Destra di Popolo.net

QUANDO VIRGINIA RAGGI ERA CONTRO LO STADIO DELLA ROMA, PRIMA DI CONVERTIRSI AI POTERI FORTI

Febbraio 15th, 2017 Riccardo Fucile

UNA CAMPAGNA ELETTORALE FONDATA SUL NO PER POI PRENDERE PER I FONDELLI CHI L’HA VOTATA… ATTIVISTI CINQUESTELLE IL 21 FEBBRAIO CONSEGNERANNO UNA LETTERA DI PROTESTA ALLA SINDACA

Sullo stadio della Roma la situazione comincia a farsi incandescente.
E così gli attivisti grillini cominciano a mettere sotto pressione Virginia Raggi (o almeno questa è la loro intenzione).
Per il 21 febbraio è stato fissato un evento dai componenti del Tavolo Urbanistica per andare a consegnare una lettera alla sindaca che raccoglie le doglianze degli attivisti e la famosa delibera per togliere il pubblico interesse all’opera:
Cara Virginia,
sulla vicenda stadio state prendendo una cantonata
Oltre a non seguire quanto è stabilito nel programma e quanto dichiarato in campagna elettorale e soprattutto il supporto tecnico del Tavolo Urbanistica, che ha evidenziato varie illegittimità  nella procedura sin qui espletata dalla vecchia Giunta, state continuando nell’errore!
Il procedimento speciale descritto dal art. 1, comma 304, della legge n. 147 del 2014 chiaramente dice che non sono possibili modifiche “sostanziali” in conferenza di servizi senza addivenire ad un annullamento della delibera di pubblico interesse e ricominciare l’iter.
La stampa riporta che avete raggiunto un accordo con una riduzione del 25% di cubatura e corrispondenti opere pubbliche, cosa che determina una palese modifica sostanziale della delibera di pubblico interesse.
Per questo motivo ti chiediamo di “aprire la busta” e ascoltare le nostre ragioni
P.S. Martedì una rappresentanza di attivisti verrà  a consegnarti la busta
E   intanto nelle bacheche degli attivisti cominciano a circolare le dichiarazioni del 2014 della sindaca
La capogruppo del Pd in Campidoglio Michela Di Biase ha annunciato un’interrogazione alla sindaca sul ruolo dell’avvocato Luca Lanzalone: “Dall’intervista odierna che l’ex assessore Paola Muraro ha rilasciato al quotidiano ‘La Stampa’ abbiamo appreso che la nomina del direttore generale di Ama ‘fu fatta da Casaleggio attraverso tale avvocato Luca Lanzalone’. Alle trattative con l’A.S. Roma e ai tavoli tecnici per la rimodulazione del progetto dello stadio della Roma lo stesso avvocato genovese rappresenta l’amministrazione. All’avv. Luca Lanzalone il Campidoglio, sempre secondo notizie di stampa, sembra aver affidato il compito di passare al setaccio tutti gli atti dell’ex vice capo di gabinetto e capo del personale Raffaele Marra. Siamo in presenza di una sorta di eminenza grigia cui appare essere stato affidato il compito di tutore del Sindaco o la sua rappresentanza in contesti decisionali particolarmente rilevanti per la città . Peraltro a tutt’oggi non risulta che all’avvocato Lanzalone sia stato assegnato un incarico di consulenza o che con il suo studio sia stato stipulato un contratto di assistenza alla prima cittadina da parte dell’amministrazione capitolina. E’ per i suddetti motivi che oggi stesso abbiamo presentato una interrogazione urgente al Sindaco per conoscere le modalità  di pubblica rilevanza con i quali sono stati assegnati incarichi o attività  di consulenza all’avvocato Luca Lanzalone e l’entità  dei compensi, qualora siano previsti, riconosciuti per lo svolgimento di tale attività ”.

(da “NextQuotidiano“)

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M5S E STADIO DI ROMA, SOLO CHIACCHIERE E DISTINTIVO?

Febbraio 15th, 2017 Riccardo Fucile

DOV’E’ L’INTERESSE PUBBLICO? NELL’INTERESSE LEGITTIMO, MA PRIVATO, DI PARNASI E DI UNICREDIT ?

