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ORGE GAY, COME MAI LE IENE NON HANNO DETTO CHE LA PROPRIETA’ DEL PALAZZO DELLA SAUNA INCRIMINATA E’ DI PROPAGANDA FIDE?

Febbraio 22nd, 2017 Riccardo Fucile

TUTTO QUELLO CHE NON TORNA NELLO SCOOP… IL CONTRIBUTO NON ERA DESTINATO A QUEL CIRCOLO … LA MELONI VUOLE CHIUDERE L’UNAR: NON SA NEANCHE CHE ESISTE PER LEGGE DELLO STATO, IN BASE A DIRETTIVA EUROPEA E NON SI PUO’ CERTO CHIUDERE

Ha causato parecchia eccitazione nel mondo dei cattolici tradizionalisti lo “scoop” di Filippo Roma delle Iene che ha portato alle dimissioni di Francesco Spano, direttore generale dell’Unar — l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali — che ha sede presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Stando a quanto avrebbero scoperto le Iene l’Unar, che si occupa di finanziare progetti contro la discriminazione, avrebbe finanziato un’associazione che gestisce una sauna gay dove si fanno anche incontri di sesso a pagamento.
In seguito al servizio, dove le Iene attaccavano direttamente Spano perchè ha la tessera di questa associazione i cattolici tradizionalisti hanno iniziato contestare l’operato dell’UNAR e a chiedere la revoca dei finanziamenti “alle lobby gay”.
Le Iene, in nome della coraggiosa e corretta informazione non fanno mai il nome di questa misteriosa associazione oscurandolo anche quando mostrano il documento che attesta l’ufficializzazione della graduatoria delle associazioni che hanno vinto il bando APAD (Avviso pubblico per la promozione di Azioni Positive) al quale hanno partecipato numerose associazioni e che aveva come scopo il finanziamento di “azioni positive finalizzate al contrasto delle discriminazioni fondate su motivi etnico-razziali, sull’appartenenza religiosa, sull’orientamento sessuale e identità  di genere, attraverso la promozione di attività  culturali, artistiche, sportive, di comunicazione, di sensibilizzazione, di formazione e di informazione” e che si articola in tre ambiti: il contrasto alla discriminazione etnico-razziale e religiosa, il contrasto alla discriminazione verso le popolazioni Rom, Sinti e Caminanti (RSC) ed infine anche il contrasto e la prevenzione alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e l’identità  di genere.
Totale complessivo del finanziamento è poco meno di un milione di euro somma della quale solo cinquantacinquemila euro vanno all’associazione incriminata dalle Iene.
O meglio, al progetto presentato dall’associazione della quale le Iene hanno visitato un circolo.
Filippo Roma delle Iene ha molto insistito sul fatto — non corroborato da riscontri fattuali — che Spano sia un tesserato di questa associazione innominabile. E chissà  perchè le Iene non ne fanno il nome, visto che chiunque può ricostruire che si tratta di ANDDOS, l’Associazione Nazionale Contro le Discriminazioni da Orientamento Sessuale.
Filippo Roma ha quindi lasciato intendere in primo luogo uno spreco di soldi pubblici destinati invece ad attività  che di culturale hanno ben poco e adombrando che servano a finanziare un giro di prostituzione maschile.
In secondo luogo ha accusato Spano di avere un conflitto con questa associazione perchè ne sarebbe un tesserato.
Ma ha dimenticato di dire alcune cose importanti che sono state fatte notare da Leonardo Bianchi su Vice: la prima è che il finanziamento non è stato ancora erogato, la seconda è che ad essere finanziato non è il singolo circolo (sul quale è bene che la Finanza faccia chiarezza) ma un progetto presentato da un’associazione che sul territorio nazionale ha oltre 70 circoli ed infine il fatto che a stabilire chi ha diritto a vedersi assegnati i finanziamenti lo fa perchè ha ottenuto un punteggio sufficiente da entrare in graduatoria. cosa che non è nei poteri del direttore generale dell’UNAR di poter eventualmente modificare.
Su quest’ultimo punto inoltre le Iene non hanno presentato alcuna prova e potrebbe essere benissimo che Spano (come molti italiani che frequentano i circoli ARCI per ascoltare musica dal vivo) abbia in tasca anche la tessera ARCI che ha presentato un progetto che ha ottenuto un contributo da 75.000 euro nel primo ambito (ambito A) del bando.
Quello che Adinolfi e la Meloni non dicono sul bando dell’UNAR
Adinolfi, un altro che si diletta a manganellare chi viene discriminato ha scritto che   i 999.274 euro del bando erano   “riservati a Arcigay, Arcigay Roma, Movimento italiano trans, Lista lesbica italiana e ovviamente Anddos” ed è ovviamente una falsità  perchè tra i vincitori risultano tra gli altri anche UISP, la comunità  di Sant’Egidio, la Croce Rossa e l’associazione A buon diritto che tutto sono fuorchè baluardi del gender e dell’omosessualismo militante.
Giorgia Meloni va oltre e chiede addirittura la chiusura dell’UNAR definendolo un ufficio che “con una mano finanzia un’associazione gay nei cui circoli si consumerebbero rapporti sessuali a pagamento e con l’altra scrive lettere ai parlamentari per censurare il loro pensiero”.
La Meloni finge di ignorare quello che perfino il crociato Adinolfi, fustigatore delle lobby LGBT, sa bene ovvero che l’UNAR è istituito da una legge dello Stato in ottemperanza ad una direttiva europea. Ergo: non si può chiudere.
All’AdnKronos Spano ha dichiarato:
Si è trattato di una bufala non solo perchè i finanziamenti in questione non sono stati ancora erogati, ma perchè a essere considerati finanziabili sono stati singoli progetti sociali, proposti da diverse realtà  associative e istituzionali e valutati da una commissione secondo criteri oggettivi prestabiliti. La procedura di controllo preliminare all’eventuale erogazione è tutt’oggi in corso
Ma a cosa sono destinati quindi i soldi dell’UNAR?
Non ai singoli circoli, come chiarisce l’Associazione oggetto del pestaggio mediatico delle Iene, ma ad un progetto “incentrato su attività  fondamentali nella lotta alle discriminazioni come il potenziamento dei Centri di Ascolto e Antiviolenza Anddos, strutture gratuite di ascolto e di aiuto già  presenti in cinque sedi in tutta Italia dedicate all’inclusione di tutte le identità  sessuali e al contrasto delle discriminazioni multiple” realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia della Sapienza Università  di Roma e della collaborazione con l’associazione Wequal.
Il progetto in oggetto è questo e chi avrà  la pazienza di leggerlo scoprirà  che i circoli ANDOSS non riceveranno un centesimo dei soldi stanziati dall’UNAR.
Certo, per capirlo bisognerebbe avere almeno la capacità  di comprendere che un bando che finanzia un progetto non distribuisce i soldi a pioggia ma li eroga per l’esecuzione di quel singolo progetto.
Sorpresa: la più grande sauna gay d’Italia è del Vaticano
Ma c’è dell’altro dietro a queste saune con dark room che per le Iene “sono finanziate con i soldi di Palazzo Chigi” e ce lo rivela Gayburg.
A quanto pare uno dei locali la cui home page è stata mostrata (sempre censurata eh) nel servizio di Filippo Roma è Europa Multiclub   in via Aureliana 40 che è stato definito qualche anno fa “come la sauna gay più grande d’Italia“.
Sembra incredibile ma all’informatissimo informatore anonimo delle Iene e all’instancabile inviato della trasmissione è sfuggito il piccolo dettaglio che l’EMC Sauna si trova all’interno di un palazzo di proprietà  della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (Propaganda Fide).
L’imponente edificio è stato infatti acquistato (sauna compresa) nell’ambito di operazione immobiliare costata al Vaticano 23 milioni di euro, e che secondo Repubblica è stata addiruttura caldeggiata dal cardinale e Segretario di Stato Tarcisio Bertone.
All’epoca la sauna era un circolo ARCIGAY ora invece è affiliato ANDOSS ma la sostanza non cambia. Inoltre se la Guardia di Finanza o i Carabinieri volessero indagare sulle presunte attività  illecite all’interno dell’EMC avrebbero un piccolo problema perchè l’edificio gode dei benefici dell’extraterritorialità , in pratica è territorio del Vaticano:
Come documenta infatti il contratto definitivo di compravendita, la Congregazione, grazie agli eccellenti rapporti con la Roma politica che in quella primavera 2008 ha visto tornare Berlusconi a Palazzo Chigi e Tremonti all’Economia, vede riconosciuta l’extraterritorialità  della porzione di immobile che ha acquistato.
E il risultato è che non un euro di imposta viene versata dalla Santa Sede.
Si legge infatti all’articolo 13 del contratto: “La parte acquirente (Propaganda Fide, ndr), ai fini fiscali, dichiara che il presente atto è integralmente esente dall’Iva, dall’imposta di registro, dalle imposte ipotecaria e catastale, da qualsiasi altra imposta diretta o indiretta e da tributi ordinari e straordinari ai sensi e per gli effetti degli articoli 15 e 16 della legge 27 maggio 1929 (I Patti Lateranensi, ndr)”
Dio non voglia che le Iene e Adinolfi si mettano ad indagare sul fatto che per quell’immobile il Vaticano non paga l’IMU o su chi sono i frequentatori di quel circolo.
Ma questa è un’altra storia e alle Iene preme più fare i manganellatori che informazione.

