questi!” diceva il capitano orgoglioso alla compagna rumena, sventolando la busta, dopo aver incontrato l’imprenditore. “Chiamo mia madre così impazzisce” rispondeva, entusiasta la donna. E così tutti e tre si sono messi a contare le banconote, tutto a favore di microfono della finanza.
Secondo gli inquirenti l’accordo corruttivo prevedeva una tangente complessiva da 200mila euro. Oltre a un suv dell’Audi.
Ma Di Guardo non poteva fare da solo: la commissione giudicatrice della gare era già insediata. Per questo “serve la piccininna”, la ragazza. Chi? Francesca Mola, la tenente che Di Guardo aveva portato con sè da Roma per moralizzare. E per questo destinata al delicatissimo ufficio appalti.
“Sono tutti convinti che sia la mia amante!” rideva con la fidanzata. “Ma io ‘l’ho presa e l’ho messa là ‘ perchè ho capito che a questa qua i soldi gli piacciono!”. “Lei che ci guadagna?”. “Quaranta, cinquantamila euro (…) Su quello che guadagna quello (ndr, l’imprenditore) poi dopo facciamo le parti (…) magari le costruiscono una parte di casa invece di dargli i soldi: che so il soggiorno, la cucina, il tinello”.
Di Guardo aveva invece grande esperienza su come fare circolare il denaro. Come lui stesso spiega a Pastore: “Ho una fiduciaria a Malta: da lì posso spostare i soldi sul conto corrente della piccina (ndr, la fidanzata) che c’ha in Romania, quindi faccio un’operazione estero su estero. Poi dal suo conto rumeno passa i soldi a se stessa su un conto italiano”.
La Mola è parte attiva del piano.
Tanto che incontra in un appartamento a Taranto Pastore. E spiega, alla presenza di Di Guardo, che la situazione è difficilissima, perchè la proposta concorrente è molto migliore.
Trova però la soluzione: consegna all’imprenditore amico il progetto migliore per copiarlo, apportando alcune modifiche.
Sarà poi il tenente Mola, “che detiene tutte le offerte tecniche presentate dalle imprese partecipanti alla gara – scrive il gip nell’ordinanza – a provvedere materialmente alla sostituzione, apponendo, la nuova offerta tecnica, in allegato al primo foglio di quella già depositata, in quanto recante la firma apposta da tutti i componenti della commissione il 4 agosto 2016, data di insediamento del seggio”.
“Voi me ne date uno così” spiega nella riunione operativa il tenente ai due, indicando il progetto dell’imprenditore avversario che Pastore stava fotografando
“Che poi io poi vi do questa, la prima pagina, e la mettete sopra”.
Ora i tre sono in galera. Ma l’indagine è tutt’altro che finita.
“Gli arresti – scrivono – costituiscono soltanto un ‘momento’ nell’ambito di una più complessa indagine, dalla quale sono già emersi elementi di prova circa la partecipazione degli indagati ad una vera e propria struttura associativa in grado di ‘pilotare’ numerosi appalti”.
(da “la Repubblica”)
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Settembre 19th, 2016 Riccardo Fucile SE LA SOVRANITA’ APPARTIENE AL POPOLO, DOVREBBE ESSERE COINVOLTO E NON SUBIRE SCELTE DALL’ALTO
E’ da mesi, oramai, che i vari attori del mondo della politica e della società civile stanno “ragionando” in
materia di Riforma Costituzionale.
L’imminente voto sul Referendum relativo alle modifiche della Costituzione (così come votate e propugnate dall’attuale maggioranza di Governo, sia formale, che “sostanziale”) è occasione fin troppo ghiotta per farsi sfuggire la possibilità di palesare i “distinguo” e condurre la propria battaglia.
Lungi dal voler escplicitare una qualsivoglia valutazione di merito sulla Riforma che sarà oggetto dell’imminente votazione Referendaria, quello che sta particolarmente attirando la mia attenzione è il “modus” attraverso il quale i vari soggetti stanno agendo nel panorama, sia della comunicazione, che delle valutazioni contenutistiche.
