Settembre 26th, 2016 Riccardo Fucile
PIU’ TEMPO PER STANARE GLI INDECISI, LA LEGGE DI STABILITA’, E L’EFFETTO PAURA
Avere più tempo per stanare gli indecisi. Avere una settimana in più per l’approvazione della legge di stabilità alla Camera e magari si fa in tempo anche per l’ok della commissione Bilancio del Senato.
E poi usare anche l’effetto paura che potrebbe arrivare in Italia dall’Austria: dove il 4 dicembre si rivota per le presidenziali con tutto il rischio che possa vincere Norbert Hofer, leader dell’ultradestra.
In sintesi, sono questi i tre motivi che hanno portato Matteo Renzi a propendere per il 4 dicembre quale data del referendum costituzionale, la sfida più importante e decisiva della sua carriera politica.
Il primo punto ha a che fare con quella che i renziani definiscono “maggioranza silenziosa”.
Vale a dire quella fetta di elettorato che voterà sì al referendum. O meglio: ‘voterebbe sì’. Perchè questi elettori vanno motivati.
Non sono già emersi come quelli del no, ragionano nella cerchia del premier, sono per il sì ma molti di loro vanno ‘portati’ alle urne.
Insomma bisogna convincerli ad esprimere la loro preferenza. Perchè stavolta, a differenza del referendum ‘no triv’ di aprile quando il premier invitava a non andare a votare, più gente va alle urne, più crescono i sì, sono i calcoli al quartier generale Pd.
Ecco perchè avere anche una sola settimana in più, rispetto all’ipotesi iniziale di votare il 27 novembre, fa comodo alla campagna ‘Basta un sì’.
Renzi la lancia in pompa magna e se ne occuperà personalmente.
Già questa settimana farà diverse tappe a Milano, Verona, Perugia, Genova e Torino. Ma soprattutto il 29 settembre sarà nella sua Firenze: non a caso.
“Il 29 settembre è un giorno molto sentito per tanti di noi — scrive infatti nella enews – E non per Lucio Battisti o per i compleanni di Berlusconi e Bersani (auguri a entrambi!), ma perchè il 29 settembre di otto anni fa, a Firenze successe una cosa strana. Proprio giovedì 29, otto anni dopo, ci rivedremo — stavolta all’Obihall — per una serata particolare: Al passato grazie, al futuro sì”.
Il 29 settembre del 2008 nella Sala Rossa del Palacongressi di Firenze, Renzi lanciò la sua candidatura alle primarie per il sindaco.
Il secondo motivo ha a che fare con quella che è la ‘benzina’ della campagna referendaria. Cioè la legge di stabilità .
Il consiglio dei ministri che deve rivedere le stime del Def previsto oggi è stato rinviato a domani sera.
Il lavoro sui 7-8 miliardi di nuova flessibilità da chiedere all’Unione Europea va avanti a rilento e con incognite. Dunque, anche in questo caso, una settimana in più per mettere al sicuro la manovra fa comodo.
Tranquillizza il Quirinale, che ha chiesto di assicurare l’approvazione della legge di bilancio indipendentemente dall’esito della consultazione popolare.
E tranquillizza anche i mercati, le cancellerie e gli investitori internazionali che temono che una vittoria del no possa consegnare l’Italia all’instabilità .
“Se Renzi vince — scrive il Financial Times – sarà una grande spinta per lui ed il suo partito. Sarà più verosimile che mantenga il posto fino alla fine della legislatura, all’inizio del 2018, con la prospettiva di vincere le successive elezioni e battere il principale sfidante, il Movimento Cinque Stelle”.
Ma, fa notare il quotidiano della City, “gli ultimi sondaggi mostrano che la campagna per il ‘No’ è leggermente in vantaggio…”.
E poi c’è la coincidenza con le presidenziali in Austria: stesso giorno del referendum costituzionale.
E’ la prova che il motivo per cui Renzi non ha scelto la data dell’8 novembre, come paventato prima dell’estate, non sta nella concomitanza delle presidenziali americane. Ma semplicemente nel fatto che gli serve tempo per la campagna referendaria: l’8 novembre è data troppo ravvicinata.
Come dice il sottosegretario Claudio De Vincenti in conferenza stampa a Palazzo Chigi dopo il consiglio dei ministri: il 4 dicembre è stato scelto “per avere tempo di sviluppare il confronto tra i cittadini nel merito della riforma”.
Ora, la concomitanza delle elezioni austriache è un di più che però può offrire margini da sfruttare. Può infatti servire a elevare il referendum costituzionale ad una battaglia di respiro europeo.
Ma soprattutto la campagna del sì potrebbe beneficiare di un eventuale ‘effetto Hofer’ sull’Italia.
Vale a dire la paura che in un paese confinante come l’Austria vinca l’ultradestra e che poi decida di chiudere le frontiere trasformando il Belpaese in una vera e propria gabbia per migranti impedendo loro di proseguire il viaggio verso il nord Europa.