(da “NextQuotidiano“)

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LA DESTRA POPULISTA TEDESCA CROLLA ALL’8%, AFD E’ GIA’ BOLLITA

Febbraio 22nd, 2017 Riccardo Fucile

DA DUE ANNI MAI PERCENTUALE COSI’ BASSA… RISALE LA MERKEL AL 33-34%, SEMPRE ALTO SCHULZ AL 31%

L’effetto Trump e il boom di popolarità  di Martin Schulz, ma anche l’affievolirsi della crisi dei profughi stanno danneggiando la destra populista tedesca.
L’Afd è scesa per la prima volta da luglio dello scorso anno sotto il 10%: l’istituto Allensbach dà  il partito di Frauke Petry all’8,5%, Forsa addirittura all’8%.
È il minimo da oltre due anni.
E in un solo mese la destra xenofoba e anti europeista ha perso ben quattro punti.
L’avvio caotico della nuova amministrazione americana sta contribuendo al declino nei sondaggi, secondo Manfred Gà¼llner, uno dei sondaggisti di Forsa interpellato da Stern.
Secondo Gà¼llner il crollo della destra tedesca è anche imputabile al fatto che l’emergenza dei profughi si è esaurita. Nelle scorse settimane alcuni sondaggisti hanno anche attribuito il calo della popolarità  dell’Afd alla partenza verticale del candidato anti-Merkel, Martin Schulz, che ha incentrato la campagna elettorale su temi sociali, molto sentiti anche da una fetta di elettorato di destra.
Nei due sondaggi Allensbach e Forsa, Merkel e la Cdu tornano in vantaggio rispetto a Schulz – risoettivamente 34/33% a 31/30,5% -, ma il candidato socialdemocratico sembra stabilizzarsi attorno a un risultato che supera di almeno cinque punti la media dei risultati e dei sondaggi degli ultimi dieci anni della Spd.

