Destra di Popolo.net

UCRAINA, TRE ANNI DALL’OCCUPAZIONE RUSSA IN CRIMEA

Febbraio 28th, 2017 Riccardo Fucile

PARLA L’AMBASCIATORE PERELYGIN… PERCHE’ LA STORIA NON DEVE ESSERE DIMENTICATA

All’inizio degli anni ’90 la Russia — la quale ha sempre preteso di essere un Paese legato all’Ucraina da rapporti di fratellanza e amicizia− chiese di stabilire una propria base militare sul territorio ucraino.
Avendo approvato un’apposita legge per regolare la presenza militare russa in Crimea, l’Ucraina non avrebbe potuto immaginare che nel 2014 quella stessa base militare sarebbe stata utilizzata come cavallo di Troia per l’annessione di un pezzo del suo territorio.
Purtroppo occorre riconoscere il fatto che l’Ucraina, giovane Stato indipendente, non ha preso adeguatamente in considerazione le lezioni della storia che testimoniano il carattere estremo e aggressivo della politica estera della Russia, e del totalitarismo imperialistico dell’Unione Sovietica che l’ha preceduta
Sono passati già  tre anni da febbraio 2014, tre anni di invasione e guerra in Crimea. Tre anni di sofferenze e privazioni per gli ucraini.
Così la memoria corre alla notte del 21 agosto del 1968, quando un aereo sovietico chiese di compiere un atterraggio d’emergenza all’aeroporto di Praga, nell’allora Repubblica Socialista Cecoslovacca.
Appena l’aereo si arrestò sulla pista, sbarcarono militari (quelli che la Russia oggi chiama “uomini verdi”), i quali conquistarono l’aeroporto e aprirono la strada all’esercito sovietico: un contingente di circa 500.000 soldati e 6.000 veicoli corazzati invase l’intero paese.
Purtroppo questo caso non è stato nè il primo nè l’ultimo esempio della politica aggressiva e brutale del Cremlino.
Alla memoria sovvengono anche i fatti occorsi in Ungheria nel 1956, quando l’Armata Rossa arrivò alle porte di Budapest con circa 200.000 uomini e 4.000 carri armati, più di quanti Hitler ne avesse scagliati nel giugno del 1941 contro la stessa Unione Sovietica.
Si ricordano anche l’invasione sovietica dell’Afghanistan tra il 1979 e il 1989 e l’invasione russa della Georgia nel 2008.
Nel 2014 è stata poi la volta dell’Ucraina e — da ultimo − nel 2016 è toccato alla Siria sperimentare la violenza del potere di Mosca
La Russia ha fatto sempre ricorso al medesimo schema: “l’aiuto militare fraterno” da parte dei cosidetti uomini verdi e dell’esercito regolare.
Ovunque il risultato è stato il medesimo: migliaia di vittime (prevalentemente civili) dopo l’invasione e l’occupazione, milioni dei sfollati, l’umiliazione e l’oppressione dei popoli autoctoni di tutti questi Paesi.
Sempre più spesso interrogo me stesso e i colleghi diplomatici, politici ed amici italiani ed europei su come sia potuto accadere che una parte del territorio dell’Ucraina, la Crimea, nota per le sue attrazioni turistiche e la sua vocazione storica multiculturale, nonchè per gli antichi legami con la Repubblica di Genova, sia stata trasformata in soli tre anni in una penisola di paura interamente militarizzata.
Una regione in cui oggi si uccide o si mette in prigione solamente sulla base dell’appartenenza etnica o di opinioni politiche difformi da quelle del Cremlino.
Certamente, esistono diverse spiegazioni possibili per quanto è avvenuto in Crimea. Come e perchè è successo, quale sarà  il destino di questa regione?
La mia convinzione personale più profonda è che un giorno la Crimea tornerà  ad essere integralmente parte dell’Ucraina.
Ciò sarà  reso possibile dallo sviluppo democratico d’impronta europea che l’Ucraina sta attraversando, nonchè dal sostegno incessante della comunità  internazionale.
E proprio nei nostri giorni, quando osservando la crescita di alcuni movimenti autonomisti e populisti che promuovono le idee di cambiare la mappa d’Europa rifacendo le frontiere, sento un dovere di ricordare le lezioni che si possono trarre dalla storia europea.