Personalmente ritengo che schierarsi per il NO, puramente e semplicemente, ovvero facendo leva sulla sedicente valenza politica del voto (un “modo” per mandare Renzi a casa; un ipotetico voto contro il Governo, insomma) o sulla presunta instaurazione di un redivivo “regime dittatoriale” (per l’ipotesi che vincesse il SI), siano (tutte) strategie – operative, comunicazionali e di concetto – troppo riduttive, fuorvianti e finanche sterili.
Soprattutto in certi casi, non basta dire (e/o votare) NO. Non è sufficiente nemmeno spiegarne le ragioni. Occorre una controproposta.
È necessario offrire – e disegnare – un’alternativa seria e credibile.
Le persone vogliono inseguire un sogno, un’idea, una speranza. E da quello che ho visto (fatte ovviamente salve eventuali sviste, omissioni o distrazioni) allo stato attuale, soltanto Parisi ne ha formulata una.
La Costituzione è la Carta Fondamentale del nostro Ordinamento Giuridico.
Sostanzia le fondamenta del nostro Stato. Un’assemblea costituente, specificatamente eletta col compito di riscrivere, non soltanto le “regole del gioco”, ma anche il contenuto dei valori fondamentali in materia di libertà , anche economica, sarebbe (e resta, a mio sommesso avviso) la soluzione oggettivamente preferibile a tutte le altre.
Al nostro Paese, fin troppo imbrigliato nel terrore delle derive di ogni sorta, ivi compresa quella populista, non serve la “demagogia della paura”: occorre una visione. Ardita. Appassionata. “Lucidamente ribelle”.
La sovranità appartiene al popolo. Lo dicono in tanti. Lo sancisce finanche la Costizuione.
Coinvolgiamolo davvero, allora…
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Settembre 19th, 2016 Riccardo Fucile NELLA VANA ILLUSIONE DI REPLICARE I SUCCESSI DEI POPULISTI STRANIERI, ALZA SEMPRE DI PIU’ LE CIALTRONATE MA FINISCE PER PERDERE VOTI
Con la Lega indicata nei sondaggi intorno all’11-12 per cento, ossia almeno 4 punti sotto il suo massimo storico, il raduno di Pontida avrebbe potuto offrire qualche indicazione interessante circa le strategie di Salvini.
A cominciare dalla sua capacità di correggere qualcosa in uno spartito la cui musica è sempre meno gradita agli elettori (e le amministrative lo hanno certificato)
Viceversa il leader del Carroccio ha riproposto tale e quale il solito schema, se possibile ancora più violento e volgare. §
Degli insulti a Ciampi nei giorni del cordoglio si è già detto.
Ma ieri Salvini ha aggiunto qualche attacco al papa Francesco per la cedevolezza verso l’Islam, mentre gli elogi sono andati a Putin e a Marine Le Pen.
Il problema è che nessuno ha capito quale sia la prospettiva politica che la Lega suggerisce al paese, salvo bloccare e rispedire indietro i migranti.
Non si è capito nemmeno se la Padania esista ancora nell’immaginario nordista, come premessa della futura secessione invocata da qualche striscione e in fondo anche dal vecchio Bossi.
O se invece il pensiero di Salvini sia ormai pienamente nazionalista, come farebbe pensare il suo desiderio di imitare la Le Pen.
Peraltro, quando un leader attende l’autunno del 2016 per scoprire il presidenzialismo, vuol dire – secondo logica – che ha fatto una scelta precisa in favore dell’unità nazionale.
Il che si sposa male con il fallimento dei tentativi fin qui messi in atto per trasportare il verbo leghista nel Mezzogiorno.
Per riuscirci Salvini dovrebbe dare voce a uno stato d’animo, sia pure estremista, capace tuttavia di intercettare le differenze e le complessità storiche che rendono la storia del Nord e del Sud così diverse da tempo immemorabile.
