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CENTO FAMIGLIE SI TASSANO PER OSPITARE I PROFUGHI: L’ITALIA DELLA SOLIDARIETA’ BATTE QUELLA DEGLI EGOISMI

Gennaio 31st, 2017 Riccardo Fucile

UNA COPPIA DI SIRIANI CON TRE BIMBI SARANNO MANTENUTI CON 15 EURO AL MESE DEVOLUTI DA CENTO CITTADINI DI CORIANO

Non c’è solo l’Italia delle barricate. C’è anche un’Italia di persone che si autotassano per ospitare una famiglia di profughi.
Succede a Coriano, un comune di poco più di 10mila anime in provincia di Rimini, dove cento famiglie hanno deciso di versare quindici euro al mese, per un anno, per ospitare una coppia di siriani con tre bambini.
Sono atterrati ieri a Fiumicino, facevano parte dei quaranta profughi arrivati con il corridoio umanitario, e ieri sera sono arrivati a Coriano.
La loro nuova casa è in fase di preparazione, questione di qualche giorno. L’accoglienza che hanno ricevuto è quella riservata agli ospiti più desiderati.
Hanno potuto trascorrere forse la prima notte serena dopo tre anni di incubi.
L’uomo ha passato un anno in un carcere del regime siriano, dove è stato torturato e seviziato, dopo che gli sono state uccise la moglie e la sorella. E’ riuscito a liberarsi pagando una cauzione da tremila euro e a raggiungere quindi il campo profughi al confine con il Libano, dove ha conosciuto la nuova compagna.
Qui sono stati avviati i primi contatti con la Comunità  Papa Giovanni XXIII che si è impegnata per portarli fuori da quell’inferno.
In particolare a farsi avanti è stata una coppia, Massimiliano Zannoni e Gilda Pratelli, dopo il ritorno dal campo profughi libanese.
Hanno raccontato quanto visto ai concittadini convincendoli quindi in questa insolita gara di solidarietà . Partendo da sindaco e parroco. Servivano almeno 18mila euro per garantire il viaggio e il nuovo alloggio: quindici euro a famiglia.
«All’inizio non è stato per nulla facile, non ci seguiva praticamente nessuno», racconta Massimiliano Zannoni. «Più le persone si rendevano conto dell’importanza dell’obiettivo e della concretezza di questo sostegno più si facevano avanti. Siamo quindi riusciti a mettere insieme un centinaio di famiglie praticamente contattandole una a una. E’ stata un’operazione fatta da cittadini con i cittadini».
A chi li critica perchè “con quei soldi si poteva aiutare una famiglia italiana”, Zannoni risponde deciso: «Io aiuto chi mi trovo davanti, a prescindere da chi sia, che religione segua o a quale nazione appartenga. Inoltre chiedo a queste persone che si lamentano che cosa fanno loro per i bisognosi, italiani o stranieri che siano?».
Accogliere ieri quella famiglia è stata già  una enorme ricompensa a tutti gli sforzi fatti. «Non trovo le parole per descrivere quel momento. Per loro è cominciata una nuova vita che non speravano più di poter vivere. Ed è anche per noi è stata una forte emozione».
«E’ nato tutto dai racconti di alcuni ragazzi che, nell’ambito dell’operazione Colomba, avevano visitato negli anni scorsi alcuni campi profughi in Libano», spiegano dalla Comunità  Papa Giovanni.
«Massimiliano e Gilda hanno voluto fare la propria parte in modo diretto per aiutare queste persone che sono tra l’altro quelle più povere perchè non possono permettersi nemmeno quei viaggi della speranza che spesso conducono alla morte in mare. Ovviamente questa famiglia non sarà  solo ospitata ma lavoreremo per una sua piena integrazione nella città ».

(da “L’Espresso”)

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FILLON, LA CORSA APPENA COMINCIATA E’ GIA’ FINITA? LAVORI INESISTENTI A MOGLIE E FIGLI PER OLTRE UN MILIONE

Gennaio 31st, 2017 Riccardo Fucile

SECONDO L’INCHIESTA DU CANARD ENCHAINE’ LA SIGNORA PENELOPE E’ STATA ASSUNTA (SENZA MAI LAVORARE) DAL MARITO COME ASSISTENTE PARLAMENTARE A 10.000 EURO AL MESE… NEI SONDAGGI FILLON PERDE TERRENO E AVANZA MACRON