(da agenzie)

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STADIO ROMA, M5S SPACCATO, DIETRO FRONT DELLA RAGGI, VERSO LO STOP

Febbraio 22nd, 2017 Riccardo Fucile

GRILLO “SI’, MA NON A TOR DI VALLE”… LA SOCIETA’ ROMA: “SAREBBE UNA CATASTROFE, IL PROGETTO E’ A TOR DI VALLE”

In Campidoglio, sulla questione stadio, siamo ormai al tutti contro tutti. Neanche l’intervento di Grillo è riuscito a sanare la spaccatura interna alla maggioranza capitolina, ormai per larga parte decisa ad annullare la delibera di pubblica utilità  varata un anno e mezzo fa dalla giunta Marino.
“La Raggi si sta muovendo a scopo cautelativo e farà  una dichiarazione tra uno o due giorni: e così si chiuderà  questa storia dello Stadio in un modo o nell’altro”, aveva detto il garante cinquestelle lasciando l’Hotel Forum per andare in Campidoglio.
All’arrivo in Comune Grillo ha risposto a chi gli chiedeva come si sarebbe conclusa la vincenda dello stadio: “Questa non è una mia decisione. La risposta la daranno Virginia e il consiglio. Se è pubblicamente utile? È un’opera da un milione di metri cubi in cui lo stadio rappresenta solo il 15 per cento. Il restante 85 sono altre cose”.
Di primo mattino la sindaca Virginia Raggi è stata costretta a disdire sia il previsto incontro pomeridiano con il dg giallorosso Mauro Baldissoni e con il costruttore Luca Parnasi, proponenti del progetto a Tor di Valle, rinviandolo a venerdì per la necessità  di ulteriori approfondimenti, sia a sconvocare la riunione fra i consiglieri cinquestelle e lo stesso Beppe Grillo, organizzata per convincere i più riottosi a convergere sul via libera al mega complesso sportivo e commerciale che dovrebbe sorgere alla periferia sud di Roma.
Una decisione che però ha fatto andare su tutte le furie gli eletti capitolini, obbligando Raggi a una repentina marcia indietro e la maggioranza compatta ha comunicato al garante del Movimento lo stop allo stadio della Roma.
Cioè si va verso l’annullamento della delibera Marino. Non vogliono cedere, gli eletti capitolini. Convinti, anche per la pressione della base, che il capo del Movimento sia stato mal consigliato e dunque stia sbagliando.
Sulle barricate anche le opposizioni. “Da mesi si parla della vicenda stadio, ma la sindaca Raggi ancora non ha detto se lo vuole fare o no”.
In serata riparla Grillo boccia la «location» di Tor di Valle e scandisce: «Nessuno dice di no, diciamo di sì ma in una parte che non sia quella, è meglio farlo in una zona che non esonda».
A stretto giro la risposta di As Roma e del costruttore Luca Parnasi: «Dopo 5 anni di lavori su un progetto in stato avanzato di approvazione nel rispetto di leggi, regolamenti e delibere, non è in alcun modo ipotizzabile un sito alternativo a Tor Di Valle. L’area è sicura dal punto di vista idrogeologico e anzi il progetto, con investimenti totalmente a carico dei privati, va a sanare il rischio idrogeologico presente nel quartiere limitrofo di Decima, ben al di fuori del sito dove verrà  progettato lo Stadio e dove abitano oltre 10 mila romani».
James Pallotta tramite il profilo Twitter dell’As Roma scrive: «Ci aspettiamo un esito decisamente positivo dall’incontro in programma venerdì. In caso contrario, sarebbe una catastrofe per il futuro dell’AS Roma, del calcio italiano, della città  di Roma e francamente per i futuri investimenti in Italia».
Cautelarsi da una causa milionaria, in caso di annullamento della delibera, è in questo momento la preoccupazione del Comune.
Che però vaglia anche le cautele da prendere in caso di denunce e iniziative da parte della base e dei molti consiglieri contrari alla cementificazione che l’attuale progetto secondo loro comporta.

(da agenzie)

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RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL SULLA VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI NEI VARI PAESI

Febbraio 22nd, 2017 Riccardo Fucile

UNA SINTESI DEI CRIMINI PERPETRATI… LETTURA CONSIGLIATA AI CAZZARI RAZZISTI CHE PENSANO CHE I PROFUGHI SCAPPINO IN EUROPA PER VENIRE IN VACANZA