Cinque Stelle, rivoluzione o bluff? Adesso finalmente lo capiremo.
Quando arrivi al potere — come a Roma e Torino — la verità  viene fuori. Ecco, lo vedremo dalla vicenda dello Stadio. Quel progetto voluto, bisogna ricordarlo, dal centrosinistra. Appoggiato dal centrodestra. Ma adesso la parola finale spetta al Movimento Cinque Stelle.
E allora verrà  fuori se il sindaco di Roma è Virginia Raggi o Francesco Totti.
Passi per lo stadio, ma poi ci sono quei grattacieli disegnati dall’archistar Daniel Libeskind, che accetta di mettere la sua firma su operazioni immobiliari contestatissime (ne ha già  fatto le spese Milano con le torri di City Life).
Ma questa è l’Italia. Questa è Roma.
Ora Virginia Raggi e il Movimento Cinque Stelle dovranno dimostrarci chi sono davvero: se avranno a cuore prima di tutto l’interesse pubblico oppure quelli dell’imprenditore Parnasi o della banca Unicredit.
Se sapranno finalmente dire NO ai signori del mattone e alle banche oppure se quando ci ballano 1,5 miliardi alla fine cederanno come hanno fatto finora gli altri.
Se avranno in mente un modello di sviluppo diverso per Roma che non sia il cemento e centri commerciali. Senza anima, senza qualità .
No, il punto non è lo stadio. Ma quelle torri, quel milione di metri cubi. Forse il più grande progetto d’Europa.
Il punto è la definizione di “pubblico interesse” che qualcuno vorrebbe dare al progetto. Per una colata che è uguale a quelle che hanno cementificato Roma e le sue periferie dagli anni Sessanta.
Dov’è il pubblico interesse? Interesse pubblico o interesse — legittimo, ma privato — di Parnasi e Unicredit?
Vedremo cosa decideranno Raggi e il Movimento: speriamo non pensino di cavarsela tagliando qualche piano ai grattacieli.
Allora tanto valeva lasciar lavorare indisturbati il Pd, il centrodestra e i loro amici costruttori.
Se passerà  questo progetto, pur se un po’ ridotto, allora potremo rivolgere alla Raggi e al Movimento quella battuta del film gli Intoccabili: “Sei solo chiacchiere e distintivo”

Ferruccio Sansa
(da “il Fatto Quotidiano”)

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LA LINEA D’OMBRA DEL CEMENTO, CINQUESTELLE SUBALTERNI COME GLI ALTRI

Febbraio 15th, 2017 Riccardo Fucile

ROMA SI E’ DISFATTA, SI E’ SMESSO DI PENSARLA E DI DISEGNARLA… TUTTI SI SENTONO PADRONI DEL TERRITORIO PER SVENDERLO A INTERESSI PARTICOLARI