I sondaggi dicono che anche gli italiani hanno paura dell’invasione dei profughi. E proprio questo stato d’animo, è il ragionamento di chi cura la campagna del governo, potrebbe portarli a scommettere sulla stabilità di un governo e di un premier dati, invece di ‘tentare l’ignoto’ con il M5s.
E’ un mix di ingredienti per dieci settimane di campagna elettorale a partire da oggi.
I partiti di opposizione non sono stati consultati sulla data, al contrario di quanto promesso dallo stesso Renzi a ‘Porta a porta’ il 6 settembre scorso.
“Scegliendo il 4 dicembre Renzi non allontana solo data referendum, prova ad allontanare la paura di andare a casa. Ma quello che è differito non è evitato”, dice Luigi Di Maio del M5s.
“Renzi perderà anche col voto sotto Natale”, attacca Renato Brunetta di Forza Italia. “Renzi spera di vincere col trucco ma sarà deluso”, dicono Scotto e De Petris di Sinistra Italiana.
Pronti, partenza: via.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 26th, 2016 Riccardo Fucile
AL VIA IL VOTO PER MODIFICARE REGOLAMENTO E NON STATUTO
L’ufficializzazione del “capo politico” del Movimento 5 Stelle. Ovvero Beppe Grillo. E l’istituzione di un
collegio di probiviri e di un comitato d’appello.
Sono alcune delle modifiche proposte da Grillo sul suo blog
Domani 27 settembre 2016 iniziano le votazioni per consentire a tutti gli iscritti del MoVimento 5 Stelle di decidere se e quali modifiche apportare al Non Statuto e al Regolamento del MoVimento 5 Stelle.
Le votazioni inizieranno tra 24 ore a partire dalla pubblicazione di questo post e si chiuderanno il 26 ottobre 2016 per permettere alla stragrande maggioranza degli iscritti del MoVimento 5 Stelle di partecipare alle decisione sulla modifica delle nostre regole comuni.
La prima modifica appare a pagina 1 del Regolamento:” la procedura di identificazione ed accettazione viene effettuata dal gestore del sito incaricato dal capo politico del MoVimento 5 Stelle”.
Si propone così di formalizzare la figura del capo politico.
Un ruolo che automaticamente definisce la fine dell’ “uno vale uno”, slogan che ha accompagnato i grillini fin dalla nascita del Movimento.
Lo stesso Beppe Grillo, durante Italia a 5 Stelle a Palermo, aveva annunciato il suo “rientro” da leader, dopo il passo “di lato” fatto in passato anche con la nomina del Direttorio. “Sapete una cosa, sono rientrato! Avevo fatto un piccolo passo indietro con Gianroberto. Lui ci ha rimesso la vita. Io ho l’ulcera, ma resisto. Se devo fare il capo politico, lo farò”, ha detto il fondatore sabato scorso dal palco davanti alla platea.
“Io prenderò le decisioni, perchè alla fine qualcuno deve prenderle, prima ci pensava Casaleggio e le prendevamo insieme. Adesso sono solo, ma ci sono a tempo pieno e non farò nessun passo di lato”, ha aggiunto. Detto fatto, quindi.
Non solo: un’altra delle modifiche proposte al Regolamento è l’introduzione di un collegio di probiviri e di un comitato d’appello, scelte mediante un’assemblea con votazione online.
Con o senza espulsioni.
L’obiettivo principale della modifica dello Statuto M5s è quello di modificare le procedure delle espulsioni.
Il M5s chiede agli iscritti di indicare in modo più dettagliato i comportamenti sanzionabili prevedendo sanzioni differenziate e gli chiede di votare per decidere se attribuire la decisione a un organo terzo composto da portavoce, oppure lasciando a Grillo, in qualità di garante del M5S, le sole facoltà di annullare le sanzioni e di sottoporre la decisione ad una votazione on line degli iscritti.
Grillo chiede inoltre il voto sul blog anche per “consentire a tutti gli iscritti del M5s di proporre in futuro modifiche al testo del Regolamento”.
Per quanto riguarda però le espulsioni, il blog chiede agli iscritti di dire se intendono lasciare il regolamento così com’è (al punto numero 4 prevede che “gli iscritti al M5s sono passibili di espulsione” e indica 3 fattispecie) o adottare una nuova versione del regolamento sempre con le espulsioni oppure senza.
Nel primo caso si prevede comunque che si possano applicare, “in casi meno gravi, altre sanzioni (richiamo e sospensione sino a dodici mesi).
Nella versione del regolamento che non prevede espulsioni, vengono identificate come sanzioni disciplinari il “richiamo, la sospensione sino a 24 mesi e, nei casi di perdita dei requisiti di iscrizione, la sospensione a tempo indeterminato”.