Qui di seguito, una sintesi del Rapporto di Amnesty International presentato stamattina a Roma e in altre capitali del mondo.
Arabia Saudita: voci critiche, difensori dei diritti umani, attivisti per i diritti delle minoranze sono stati imprigionati e condannati per vaghe accuse come quella di “offesa alle istituzioni dello stato”.
In Yemen, le forze della coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita hanno commesso gravi violazioni del diritto internazionale, tra cui possibili crimini di guerra, bombardando scuole, mercati e moschee, uccidendo e ferendo migliaia di civili anche grazie ad armi fornite da Usa e Regno Unito e persino vietate a livello internazionale come le bombe a grappolo;
Bangladesh: invece di fornire protezione agli attivisti, ai giornalisti e ai blogger e indagare sui responsabili della loro uccisione, le autorità  hanno intentato processi contro i giornalisti e gli oppositori anche a causa di un semplice post su Facebook;
Cina: è proseguita la repressione contro avvocati e attivisti, anche attraverso la detenzione senza contatti col mondo esterno, le confessioni trasmesse in televisione e le intimidazioni ai familiari;
Egitto: per indebolire, diffamare e ridurre al silenzio la società  civile, le autorità  hanno fatto ricorso a divieti di viaggio, restrizioni finanziarie e congelamento di conti bancari;
Etiopia: un governo sempre più intollerante nei confronti dei dissidenti ha usato le leggi anti-terrorismo e lo stato d’emergenza per reprimere giornalisti, difensori dei diritti umani, oppositori politici e soprattutto manifestanti, contro i quali è stato fatto ricorso alla forza eccessiva e letale;
Filippine: un’ondata di esecuzioni extragiudiziali ha fatto seguito alla promessa del presidente Duterte di uccidere decine di migliaia di persone sospettate di essere coinvolte nel traffico di droga;
Honduras: oltre a Berta Cà¡ceres, sono stati uccisi altri sette attivisti per i diritti umani;
India: le autorità  hanno usato leggi repressive per limitare la libertà  d’espressione e ridurre al silenzio le voci critiche. Difensori e organizzazioni per i diritti umani hanno continuato a subire minacce e intimidazioni. Leggi oppressive sono state usate per ridurre al silenzio studenti, docenti, giornalisti e difensori dei diritti umani;
Iran: la repressione della libertà  d’espressione, di associazione, di manifestazione pacifica e di fede religiosa è stata massiccia. Giornalisti, avvocati, blogger, studenti, attiviste per i diritti delle donne, registi e musicisti che avevano espresso critiche in modo pacifico sono stati condannati al termine di processi gravemente irregolari celebrati dai tribunali rivoluzionari;
Myanmar: decine di migliaia di rohingya, la minoranza tuttora priva di cittadinanza, sono stati sfollati nel corso di “operazioni di sgombero” nel contesto delle quali sono stati denunciati omicidi illegali, stupri e arresti arbitrati. La stampa controllata dal governo ha pubblicato articoli dal linguaggio gravemente disumanizzante;
Regno Unito: un’ondata di crimini d’odio ha fatto seguito al referendum sull’appartenenza all’Unione europea. Una nuova legge sulla sorveglianza ha garantito assai più ampi poteri all’intelligence e ad altre agenzie per la sicurezza per violare la privacy su scala massiccia;
Repubblica Democratica del Congo: attivisti per la democrazia sono stati arrestati arbitrariamente e, in alcuni casi, sottoposti a lunghi periodi di detenzione senza contatti col mondo esterno;
Russia: a livello nazionale, il governo ha stretto la morsa intorno alle organizzazioni non governative, ricorrendo sempre di più alla propaganda dei “soggetti indesiderabili” e degli “agenti stranieri”. Si è svolto il primo processo nei confronti di un’organizzazione non governativa sulla base della legge sugli “agenti stranieri” e decine di altre organizzazioni non governative che ricevono fondi dall’estero sono state aggiunte all’elenco. In Siria, il governo ha mostrato un completo disprezzo per il diritto internazionale umanitario;
Siria: è proseguita l’impunità  per i crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale, tra cui gli attacchi indiscriminati e quelli diretti contro i civili, nonchè gli estenuanti assedi delle popolazioni civili. La comunità  nazionale dei difensori dei diritti umani è stata quasi del tutto azzerata: attivisti sono stati imprigionati, torturati, fatti sparire o costretti a fuggire all’estero;
Stati Uniti d’America: la campagna elettorale marcata da una retorica discriminatoria, misogina e xenofoba ha fatto sorgere forti dubbi sul peso effettivo dei futuri impegni nel campo dei diritti umani, a livello nazionale e internazionale;
Sudan: vi sono ampie prove che il governo abbia usato armi chimiche in Darfur. In altre regioni del paese, presunti oppositori sono stati arrestati e imprigionati. L’uso eccessivo della forza nella dispersione delle proteste ha provocato numerose vittime;
Sud Sudan: sono proseguiti i combattimenti, segnati da violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, che hanno avuto conseguenze devastanti sulla popolazione civile;
Thailandia: i poteri di emergenza, la legge sulla diffamazione e quella sulla sedizione sono stati usati per limitare la libertà  d’espressione;
Turchia: dopo il fallito colpo di stato, decine di migliaia di persone sono state arrestate, centinaia di organizzazioni non governative sono state sospese, i mezzi d’informazione hanno subito un drastico giro di vite e sono proseguite pesanti operazioni militari nelle aree curde;
Ungheria: la retorica governativa ha imposto un modello divisivo di politiche identitarie e un’oscura visione della “Fortezza Europa”, che si sono tradotti in sistematiche misure repressive contro i diritti dei migranti e dei rifugiati;
Venezuela: sono stati ridotti al silenzio quei difensori dei diritti umani che hanno denunciato la crisi umanitaria causata dall’incapacità  del governo di garantire i diritti economici e sociali della popolazione.

(da agenzie)

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GLI INSULTI E LE MINACCE SESSISTE A BEBE VIO SU FB, DENUNCIATI GLI AUTORI