È uno scandalo senza fine, alimentato ogni giorno da nuove rivelazioni, e che rischia di travolgere Franà§ois Fillon.
Il Canard Enchainè pubblica nuovi dettagli sul denaro pubblico intascato dalla famiglia del candidato all’Eliseo della destra: studiando i conti in parlamento, il giornale ha scoperto che la moglie Penelope ha guadagnato oltre 900mila euro, più dei 500mila euro inizialmente citati.
Tra il 1988 e il 2013, con intervalli e pause, Madame Fillon è stata assunta come assistente parlamentare prima con il marito e poi, quando lui è diventato premier, del suo sostituto.
In Francia, contrariamente all’Italia o altri paesi, non esiste un divieto per i deputati di assumere famigliari. La procura sta però indagando per capire se si trattava di un lavoro vero o fittizio, come molti pensano visto che Penelope non è mai stata vista all’Assemblèe Nationale e pochissimo in altre situazioni pubbliche.
Lei stessa ha raccontato nelle sue rare interviste di volersi dedicare alla vita famigliare e rimanere lontana dai riflettori della politica.
Ieri la polizia ha condotto una perquisizione nella sede della Camera dei deputati e, secondo le prime indiscrezioni, è apparso chiaro che la moglie di Fillon non aveva nè un account email nè un tesserino per entrare nel parlamento.
La coppia è stata interrogata lungamente lunedì pomeriggio. “Abbiamo fornito documenti per accertare la verità ” ha commentato Antonin Lèvy, l’avvocato dell’ex premier.
Secondo Fillon, la moglie svolgeva un’attività  di rassegna stampa, correggeva i suoi discorsi, rispondeva alla corrispondenza. Un’attività  di cui ci sono “poche prove tangibili” ha ammesso il legale.
Il Canard rivela tra l’altro che lo stipendio versato alla sua consorte era particolarmente elevato, in alcuni periodi è salito fino a 10mila euro al mese, una cifra mai vista per un assistente parlamentare.
Lo stesso vale per la sua attività  di collaboratrice della rivista Revue des Deux Mondes, proprietà  di un amico di famiglia miliardario: Penelope è stata pagata in tutto 100mila euro per scrivere note di lettura e un sedicente impiego nella redazione anche se il direttore ha negato di aver mai lavorato con lei.
Infine, il Canard rivela che Fillon ha stipendiato due dei suoi figli quando era al Senato per un totale di 84mila euro.
Il candidato della destra aveva raccontato di aver affidato ai figli una “missione” in veste del loro mestiere di “avvocati”: peccato che all’epoca dei fatti erano ancora studenti e non avevano alcun titolo professionale.
Una settimana dopo l’inizio dello scandalo l’immagine di Fillon è sempre più intaccata.
Secondo un sondaggio di BfmTv il 76% dei francesi non crede alla sua difesa. Nei sondaggi ha già  perso qualche punto: ormai è incalzato nelle preferenze dal giovane centrista Emmanuel Macron.
L’ex premier ha promesso che, se sarà  indagato, lascerà  la corsa per l’Eliseo.
La destra rischierebbe così di ritrovarsi senza un candidato a meno di tre mesi dalle elezioni: una situazione inedita per la Francia.

(da agenzie)

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RAGGI, MARRA E IL COMPLOTTO CONTRO DE VITO

Gennaio 31st, 2017 Riccardo Fucile

SABATO LA LOMBARDI E’ ANDATA IN PROCURA PER   RACCONTARE CHE IL DOSSIER CONTRO DE VITO E’ STATO COMPILATO DA MARRA… I MAGISTRATI ALLA RICERCA DI VERIFICHE