I quesiti della votazione sono tre. Ogni iscritto è chiamato a decidere se – vuole modificare il Non Statuto con il nuovo testo aggiornato – vuole modificare il Regolamento del MoVimento 5 Stelle con uno dei due testi proposti – nel caso si modifichi il Regolamento, quale dei due testi proposti preferisce utilizzare.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 26th, 2016 Riccardo Fucile
“IO E QUELLI DELLA PRIMA ORA BADIAMO ALLA SOSTANZA”
Non si può dire che Roberta Lombardi non abbia il coraggio di parlare con franchezza.
Di recente, hanno fatto scalpore la definizione di Raffaele Marra come del «virus che ha infettato il Movimento» e l’invito alla sindaca Virginia Raggi a «pubblicare i pareri dell’Anac».
Ora, a Palermo, è stata tra gli organizzatori della manifestazione «Italia a 5 Stelle», ma non rinuncia a parlare chiaro. Anche con durezza (anche se sul palco, vicino a Grillo, si commuove).
E lo fa a partire proprio dalla Raggi.
Lei ha preso le distanze da alcuni atti della sindaca Raggi. Che rivendica autonomia. Fino a dove può arrivare questa autonomia ?
«A Roma c’è il Movimento 5 Stelle e c’è il sindaco di Roma, sono su due strade diverse. Per ora procedono su binari paralleli: speriamo che prima o poi le due strade si incontrino e finiscano per coincidere».
Lei è stata molto dura con Raggi. Ne ha pagate le conseguenze nel Movimento?
«Ma no, non ho pagato alcuna conseguenza».
Grillo è tornato capo politico e ha sciolto il Direttorio.
«No, non mi risulta che abbia sciolto il Direttorio. E Grillo ha sempre avuto un ruolo politico, sin dall’inizio».
Anche il Direttorio però ha assunto un ruolo politico
«All’inizio no. Il direttorio è stato creato il giorno dopo l’assedio dei fuoriusciti a casa di Grillo. Lui disse: d’ora in poi questi problemi ve li vedete voi. E quindi è servito soprattutto da filtro tra Beppe e questi problemi. E ha avuto soprattutto un ruolo di comunicazione. Poi è vero che con il tempo si è creato un po’ un equivoco e certe uscite comunicative sono diventate politiche. E dunque sbagliate».
Come quella del governo di scopo, di Di Battista?
«Sì, è stata un’uscita sbagliata. Mentre è stato giustissimo difendere e imporre la questione del reddito di cittadinanza. Ma in quel caso era diverso, su quel tema ci abbiamo lavorato».
La comunicazione è diventata predominante. Da Roberto Fico, che è nel direttorio, sono arrivate critiche molto forti. Ha parlato di «vippaggine inutile», di troppi selfie e post celebrativi.
«Diciamo che c’è un prima e un dopo. Ci sono quelli che sono arrivati prima del 2012, cioè la vittoria di Parma: io, Carla Ruocco, Paola Taverna e Roberto Fico. E ci sono quelli arrivati dopo».
La vecchia e la nuova guardia.
«Quell’anno è stato un po’ spartiacque. Noi badavamo soprattutto alla sostanza, al lavoro di squadra. Chi è arrivato dopo spesso ha fatto prevalere la comunicazione alla sostanza. Il problema è che talvolta, per la fretta di comunicare, un po’ alla Renzi, butti il cuore oltre l’ostacolo e dici cose che non rappresentano il Movimento».
Di Maio e Di Battista sono i nuovi leader politici del Movimento, insieme a Grillo?
«Ognuno di noi sa fare bene delle cose. È il metodo di Beppe, quello di assegnare a ciascuno un compito, magari senza neanche un incarico ufficiale. Di Maio e Di Battista, sono bravi a comunicare ed è giusto che vadano in tv. Ma non hanno un ruolo politico».
L’unico leader politico è Grillo?
«Tra noi deve valere il lavoro collettivo. Per essere leader occorre l’autorevolezza. E per ora quella c’è l’ha solo Beppe».
E Davide Casaleggio?
«La sua figura è molto importante ed è legata soprattutto alla gestione del blog. E poi è figlio di Gianroberto ed è grazie a lui se ci vediamo tutti gli anni in una grande manifestazione. Io adoro tutti i Casaleggio».
Alessandro Trocino
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 26th, 2016 Riccardo Fucile
IL MONDO ALLA ROVESCIA: ORA E’ MARONI A CHIEDERE A RENZI RITORSIONI CONTRO GLI SVIZZERI
Sono nato a Somma Lombardo, ho fatto le elementari a Casenuove e il liceo a Gallarate, la mia ragazza
nell’anno della maturità era di Cassano Magnago, dov’è nato e cresciuto Umberto Bossi.
Ho esattamente la stessa età – anno, mese, giorno – di Roberto Maroni, che è di Varese, dunque varesino, mentre io sono varesotto, in quanto del contado.