S. E. Yevhen Perelygin
Ambasciatore d’Ucraina in Italia

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STADIO ROMA: LE IMPRESE CHE SI DIVIDERANNO LA TORTA

Febbraio 28th, 2017 Riccardo Fucile

DAGLI AMERICANI DI AECOM ALLA SALINI IMPREGILO, DALLA   PARNASI ALLA PIZZAROTTI

A costruire lo stadio della Roma a Tor di Valle saranno soprattutto gli americani di Aecom, ma nella partita entra anche Salini Impregilo, azienda italiana capofila nel consorzio vincitore della gara per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina.
Così scrive Repubblica Roma
Sarà  uno stadio in prevalenza a stelle e strisce quello che il patron giallorosso James Pallotta e l’imprenditore Luca Parnasi si apprestano a costruire sul pratone di Tor di Valle. I lavori per la nuova “Magica arena” dovrebbero essere assegnati a trattativa diretta, senza obbligo di passare per le forche caudine della gara pubblica, al colosso americano Aecom, quasi 100mila addetti, al 156° posto nella lista delle 500 multinazionali più ricche degli States secondo Fortune.
Un affidamento che però non sarà  esclusiva: un altro gigante dell’edilizia, stavolta tricolore, è infatti in pole position per entrare nell’affare.
Si tratta, appunto, di Salini Impregilo, riconosciuto global player nel settore delle grandi infrastrutture, che tuttavia proverà  a prendersi la fetta più grossa della torta.
Il resto del complesso — scrive Repubblica – resterà  invece appannaggio della famiglia Parnasi, la quale avrebbe già  raggiunto un accordo con il gruppo Pizzarotti di Parma per realizzare insieme le 18 palazzine del business park deprivato però delle torri di Libeskind. Fermo restando l’interesse, già  manifestato dalla società  emiliana, ad entrare (anche) nella cordata italo-americana che costruirà  lo stadio.

(da agenzie)

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PALME IN PIAZZA DUOMO, L’AD DI STARBUCKS: “STUPITI DALLE POLEMICHE, VOLEVAMO FARE UN REGALO A MILANO”

Febbraio 28th, 2017 Riccardo Fucile

LA CITTADELLA DEL CAFFE’ NASCERA’ NELL’EX PALAZZO POSTE IN CORDUSIO: “PROGETTO UNICO, OMAGGIO ALLA CULTURA ITALIANA”… PREVISTE 350 ASSUNZIONI E STIPENDI PIU’ ALTI DELLA MEDIA