Nel complottone contro Marcello De Vito irrompe Roberta Lombardi.
Sabato la deputata pentastellata è stata ascoltata dai magistrati che indagano, dopo un esposto del senatore di Cuori Italiani Andrea Augello, sulla storia del seminterrato che divise Virginia Raggi e Marcello De Vito e ha sostenuto che dietro il dossier di Daniele Frongia, Enrico Stefà no e della sindaca contro di lui ci fosse nientemeno che Raffaele Marra.
Sicuramente è un caso che la Lombardi sia andata in procura proprio nel giorno in cui si giornali si raccontava delle accuse di Virginia Raggi sulla sua baby sitter assunta alla Camera.
Di certo la deputata ha riferito cose sapute da altri, visto che Il Fatto Quotidiano, unico a riportare la notizia in un articolo a firma di Marco Lillo (che aveva raccontato il primo scoop sulla storia) spiega che a parlare del ruolo di Marra nella storia è stato un collaboratore del M5S romano. Che ieri è stato ascoltato dalla procura, mentre domenica è stata la volta proprio di Marcello De Vito, oggi presidente dell’Assemblea Capitolina e all’epoca favorito per il ruolo di candidato sindaco dei grillini, ma poi superato alle urne sul blog di Grillo dalla Raggi.
Ma torniamo a raccontare la storia dall’inizio.
Tutto parte da un accesso agli atti effettuato dal consigliere il 19 marzo del 2015:   si avvale del potere concesso per legge ai consiglieri comunali per ottenere dagli uffici del comune notizie e informazioni riguardo una pratica di sanatoria edilizia su un seminterrato di un cittadino di nome F. B. il via Cardinal Pacca al quartiere Aurelio.
Il 28 dicembre del 2015 i tre consiglieri organizzano una riunione con i consiglieri municipali in assenza di De Vito e lì lo accusano di aver compiuto “una serie di atti contrari alla buona amministrazione e un reato”.
“I tre ex consiglieri —secondo quanto De Vito dirà  ai suoi amici — affermavano che avrebbe compiuto il reato di abuso di ufficio in relazione ad una richiesta di accesso agli atti”.
“Indubbiamente la cosa — secondo quanto de Vito confidava allora ai suoi amici — produceva l’esito sperato, molti consiglieri municipali si convincevano delle accuse e l’accusato non aveva modo di palesarne la totale falsità ”.
Alla riunione e alle discussioni successive sulla rete partecipano quasi tutti i consiglieri municipali, alcuni dei quali ora sono saliti in Campidoglio.
Uno di loro racconta a De Vito che Frongia avrebbe chiesto di puntare alle successive primarie esclusivamente sulla Raggi. De Vito non sa nulla. Fino al 7 gennaio 2016. Quel giorno con i tre consiglieri viene convocato a una riunione.
Alla presenza di Carla Ruocco e Alessandro Di Battista (membri del direttorio), Roberta Lombardi, Paola Taverna e Massimo Enrico Baroni, e poi dei capi della comunicazione Rocco Casalino e Ilaria Loquenzi, i tre consiglieri comunali accusavano De Vito di abuso di ufficio per l’accesso agli atti del 19 marzo 2015 ed esibivano un parere legale.
Daniele Frongia lo sventolava e non diceva a De Vito quale avvocato lo avesse scritto. De Vito usciva frastornato e alle 20 e 30 inviava una mail nella quale spiegava che l’accesso agli atti era frutto di una richiesta proveniente dal M5S della Regione Lazio e allegava la mail dell’avvocato Paolo Morricone, difensore anche di Virginia Raggi (ha scritto lui la diffida al Fatto sull’incarico della Asl di Civitavecchia) che spiegava tutto.
“Ciao a tutti, la vicenda scrive De Vito — è stata compiutamente ricostruita. L’accesso agli atti è stato correttamente richiesto per le motivazioni di cui alla mail di Paolo Morricone, nostro avvocato regionale che riporto di seguito (e che allego):
‘in riferimento alla richiesta di accesso agli atti relativo alla (… Ndr) specifico che questa è scaturita da una segnalazione di un privato (che aveva chiesto l’anonimato avendo paura di minacce) egli sosteneva che il proprietario dell’appartamento, poteva aver spinto qualcuno dell’amministrazione per farsi concedere l’agibilità  dell’appartamento. La richiesta era necessaria in quanto dalla documentazione si sarebbe si sarebbe potuto vedere se esistevano i presupposti o meno per la concessione dell’abitabilità  (…) per una eventuale successiva denuncia’.
E’ tutto molto avvilente, io quanto meno lo vivo cosi — proseguiva De Vito — la vicenda però è anche molto grave. Motivo per cui vi chiedo con gentilezza non solo di valutare ciò che si è verifìcato oggi nei miei confronti alla luce delle pesanti accuse che mi sono state mosse ma anche di considerare insieme le opportune azioni e modalità  di gestione della vicenda che, lo ribadisco, è gravissima”.
A gennaio Frongia invita De Vito a spiegare di nuovo la situazione; la riunione viene convocata il 18, davanti a una trentina di consiglieri municipali e regionali.
Lì la polemica ufficialmente si chiude, anche se — racconta sempre Lillo — Paolo Taverna in una mail partita per sbaglio definisce quanto accaduto “uno squallido tribunale speciale” (E le gogne senza possibilità  di difendersi prima del voto sulle espulsioni sul blog cosa sono invece?).
La vicenda si chiude lì ma De Vito perde le Comunarie romane: nell’occasione Daniele Frongia si ritira dalla corsa a sindaco per favorire la Raggi, chiedendo poi il posto di capo di gabinetto per sè e ottenendolo prima della scoperta che non poteva averlo e della nomina a vicesindaco in seguito “revocata” da Beppe Grillo.
De Vito domenica ha fornito una versione molto più vaga rispetto a quella della Lombardi: ha detto di sapere anche lui di quelle voci che giravano su Marra ma di non avere alcuna certezza sul suo ruolo.
E, racconta sempre il Fatto, potrebbero essere chiamati anche i deputati presenti alla riunione chiave nella quale furono sollevate le accuse a De Vito: Alessandro Di Battista, Paola Taverna e Carla Ruocco.
Mentre Frongia, alfiere della trasparenza che di questa storia non ha mai parlato pubblicamente, replica: “Non è vero niente. Marra non aveva nessun contatto con noi in quel periodo. E’ documentabile e l’accusa si può smontare facilmente. Non è vero nemmeno che io abbia sventolato un parere contro De Vito. Non c’è nessun esposto contro di noi. Querelo tutti”.