Ma di questo sforzo non si vede traccia nè a Pontida nè in qualcuno degli studi televisivi frequentati dal leader.
Marine Le Pen, per citare di nuovo il punto di riferimento della nuova Lega, sa interpretare una certa tradizione della destra francese.
Salvini invece ormai parla per slogan, oltretutto sempre gli stessi; e quando i sondaggi cominciano a essere deludenti, egli sa solo inasprire i toni.
È evidente che c’è in lui un istinto esclusivamente tattico. Oggi il suo nemico è il pragmatismo moderato di Stefano Parisi, assimilato a tutta la galassia dell’establishment centrista.
Quanto all’ultima invettiva (“non saremo mai più schiavi di Berlusconi”), è in sostanza un appello all’uomo di Arcore perchè riprenda con lui il filo del negoziato su un piede di parità , mettendo da parte l’esperimento Parisi.
La carta nella manica di Salvini è sempre la stessa: non può esistere un centrodestra allargato senza la Lega.
Ma i tempi cambiano e se il Carroccio si riduce a una minoranza etnica urlante, sia pure del 10-12 per cento, è chiaro che sarà marginale nell’Italia di domani.
Forse il leader del Carroccio non tiene conto che gran parte dell’elettorato anti-sistema e anti-establishment si è già spostato sui Cinque Stelle e nonostante tutto non sembra intenzionato a lasciare Grillo per Salvini
In ultima analisi, chi è intervenuto ieri a Pontida è un personaggio isolato e a corto di idee. Parla al suo mondo, ma non appare in grado di conquistare nuovi elettori; anzi, il rischio è che la coperta via via si restringa.
La strategia della Lega, in fondo, si può definire come la speranza in un colpo di dadi fortunato.
C’è Trump in America che sta avendo gran successo con un linguaggio non molto diverso da quello di Pontida: se ci riesce lui, perchè – per la proprietà transitiva – non deve riuscire prima o poi anche il piccolo Trump padano?
È un mondo di illusioni che sembra propizio ai progetti di Salvini, ma l’analisi è grossolana e infatti i voti non superano mai la soglia media, comunque insufficiente ad alimentare certe ambizioni.
Stefano Folli
(da “La Repubblica“)
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Settembre 19th, 2016 Riccardo Fucile UN TERZO DELLA CRESCITA PIL DEI PAESI EX COMUNISTI DERIVA DA FONDI UE: E’ ORA DI TAGLIARLI A ZERO
«LA Ue deve punire i Paesi membri che le negano solidarietà e rifiutano le quote di ripartizione di
migranti».
Ecco la richiesta della Svezia all’esecutivo europeo.
L’ha pronunciata finalmente la ministra degli Affari europei del governo a guida socialdemocratica di Stoccolma, Ann Linde.
Il destinatario dell’accusa è chiaro: soprattutto i 4 Paesi del Gruppo di Visègrad (Cèchia, Polonia, Slovacchia e Ungheria) i quali al summit di Bratislava hanno ribadito il loro no a quote di ripartizione decise da Bruxelles.
«La Ue è abbastanza grande da gestire l’emergenza migranti, ma diventa impossibile se solo pochi paesi si assumono il fardello dell’accoglienza», ha detto la ministra Linde.
La Svezia è, in proporzione ai cittadini (10 milioni) il paese col maggior numero di migranti, oltre 160mila, come se in Germania fossero oltre 2 milioni e mezzo.
«Così non va, bisogna reagire», ha aggiunto
Non ha proposto contromisure specifiche, ma da tempo fonti tedesche, italiane e di altri Paesi dell’Unione europea ricordano che senza i generosi finanziamenti dei fondi di coesione Ue (da cui il governo di Varsavia ad esempio ricava un terzo della crescita annua del Pil) la situazione economica e sociale nell’est dell’Unione sarebbe ben diversa.
E’ ora che si ponga il veto a questi finanziamenti: chi non vuole aiutare le persone che fuggono dalle guerre non ha titoli morali per pretendere sostegni alla loro economia.