La prima giornata milanese di Howard Schultz, amministratore delegato di Starbucks, è cominciata presto: prima un’occhiata alle palme davanti al Duomo, poi di corsa da Rocco Princi per una lezione sulla pagnotta perfetta infine un discorso a braccio di quasi un’ora davanti a centinaia di studenti dell’università  Bocconi.
Ad ascoltarlo, mentre parla di leadership, ci sono anche l’ex premier Mario Monti e l’ex amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Enrico Cucchiani.
Oggi, invece, al sindaco Giuseppe Sala presenterà  il progetto per l’apertura della prima caffetteria Starbucks in Italia.
Il taglio del nastro è in agenda alla fine dell’anno prossimo: la Roastery (torrefazione, ndr), uno spazio da 2.400 metri quadrati, occuperà  l’intero palazzo delle Poste di Piazza Cordusio. E “sarà  il nostro fiore all’occhiello. Un progetto unico”, spiega il manager che la scorsa estate ha annunciato una partnership con Princi, la panetteria milanese che sfornerà  i prodotti per tutte le Roastery del gruppo: da Seattle a Shanghai, da New York a Milano.
“C’è voluto tempo per trovarlo, ma la prima volta che sono passato davanti all’edificio di piazza Cordusio – racconta Schultz – ho capito che sarebbe stato il posto perfetto per dare onore all’artigianalità  del caffè e dare omaggio alla cultura italiana”.
L’apertura della prima caffetteria italiana chiude il cerchio di un’avventura iniziata nel 1971 a Seattle, ma il primo approccio con la città  non è stato dei migliori.
Il giardino tropicale con palme e banani davanti al Duomo ha diviso i milanesi. E c’è stato il vandalo che ha bruciato una delle piante, la Lega Nord che ha colto l’occasione per attaccare il Comune che “così i clandestini si sentiranno a casa”, mentre il sindaco su Instagram ha ammesso di non essere “così entusiasta dell’idea, ma c’è stato un bando e la sovrintendenza si è espressa in modo positivo”.
“Il dibattito sulle palme ci ha stupiti”, dice Schultz. Spiegando che le sponsorizzazioni sono una strategia già  adottata in diverse situazioni: “Quando entriamo in una città  nuova, soprattutto in una interessante e dinamica come Milano, vogliamo dare subito qualcosa alla comunità . Lo facciamo prima di aprire la caffetteria, è una sorta di captatio benevolentiae e anche per questo la reazione ci ha stupiti così tanto”.
Il manager però ci tiene a sottolineare come Starbucks non abbia “disegnato il giardino: noi siamo semplicemente gli sponsor ed è abbastanza strano per noi essere in questa posizione. Cerchiamo sempre di essere molto umili e rispettosi, spero che la gente capisca che volevamo solo fare qualcosa di utile per la città “.
Anche perchè sul piatto c’è un investimento da decine di milioni di euro e la promessa di centinaia di assunzioni: “Milano è risorta dopo l’Expo. L’apertura della Roastery sarà  una catalizzatore che mostrerà  al mondo che posto incredibile sia Milano per investire. Per noi, invece, sarà  l’inizio di una nuova avventura”
Un messaggio che il manager ha ripetuto anche davanti agli studenti della Bocconi dove ha parlato di leadership.
“Per noi questi sono appuntamenti fondamentali nella formazione degli studenti – dice il rettore, Gianmario Verona -. Sono argomenti difficili da trasmettere attraverso i libri e le lezioni. Schultz è un grande esempio per i nostri studenti, anche perchè tratta con grande attenzione il tema della corporate social responsability”.
“Le grandi aziende – ha spiegato Schultz – hanno grandi responsabilità . Non solo verso i loro azionisti, ma anche nei confronti dei loro dipendenti e delle comunità  nelle quali vivono. Noi cerchiamo sempre di fare la nostra parte lavorando sul giusto bilanciamento tra utili e impatto sociale”.
Per Milano il manager promette salari più alti della media e assunzioni stabili oltre all’apertura di nuovi punti vendita nel corso del 2018.
La Roastery di piazza Cordusio sarà  gestita direttamente dal gruppo americano, le altre caffetterie, invece, saranno avviate da Percassi.

(da “La Repubblica“)

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ORDINANZE RAZZISTE, CAUSE CIVILI PER RISARCIMENTO CONTRO I SINDACI: FINALMENTE PAGANO DI TASCA