(da “NextQuotidiano”)

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LA MAIL CHE INCASTRA VIRGINIA RAGGI

Gennaio 31st, 2017 Riccardo Fucile

L’ASSESSORE MELONI RINGRAZIA MARRA E IL SINDACO PER AVERGLI SEGNALATO RENATO MARRA, FRATELLO DI RAFFAELE

Una mail agli atti dell’inchiesta che riguarda l’incarico (poi revocato) di Renato Marra e che vede indagata la Raggi per abuso d’ufficio e falso in atto pubblico dimostra che la sindaca sapeva che la nomina era stata suggerita dal fratello Raffaele. E la parte divertente della storia è che la mail è stata inviata poco dopo la nomina di Renato Marra dall’assessore Adriano Meloni. Ovvero dall’uomo suggerito alla Raggi dalla Casaleggio come assessore al commercio. La storia la racconta oggi Il Fatto Quotidiano in un articolo a firma di Valeria Pacelli e Marco Lillo:
Meloni nella mail ringrazia Raffaele e il sindaco per avergli segnalato Renato Marra e fa presente di avere apprezzato le sue qualità  e di essere pienamente d’accordo sul fatto che sia lui la persona giusta per quel posto. I due infatti avevano già  condotto insieme alcuni blitz contro l’abusivismo commerciale. La mail inviata per conoscenza al sindaco è un elemento importante per l’accusa. Da un lato dimostra che l’assessore competente considera Raffaele Marra il suo primo referente per la nomina del fratello.
Più ancora della stessa Virginia Raggi è lui il primo sponsor per la nomina di Renato.
La mail inviata da un assessorea un sindaco solo per conoscenza dimostra anche quanto Marra fosse potente agli occhi di tutti. Ma soprattutto prova la consapevolezza da parte di Raggi del ruolo dell’ex capo del personale nell’incarico al fratello. Meloni sul punto è stato sentito dai magistrati come persona informata sui fatti.
Nell’articolo non viene specificato, ma pare possibile che sia stata trovata nello screening sul computer di Marra e che ne abbia parlato lo stesso Meloni con i magistrati:
La mail —c he sarà  contestata ora anche a Virginia Raggi nell’interrogatorio che si terrà  questa settimana — si aggiunge agli altri elementi che il pm Paolo Ielo ha in mano e che sono stati estratti dalla memoria del cellulare e del computer grazie alle perquisizioni disposte dal pm Barbara Zuin nell’altra inchiesta, per corruzione, sull’ex braccio destro del sindaco.
In testa la chat, “quattro amici al bar”al quale partecipano oltre Marra e Raggi, anche l’ex capo della segreteria della sindaca, Salvatore Romeo e l’ex vicesindaco Daniele Frongia.

(da agenzie)

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LA GIORNATA DELLA MEMORIA E L’INTERVENTO DA DIMENTICARE: QUELLO DI FABIO VERSACI (M5S)

Gennaio 31st, 2017 Riccardo Fucile

A TORINO LA COMMEMORAZIONE DEI CAMPI DI STERMINIO, AFFIDATA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO COMUNALE, SI TRAMUTA IN UNO SPROLOQUIO SGRAMMATICATO

Dopo la scritta “arbeit macht frei” sfregiata da Grillo su un post; dopo la chiamata in causa di Anna Frank quale sicura elettrice del m5s se fosse stata viva; dopo i vari sgarbi dell’ottavo municipio romano con le pietre d’inciampo dedicate ai morti nei lager nazisti; dopo la ridicola estensione del biglietto gratuito per i mezzi pubblici ai reduci dei campi di sterminio nella Capitale; ecco che — questa volta sotto la Mole — si consuma l’ennesimo flop pentastellato con la comunità  ebraica.
Il protagonista è il Presidente del Consiglio Comunale torinese, Fabio Versaci, trentenne, diploma di Perito Chimico, 5900 euro di stipendio mensile “non tagliato” (come asserisce Vittorio Bertola ex capogruppo al consiglio comunale di Torino per il Movimento 5 Stelle sulla sua pagina facebook).
Versaci, chiamato a tenere un discorso in occasione della Giornata della Memoria in aula consigliare davanti alle autorità  civili, alla Comunità  Ebraica, a una rappresentanza di partigiani, alla scolaresca di terza media di una scuola ebraica, a un’associazione di deportati, imbastisce uno sproloquio che metterebbe in imbarazzo anche un bambino delle elementari.
Versaci dice di aver “pensato molto a cosa dire” nella Giornata della Memoria e, forte di questa asserzione, inizia un lungo racconto, più o meno sgrammaticato, in merito a una sua gita studentesca nel 2005 ad Auschwitz e a Birkenau.
Versaci, a suo dire, rimase impressionato dalle “casette” (?), dall’immensità  del posto e dal freddo.
Dopodichè, fra un colpo di tosse e l’altro, schiarendosi mille volte la voce — non certo per la commozione, ma perchè in evidente assenza di argomenti — continua dicendo che “le cose dal vivo fanno la differenza, camminare in mezzo a quel freddo e quella neve, era molto forte, soprattutto Birkenau… non si riusciva a vedere la fine delle rotaie. Quando tornai a casa, capii che forse ancora oggi compiamo degli errori… gli errori del passato bisogna accoglierli (?) e trasmetterli alle generazioni future (?)… Non saprei neanche definirla, quella follia umana, boh, non lo so… poi uno s’interroga, no, c’era qualcuno che credeva che la razza perfetta poteva esistere. Quindi, anche un po’ questo è il motivo per mettermi in gioco e spero di riuscirlo a farlo. Io non aggiungo altro…”.
L’intervento di Versaci è stato pubblicato in rete ed è consultabile sul suo canale YouTube.
A noi non resta che attendere un nuovo capitolo dell’infinita saga pentastellata: come offendere la Comunità  Ebraica e inimicarsela un po’ di più.