Febbraio 22nd, 2017 Riccardo Fucile

LA PAGINA E’ STATA FINALMENTE CANCELLATA, INDAGINI IN CORSO… FECCIA DA METTERE IN GALERA E BUTTARE LA CHIAVE

La campionessa paralimpica Bebe Vio si è dichiarata molto amareggiata dopo aver appreso la notizia che su Facebook era presente una pagina (con poco più di una trentina di like) che incitava alla violenza sessuale nei suoi confronti.
La pagina “Fistare Bebe Vio con le sue stesse protesi” è stata segnalata dal CODACONS dopo che numerosi utenti avevano tentato di farla cancellare senza successo sentendosi rispondere che rispettava gli standard di comunità  del social network.
Il CODACONS ha chiesto alle Procure della Repubblica di Roma e Venezia, nonchè alla Polizia Postale e all’Autorità  per le comunicazioni, di “utilizzare ogni strumento investigativo consentito dalla legge e dal rito allo scopo di predisporre tutti i controlli necessari per accertare e verificare se i fatti esposti possano integrare fattispecie di illecito civile, amministrativo e penale, nella forma tentata e consumata, nonchè individuare tutti i soggetti da ritenersi responsabili e di conseguenza adottare i dovuti ed eventuali provvedimenti sanzionatori”.
La pagina al momento risulta non raggiungibile e quindi è stata rimossa, ma Bebe Vio ha potuto lo stesso vederla e ha commentato la vicenda che la vede suo malgrado protagonista con lo sconforto tipico di chi dopo aver fatto molto per aiutare gli altri e combattere per le buone cause diventa oggetto di odio, insulti e denigrazione.
E non è purtroppo la prima volta.
Ho visto la pagina di Facebook che mi prendeva di mira, peraltro già  rimossa. Sono amareggiata perchè da anni lotto per gli altri e per le cause in cui credo (il mondo della disabilità , lo sport paralimpico, le vaccinazioni per la meningite, le associazioni Onlus e tutto lo stupendo mondo del volontariato) e trovo sbagliato che mi trattino così. Sono delusa perchè mi fanno un po’ tristezza quelle persone che usano internet per insultare e denigrare gli altri, a prescindere dal motivo
La Vio ha anche fatto sapere di aver denunciato gli autori — al momento ignoti — della pagina che la prendeva di mira perchè «ci vuole una risposta decisa a questi comportamenti».
Nel frattempo molte persone, molte di più di quelle che hanno messo mi piace alla pagina incriminata hanno espresso la loro solidarietà  a Bebe Vio, tra queste non poteva mancare la Presidente della Camera Laura Boldrini che da tempo conduce una battaglia contro l’hate speech, il bullismo online e gli insulti sessisti su Internet.
In realtà  la pagina Facebook incriminata non è l’unica che prende di mira la Vio facendola diventare un vero e proprio oggetto sessuale.
Ce ne sono altre, ancora online e fortunatamente con pochissimi like (probabilmente quelli degli autori) che diffondono — ma è una parola grossa visto che non hanno nemmeno un post all’attivo — lo stesso tipo di contenuti di quella denunciata.
Ad esempio è il caso di “Chiavarsi Bebe Vio utilizzando un sofisticato sistema di specchi e leve” una pagina che fa il verso ad una ben più famosa ovvero “Fabio Fazio si incula da solo con un complesso sistema di specchi e leve” e che fa leva sempre sulla disabilità  della Vio.
Disabilità  sulla quale Bebe ha dimostrato in diverse occasioni di saper scherzare non immaginando certo che qualcuno che probabilmente si nasconde dietro il dito del black humour arrivasse a tanto.
Insomma gli esempi non mancano e non possiamo far altro che notare che Bebe Vio sta subendo lo stesso trattamento di altre donne famose.
Perchè il punto è che Bebe Vio non viene insultata in quanto disabile, il riferimento alle protesi o a pratiche sessuali è solo un pretesto, ma in quanto donna.

(da “NextQuotidiano”)

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IL PLOTONE DEI PETROLIERI ALLEATI CON TRUMP, QUELLO CHE DICE DI COMBATTERE I POTERI FORTI