Ho conosciuto Bossi nel 1984 in via Turati a Milano, dove veniva a portare i suoi volantini farneticanti e dunque toccava a me, ultimo arrivato nella redazione di Repubblica, andarci a parlare e liquidarlo in fretta ma “senza che s’offenda, chè poi urla”, raccomandava il capocronista.
Da quando avevo tutti i capelli conosco le ragioni, irrazionali, della tardiva xenofobia del presunto popolo prealpino, per fortuna positivamente innervato e rinvigorito fin dagli anni Cinquanta dagli immigrati veneti, pugliesi, siciliani, sardi (il mio caso), campani, calabresi.
Dunque, popolo altrettanto spurio di quello padano, ancora da inventare ai tempi dell’Umberto milanese attivista di base.
Dalle mie parti i primi ad arrivare erano stati i veneti e i pugliesi, perchè l’Aermacchi, l’Agusta, l’Ignis, il Lanificio di Somma preferivano gli operai senza grilli per la testa. Oppure capitavano come avieri a Malpensa e poi mettevano su famiglia lì, a Vergiate, a Induno Olona, a Jerago con Orago.
A Casenuove, a metà anni Sessanta gli immigrati dalla bassa Padovana e dal Mezzogiorno erano più della metà dei 960 abitanti.
Ricordo i loro cognomi tutt’altro che autoctoni, come peraltro il mio: Milan, Zanatto, Zavagnin, Maraschiello, Esposito, Capuano, Augias.
Poi venne l’era dei leghisti. Che facevano proseliti chiedendo che gli insegnanti “siano solo settentrionali”, che “il lavoro venga dato anzitutto ai lombardi”, che “le nostre tasse non finiscano più a Roma ladrona”, che “i terroni bisogna mandarli a casa loro, tanto qui rubano i posti a noi”.
In Canton Ticino qualcuno prese subito a guardare con interesse all’ex comunista di Cassano Magnago, peraltro con famiglia a due passi dal confine, a Gemonio, dopo il matrimonio con Manuela Marrone, di evidenti origini siciliane.
La lega dei ticinesi, prontamente fondata dall’imprenditore luganese Giuliano Bignasca, ottenne in breve successi elettorali percentualmente perfino più rilevanti di quelli del partito di raccolta etnica padano.
La sua influenza sull’unione democratica di centro, antico partito di destra, fu nel tempo notevole.
Sommati, sono ora maggioranza nella Svizzera Italiana. Con conseguenze prevedibili: crescente xenofobia, maggiore attenzione alle iniziative delle frange populiste, l’isolazionismo come punto di riferimento condiviso.
Infine, il referendum cantonale chiamato “Prima i nostri”, vinto largamente ieri a larga maggioranza, che propone all’assemblea federale di Berna di limitare l’accesso e i diritti dei lavoratori – sessantamila! – che ogni giorno attraversano da sud la frontiera sciamando verso Chiasso, Lugano, Mendrisio, Locarno, su su fino a Bellinzona.
Gente che arriva quasi tutta dalle province di Varese e Como, terra di coltura del “leghismo duro” e puro.
Così, mentre l’erede di Bossi, Matteo Salvini trasferisce dai “terroni” ai “negri” le stesse parole d’ordine di trent’anni fa, i suoi confratelli svizzeri fanno lo stesso nei confronti dei varesini e varesotti.
Perchè più a Sud c’è sempre qualcuno da fermare o cacciare. O qualcuno da epurare in quanto meno onesto o più corrotto.
I “rottamatori” vengono rottamati, prima o poi.
Scagliare la prima pietra provoca spesso una “gragnuola” di pietre in risposta, magari dopo anni.
Lo sta scoprendo Maroni, che adesso chiede a Renzi (!) eventuali dure ritorsioni nei confronti degli amatissimi svizzeri.
Il mondo alla rovescia.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 26th, 2016 Riccardo Fucile
OGNUNO SI TROVA A SUD DI QUALCUN ALTRO… A FORZA DI INVOCARE MURI, ORA I PADAGNI SE LO TROVANO ALLE PORTE DI CASA
Il Ticino alza un muro contro i nostri connazionali che vi lavorano. Il “sì” alla consultazione “prima i nostri”, chiesta dalla destra nazionalista dell’Udc e dalla Lega dei Ticinesi, ha vinto con il 58%.
Il testo sottoposto agli elettori del cantone al confine con l’Italia, dove lavorano circa 62mila frontalieri, chiede che il mercato del lavoro privilegi, a parità di qualifiche professionali, chi vive sul territorio. “prima gli svizzeri!”, dunque.
Il senso politico del risultato appare abbastanza chiaro: rappresenta l’insofferenza per il crescente numero di lavoratori nel cantone provenienti dall’Italia.
Un’insofferenza che non avrà effetti pratici immediati, a quanto pare, considerato che la regolamentazione del mercato del lavoro rappresenta materia esclusiva del governo centrale di Berna.