Quando si ascoltano Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio e Virginia Raggi promettere che, sì, lo stadio della Roma si farà , viene da pensare che ci sia una maledetta linea d’ombra, nella vita pubblica italiana.
Quella linea è l’elezione a una carica pubblica.
Quando la varca, il cittadino subisce una mutazione radicale nel linguaggio, nell’etica, nella scala delle priorità . Perfino nella logica.
Non è più un cittadino, ormai: diventa il pezzo di un potere immutabilmente uguale a se stesso, chiunque lo incarni.
La città  (non solo Roma) si è disfatta, è diventata invivibile, a tratti mostruosa, perchè si è smesso di pensarla e di disegnarla.
Si è rotto il legame tra la comunità  degli uomini e la città  materiale: la prima ha cessato di immaginare e modellare la seconda.
Il taglio delle finanze locali, l’ignoranza e la corruzione delle classi dirigenti hanno delegato a pochi grumi di interesse privato (palazzinari e banche, in sostanza) lo sviluppo delle città , secondo questa logica perversa: “io amministratore permetto a te speculatore di prenderti un pezzo di spazio pubblico, se in cambio mi fai quei servizi, quelle urbanizzazioni, quelle infrastrutture necessarie alla comunità  che io non ho i soldi per fare, nè la voglia di pensare”.
È la fine dell’urbanistica, e dunque la fine della città  pubblica.
Questa abdicazione è stata compiuta indifferentemente da destra e da sinistra.
Un simbolo di questa continuità  perfetta è stata la figura di Maurizio Lupi: assessore allo Sviluppo del territorio, edilizia privata e arredo urbano del Comune di Milano nella giunta di Gabriele Albertini e poi ministro delle Infrastrutture dei governi Letta e Renzi.
La linea Lupi è quella della Legge Obiettivo di Berlusconi del 2001: che resuscita, peggiorata, nello Sblocca Italia di Renzi (e Lupi, appunto) nel 2014.
Il motto delle due leggi era lo stesso: “padroni in casa propria”.
Parole che volevano solleticare i cittadini, ma che di fatto descrivevano perfettamente le figure di amministratori che si sentono padroni del territorio solo per svenderlo ad interessi particolari.
Un pensiero unico che tende ad inghiottire tutti: basti pensare ad Enrico Rossi, che mentre si candida a guidare il Pd e il Paese con idee socialiste, impone ai cittadini della Maremma un’autostrada che essi non vogliono.
Ora è il turno dei 5 Stelle.
In campagna elettorale il loro slogan (sommario, ma efficace) era: riprendiamoci il governo della città . Non come 5 stelle, come cittadini.
Ed è su questo che hanno avuto il voto di moltissimi romani di sinistra. La prima cosa che i vincitori avrebbero dovuto fare una volta entrati in Campidoglio era dunque ritirare la delibera 132/2014: quella con cui la giunta Marino aveva stabilito che il progetto dello stadio – un progetto della Roma (la società , non la città ), che prevede un milione di metri cubi di cemento con destinazione prevalente a uffici per ospitare multinazionali e attività  commerciali – fosse “di pubblico interesse”.
Era una battaglia difficile, ovviamente: una battaglia che si poteva vincere solo spiegando molto chiaramente agli elettori la situazione, chiedendo pubblicamente l’appoggio dei romani contro chi minacciava – e minaccia – di mettere in ginocchio la città  attraverso cause miliardarie.
D’altra parte, tutti sappiamo che per invertire la rotta pluridecennale della privatizzazione delle città  occorre una clamorosa rottura della continuità : una rottura che affermi il primato della politica e del bene comune sugli affari e sugli interessi privati.
Ma è successo tutto il contrario: e ora ci si viene a dire che lo stadio si farà , vedremo con quante torri e quanta speculazione attorno.
I 5 Stelle vengono quotidianamente passati al microscopio da chi si aspetta (o magari si augura) di poterli dichiarare uguali a tutti gli altri nella corruzione.
Ma quello che sta emergendo è qualcosa di diverso, forse di peggiore.
E cioè che essi rischiano di essere uguali agli altri nella subalternità  allo stato delle cose: in un difetto, e non già  in un eccesso, di radicalità .
Perchè chiunque varca quella famosa linea d’ombra senza una visione, senza un progetto, senza sapere quale città  e quale politica vuole, non riuscirà  a cambiare niente.
Anzi, ne sarà  inesorabilmente cambiato.

Tomaso Montanari
(da “La Repubblica“)

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OPERAIO COSTRETTO A URINARSI ADDOSSO, NESSUN PROVVEDIMENTO CONTRO I RESPONSABILI: E’ IL NUOVO CORSO CHE PIACE TANTO A MARCHIONNE E AL PD

Febbraio 15th, 2017 Riccardo Fucile

LA FIAT CHRYSLER SI SCUSA CON IL LAVORATORE A CUI E’ STATO IMPEDITO DI LASCIARE LA CATENA DI MONTAGGIO PER ANDARE CON URGENZA IN BAGNO, MA NESSUN PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE

Ancora tensioni e battaglie dopo la denuncia del sindacato Usb che ha portato alla luce un fatto accaduto alla Sevel di Atessa (Chieti) , del gruppo Fiat-Chrysler, il più grande stabilimento industriale europeo per la produzione di veicoli commerciali leggeri (come il Fiat Ducato), con oltre seimila lavoratori in organico.
Un operaio in catena di montaggio si è visto negare il diritto ad andare in bagno, nonostante avesse chiesto più volte il permesso; a quel punto, fattasi l’impellenza fisiologica insopportabile, non gli è rimasto che farsi la pipì addosso.
E c’è chi ha ravvisato, in questo episodio “ottocentesco”, la spia di un cambiamento del clima che si respira nelle nostre fabbriche dopo la sostanziale abolizione delle garanzie che l’articolo 18 prevedeva.
E quella di Atessa sarebbe solo la punta di un iceberg che non finisce sui giornali perchè poche tute blu troverebbero il coraggio di denunciare le eventuali angherie patite. Persino ai sindacati.
È battaglia legale. “Tutto il nostro studio è mobilitato per gestire al meglio, e con la massima celerità , quanto accaduto al lavoratore, un fatto di inaudita ed eccezionale gravità . Vogliamo tutelare i suoi diritti – spiega all’Espresso l’avvocato Diego Bracciale, che patrocina l’operaio della Sevel – Verranno adite tutte le sedi, penali e civili, con ogni azione possibile e verso chiunque può presentare anche il più minimo profilo di responsabilità . Qui è stata lesa la dignità  sia dell’uomo che del lavoratore. Sembra che tutte le battaglie combattute per l’affermazione dei diritti dei lavoratori siano state vane. Ma ora è possibile osservare finalmente anche dall’esterno il clima che regna dentro l’azienda. Ho appreso di scuse della società , che in tutta franchezza ritengo che a poco possano servire”.
La reazione del gruppo Fiat-Chrysler.
L’azienda si è già  scusata col lavoratore e ha preso parte (rappresentata da dirigenti) a un consiglio straordinario delle rsa Fim, Uilm, Fismic, Uglm e Associazione quadri e capi Fiat. In quella sede, ha annunciato che avrebbe fatto una ricognizione della vicenda intervenendo direttamente sui responsabili.
Ma il sindacato sostiene che questi provvedimenti disciplinari, alla fine, non ci sono stati: la multinazionale di Sergio Marchionne si sarebbe limitata a richiamare i capi reparto e i team leader, ribadendo che la priorità  deve essere il rispetto della persona. “Visto che si è già  scritto parecchio sull’episodio, e noi non siamo intervenuti subito… preferisco ora non fare commenti, fino a che non abbiamo chiarito bene quanto è accaduto” ha replicato Claudio D’Amico, capo ufficio stampa della Fiat- Chrysler.
Nonostante avesse chiesto più volte di poter lasciare la catena di montaggio per andare alla toilette, il lavoratore dell’azienda di Atessa, parte del gruppo automobilistico, è stato costretto a restare al suo posto.
L’accaduto è stato denunciato dall’Usb, che ha indetto uno sciopero e denuncia i ritmi di lavoro serrati dello stabilimento
L’Usb non demorde. Ci dice invece Fabio Cocco, responsabile abruzzese Usb del lavoro privato e lui stesso operaio alla Sevel: “Noi crediamo che la responsabilità  sia del tutto aziendale e dell’organizzazione del lavoro: perciò chiediamo provvedimenti precisi nei confronti dei dirigenti, e un intervento diretto di Marchionne per la rimozione sia del direttore dello stabilimento che del capo officina, a nostro avviso gli unici responsabili insieme all’incapacità  di gestione del capo Ute”.
La vittima ha deciso di non parlare alla stampa: lei, che tra l’altro lavora con l’uomo, ha avuto modo di interloquirci in seguito?
“Incontrandolo, ho notato in lui un crescente imbarazzo. Anche in azienda, perchè ormai tutti sanno chi è. Stiamo parlando di un padre di famiglia, che si sente umiliato nel suo ambiente di lavoro: non vorremmo che gli accada lo stesso anche nella vita quotidiana”.
L’interrogazione parlamentare.
L’ha presentata il deputato di Sinistra Italiana Gianni Melilla: “Si tratta di un fatto grave che lede la dignità  di una persona e tramite lui dell’intera classe lavoratrice di questo stabilimento, che è la più grande fabbrica italiana della FCA. La Sevel produce circa 300.000 veicoli commerciali che vengono venduti in 80 Paesi del mondo; in Europa occupa il primo posto nelle vendite del suo segmento. Si tratta dunque della più grande fabbrica metalmeccanica italiana, un gigante dell’export industriale. La vicenda per questo non può essere sottovalutata: nella più grande fabbrica italiana i ritmi e i carichi di lavoro arrivano al punto di costringere un operaio a farsi la pipì addosso per non lasciare il suo posto alla catena di montaggio, cose che pensavamo appartenessero alla fase primitiva dello sfruttamento della forza lavoro da parte di un capitale avido e disumano. La democrazia non può fermarsi davanti ai cancelli di una fabbrica: anche alla catena di montaggio i lavoratori non devono essere umiliati”.