Febbraio 22nd, 2017 Riccardo Fucile

NEL LIBRO DI ALAN FRIEDMAN LA BANDA DI BIG OIL ALLA CORTE DEL PRESIDENTE E GLI AFFARI CON PUTIN

L’accordo da 500 miliardi di dollari tra l’amministratore delegato di ExxonMobil, Rex Tillerson, e Vladimir Putin. Il colpo di fulmine tra Donald Trump e lo stesso Tillerson, che sarebbe poi diventato suo segretario di Stato.
E la scelta, da parte di Trump, di “scatenare tutto il potere di Big Oil” mettendo nei ministeri chiave personalità  a favore della “rinascita dei cari, vecchi combustibili fossili”.
C’è tutto questo – e molto altro ancora — nell’ultimo libro di Alan Friedman, “Questa non è l’America” (Newton Compton Editori).
Huffington Post pubblica estratti del capitolo dedicato al rapporto tra Trump e Big Oil, a partire dalla controversa figura di Tillerson.
“500 miliardi di dollari. Mezzo bilione”
Ecco quanto, secondo Vladimir Putin, valeva l’accordo appena firmato con il suo vecchio amico Rex Tillerson. Putin non è imponente fisicamente ma ha degli occhi di ghiaccio. Sorrideva alle telecamere piazzate nella stanza ben arredata della sua residenza estiva vicino al Mar Nero. Tillerson, il texano alto e robusto a capo della ExxonMobil, la più grande compagnia petrolifera americana, ricambiava l’affetto di Putin con un ampio ghigno.
I calici di champagne alzati in un brindisi. Avevano appena concluso un accordo tra la ExxonMobil e Rosneft, compagnia petrolifera statale russa, che garantiva a Exxon il permesso di sfruttare i vasti giacimenti offshore nella zona russa dell’Artico e nel Mar Nero.
In cambio Rosneft avrebbe ricevuto delle quote di partecipazione in un certo numero di progetti della Exxon su territorio statunitense. Si stima che i depositi di idrocarburi dell’artico russo rappresentino circa il 22 percento delle riserve mondiali, più o meno l’equivalente di tutto il petrolio del Mare del Nord. Ecco spiegata la previsione di Putin sui 500 miliardi di dollari.
Senza dubbio si trattava di un accordo tra due protagonisti di caratura globale: da una parte il dittatore russo, dall’altra il capo della ExxonMobil, un’azienda che nel 2011 aveva raggiunto lo status di vera potenza internazionale, uno Stato all’interno dello Stato, una corporation americana così grande che se fosse stata un Paese si sarebbe piazzata al quarantunesimo posto nella classifica delle più grandi economie mondiali”
Friedman si sofferma dunque sulla figura chiave di Tillerson e sui suoi legami con la Russia:
“La ExxonMobil, con un valore di mercato che si aggira intorno ai 360 miliardi di dollari, è un monolito sul palcoscenico globale, una corporation che si è spesso trovata in conflitto con la politica estera ufficiale degli Stati Uniti.
Rex Tillerson ha raggiunto la vetta della compagnia in gran parte grazie ai suoi stretti legami con Putin e alla sua abilità  nel chiudere accordi in Russia.
Il coinvolgimento di Tillerson in Russia risale al 1998, quando venne nominato capo della filiale russa e responsabile di un progetto per lo sfruttamento di petrolio e gas sull’isola di Sachalin, di fronte alla Siberia. Un progetto gigantesco, che gli ha permesso di diventare vice presidente della compagnia, poi presidente, e infine presidente e amministratore delegato.
Più recentemente, nel 2011, Tillerson ha fatto infuriare il Dipartimento di Stato dell’amministrazione Obama quando ha chiuso un accordo con il governo autonomo curdo dell’Iraq, minando l’autorità  centrale irachena in un momento in cui gli Stati Uniti cercavano di sostenerla e rafforzarla. E ha informato il Dipartimento di Stato solo dopo la conclusione dell’accordo. A giochi fatti.
In qualità  di capo della ExxonMobil, è stato un fiero avversario delle sanzioni contro la Russia, che ha definito inefficaci.
Per Rex Tillerson, il colpo di mano che ha portato all’annessione della Crimea non era una questione commerciale ma solo una faccenda di politica locale. Perchè mai si dovevano imporre sanzioni alla Russia, o a singoli oligarchi e apparatčiki come Igor’ Sečin di Rosneft, pupillo di Putin che veniva esplicitamente citato nelle sanzioni di Obama?
Per Tillerson, il capitalismo fondato sulle amicizie personali e l’espansionismo russo erano semplici elementi del gioco: non una fonte di preoccupazione, solo un dettaglio del quadro locale”.
Tillerson — continua Friedman — è “un tipo tosto”. E anche per questo fa subito breccia nel cuore di Donald Trump:
“Tillerson, ha detto Coll, nonostante il suo grande potere e la mancanza di una bussola morale, è un «uomo gradevole». Un maciste con un grande sorriso e una spacconeria tutta texana. Come molti titani di Big Oil che calcano spavaldamente il palcoscenico mondiale, e al pari degli oligarchi e dei signori della guerra con cui trattano quotidianamente, Tillerson è un tipo tosto. E Donald Trump ama i tipi tosti. Ama i leader forti. Questo è chiaro. Perciò non c’è da sorprendersi che lui e Trump si siano “presi subito” al loro primo incontro alla Trump Tower, all’inizio di dicembre del 2016. Questione di chimica.
Donald Trump non ha effettivamente incontrato Tillerson se non una settimana prima dell’annuncio della sua nomina a Segretario di Stato. Ma il suo nome gli era stato caldeggiato più volte da parte di due veterani dell’amministrazione Bush: Condoleezza Rice, ex Consigliere per la Sicurezza nazionale, e Bob Gates, ex Segretario alla Difesa ed ex capo della CIA”.
Friedman si focalizza poi sugli altri “campioni di Big Oil” scelti da Trump per la sua squadra.
Nel giorno stesso in cui annunciava la nomina di Tillerson agli Esteri, il presidente faceva “sapere per vie informali di aver chiamato nel suo team un altro texano con un immacolato pedigree di campione della Big Oil, un altro amico dei combustibili fossili che negava l’esistenza del cambiamento climatico”.
“Rick Perry per molti americani era solo l’ex governatore del Texas che aveva clamorosamente fallito in un dibattito per le primarie repubblicane. Molti hanno ridicolizzato il povero Perry per il suo «Oops» nel novembre del 2011: durante un dibattito in TV, snocciolando le sue credenziali di conservatore, ha giurato che se fosse stato eletto presidente avrebbe abolito tre interi ministeri.
«Tre ministeri scompariranno nel momento stesso in cui metterò piede alla Casa Bianca», ha detto Perry, aprendo la mano sinistra per enumerarli. «E sono il Commercio, l’Educazione, e… oh, oh, qual era la terza… uh… vediamo…».
Si è interrotto, ha perso il filo, non riusciva a ricordare. Il pubblico presente si è messo a ridere. Il tutto ripreso a colori e in diretta sulla televisione nazionale.
Rick Perry, un uomo non certo rinomato per il suo intelletto, pareva in quel momento più ottuso di Forrest Gump. Si è sforzato di ricordare, tra le risatine del pubblico: «Commercio, Educazione e…». Niente da fare. Perry ha ripreso a balbettare.
Il presentatore della CNBC gli ha chiesto se riusciva a rammentare il nome del terzo ministero. Il governatore texano, in chiara difficoltà , ha fatto un altro tentativo. «Il terzo ministero… mi sbarazzerei dell’Educazione…».
Si è fermato ancora e questa volta il giornalista gli ha suggerito: «Commercio». Un Perry colmo di gratitudine ha ribadito: «Sì, Commercio. E, vediamo…». Nuova incertezza. «Non mi viene in mente. Il terzo. Scusate. Oops». La frittata era fatta. Il candidato repubblicano, il cowboy texano, si era immolato. Rick Perry.
E allora qual è il Dipartimento che Donald Trump ha affidato a Rick Perry? L’Energia. Il ministero che voleva abolire.
Quello che aveva stabilito gli stessi regolamenti che per anni Perry aveva cercato di abolire con tutte le sue forze. Può essere una coincidenza, certo, anche se sembra rientrare alla perfezione in un quadro più generale.
Donald Trump ha dato il mandato di gestire il Ministero dell’Energia al pupillo della comunità  texana del petrolio e del gas, un vero amico dei combustibili fossili.
Ha nominato come principale responsabile nazionale del settore una persona intenzionata a smantellare gran parte delle normative che regolano il settore energetico del Paese. Come Tillerson, Rick Perry si dà  arie da cowboy; è raro che esca di casa senza i suoi classici stivaloni. I due si conoscono, e del resto è normale in una comunità  così piccola come quella dei petrolieri e dei politici”.
Alla coppia Tillerson-Perry si aggiunge poi la nomina di Scott Pruitt a direttore dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA):
“Mentre la ExxonMobil e il resto dell’industria petrolifera texana celebravano le nomine di Rex Tillerson e Rick Perry, un ideologo di destra ancora più militante e amico dell’industria del petrolio veniva chiamato da Trump a gestire l’EPA stessa.
Scott Pruitt, procuratore generale dell’Oklahoma, è da anni un accanito sostenitore degli idrocarburi e un nemico delle energie alternative e rinnovabili. Nega con forza il cambiamento climatico. Ha fatto causa all’EPA per bloccare i regolamenti sulle emissioni.
Pruitt rifiuta la scienza climatica convenzionale con lo stesso fervore ideologico, quasi religioso, con cui un repubblicano di destra dell’Alabama potrebbe rigettare la teoria dell’evoluzione di Darwin. Ha incentrato l’intera carriera sull’obiettivo di minare le basi della scienza ufficiale a vantaggio di Big Oil […].
I gruppi ambientalisti si sono infuriati per la nomina di Pruitt, forse anche più che per quella di Rick Perry all’Energia. Pruitt, secondo loro, è sempre stato un burattino nelle mani dell’industria dei combustibili fossili, e avrebbe fatto fare un balzo indietro agli standard dell’inquinamento dell’aria, favorendo l’industria del gas e del petrolio come sempre nella sua carriera. E poi era un campione del Dakota Access Pipeline e di tutti gli oleodotti d’America”.
Infine, l’ultimo tassello del plotone Big Oil portato da Trump alla Casa Bianca: Ryan Zinke come segretario agli Interni:
“Per cancellare i regolamenti sull’ambiente e spianare la strada all’industria petrolifera, permettendole di fratturare e trivellare in tutta l’America, l’amministrazione Trump doveva completare i propri ranghi con un Segretario degli Interni che non si facesse scrupoli a dare a Big Oil un più ampio accesso al suolo pubblico. Come il nuovo Segretario per l’Energia e il nuovo capo dell’EPA, anche il nuovo Segretario degli Interni negava l’esistenza del cambiamento climatico.
La scelta di Trump è ricaduta su Ryan Zinke, ex membro delle forze speciali della Marina degli Stati Uniti, i cosiddetti Navy Seals, e deputato repubblicano del Montana di fresca elezione.
La nuova posizione di Segretario degli Interni gli assicurava un’ampia autorità  su più di un quinto delle piattaforme offshore, sui parchi e sulle riserve, e perfino sui rapporti con le tribù indiane. Zinke era l’ultimo perfetto tassello per completare la conquista di Washington da parte di Big Oil”.