I pendolari che, quotidianamente, si muovono soprattutto dal Piemonte e dalla Lombardia per attraversare il confine e raggiungere il loro posto di lavoro sono accusati di provocare un fenomeno di generale ribasso dei salari.
Ognuno, pare, si trovi al sud di qualcun altro, venendone discriminato in virtù di un nazionalismo esagitato e di concezioni che vanno contro la logica della stessa evoluzione collettiva delle nazioni e dell’intera umanità .
Resta il fatto che in un periodo caratterizzato da una forte crisi economica e sociale, da cui non se ne esce, si nota sempre più la frequenza con cui i partiti nazionalisti e populisti vanno affermandosi, a maggior ragione in un paese di frontiera come la Svizzera.
Ma, vuoi vedere che la vicenda non possa far riflettere quelli della Lega Nord di Salvini, che da tempo cavalcano la retorica del “prima gli italiani!”, slogan tanto caro alle destre xenofobe e razziste?
Già , in questo caso, però, gli stranieri sono i transfrontalieri italiani.
E allora come la mettiamo? Diamo ragione agli svizzeri?
Oppure ci ricordiamo del lapsus rivoltoso in cui incappò il grande De Andrè, in un concerto registrato con la Pfm, allorquando cantò “Mia madre mi disse: non devi giocare con gli svizzeri nel bosco”, sostituendo “zingari” con “svizzeri”?
La storia, anche quella più recente, fino ad arrivare alle cronache internazionali del presente, è spesso segnata da puntualissimi e beffardi fenomeni di nemesi.
Chissà cosa pensano, a esempio, i leghisti lombardi di fronte allo “stop agli stranieri” dei leghisti ticinesi?
Vale lo stesso imperativo categorico da loro usato per gli emigranti in genere (anche per gli italiani del meridione) che cercano e trovano un lavoro in quella regione?
Non saranno mica così sprovveduti da credere che i muri vadano eretti ovunque tranne che alla frontiera tra Italia e Svizzera?
Certo che non è facile spiegare perchè il concetto di “prima gli Italiani!” possa risultare giusto, mentre quello di “prima gli svizzeri!” un po’ meno.
Insomma, l’espressione popolare “Fà¶ra da i ball”, come filosofia politica contro l’immigrazione, è stata presa a modello di esportazione, ritorcendosi contro il luogo di provenienza.
Un boomerang che colpisce in piena fronte quelli del carroccio.
Ma avranno dura, anche quella.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 26th, 2016 Riccardo Fucile
HAI VOLUTO LA BICICLETTA? ORA PEDALA… INUTILE PRENDERSELA COI “PIANI ALTI” QUANDO ORA CI SONO LORO
L’idea di una “rivoluzione normale e gentile” propugnata a Palermo da Virginia Raggi andrebbe spiegata
meglio al drappello di ultras nevrastenici che a quel meeting ha aggredito a manate e parolacce alcuni giornalisti in quanto giornalisti, dunque servi dei poteri forti.
La difesa della categoria in quanto tale è molto poco interessante. Detto che ci sono giornalisti bravi, altri meno bravi, altri così così, si è già detto tutto il necessario, ed è abbastanza superfluo aggiungere che è bene non picchiarli, specialmente i meno bravi che sono quelli che dovrebbero stare più a cuore ai veri rivoluzionari
Interessante, invece, sarebbe capire come si sostanzia e dove va a parare, politicamente e culturalmente parlando, quella particolare e delicata branca dell’ostilità alle “caste” (quelle vere e quelle presunte) che è l’odio per i giornalisti: uno dei caposaldi del grillismo.
Partito, nella migliore delle ipotesi, come critica radicale di un sistema mediatico giudicato speculare al potere, autoreferenziale, distante “dai veri problemi dei cittadini”, minaccia di assumere, strada facendo, venature putiniane mano a mano che il Movimento si avvicina alla stanza dei bottoni
Come è inevitabile che sia, l’aumento delle responsabilità amplifica la pressione mediatica: se Raggi fosse solamente una giovane avvocata, vivrebbe serena.
Ma è diventata sindaco della capitale d’Italia, e dunque eccola investita da uno tsunami di parole e immagini che è certamente molto faticoso da reggere dal punto di vista umano, ma ha come unico “mandante” la voglia (e il diritto) dell’opinione pubblica di sapere come vanno le cose in Campidoglio.
Questa pressione non è sempre corretta e non sempre fedele al suo mandato: ho scritto pochi giorni fa che trovavo inutile e orribile l’assedio di cronisti sotto l’abitazione privata di Virginia Raggi, e l’ho scritto su questo giornale, non su un blog corsaro, perchè la stampa – stavo per dire: la democrazia – è abbastanza forte da sapersi contraddire.