Maurizio Di Fazio
(da “L’Espresso”)

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FIRME FALSE M5S BOLOGNA, QUATTRO RINVII A GIUDIZIO

Febbraio 15th, 2017 Riccardo Fucile

ANCHE FIRME RACCOLTE A ROMA E FATTE FIGURARE APPOSTE A BOLOGNA

La Procura di Bologna ha chiuso l’inchiesta sulle presunte irregolarità  nella raccolta firme per le liste 5 Stelle alle elezioni regionali del 2014.
Avvisi di fine indagine sono stati notificati a tutti e quattro gli indagati tra cui il vicepresidente ‘grillino’ del Consiglio comunale di Bologna, Marco Piazza che si era autosospeso dal Movimento, nel novembre scorso, dopo aver ricevuto dai pm bolognesi l’invito a comparire.
Agli indagati, tra cui anche Stefano Negroni dipendente comunale e collaboratore ‘grillino’, Giuseppina Maracino e Tania Fiorini.
La Procura contesta la violazione dell’articolo 90 (comma due) del Dpr 570/1960, ovvero il testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali.
Nello specifico, secondo il quadro accusatorio, a Piazza (in quanto pubblico ufficiale perchè consigliere comunale) si contesta di avere attestato falsamente che alcune firme erano state apposte in sua presenza a Bologna mentre, secondo i pm, le stesse sottoscrizioni erano state raccolte a Roma nell’ottobre 2014 durante il raduno nazionale del Movimento 5 Stelle.
Al vicepresidente del consiglio comunale, dunque, la Procura felsinea non contesta firme false ma attribuisce al grillino irregolarità  nella procedura di autenticazione delle stesse perchè, secondo gli inquirenti, ha attestato che alcune sottoscrizioni erano state fatte in sua presenza quando in realta’ erano state apposte materialmente davanti ad altri o in un altro luogo.
Alcune firme ‘disconosciute’ dai loro autori (tre da quanto si apprende) sono invece contestate al collaboratore Stefano Negroni.
L’inchiesta dei magistrati felsinei era nata da un esposto presentato nell’ottobre 2014 da due ex militanti 5 Stelle di Monzuno, paese sull’Appennino Bolognese.
Stefano Adani, uno dei due autori dell’esposto, nei mesi scorsi, era stato oggetto di minacce e insulti via web e aveva raccontato di telefonate anonime ricevute nel cuore della notte. Per questo i Carabinieri avevano deciso una forma di sorveglianza leggera intorno alla sua abitazione.

(da “NextQuotidiano”)

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PISAPIA E IL SUO MANIFESTO DI “CAMPO PROGRESSISTA”

Febbraio 15th, 2017 Riccardo Fucile

L’11 MARZO A ROMA LA CONVENTION NAZIONALE PER “UNA BUONA POLITICA”