Si arrangino da soli e ritornino nel fango da cui provengono.
(da agenzie)
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Settembre 19th, 2016 Riccardo Fucile LA FINTA OPPOSIZIONE DEL PARTITO LIBERALE E L’ACCORDO CON PUNTIN PER ACCEDERE AI FINANZIAMENTI PUBBLICI… “LA CLASSE MEDIA NON HA VOTATO”
Professore Belkovsky, politologo e direttore del National Strategy Institute, è un risultato totalmente scontato?
«Nessuna sorpresa, la Duma è rimasta quel che era, come previsto. E il partito liberale Yabloko, accordandosi con il Cremlino, ha oltrepassato la barriera del 3% che gli permette di accedere ai finanziamenti pubblici. Unica cosa positiva dal punto di vista dell’elettorato russo critico verso il potere, è che sono apparsi alcuni nuovi volti brillanti, specie dal partito d’opposizione Parnas, come Viacheslav Maltsev e Maria Baronova».
La classe media non ha votato?
«Tutta la strategia del Cremlino era ottenere bassa affluenza proprio su quelle fasce, per questo ha anticipato le elezioni a settembre. Le grandi città che potevano votare per l’opposizione sono state scoraggiate. Tutta la propaganda pre-elettorale è stata costruita sul fatto che non serviva votare perchè non sarebbe cambiato nulla. L’operazione è un successo personale del vice capo dell’amministrazione presidenziale, Viacheslav Volodin».
Il rapporto tra Putin e il premier Medvedev?
«Putin non si divide dal proprio figlioccio. Lavorerà ancora con lui e secondo me il premier può ridiventare presidente, forse già nel 2017. Non escludo elezioni presidenziali anticipate, ma non credo che Putin le voglia. Anche se crescono le voci e i leak su questo. Dipende tutto da quando Putin decide di lasciare il potere. Anche se lui è molto conservatore, difficile anticipi i tempi».
L’opposizione ha fallito?
«La colpa del risultato è anche dell’opposizione, che ha litigato ante voto, e dei cittadini dissidenti che non sono andati a votare. Oppure hanno votato per Yabloko, cosa che discredita del tutto quel partito liberale, perchè ci fa pensare che ha concorso solo per i fondi pubblici e non per vincere. Ecco la differenza tra Yavlinski e Khodorkovsky, almeno l’oligarca puntava al 5%»
La Duma non cambia, ma in Russia cambia qualcosa?
«Le elezioni alla Duma in Russia non sono mai importanti di per se, ma per dare il tono politico. Si tratta di un congelamento del potere, non un consolidamento. La società russa oggi consiste in gruppi ostili l’uno all’altro ed è in uno stato di confusione».
(da “la Stampa“)
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Settembre 19th, 2016 Riccardo Fucile “PARISI CI PORTA PEZZI DI SOCIETA’ CIVILE CHE CI HANNO ABBANDONATO DA TEMPO”… PREVISTO INCONTRO CON SALVINI
«Le vacanze sono finite. Si ricomincia…». Il ritmo della sua domenica è scandito dal viavai di
collaboratori che raccolgono le valigie all’ingresso di Villa Certosa.
Silvio Berlusconi prepara per tutta la giornata il suo ritorno ad Arcore e, di fatto, anche quello sulla scena politica.
Che potrebbe avvenire il giorno del suo ottantesimo compleanno, il 29 settembre prossimo, o poco dopo.
Ma perchè si possa tornare sulla scena, è necessario che dietro le quinte sia tutto in ordine, tutto pronto.
E la prima pagina del canovaccio che l’ex presidente del Consiglio ha intenzione di recitare sul palcoscenico del cantiere del nuovo centrodestra sarà scritta probabilmente tra qualche ora.
Quando, forse a mo’ di omaggio rispetto agli antichi fasti dei «lunedì sera» passati con Umberto Bossi, a varcare il cancello di Villa San Martino sarà Matteo Salvini, il leader della Lega reduce dalla tradizionale adunata del Carroccio a Pontida.