Ci si domanda: è il Movimento abbastanza forte da sopportare di essere contraddetto? O insegue un modello (metà ridicolo, metà inquietante) di autarchia mediatica che pretende di autorappresentare (come fanno i regimi, e solamente i regimi) le proprie azioni?
Se la pietra di paragone deve essere il blog di Grillo, anche tralasciando ogni polemica sull’autorevolezza degli interventi (che pure conta), il livello di aggressività , disprezzo degli altri, superficialità dei giudizi, è perfino al di sotto di quello di molte gazzette politiche che usano l’insolenza e l’approssimazione come il pane.
La violenza verbale di piazza e di blog, dunque pubblica, contro gli avversari politici, contro chiunque governi e i suoi presunti “servi” è fin dal primo momento, dalle parti di Grillo, un piatto forte.
Non è mobbing mediatico anche quello, con i suoi rosari di vaffanculo?
Che cosa ha di migliore, di più virtuoso, soprattutto di più “vero”, quel modo di riferirsi al mondo e alle persone, rispetto al sistema dell’informazione così come è, con tutte le sue nefandezze e le sue omissioni
Sarebbe interessante capire quale genere di “informazione” il Movimento avrebbe gradito oppure autoprodotto, sulle vicende romane, nel caso gli odiati “poteri forti”, e i loro servi con taccuino e telecamera, fossero messi finalmente a tacere.
Che le liti interne siano state amplificate e teatralizzate è possibile, ed è un difetto tipico dei media, che tendono all’enfasi, d’altra parte, anche quando si occupano di quisquilie, figuriamoci della Giunta di Roma.
Ma sono venuti fuori – grazie ai media – anche errori marchiani, interferenze politiche (vincenti) della eterna destra romana, goffaggini, gelosie, immaturità : non si dovevano/potevano scrivere
Grillo, dal palco, non ha saputo pronunciare, in proposito, che qualche spiritosaggine, non in tono, diciamo, con il suo ritrovato status di leader, per giunta di un partito che ha ambizioni di governo.
Leggermente meglio hanno fatto altri pezzi dello stato maggiore (la cui composizione rimane comunque imperscrutabile) sostenendo che l’accaduto era sì sgradevole, ma provocato da “scelte editoriali decise nei piani alti”.
Bisogna che qualcuno gli spieghi che ai “piani alti”, ormai, ci abitano loro.
In Campidoglio, anzi, solo loro.
Governano, e da che mondo è mondo chi governa, quando vede un giornalista, deve annodarsi la cravatta, sorridere, cercare di non farsi fregare dalle domande cattive, sorvolare sulle domande sceme, rispondere a tono alle domande intelligenti.
E sapere che quello, anche quello, è il suo mestiere.
Come si dice al bar: hai voluto la bicicletta? Pedala.
Michele Serra
(da “La Repubblica”)
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Settembre 26th, 2016 Riccardo Fucile
LA MANZIONE, GIA’ CAPO DEI VIGILI URBANI DI FIRENZE, ATTUALMENTE E’ RESPONSABILE DEGLI AFFARI GIURIDICI DI PALAZZO CHIGI
Il segno di rottura col passato doveva essere netto e inequivocabile. Mentre Matteo Renzi si insediava a Palazzo Chigi qualcuno fra chi gli stava più vicino aveva perfino meditato un atto quasi ufficiale per scoraggiare la solita processione di consiglieri di Stato intenti a occupare i gabinetti dei ministeri. §
Ma forse era troppo per un governo dove il vecchio sistema aveva ancora solidi punti di riferimento
I segnali comunque arrivarono. Ecco allora Antonella Manzione, già capo dei vigili urbani di Firenze, al posto del consigliere di Stato Carlo Deodato come responsabile del dipartimento affari giuridici della presidenza del Consiglio.
L’ufficio, per intenderci, che scrive le leggi
La decisione destò scalpore nelle alte sfere delle magistrature, dove fu giudicata una specie di affronto.
Ora la circostanza si ripete: perchè lei stessa, simbolo di quella rottura con il vecchio apparato, sta entrando a farne parte
Renzi ha proposto infatti di nominarla consigliere di Stato.
La ragione? Mormorano i maligni che a Palazzo Chigi sia considerato necessario un ricambio, dopo solo un anno e mezzo.
Certo è che il nome di Antonella Manzione è nella nuova infornata di sette consiglieri di Stato di nomina governativa a cui il Consiglio di presidenza, ovvero il Csm dei magistrati amministrativi che su quelle nomine ha potere condizionante, ha dato il benestare venerdì 16 settembre.
Va ricordato che il Consiglio di Stato è una magistratura particolare, perchè giudica gli atti del governo ma al tempo stesso lo affianca nelle decisioni, e ha due componenti: quella del giudici entrati per concorso e quella dei nominati dall’esecutivo.