Febbraio 28th, 2017 Riccardo Fucile

DOPO LA CONDANNA DEL SINDACO DI ALASSIO E L’AVVISO DI GARANZIA A QUELLO DI CARCARE

Cause civli contro i sindaci razzisti che, dopo il penale, rischiano anche di essere condannati a dei risarcimenti mettendo così in moto la Corte dei Conti per l’eventuale danno erariale.
È di queste ore la notizia che la procura di Savona dopo aver chiesto e ottenuto la condanna del sindaco di Alassio Enzo Canepa (centro destra) ha indagato per discriminazione razziale anche il primo cittadino di Carcare, Franco Bologna, pure lui appartenente alla destra.
In entrambi i casi, anche se con qualche differenza, all’origine dei procedimento giudiziari ci sono le cosiddette “ordinanze sanitarie”, ovvero il divieto di entrare o soggiornare nel territorio del Comune per quei migranti privi di documenti che attestino le loro condizioni di salute.
Canepa aveva addirittura citato nell’ordinanza rischi “biblici” come epidemie di Aids, Ebola fino a Tbc e scabbia.
Rischi sempre negati dalle autorità  sanitarie e da altre istituzioni come l’Ufficio Antidiscriminazioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Ma la paura fa 90 e fa soprattutto consenso elettorale. Così le scelte di Canepa e Bologna sono state fortemente sostenute da Lega e Forza Italia
E ad oggi sono in tutto 8 le amministrazioni in cui sono in vigore ordinanze definite di “Apartheid sanitaria” .
Oltre ad Alassio e Carcare sono: Garlenda, Zuccarello, Ortovero, Casanova Lerrone, Vendone ed Erli. Tutti comuni dell’entroterra di Albenga
L’avvocato Emilio Robotti, che con altri colleghi ha partecipato ad alcune azioni legali contro le ordinanze, è il segretario della sezione ligure dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani: “Sono provvedimenti discriminatori che poggiano su psicosi prive di qualsiasi fondamento. Tutti sanno che i migranti in arrivo vengono visitati con attenzione. Si rischia molto di più con viaggiatori benestanti che arrivano in aereo da paesi problematici”
Il sindaco di Alassio Canepa era stato multato per 3750 euro dal gip.
Per quanto riguarda Bologna, il procuratore capo di Savona Alessandro Ausiello ha chiesto al gip il decreto di condanna.
E’ ora che qualcuno cominci a pagare.

(da “il Secolo XIX”)

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SPESE PAZZE LIGURIA: I LEGHISTI RIXI E BRUZZONE A PROCESSO

Febbraio 28th, 2017 Riccardo Fucile

IN CASO DI CONDANNA C’E’ LA DECADENZA DALLA CARICA PER EFFETTO DELLA LEGGE SEVERINO

Edoardo Rixi, assessore regionale allo Sviluppo economico e vice di Matteo Salvini, e Francesco Bruzzone, presidente del consiglio regionale, hanno reso spontanee dichiarazioni nel corso del processo che li vede imputati insieme ad altri 21 tra ex e attuali consiglieri regionali per le spese pazze del periodo compreso tra il 2010 e il 2012.
Secondo l’accusa, sostenuta dal pm Francesco Pinto, i consiglieri avrebbero speso soldi pubblici in cene, viaggi, gite al luna park, birre, gratta e vinci, ostriche, fiori e biscottini.
In alcuni casi, per gli inquirenti, venivano consegnate ricevute che erano state dimenticate da ignari avventori. In altri venivano modificati gli importi a mano.
Per un ammontare di diverse centinaia di migliaia di euro.
Ai due politici vengono contestate spese non corrette rispettivamente per nove mila euro a Bruzzone e 19 mila a Rixi.
Ci sono poi le spese «indistinte» del gruppo, quelle cioè non riferibili a consiglieri ma al partito di cui risponde il capogruppo che ha vidimato la spesa.
Secondo quanto dochiarato da Rixi (non si sa se ridere o piangere) “le fatture e gli scontrini di rifugi e pasticcerie montane, in provincia di Udine, sarebbero stati portati da un collaboratore mandato a studiare lo statuto speciale del Friuli Venezia Giulia”.
Altri scontrini sarebbero stati messi nel mucchio “sono stati depositati da dipendenti e collaboratori del Carroccio che non essendo titolari di ticket chiedevano un rimborso spese per pasti consumati fuori sede” (come se la cosa fosse permessa).
Il processo proseguirà  il prossimo sei marzo.

(da agenzie)

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LECCE, INDAGATO IL SINDACO: “CASE POPOLARI AGLI ELETTORI DEL CENTRODESTRA”