Apre ufficialmente la nuova casa della Sinistra.
“Campo progressista” il movimento fondato dall’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, rompe i sigilli e lancia la sua proposta   e per l’11 marzo è stata convocata a Roma la convention nazionale.
Un movimento che nasce dal basso, aperto, con l’ambizioso obiettivo di unire le forze progressiste del Paese.
In esclusiva su Huffington Post il manifesto politico, il programma per l’Italia.
Abbiamo bisogno di Buona Politica.
Siamo convinti sia arrivato il tempo di un cambiamento per il nostro Paese. Un cambiamento che sfidi le disuguaglianze, la povertà , la precarietà . Che risponda alla domanda di futuro che emerge dal cuore dell’Italia. Un cambiamento che si prenda cura dell’ambiente, dell’accoglienza, della giustizia sociale. Che valorizzi l’ascolto e l’empatia, che favorisca il confronto e la partecipazione.
C’è bisogno di una nuova speranza.
I muri tornano a innalzarsi, le differenze dividono ed escludono, la disperazione è un sentimento sempre più diffuso. Troppe forze progressiste europee oggi sembrano concentrate solo sulla compatibilità  dei conti economici, dimenticando vite e passioni. Anche per questo avanzano i populismi e le destre: per fermarli non basterà  costruire un fronte politico “di sistema” che faccia argine. Serve aprire una nuova stagione. Un nuovo centrosinistra che si assuma la responsabilità  del governo, per includere e per ridistribuire ricchezza e opportunità . Questa forza — non solo politica, ma sociale e civica — può nascere solo in netta discontinuità  con le scelte di questi anni.
C’è bisogno di una nuova agenda politica.
In Italia e in Europa non saranno gli slogan a restituire futuro e opportunità , ma politiche sociali e fiscali che tutelino i più deboli. Per affrontare la disoccupazione e la precarietà , le disuguaglianze che producono povertà  ed esclusioni sociali soprattutto nel Mezzogiorno, la gestione dei flussi migratori, la questione ambientale e l’uso sostenibile delle risorse, serve un programma di cambiamento condiviso e realizzabile, costruito dal basso e capace di coinvolgere competenze e intelligenze di questo Paese, da Nord a Sud. Serve ricostruire coesione sociale a tutti i livelli. Serve restituire ai corpi intermedi la loro preziosa funzione. Serve innovare le relazioni democratiche.
C’è bisogno di un nuovo modo di fare politica.
Il cambiamento non si impone dall’alto. Serve una politica gentile, capace di aprirsi e favorire la partecipazione di donne e uomini. Che sposti il proprio epicentro dalla televisione al territorio. Che prediliga il dialogo, la forza delle parole e delle idee agli insulti e agli slogan. Servono forze e protagonismi nuovi, a partire delle tantissime esperienze locali e associative che si rendono utili alla collettività  disinteressandosi del clamore effimero e delle ambizioni personali. Non è più tempo di leader mediatici, aggressivi e solitari
C’è bisogno di un campo nuovo, ampio, contemporaneo, utile. Campo Progressista.
Vogliamo costruire una rete su tutto il territorio Italiano. Esperienze politiche, associative, culturali. Progressiste, democratiche, ecologiste, civiche. Unite nell’esigenza di dare vita a una storia radicalmente inedita. Non un partito o un cartello elettorale, ma una leva che valorizzi le risorse positive esistenti e ne liberi di nuove. Avvertiamo l’inadeguatezza e il logoramento degli schieramenti politici attuali che non intercettano quello che pure esiste: un’Italia che ogni giorno si impegna per un Paese diverso, che crea e innova in nome dell’inclusione e della sostenibilità , che combatte i pregiudizi e il rancore sociale. Che è sobria, concreta, salda nei valori ma pragmatica e non settaria. Insieme a quest’Italia lanciamo un processo costituente partecipato e aperto a tutti coloro che sono alla ricerca di una nuova “casa”.
Insieme vogliamo fare la nostra parte per ridare speranza a questo Paese. Una storia nuova che inizia e alla quale vi invitiamo a aderire. Per costruire insieme il nostro programma per l’Italia.
Vi aspetto sabato 11 marzo 2017 a Roma con Campo Progressista.
Giuliano Pisapia
Per aderire all’appello: www.campoprogressista.info

(da “Huffingtonpost”)

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NEW YORK TIMES: “LO STAFF DI TRUMP IN CONTATTO CON I SERVIZI RUSSI DURANTE LA CAMPAGNA ELETTORALE”