(da “Huffingtonpost”)

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TUTTE LE BUGIE DI TRUMP DA PRESIDENTE USA

Febbraio 22nd, 2017 Riccardo Fucile

NEI PRIMI 33 GIORNI DI MANDATO TRUMP HA GIA’ FATTO 132 AFFERMAZIONI FALSE… LE VERIFICHE DEL WASHINGTON POST

Fin da prima della sua elezione a Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dato prova di avere molta fantasia e di aver utilizzato in maniera consistente — vale a dire più dei suoi avversari — il ricorso alla menzogna per avvalorare i suoi argomenti e le sue dichiarazioni.
Il fact checking delle affermazioni di Trump durante la campagna per le presidenziali è diventato per molti un lavoro a tempo pieno.
Una fatica di Sisifo che per qualcun altro non serve a nulla perchè in fondo tutti i politici sono bugiardi.
A quanto pare però Trump ha il poco invidiabile primato di essere il Presidente più bugiardo della storia degli Stati Uniti.
A rivelarlo è il costante lavoro di verifica sulle affermazioni e sulle dichiarazioni fatte da Trump dall’Inauguration Day (il 20 gennaio scorso) compiuto dal Washington Post.
Il WaPo infatti ha lanciato una campagna per verificare se quanto detto, scritto o twittato (visto che Twitter è il mezzo di comunicazione preferito dal Presidente) nei primi cento giorni del suo mandato sia vero o falso.
Il bilancio per il momento non è confortante perchè ad appena 33 giorni dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca il team del quotidiano ha già  contato 132 affermazioni false o ingannevoli.
A quanto pare quindi non è mai trascorso un giorno senza che il Presidente dicesse qualcosa di non esattamente aderente al vero.
Secondo il Washington Post la tendenza a dire il falso o a fare affermazioni fuorvianti si rileva soprattutto nei messaggi via Twitter (tra i due account utilizzati da Trump quello personale è quello dove si lascia più andare rispetto a quello ufficiale @POTUS del Presidente), con il 34% di dichiarazioni a dir poco incerte, spesso false. Seguono i suoi commenti in discorsi pubblici e i discorsi scritti preparati per dichiarazioni ufficiali.
Trump mente anche durante le interviste e le conferenze stampa.
Gli argomenti dove Trump è incline a mentire con più frequenza sono al momento quelli che riguardano l’immigrazione (cosa che si spiega con la necessità  di Trump di difendere l’ordine esecutivo sul travel ban), che è risultata oggetto di false dichiarazioni di Trump 24 volte.
L’ultima di queste è la dichiarazione su alcuni misteriosi e non meglio precisati fatti avvenuti in Svezia, episodi criminali dei quali secondo il Presidente si sarebbero resi protagonisti gli immigrati.
Seguono “bugie” meno pericolose sulla sua biografia (17 affermazioni non esattamente vere) e quelle riguardanti la questione del lavoro (17 volte).
Per la verità  a parte alcune dichiarazioni clamorosamente false scorrendo la lista stilata dal WaPo ci si accorge come Trump abbia adottato in maniera sistematica il ricorso a quelli che la consigliera del Presidente Kellyanne Conway ha definito “alternative facts” con i quali il Presidente sta costruendo vere e proprie verità  alternative a sostegno della sua narrativa.
Più di altri politici Trump ha infatti bisogno di creare una narrativa dalla quale emerga fin da subito che sta facendo qualcosa per il bene del Pese.
In tal senso si possono quindi leggere affermazioni fuorvianti come quella sul taglio dei costi del nuovo Air Force One (in realtà  i costi del nuovo progetto non sono ancora stati definiti) oppure sul prendere il merito dell’aumento di posti di lavoro che però non sono dovuti ai suoi diretti interventi sulla materia economica, se non altro perchè non ne ha ancora avuto il tempo.
Il #TrumpCheck andrà  avanti per almeno altri due mesi ma il trend che si va evidenziando non è certo dei migliori.
Trump del resto ha espresso chiaramente l’intenzione di far diventare il suo primo mandato una campagna elettorale continua e ci sono pochi dubbi riguardo la sua capacità  di mantenere alti i toni forse per rendere gli elettori via via più insensibili al suo modo di fare politica e di presentare “fatti alternativi” per verità  assodate. Secondo il Washington Post questo potrebbe rappresentare un pericolo per la democrazia americana, è da vedere però se fra quattro anni gli elettori si saranno fatti convincere più dal fact checking che dagli alternative facts di Trump.