(da “NextQuotidiano”)

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STRAGE DI VIAREGGIO, SETTE ANNI ALL’EX AD DELLE FERROVIE MORETTI

Gennaio 31st, 2017 Riccardo Fucile

CONDANNATO ANCHE MICHELE MARIO ELIA, AD DI RFI

Mauro Moretti, come ex amministratore delegato di Rfi, è stato giudicato colpevole nella sentenza di primo grado a Lucca nel processo della stage di Viareggio. Per lui le pena è di sette anni.
Nel 2009 era ad di Ferrovie dello Stato, mentre ora è alla guida di Leonardo-Finmeccanica. L’accusa per lui aveva chiesto 16 anni. Condannato anche Michele Mario Elia, al tempo ad di Rfi.
In quel 29 giugno 2009, alle ore 23 e 48, persero le vita 32 persone, tra questi alcuni bambini. Il gas fuoriuscito da una delle 14 cisterne invase il quartiere di Via Ponchielli causando forti esplosioni e un imponente incendio che distrusse molte case. Erano 33 le persone imputate, a vario titolo, per disastro ferroviario, omicidio colposo plurimo, incendio colposo e lesioni colpose nel processo. Per loro i pm Giuseppe Amodeo e Salvatore Giannino avevano chiesto pene dai 5 ai 16 anni per un ammontare di oltre 250 anni.
I giudici del tribunale di Lucca hanno assolto 8 dei 33 imputati per non aver commesso il fatto che sono Andreas Barth dell’Officina Jungenthal di Hannover, Andreas Carlsson, sempre della Jungenthal di Hannover, Joachim Lehmann, supervisore esterno della Jungenthal, Massimo Vighini, Calogero Di Venuta, responsabile della Direzione compartimentale di Firenze Movimento Infrastrutture, Giuseppe Farneti, sindaco revisore di Fs prima e poi di Italferr, Gilberto Galloni, ad di Fs Logistica, Angelo Pezzati, predecessore di Di Venuta, Stefano Rossi e Mario Testa. Assolto anche Moretti dai reati a lui ascritti come ad di Ferrovie e Vincenzo Soprano, limitatamente ai reati ascritti come ex dirigente di Fs.
Esclusa la responsabilità  per illecito amministrativo anche di Ferrovie dello Stato Spa, di Fs Logistica, di Cima Riparazione.
«Delusione? Certo, a caldo, condanne a 7 anni, che sono meno della metà  delle richieste della Procura, lasciano spazio alla delusione e all’amarezza. Ma bisogna anche capire come mai i giudici hanno emesso la sentenza con queste condanne»., ha detto Marco Piangentini, presidente dell’associazione «Il Mondo che Vorrei», che riunisce i familiari delle vittime della strage.
Per il rappresentante dei familiari delle 32 vittime della strage, la sentenza nel suo complesso «fa emergere l’esistenza di un sistema di sicurezza ferroviaria che non funziona».
«Se loro si dichiarano innocenti – ha aggiunto Piagentini – possono benissimo rinunciare alla prescrizione e dimostrare la loro innocenza nel processo».

(da “La Stampa”)

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SONDAGGI IPR E TECNE’: D’ALEMA AL 14%, PD “DIVISO” AL 22%, NESSUN PARTITO SOPRA IL 40%