Febbraio 28th, 2017 Riccardo Fucile

L’AFFIDAMENTO DEGLI ALLOGGI: 46 AVVISI DI GARANZIA, COMPRESA LA POLI BORTONE

Indagati eccellenti nell’inchiesta della Procura di Lecce sull’assegnazione delle case popolari nel capoluogo salentino: la richiesta di proroga delle indagini formulata dai pm ha fatto venire fuori i nomi del sindaco uscente Paolo Perrone e dell’ex Adriana Poli Bortone, del deputato dei Cor Roberto Marti (già  assessore comunale) e degli attuali componenti della giunta Nunzia Brandi e Damiano D’Autilia.
Il terremoto arriva in piena campagna elettorale, con Perrone che cerca di passare il testimone al giornalista Mauro Giliberti e si ricandida come consigliere comunale. Quarantasei, in totale, le persone su cui si concentrano le indagini dei finanzieri del Nucleo di polizia tributaria, coordinate dai sostituti procuratori Massimiliano Carducci e Roberta Licci, che stanno passando al setaccio gli atti relativi al periodo compreso tra il 2006 e il 2016.
L’ipotesi – ancora parzialmente da verificare – è che l’assegnazione degli alloggi popolari di Lecce sia stata improntata a criteri poco trasparenti.
Dettata da favoritismi più che dal rispetto delle regole e da una serie di atti pilotati in favore di elettori del centrodestra, come dimostra il fatto che tra gli indagati figurano anche numerosi dirigenti del Comune.
A fare scattare le indagini furono gli esposti presentati negli anni da diversi esponenti del Pd, a partire dall’assessore regionale alle Attività  economiche, Loredana Capone, che nel 2012 fu candidata sindaco a Lecce.
Fu lei a denunciare in Procura e al prefetto l’esistenza di “un contesto elettorale a rischio” e nella stessa direzione andarono qualche anno più tardi il viceministro Teresa Bellanova e il parlamentare del Pd Salvatore Capone, recapitando ai magistrati un articolato dossier sul meccanismo di assegnazione delle case popolari.
Tra la documentazione al vaglio egli investigatori, le testimonianze di inquilini che lamentavano richieste di mazzette da parte di esponenti politici per il mantenimento dell’assegnazione, le visite nel corso delle campagne elettorali, le occupazioni abusive e molti altri presunti illeciti. I reati, contestati a vario titolo, vanno dall’associazione a delinquere alla corruzione, abuso d’ufficio, falso materiale e ideologico, truffa.

(da agenzie)

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IL PENSIERO LIBERALE VITTIMA DI SCHEMI DEL PASSATO

Febbraio 28th, 2017 Riccardo Fucile

TRAVOLTI DALLA CONTEMPORANEITA’, I POCHI LIBERALI IN GIRO SANNO SOLO PARLARE DEL NULLA

“Ti fai un giro nella piazza”, quella dei social per intenderci, e leggi sempre le stesse, solite cose. Ma davvero è così importante continuare a ragionare (ed a proporre) l’ormai anacronistico — e quasi “medievale” — distinguo tra liberali e liberisti? Tra Croce ed Einaudi”? Tra John Maynard Keynes, da una parte, e Milton Friedman, dall’altra?
Diciamoci la verità ! Gli individui “comuni”, gli individui “normali”, tanti quesiti manco se li pongono. Non gli interessa nemmeno capirli. Le persone ragionano sugli effetti, sulla ricaduta pratica delle scelte consumate dalla politica. Il resto arriva soltanto come mera erudizione pseudo-accademica e pseudo-filosofica.
Forse sbaglierò, ma l’attuale scenario “politico” (sostanziale) sta sempre più contrapponendo un sedicente “polo” social-democratico (con punte di “appezzottatissimo” liberalismo), da una parte, ed un “polo” sovranista, retrivo ed illiberale, dall’altro.
In “campo”, i liberali (davvero capaci) sono pochissimi. “I più”, sono troppo impegnati a ragionare (soltanto) sugli schemi del passato; impegolati (come sono) nella mera lettura e nella mera riproposizione – peraltro meramente astratta – di schemi astrusi, travolti dalla contemporaneità . Distratti dall’articolazione concettuale del nulla…
Mancano idee. Mancano proposte. Mancano visioni (concrete) realmente ardite e davvero capaci di convincere le persone; di “infiammarle”; di appassionarle… C’è soltanto una piccola “fiammella” in giro, e spero che sappia crescere in modo sano, autentico, dirompente.
I liberali non hanno bisogno di una patente. Certe istanze fanno parte dell’umanità : basterebbe ricordarsene.
Il Paese non ha bisogno di una sedicente “guida morale” (anche soltanto il “pensiero”, mi fa accapponare la pelle).
Al Paese servono “guerrieri” audaci, ribelli e “visionariamente rivoluzionari”. Occorrono le idee pèrchè quelle sì che smuovono il mondo e possono fare la storia… Occorre un impegno autentico. Una sincera voglia di battersi per la libertà , per il riconoscimento dei diritti civili ancora negati; per fare in modo che ogni individuo, nel nostro Paese, si senta (davvero) sempre ” a casa propria”.
Ieri (ognuno per suo conto, e “chi più, chi meno”) abbiamo riflettuto sulla scelta drammatica – ma più che legittima – di Dj Fabio di raggiungere la Svizzera per porre fine alle proprie sofferenze. Ci siamo commossi. Ci siamo anche incazzati per una Politica sempre più incapace di ascoltare, di essere davvero attenta ai bisogni della collettività  e dell’individuo e di dar loro risposte.
Davvero si è convinti che possano bastare (e che basteranno) “giusto due locuzioni” di “scuola” per ridare linfa e vitalità  ad un’area politico-culturale sempre più stantia, “incolore” e dedita meramente all’ozio, finanche di concetto?
Il nostro Paese è in ginocchio. La nostra società  pure. Non basta (e non basterà ) più “lusingarsi” di “averlo grande”. Va fatto finalmente “l’amore”.
Il fai da te (con gli annessi “guardoni”) non è più contemplato…

Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale

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LE LACRIME DI COCCODRILLO DI SALVINI PER LA MORTE DI DJ FABO

Febbraio 28th, 2017 Riccardo Fucile

A PAROLE SI DICE A FAVORE DELLA LIBERTA’ DI SCELTA SUL FINE VITA, NEI FATTI E’ GRAZIE ALLE MIGLIAIA DI EMENDAMENTI DELLA LEGA CHE I MALATI TERMINALI DEVONO ANDARE A MORIRE ALL’ESTERO PAGANDO 10.000 EURO

Matteo Salvini ieri per un attimo ha smesso i panni del giustiziere e dell’autista di ruspe e ha indossato il suo costume da avvoltoio per avventarsi sul corpo di Fabiano Antoniani in arte Dj Fabo che ieri è morto in Svizzera perchè qui in Italia non c’è una legge sul fine vita che tuteli il diritto di un malato a decidere quando morire, quando uscire da quello che Fabo ha descritto come un “inferno di dolore, di dolore, di dolore“. Salvini ha dichiarato che un paese serio dovrebbe “garantire la libera scelta di ogni cittadino, ma soprattutto assicurare una vita dignitosa a chi vuole invece continuare a combattere“.
Salvini sembra quindi aprire alla possibilità  che anche l’Italia si doti di una legge sul fine vita.
Ma non è così perchè in Parlamento la Lega Nord, il partito di cui Salvini è Capitano e Segretario, sta attivamente cercando di affossare il DDL Lenzi.
Fino ad oggi il nostro Paese non è riuscito a dotarsi di una legge sul testamento biologico e sulle dichiarazioni anticipate di trattamento perchè il Parlamento non ha mai voluto — soprattutto per non scontentare la Chiesa Cattolica — affrontare seriamente la questione.
Dj Fabo non è il primo italiano a dover andare a morire in Svizzera e non sarà  nemmeno l’ultimo.
Non è nemmeno il primo italiano a chiedere pubblicamente di poter morire con dignità , ma i giorni del frenetico impegno della politica li abbiamo già  vissuti a fianco di Piergiorgio Welby (2006) ed Eluana Englaro (2009).
Non è che in Parlamento manchino le proposte di legge, ce ne sono attualmente sei, i primi sono stati presentati ad inizio legislatura, nel 2013, ma solo due sono già  all’esame della Commissione.
Si tratta delle proposte di legge elaborate da Beatrice Brignone di Possibile e quella di Silvia Giordano del MoVimento 5 Stelle; per entrambi i DDL la relatrice è la deputata PD Donata Lenzi.
Sembra che attorno a questi due disegni di legge si sia coagulata una maggioranza trasversale che trova d’accordo i parlamentari a Cinque Stelle e gran parte di quelli del Partito Democratico.
A fare le barricate e ad annunciare battaglia alla Camera è stata la Lega Nord che ha parlato di un testo “improponibile che non vedrà  mai la luce” e ha annunciato una pioggia di emendamenti per bloccare la legge alla Camera, il 12 gennaio erano già  stati   presentati 3.300, di questi 1.118 firmati da Ncd e 1.280 annunciati dalla Lega Nord.
In Commissione gli emendamenti sono stati ridotti a 288 dal Presidente della Commissione Affari Sociali Mario Marazziti poichè si trattava di emendamenti ostruzionistici che andavano a modificare pesantemente o a sopprimere articoli del testo base, non una volontà  di migliorare la legge o di emendarla ma di stravolgerla per renderla inutile e inapplicabile.