Febbraio 15th, 2017 Riccardo Fucile

IN ALTRI TEMPI UN SOGGETTO DEL GENERE LO AVREBBERO INCARCERATO PER ALTO TRADIMENTO

Collaboratori di primo piano del presidente Donald Trump hanno avuto «ripetuti contatti» con i servizi russi durante la campagna elettorale.
È la rivelazione del New York Times, all’indomani delle dimissioni del consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, per le comunicazioni illecite sul tema delle sanzioni con l’ambasciatore russo a Washington sulle quali avrebbe mentito perfino all’Fbi, oltre che alla Casa Bianca.
Il quotidiano newyorchese, citando intercettazioni, fonti d’intelligence e magistratura, parla di «ripetuti contatti con dirigenti dei servizi segreti russi» e uomini vicini al presidente russo Vladimir Putin, tanto da allarmare il contro-spionaggio e il dipartimento della Giustizia Usa.
«Ma non ci sono prove, al momento, di collusioni tra la campagna di Trump e i russi negli attacchi informatici sferrati contro la Democratic National Committee o per influenzare le elezioni» presidenziali, sottolinea il Nyt mentre i servizi stanno verificando il motivo di queste comunicazioni, intercettate durante controlli di routine.

(da agenzie)

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ORLANDO SFIDA ORFINI: SI RIUNISCONO I GIOVANI TURCHI, LA FORZA CUSCINETTO TRA RENZI E LA SINISTRA INTERNA

Febbraio 15th, 2017 Riccardo Fucile

ORFINI IN MINORANZA SUL DOCUMENTO DEL MINISTRO

La crepa si apre nel cuore della maggioranza renziana, sulla linea congresso subito.
Alle ore 14,00, nella stanza della commissione Agricoltura della Camera, è convocata la riunione della corrente dei giovani turchi.
Una cinquantina, tra deputati e senatori.
Sarà  sancita la spaccatura, tra Andrea Orlando, che già  alla direzione di lunedì si è fatto interprete di una linea di mediazione e Matteo Orfini, falco.
E sarà  sancita non solo dalle parole, ma dei numeri.
Il guardasigilli presenterà  un documento, dove sono scritte nero su bianco le cose che ha illustrato in direzione: conferenza programmatica, no a congresso in tempi brevi. Documento che sarà  presentato anche all’assemblea di domenica, almeno questa è l’intenzione. In calce c’è la grande maggioranza della sua corrente. Oltre 35 firme, dicono fonti affidabili.
Una crepa vera. Affidata a atti politici, non a moral suasion.
La raccolta firme durava dalla giornata di ieri, ma il clima diventato ancora più teso dopo l’intervista di Orfini a Repubblica. Più di un parlamentare vicino a Orlando dice: “Ha fatto l’intervista contro Orlando”, “Non parla così il presidente del partito”, “Così salta il Pd”.
Anche il guardasigilli, ospite di Myrta Merlino all’Aria che Tira non nasconde il suo disappunto: “Io ho una concezione diversa dell’amicizia, perchè non ci si parla attraverso le interviste, tra amici”.
E adesso il pressing dei suoi per farlo candidare è diventato davvero forte.
Perchè adesso il guardasigilli si trova nella classica posizione in cui indietro è difficile tornare, nella maggioranza renziana dominata dai falchi, ma avanti è un’incognita.
In questi giorni in cui tutti parlano con tutti tra i capi delle correnti, alcuni segnali Orlando li ha dati. Ma non subito: “Andrea — dice chi lo ha sentito — ha bisogno di tempo e immaginava un percorso graduale. Perchè la sua candidatura va costruita. Non può diventare il candidato della sinistra dopo che ha condiviso tutte le scelte di Renzi”.
Proprio il fattore tempo è decisivo per leggere il dramma Pd.
L’ex premier, impossibilitato ad andare al voto a giungo, vuole il congresso, una rilegittimazione immediata, prima delle amministrative.
Per evitare che il voto nei mille comuni possa essere una botta fatale per la sua leadership. E a quel punto liberi tutti.
La sinistra chiede tempi lunghi, appunto per preparare un altro schema. Altrimenti, la macchina della scissione è già  partita, come preannunciato dalla dichiarazione congiunta Speranza-Emiliano-Rossi.
Ora Orlando spacca la maggioranza, con una conta oggi e domenica. E mentre prova a frenare, in parecchi dei suoi gli chiedono un’accelerazione sulla candidatura.