Gennaio 31st, 2017 Riccardo Fucile

CROLLA LA RAGGI DAL 67% AL 42%: OGGI PERDEREBBE AL BALLOTTAGGIO

Propositi smentiti, sia in senso negativo che in senso positivo.
Perchè a leggere gli ultimi sondaggi di Ipr e Tecnè per Porta a Porta nè Renzi nè il suo nuovo vecchio avversario D’Alema raccoglierebbero i voti che credono di poter raccogliere.
Il segretario del Pd, innanzitutto: è lontanissimo dal 40% che è convinto di valere ancora nelle urne nonostante la batosta del referendum costituzionale.
L’unica mezza buona notizia per l’ex premier è che nessun partito, ad oggi, da solo raggiungerebbe la soglia per poter governare.
Discorso assai simile, inoltre, anche nell’ipotesi di alleanze e coalizioni più o meno fantasiose.
A far da contraltare, però, ci sono i consensi che raccoglierebbe Massimo D’Alema: l’11% per Ipr, il 14% per Tecnè.
In entrambi i casi, sopra quel 10% che il politico di origine pugliese prospettava come apice del consenso per il nuovo progetto politico.
E il Partito democratico? Senza D’Alema e il resto della minoranza dem si attesterebbe intorno a un misero 22%.
Previsione a dir poco nefasta, come quella che riguarda il sindaco di Roma Virginia Raggi: se si tornasse a votare oggi, il primo cittadino del M5s non avrebbe più la maggioranza al ballottaggio.
SE SI VOTASSE OGGI NON VINCEREBBE NESSUNO
A leggere il sondaggio di Ipr per Porta a Porta, se si votasse oggi il Pd e M5S risulterebbero alla pari a Montecitorio: entrambi si fermerebbero al 30% (191 seggi ciascuno), seguiti da Lega al 13% (83 seggi), Forza Italia al 12% (76 seggi), Fratelli d’Italia al 5% (32 seggi), Sinistra Italiana al 3,5% (22 seggi), Nuovo centrodestra al 3% (19 seggi), Udc all’1 % (nessun seggio).
Per l’istituto Tecnè, invece, il M5S ottiene il 30,5% (194 seggi), il PD il 29% (184 seggi), la Lega e FI il 13% (83 seggi ciascuno), FDI al 5% (32 seggi), Sinistra Italiana al 3% (19 seggi), Area Popolare 3% (19 seggi), altri 3.5% (4 seggi), Circ. Estero (12 seggi).

Nessuna maggioranza politica avrebbe i numeri per governare (316 quella numerica — 340/350 seggi quella operativa).
Ipr e Tecnè, inoltre, fanno tre ipotesi di alleanze, ma nessuna maggioranza politica avrebbe comunque i numeri per governare (316 quella numerica — 340/350 seggi quella operativa).
La prima ipotesi vede il PD insieme agli altri partiti del governo attuale, agli autonomisti e ai 5 seggi estero: per Ipr prenderebbe 219 seggi, per Tecnè 212.
Nella seconda ipotesi, il Pd è in coalizione con gli altri partiti del governo attuale, con Forza Italia, con gli autonomisti e con 10 seggi esteri: per Ipr prenderebbe 309 seggi, per Tecnè 297.
La terza ipotesi, infine, vede M5s con Lega, Fratelli d’Italia e due seggi esteri: per Ipr raggiungerebbe quota 308 seggi, per Tecnè 297. Anche nel caso di partiti uniti in listoni, inoltre, non si raggiungerebbe alcuna maggioranza in grado di governare.
Il listone centro sinistra Pd+Ncd+Sc+Idv+Si+altri otterrebbe il 36% dei voti con 227 seggi (Ipr), 32% con 201 seggi (Tecnè).
Il listone di Centro destra Fi+Lelga+Fdi+Udc+altri otterrebbe il 31,5% con 198 seggi (IPR), 32,5% con 205 seggi (Tecnè).
La lista M5S da sola sarebbe al 30% con 189 seggi (IPR), 33% con 208 seggi (Tecnè).
IL PD CON O SENZA D’ALEMA
Se si presentasse una lista scissionista di sinistra a guida D’Alema-Bersani, per Ipr il Pd si fermerebbe al 22% con 141 seggi, mentre la nuova forza dalemiana raggiungerebbe l’11% con 71 seggi.
In tal caso M5S sarebbe al 29,5% con 190 seggi, la Lega al 13% con 77 seggi, Fi al 12% con 32 seggi, Ncd 3% con 19 seggi.
Diverso il sondaggio registrato da Tecnè: M5S 28% e 179 seggi, Pd senza sinistra 20% e 128 seggi, sinistra con minoranza Pd ormai scissa 14% e 90 seggi, Lega e Fi 13% con 83 seggi ciascuno, Fdi 5% e 32 seggi, Area popolare 3% e 19 seggi.
Per il 53% degli italiani (54% per Tecnè) sarebbe meglio andare alle elezioni subito con le leggi elettorali modificate dalla Consulta.
ROMA, LA RAGGI NON VINCEREBBE IL BALLOTTAGGIO
Virginia Raggi oggi non avrebbe più la maggioranza dei voti al ballottaggio. E’ quanto emerge dalla rilevazione Ipr e Tecnè sempre per Porta a Porta.
I due istituti hanno sondato il consenso al sindaco di Roma Virginia Raggi: solo il 43% Ipr (41% per Tecnè) voterebbe ancora la Raggi al ballottaggio, mentre il 57% per Ipr e il 54% per Tecnè non la voterebbe. La percentuale di voti ottenuti dalla Raggi al ballottaggio fu del 67%.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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ASSEMBLEA M5S ROMA, TRA PASDARAN, LOMBARDIANI E NAVIGATORI: E SONO IN GIOCO ANCHE GLI STIPENDI