Fra questi ultimi c’è di tutto. Alti burocrati parlamentari a fine carriera, maxifunzionari con qualche credito (o risarcimento) da riscuotere e anche ex politici
Nell’infornata in oggetto, insieme al segretario generale di Palazzo Chigi Paolo Aquilanti e al comandante della Finanza Saverio Capolupo, c’è per esempio l’ex parlamentare democratico Lanfranco Tenaglia, proveniente dalla magistratura.
E ci sarebbe stata anche la senatrice pd Doris Lo Moro, già sindaco di Lamezia Terme e consigliere regionale della Calabria, magistrato in tempi lontani, se non fosse stato considerato inopportuno un suo trasferimento diretto da Palazzo Madama a Palazzo Spada
Non hanno fatto breccia, invece, le considerazioni opposte alla nomina di Antonella Manzione. A cominciare dall’età .
Il limite minimo per accedere senza concorso al consiglio di Stato è fissato in 55 anni. Lei, sorella minore del sottosegretario all’Interno Domenico Manzione, ne ha invece 53. Dettaglio che rafforza le tesi secondo cui un avvicendamento al vertice del dipartimento giuridico di Palazzo Chigi è scontato, considerando che con le nuove norme i consiglieri di prima nomina non potrebbero ricoprire incarichi governativi per almeno quattro anni.
Vero è che non c’è ancora il regolamento attuativo, ma la regola esiste.
Quale forma abbia assunto la forzatura anagrafica non è dato sapere. La nomina di Antonella Manzione è però passata, sia pure fra molti mal di pancia come testimonia l’esito finale della votazione: nove a sei.
E qui le dietrologie si sprecano. C’è perfino chi mette in relazione questo episodio con le pressioni crescenti che arrivano dalla magistratura amministrativa.
Pressioni che dopo l’abbassamento drastico del limite, dai 75 anni fissati da Berlusconi ai 70 decisi da Renzi, puntano a ottenere un nuovo innalzamento dell’asticella.
In molti ora guardano fiduciosi al limite del 72 anni. Sicuri di non trovare nel governo cuori insensibili.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 26th, 2016 Riccardo Fucile
IL FACCIA A FACCIA IN MATTINATA, POI IL PALCO DOVE PENSA DI ESSERE LA REGINETTA DELLA FESTA… MA INTORNO TROVA MOLTA DIFFIDENZA
«Bello, bello, bellissimo». Virginia Raggi sembra incantata quando sale sul palco sfidando la superstizione
con una maglietta viola.
È intimorita, forse ha paura di non essere la reginetta della festa. Poi ascolta il popolo grillino che scandisce il suo nome: «Virginia, Virginia, Virginia» e si tranquillizza. Certo, l’empatia è un’altra cosa, ma ci prova a trascinare la folla assicurando: «Io non mollo».
Eppure dietro a quel palco qualcuno ci spera che lei molli, l’aggettivo cordiale non descrive i rapporti tra la sindaca romana e le sue colleghe cinque stelle, Carla Ruocco, Paola Taverna e Roberta Lombardi.
Un’accoglienza se non fredda almeno umida come il tempo in questa Palermo che accoglie il popolo grillino.
Per la sindaca non è stata certo una giornata facile: iniziata alle 10,40 di mattina con un faccia a faccia con Beppe Grillo, presente anche Davide Casaleggio. Rocco Casalino, il potentissimo Richelieu (prestato dal Grande Fratello) della comunicazione grillina, assicura che è «stato veramente un bel momento».
Non per Virginia che ha dovuto spiegare quello che va facendo e, soprattutto, non facendo a Roma, a iniziare dall’assessore prossimo venturo al bilancio, il contestato Salvatore Tutino, magistrato della Corte dei Conti, in odore di «casta», almeno secondo big stellati come Di Battista e Ruocco.
Grillo ha parlato chiaro, le ha detto che ha avuto tutto l’appoggio possibile, ma che adesso deve prendersi le responsabilità delle sue scelte, a iniziare dalla conferma della fiducia alla Muraro.
«Se pensi che sia giusto, fai quello che credi, sei tu il sindaco…». Le conseguenze sono note e passano dal togliere il simbolo dalla bandiera del Campidoglio.
Il nodo cruciale sono le nomine. «Basta impresentabili – ha detto Grillo – E cerca di farti conoscere. Noi non siamo come gli altri, comunichiamo, condividiamo».
E per questo Raggi da domani inizierà a lavorare a una specie di taccuino sul sito del Comune dove appuntare i «lavori in corso».
Insomma, il movimento non le farà più da «balia». E anche Alessandro Di Battista conferma a Lucia Annunziata in tv che a Raggi vanno «oneri e onori».
Così, dopo la lezioncina di Grillo e Casaleggio, la prima cittadina della capitale conferma che sulle nomine romane lei si confronta «con consiglieri e assessori».