(da “Huffingtonpost”)

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LE MOSSE DI RENZI PER NON INTESTARSI LA RESPONSABILITA’ DELLO STRAPPO

Febbraio 15th, 2017 Riccardo Fucile

ORFINI REGGENTE, PRIMARIE A MAGGIO… “MA TANTO HANNO GIA’ DECISO”

“Temo che questa decisione sia stata già  abbondantemente presa”, dice Roberto Giachetti parlando delle ipotesi di scissione ventilate dalla minoranza del Pd. Giachetti è sempre bianco-nero.
Ma effettivamente anche l’atteggiamento di Matteo Renzi in questa corsa per il congresso non conosce sfumature di grigio.
Il segretario e i suoi sono convinti che una parte della minoranza uscirà  comunque, checchè ne dica Walter Veltroni sul Corriere della Sera.
E’ per questo che all’indomani della direzione Renzi e i suoi, con l’aiuto di Dario Franceschini e gli altri alleati di maggioranza, stanno costruendo una trama che aiuti a dire: ‘Ci abbiamo provato a tenervi dentro, siete voi che avete deciso di rompere’. Il classico gioco del cerino, uno dei più vecchi in politica.
Da qui parte la mini-offerta di qualche settimana in più per celebrare le primarie: il 7 maggio invece che ad aprile.
Comunque prima che inizi la campagna elettorale per le amministrative. E nello stesso ragionamento si inserisce la ‘puntualizzazione’ — perchè più di questo non è – emersa dal vertice di tarda notte ieri al Nazareno.
Presenti Matteo Orfini, Dario Franceschini, Luca Lotti, Maria Elena Boschi.
Renzi è già  a casa a Pontassieve. La riunione decide di esaltare un’ovvietà , stando allo statuto del Pd. E cioè che con Renzi dimissionario all’assemblea di domenica il ‘reggente’ del partito per tutto il periodo del congresso fino alle primarie sarà  Orfini, in quanto presidente del Pd, la carica più alta che resterebbe in piedi dopo le dimissioni di Renzi.
Dal canto suo, un momento dopo le dimissioni da segretario, Renzi sarà  il candidato alla segreteria del Pd. Quasi una questione di lana caprina, se si pensa che alla fine l’attenzione mediatica sarà  naturalmente spostata sui candidati al congresso più che su chi regge il Pd.
Piccoli passi, nella speranza che Andrea Orlando scenda in campo perchè questo arginerebbe la scissione, convincerebbe qualcuno o molti a restare. Ma si vedrà .
Il punto per Renzi ora è avere argomenti per dire: ‘Ho provato a fermarvi, avete deciso di rompere comunque, avete deciso voi’.
E non è un caso che riunirà  i suoi dal 10 al 12 marzo al Lingotto, il luogo simbolo di un partito nato, come ricorda Veltroni oggi sul Corriere, “da una fusione e non da una scissione”
Insomma il gioco del cerino: è iniziato ieri e durerà  fino a quando (massimo dieci giorni) si dovrà  comporre la commissione per il congresso, rappresentativa di tutte le anime del Pd.
Naturalmente chi deciderà  di lasciare il partito non entrerà  in commissione.
“Hanno già  deciso”, dice Giachetti esprimendo quello che è un pensiero comune tra i renziani doc. Perchè in fondo l’aspettativa più realistica è di andare a votare con una legge elettorale che ‘omogeneizzi’ il proporzionale che ora regola il Senato.
In quanto in Parlamento la voglia di maggioritario sembra minoritaria.
E il proporzionale è praticamente un invito a nozze per chi vuole creare un piccolo partito. E poi c’è l’incognita Pisapia.
In casa Renzi sono convinti che il ‘Campo progressista’ lanciato dall’ex sindaco di Milano sia il vero incubo dei dalemiani o dei bersaniani che vogliono lasciare il Pd.
In quanto insiste sullo stesso terreno: a sinistra.
“Può servire più Pisapia che le nostre offerte sul congresso come deterrente anti-scissione”, dice una fonte renziana.
Anche perchè è Pisapia l’alleato di sinistra con cui Renzi pensa di poter dialogare in futuro.

(da “Huffingtonpost“)

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