A meno di colpi di scena dell’ultima ora, insomma, i due leader dei partiti pilastro del centrodestra tradizionale si ritroveranno faccia a faccia stasera.
È possibile che Salvini chieda a Berlusconi di «mettere la faccia» sulla battaglia del No al referendum, che insista perchè il leader azzurro freni la (presunta) emorragia di quegli elettori azzurri tentati dall’astensione o dal voto pro-Renzi.
Ed è altrettanto possibile che Berlusconi replichi confermando la sua inclinazione a «stare lontano dalle televisioni» ancora per un po’.
Così com’è probabile che Forza Italia e la Lega mettano sul tavolo un generico accordo «a favore dell’unità del centrodestra» lasciando sospesi tutti i dubbi su leadership e assetto.
Ma visto che ci sono nodi che non possono non essere sciolti, ecco che durante tutta la giornata di ieri Berlusconi ha iniziato a far capire come la pensa su molti di questi.
A cominciare dal ruolo di Stefano Parisi. Ad alcuni dei parlamentari azzurri che hanno passato il sabato e la domenica a intasare il centralino della sua residenza sarda, per esempio, l’ex premier ha dato della convention parisiana una lettura tra luci e ombre.
«Non so se dovevo aspettarmi qualcosa di diverso. Certo, da quello che ho visto mi è parsa un’adunata poco scintillante e un po’ troppo professorale», si è lasciato scappare con alcuni interlocutori.
E quando molti forzisti gli hanno fatto notare che «Parisi l’ha citata pochissimo, quasi come se volesse tenersi a distanza dall’eredità berlusconiana», il diretto interessato ha quasi fatto finta di non sentire. «Forse è così. Di certo, Stefano può far riavvicinare a noi un pezzo di società civile e di imprenditoria con cui Forza Italia non parla da un pezzo», ha risposto citando – tra gli altri – il presidente di Federacciai Antonio Gozzi, salito sul palco alla convention dell’ex candidato sindaco di Milano.
Come nella più inossidabile tradizione del ventennio berlusconiano di governo, quindi, tra due scuole di pensiero l’ex premier sceglierà entrambe.
Tra il «nuovo» rappresentato da Parisi e il «vecchio» difeso dai colonnelli forzisti, Berlusconi punterà – come dicono i suoi – a «tenere dentro tutto».
Alcuni dei pezzi della società civile radunati dall’ex amministratore delegato di Fastweb saranno contattati per essere avvicinati o riavvicinati a Forza Italia.
Senza che questo, e sul punto il numero uno forzista ha rassicurato Giovanni Toti la settimana scorsa, comporti l’automatico pensionamento in blocco della vecchia guardia.
Dove si sta facendo chiarezza, e molta, è nel «gruppo ristretto» dei custodi dell’ortodossia berlusconiana che prima dell’estate hanno sostituito il «cerchio magico» degli ex fedelissimi.
Una squadra ristretta, che la famiglia (Marina su tutti) e gli amici di sempre (Confalonieri su tutti), guardano dal di fuori. Ma molto molto amalgamata.
Con Valentino Valentini addetto alla «strategia», Sestino Giacomoni dedicato all’«organizzazione» e Alfredo Messina alla «tesoreria», Niccolò Ghedini potrebbe essere chiamato – nelle settimane che verranno – ad avere maggiore visibilità rispetto agli ultimi due decenni passati a lavorare nell’ombra.
Vero o falso che sia, l’intervista a tutto campo rilasciata dall’avvocato padovano qualche giorno fa al quotidiano Libero è stata letta da molti forzisti come un «segnale».
Per i segnali più importanti, che riguardano il futuro del centrodestra, bisognerà aspettare stasera. Quando, se non ci saranno imprevisti dell’ultima ora, un’auto varcherà i cancelli di Arcore. Con i vetri oscurati. E Salvini a bordo.
Tommaso Labate
(da “il Corriere della Sera“)
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