Poi di corsa al Foro Italico, ad affrontare la platea della festa a cinque stelle. Il repertorio è quello che accende facile l’entusiasmo
«Ci dipingono come una squadra divisa, invece non siamo mai stati così uniti», dice alla folla. I colpevoli? I giornalisti, of course, che dagli attivisti ricevono una buona dose di insulti e spintoni.
Anche se nel backstage tutto questo «peace and love» non si avverte. Rimane una grande distanza tra Virginia Raggi e una parte del movimento.
Soprattutto è aperta la «questione femminile», Virginia contro Roberta Lombardi, Carla Ruocco, Paola Taverna che le imputano di essersi allontanata dall’ortodossia grillina.
Perchè, dicono, delle nomine ne puoi toppare una, ma non è possibile fare strike, riesumando nomi dell’odiato passato.
E chi vuole svilire questa controversia a una rissa «Eva contro Eva», sbaglia .
Perchè in questa frattura «rosa» si annida il tallone di Achille del movimento.
Maria Corbi
(da “La Stampa”)
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Settembre 26th, 2016 Riccardo Fucile
HA PERSO CONTATTO CON LA REALTA’, PENSA DI ESSERE UNA STAR
E la Raggi balla. Non metaforicamente. Balla nel senso che, a un certo punto, si muove a ritmo di musica, tra una domanda dribblata su Roma e una passerella da star sul pratone del Foro Italico di Palermo.
Una foto, quella del sindaco di Roma con le braccia in alto, che denota qualcosa di più di una esuberanza giovanile o di una passione che stenta a trattenere.
Detta senza moralismo, l’immagine immortala già , dopo la falsa partenza al Campidoglio, una perdita di contatto con la realtà , da novella “marziana” di un pianeta che non incrocia il dramma Capitale.
Si potrebbe aggiungere, evocando provocatoriamente l’imperatore che suonava la cetra mentre Roma bruciava, che questo ballo avviene su un gran falò di Roma, con la sua spazzatura, la sua inefficienza diventata sistema, il suo default morale e materiale, creato dalle giunte di Mafia Capitale, dalle convulsioni dell’era Marino, che certamente – ripetiamo: certamente – l’attuale sindaco non ha creato, ma che è rimasto tale – il default – sin da quando si è insediato.
E da allora nulla è cambiato, neanche l’atteggiamento di inconsapevole e anche un po’ sprezzante estraneità al mondo attorno.
L’altro giorno rimbalzava su tutti i giornali online quel filmato girato nella metropolitana di Roma dove si vedono cittadini che subiscono gesti di violenza e, poco distanti, cittadini fermi.
Racconta di una città indifferente e violenta, che ha smarrito l’anima.
Oggi rimbalza il video della Raggi che dribbla, a ritmo di musica, le domande su Roma, parla da capo dell’opposizione al governo più che da sindaco e in ultimo si muove a ritmo di musica.
Un contrasto che con l’estetica o con valutazioni piccolo-borghesi sul bon ton non c’entra nulla, ma che invece c’entra – eccome – con la sostanza politica.
Per la città di Roma prima ancora delle delibere – poche in questi primi mesi – il nuovo sindaco non ha ancora offerto un disegno che andasse oltre la protesta per quelli che c’erano prima, non ha mai parlato il linguaggio di una passione collettiva capace di temperare gli egoismi di parte e di ricostruire una comunità .
Anzi, ha inventato nemici con la retorica dell’assedio e del complotto, anche dove non c’erano, a meno che non si voglia attribuire vitalità al quel partito da sala di rianimazione che è il Pd in Campidoglio, per non parlare degli altri.
Quante volte, in questa due giorni di Palermo, è stato ripetuto come un mantra, anche da attivisti e simpatizzanti, “lasciatela lavorare”, “vi state accanendo”, “ce l’avete tutti con lei”, come se la causa della paralisi non fossero le liti interne, la faida di potere tra il cerchio ristretto del sindaco, avvolto dall’ombra dello Studio Sammarco e degli ambienti della destra Romana e i vertici del Movimento.
Tutto detto, ridetto, raccontato, come la nomina di un assessore che doveva essere annunciata a Palermo ma poi slittata, perchè tre anni fa l’assessore in pectore era stato attaccato da Di Battista come uno dei simboli della Casta
Palermo non è stata l’occasione per capire come il sindaco ha intenzione di lavorare, con quali uomini, idee, programmi e passioni positive.
È stata l’occasione solo per puntare sull’immagine.
A ritmo di musica, la Raggi diventa simbolo, nella kermesse dei 5Stelle, di una politica intesa – forse diventata – star system.
La sua musica è come la motocicletta su cui arriva Di Battista: spettacolo puro per i fans, che saranno anche cittadini, ma sono soprattutto fans, o almeno trattati come tali. Che cosa poi produca alla lunga questa incomunicabilità tra palco e realtà , a Roma e non solo, è un altro capitolo della storia.
(da “Huffingtonpost”)
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