(da “NextQuotidiano”)

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M5S GENOVA, LASCIA ANCHE IL QUARTO CONSIGLIERE COMUNALE SU CINQUE

Febbraio 22nd, 2017 Riccardo Fucile

NEMO PROFETA IN PATRIA, GRILLO PUO’ CANTARE “ERAVAMO CINQUE AMICI AL BAR”… SE NE VA ANCHE DE PIETRO

Il gruppo del Movimento 5 Stelle in Consiglio comunale a Genova, sceso nelle settimane scorse da 5 a 2 consiglieri, perde un altro componente: Stefano De Pietro, fuoriuscito in polemica con il metodo di scelta del nuovo candidato sindaco della città .
Anche lui passa a ‘Effetto Genova’, fondato dall’ex capogruppo Paolo Putti, riducendo il gruppo M5S a un solo consigliere (Andrea Boccaccio).
“Esco dal M5S perchè non ho apprezzato il metodo usato per la scelta del candidato sindaco di Genova. Dovevamo essere una forza politica che nasceva dal basso, invece ci siamo trasformati in una piramide dove non c’è più posto per il dissenso, per la soluzione partecipata dei problemi, ci si appresta a candidare in tutta Italia liste di allineati al pensiero unico”.
“Il videogioco delle elezioni del Movimento 5 Stelle con il ‘Metodo Genova’ – denuncia De Pietro – consegnerà  alla città  una lista elettorale dove i consiglieri non saranno stati scelti dagli attivisti e il sindaco avrà  il controllo totale dei suoi consiglieri. Esattamente l’opposto di quanto avevamo promesso fino ad oggi agli italiani, la piramide rovesciata della democrazia diretta”
“Sento la necessità  di ringraziare Beppe Grillo per l’ opportunità  che ha dato a tanti cittadini, fino ad oggi – ha aggiunto il consigliere -, me compreso, di inserirsi nelle istituzioni ed imparare, a testa bassa, giorno dopo giorno, delibera su delibera, come funzionano (o non funzionano) i Comuni”.
Però “oggi, la virata a 180 gradi diventa inaccettabile per chi credeva di poter amministrare con la logica della discussione costruttiva. Si preferisce invece defenestrare decine di persone che hanno supportato il lavoro del Movimento in questi anni” denuncia ancora De Pietro.

(da “il Secolo XIX”)

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L’UOMO CON IL TIRAPUGNI NON ERA UN POLIZIOTTO

Febbraio 22nd, 2017 Riccardo Fucile

DOPO GLI SCONTRI ALLA MANIFESTAZIONE DEI TASSISTI, SMENTITA FORZA NUOVA CHE LO AVEVA INDICATO COME UN AGENTE INFILTRATO… SI CHIAMA DOMENICO CIAMMETTI, ESTREMISTA DI DESTRA

Si chiama Domenico Ciammetti, ha 30 anni, è un ambulante romano ed un ex simpatizzante di estrela destra (Casa Pound ha smentito che si tratti di un suo militante)
Durante la serata si era diffusa una teoria del complotto, messa in giro in particolare da Roberto Fiore di Forza Nuova, che lo accusava di essere un poliziotto (“della compagnia di San Paolo“, aggiungevano altri fantasiosamente e senza alcuna prova) e di aver picchiato l’uomo a terra, ovvero Giuliano Castellino, 40 anni, leader di “Roma ai Romani”, arrestato ieri per resistenza a pubblico ufficiale insieme a Claudio Ciaburro, 38enne.
Ciammetti è stato denunciato a piede libero per porto d’arma impropria e per lui dovrebbe arrivare anche il Daspo.
Il nome e il cognome di Ciammetti con le sue frequentazioni sono riportati oggi dal Corriere della Sera in un articolo di Rinaldo Frignani, dove si dice che i disordini scoppiati ieri sono frutto dell’infiltrazione nella protesta di tassisti e ambulanti da parte di gruppi di estrema destra.
«Non era successo niente fino a quando non si sono palesati insieme con un gruppo di attivisti fra gli ambulanti che protestavano», sottolinea chi indaga: il sospetto è che la mobilitazione di ieri possa essere un nuovo fronte dove cercare consensi, dopo quello delle occupazioni di immobili per dare un alloggio ai senza casa – sull’impronta di quanto da anni fanno i movimenti legati ai centri sociali – e anche quello del tifo ultrà  all’Olimpico, soprattutto romanista, in agitazione per la questione delle barriere nelle curve.
Castellino, assolto da un’accusa di spaccio di droga all’inizio del 2015 (un etto di cocaina «per uso personale» e 30 petardi da stadio), un mese fa aveva guidato con il suo movimento “Roma ai romani” la protesta contro l’assegnazione di una casa popolare, occupata abusivamente, a una famiglia composta da padre, madre e cinque figli di nazionalità  egiziana.
Castellino aveva partecipato anche alle proteste dei Forconi e alle manifestazioni in ricordo di Erich Priebke.
Era stato protagonista anche della rivolta contro l’arrivo dei migranti a Casale San Nicola. Castellino, ex Fronte della Gioventù e Casapound, secondo Carlo Bonini di Repubblica è anche amico di Daniele De Santis, l’assassino di Ciro Esposito, e sarebbe parte di una strategia che vuole Forza Nuova alla conquista dell’egemonia delle proteste di Roma, con un occhio particolare a quelle della Curva Sud dello Stadio Olimpico.
Un altro arrestato è il militante di Forza Nuova Claudio Ciaburro.

(da “NextQuotidiano”)

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