Gennaio 31st, 2017 Riccardo Fucile

SE LA RAGGI NON PATTEGGIA POSSONO USCIRE CHAT SCOMODE SUL MONDO GRILLINO E GLI INTERLOCUTORI DI MARRA

L’assemblea del M5S a Roma – che ha fatto agitare i capi a Milano – difficilmente produrrà  un episodio risolutivo: ma offre a tutti i fronti del Movimento in campo a Roma la possibilità  di piazzare la loro bandierina, magari sulla schiena di Virginia Raggi.
I fronti – come ci spiega la stessa fonte che ci ha passato i documenti preparatori dell’assemblea – sono tre, trasversali, non del tutto coincidenti con la storica battaglia tra area Raggi e area Lombardi: «Ci sono i pasdaran che difendono il M5S a qualunque costo, in questo caso se stessi e la Raggi; un’area da non sottovalutare. Poi ci sono quelli che prendono le distanze. Infine c’è il partito dello stillicidio: quelli a cui conviene che le cose stiano così, che Virginia si indebolisca giorno per giorno, ma senza una vera e propria caduta».
I tre fronti sono accomunati dal fatto che, per molti di loro, se cade il Campidoglio cadono anche i loro stipendi di consiglieri, assessori nei municipi, eccetera.
È un fattore oggettivo, che avvantaggia l’uomo più capace rimasto alla Raggi, Daniele Frongia, nell’allestire una trincea di Virginia.
Di questi tre fronti, infatti, due lavorano per colpire o fiaccare la sindaca, ma – attenzione – in nessuno dei due fronti c’è qualcuno che sia in grado di alzarsi e deciderne la fine.
Neanche una persona abile come Roberta Lombardi, che chiaramente vede come preferito uno scenario di caduta.
Allora cosa fa? Fa parlare i suoi fedelissimi, per esempio Paolo Ferrara, che ogni volta escludono dimissioni della sindaca, ma ogni volta aprendo delle feritoie: «Non ci nascondiamo dietro un dito, sono stati fatti dei piccoli errori, però i risultati saranno sicuramente superiori».
Certo la prima cittadina si trova in una tenaglia: se patteggia, un minuto dopo – è chiaro – non è più sindaco di Roma del Movimento.
Ma se decide di andare avanti nel processo, è lei stessa che squaderna, davanti al Movimento, lo scenario dello stillicidio politico: e a quel punto per tutti (compresi vari leader interni), non più solo per lei.
Lei resterà  sotto inchiesta, infatti. Usciranno fuori anche chat, magari non penalmente rilevanti, dentro le quali – raccontano – ci sarebbe un po’ di tutto, politici importanti del Movimento, e interlocutori, da giornalisti a figure della società , coi loro rapporti col Campidoglio, Marra compreso.
I nemici della Raggi fanno girare la voce che dalla procura «potrebbe arrivare altro» sulla sindaca. Però anche la Raggi ha qualche cartuccia.
Davide Casaleggio ha la creatività  politica, e la forza, di trovare una exit strategy, magari un addio della Raggi che sembri deciso da lei stessa?
Ma in quel caso, consiglieri, assessori nei municipi, il ceto politico del Movimento, seguirebbero?
Qui veniamo all’assemblea; e, paradossalmente, alla trincea della sindaca.
Nei mesi in Campidoglio la forza di Frongia nei municipi è molto aumentata, per la semplice ragione che sono lui e la sindaca ad aver avuto il potere, dunque ad aver distribuito incarichi e assessorati in quelle mini città .
Se Raggi va giù, tutte queste persone sono immediatamente al capolinea. «Si tratta di personaggi avviati al ritorno alla non occupazione», dice elegantemente la nostra fonte.
Forse anche a Roma si riferiva Grillo ieri, non solo a Genova, quando ha parlato di «cadreghe». Una figura importante, in tutto questo scenario, è proprio l’organizzatore dell’assemblea: Claudio Sperandio.
È un militante che, quando si fece l’alleanza con Farage, scrisse un post durissimo contro Grillo, che ci viene girato: «È finita. Avevo aderito a questo Movimento perchè la democrazia partecipata diventasse albero maestro», ma «se deve dominare il pensiero unico di Due (Grillo e Casaleggio, ndr.) e non l’intelligenza collettiva, per me è più giusto lasciare. D’altra parte Grillo stesso invita a togliersi dai coglioni chi non è d’accordo, ricordate? Io lo faccio senza il bisogno che qualcuno mi accompagni alla porta».
Ecco, poi invece è rimasto; è oggi è uno dei pasdaran di Frongia, nella trincea.
Con la Raggi che – se lei ci credesse appieno – potrebbe diventare la vera spina nel fianco dei capi e leaderini del Movimento.

Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)

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SALLY, L’EROINA “DURA E PURA” CHE HA DIMOSTRATO COERENZA E DIGNITA’ IN UN MONDO DI CONFORMISTI

Gennaio 31st, 2017 Riccardo Fucile

L’EX PROCURATRICE GENERALE CHE HA SFIDATO TRUMP E’ DIVENTATA IL MITO DI CHI NON SI ARRENDE

“Noi stiamo con Sally Yates, una vera eroina americana. #RESISTERE” posta l’account ufficiale della Marcia delle Donne. “Un eroe legale, ben lontana dal tradire il Dipartimento di Giustizia” rimarca il Financial Times.
E poi centinaia di commenti e messaggi di supporto twittati dall’America che resiste, che combatte contro un presidente che non ha scelto
Il popolo si schiera con lei, con Sally Yates, l’ex procuratrice generale Usa e ministra ad interim licenziata in tronco da Donald Trump per aver manifestato perplessità  sull’ordine esecutivo anti-immigrati e ha osato sfidare il presidente comunicando lunedì ai propri 113.00 dipendenti :“Fino a quando sarò Attorney General (il corrispettivo del nostro ministro della Giustizia, ndr) in funzione, il Dipartimento di Giustizia non presenterà  contenziosi in difesa dell’ordine esecutivo a meno che non mi convinca che è appropriato farlo”.
La reazione di Trump dunque non si è fatta attendere: lunedì sera, una lettera recapitata a mano comunica a Sally “la traditrice” il suo repentino licenziamento dal Dipartimento di Giustizia.
“Yates ha tradito il Dipartimento di Giustizia rifiutando di applicare l’ordine creato per proteggere i cittadini degli Stati Uniti” ha dichiarato la Casa Bianca in un comunicato. E poi prosegue: “La signora Yates è stata designata dall’amministrazione Obama, è debole in materia di frontiere e molto debole in materia di immigrazione illegale”. Parole volutamente provocatorie e offensive, ma senza alcun fondamento: la sua biografia racconta tutta un’altra storia, dove di debolezza non c’è ombra.
56 anni, nata ad Atlanta, laureata in legge all’Università  di Georgia, sposata con due figli, Sally Yates ha iniziato nel 1989 una carriera trentennale all’interno del Dipartimento di Giustizia Usa come assistente di un procuratore nel distretto nord della Georgia.
Ha poi collaborato a vari casi significativi di corruzione politica e frodi finanziarie, e nel 1996 ha portato avanti l’azione legale contro Eric Rudolph, l’autore dell’attentato durante le Olimpiadi di Atlanta.
Nel 2010 Barack Obama l’ha posta a capo della procura locale, facendone la prima donna a raggiungere quella posizione e apprezzandone l’integrità  e indipendenza di pensiero.
Da lì la carriera è stata in continua ascesa, tant’è che nel 2015, quando il procuratore generale Usa Eric Holder palesa a Obama l’intenzione di lasciare l’incarico, l’allora presidente sceglie proprio lei come vice a Loretta Lynch, ricevendo un supporto bipartisan.
L’appoggio ricevuto anche da destra non è stato mai totale: tra i suoi critici più duri spunta per ironia della sorte   il nome di Jeff Session, il suo successore.
Nel nuovo ruolo si è dimostrata una donna forte, più volte in grado di “far fermare a riflettere l’amministrazione Obama su politiche da lei ritenute dannose”, come rivela l’ex portavoce del dipartimento Emily Pierce
Responsabile del “programma di grazia” dello Studio Ovale, con il quale Obama ha reso più clemente la pena a centinaia di spacciatori non violenti, ha scritto due anni fa il cosiddetto “Yates memo”, che ha reso una priorità  federale la persecuzione dei singoli individui negli esecutivi delle grandi società  per azioni perseguibili (e non più solo della società  nel suo intero).
Infine, il mese scorso era tra coloro che hanno annunciato i provvedimenti contro Volkswagen dopo lo scandalo delle emissioni: 4,3 miliardi per reati civili e criminali.
Il suo mandato, come descrive il suo profilo nel sito del Dipartimento di Giustizia Usa, si è caratterizzato per “gli sforzi verso il rafforzamento della sicurezza pubblica, la riforma del sistema della giustizia criminale, la garanzia di responsabilità  individuale per i membri delle corporate e lo sviluppo del sistema carcerario”. Obiettivi in grande contrasto con l’attuale amministrazione Usa, che pure le aveva espressamente chiesto di rimanere nel suo ruolo fino all’approvazione della nomina di Session.
Yates ha accettato, ma questo non ha significato venir meno al suo principio fondante, pagandolo con la destituzione: perseguire la giustizia è più importante che portare casi federali davanti alla corte.
Ribadendo così il concetto espresso pochi giorni dopo la nomina a vice Lynch nel maggio 2015: “Non siamo il Dipartimento per le Persecuzioni e neppure il Dipartimento per la Sicurezza Pubblica, siamo il Dipartimento di Giustizia”.

(da “la Repubblica”)

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