Tra i più attivi nel combattere un’eventuale legge che renderebbe l’Italia “un Paese serio” c’è il deputato di Lega Nord-Noi con Salvini Alessandro Pagano.
Nel frattempo il testo di legge ha già  subito due rinvii, il primo esame alla Camera era infatti previsto il 30 gennaio ma è stato chiesto un rinvio al 27 febbraio.
Il 23 febbraio però è stato deciso che la legge arriverà  alla Camera a marzo, a salutare con soddisfazione il rinvio c’era proprio Alessandro Pagano che qualche giorno prima aveva definito il Pd e il M5S il “partito della morte” e che ha ribadito che la Lega è pronta a fare le barricate in Aula.
Ci sarebbe da chiedere se questa è la posizione seria di un politico serio in un Paese serio su un tema così delicato.
Un tema sul quale Salvini sembra auspicare una legge che garantisca la libertà  di scelta ai singoli cittadini dimenticando che in Parlamento il suo partito si adopera affinchè questa libertà  di scelta non venga concessa.
Ma in realtà  quella di Salvini è una una non dichiarazione perchè il Capitano evita accuratamente di prendere una posizione chiara sull’argomento.
Un esempio di come un politico dovrebbe affrontare il tema Salvini ce l’ha in casa; il Presidente del Veneto Luca Zaia ha ribadito quanto dichiarato in un’intervista all’Espresso ovvero di essere favorevole ad una legge sul testamento biologico:
Da dieci anni, almeno, chiedo la legge sul testamento biologico. Non sono, invece, tra coloro che senza se e senza ma propongono l’eutanasia. Bisogna portare rispetto a coloro che hanno una loro idea su come affrontare la malattia, la sofferenza atroce, la morte; è necessario fare qualcosa, in punta di piedi. Non è un problema di casacche politiche o di credo religioso, di scelte sentimentali, ma di varare una legge rispettosa della libertà  di coscienza.
Certo è che l’atteggiamento politico della Lega Nord sul tema non aiuta i malati e le loro famiglie.

(da “NextQuotidiano“)

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SILVIO LANCIA ZAIA (CHE FINGE DI NON GRADIRE): MA SALVINI DA SOLO DOVE VA?

Febbraio 27th, 2017 Riccardo Fucile

SILVIO METTE ZIZZANIA, MA HA UNA SCHEMA PRECISO: RITORNARE AL ESSERE IL PRIMO PARTITO DEL CENTRODESTRA E DARE LUI LE CARTE

Doverosa premessa: per Silvio Berlusconi nessuno potrà  mai prendere il suo posto, come sanno bene i tanti delfini scelti e poi spiaggiati in un amen.
Detto questo, c’è molta strategia ma anche un pizzico di real politik nell’incoronazione fresca di giornata nei confronti di Luca Zaia.
Perchè uno degli effetti collaterali che il leader azzurro ha chiaramente calcolato è la reazione (irritata) che le sue parole provocano su Matteo Salvini.
“Se qualcuno – replica infatti il segretario padano – pensa di mettere zizzania nella Lega facendo nomi, ha sbagliato a capire. Perchè, a differenza degli altri, noi siamo una squadra”.
Anche il diretto interessato (e non è la prima volta) allontana da sè l’amaro calice: “Basta manfrine, il candidato è Salvini”, dice Zaia.
La voce, in realtà , era già  circolata più volte sia recentemente che nei mesi passati. Ma vuoi mettere sentirlo dalla sua viva voce?
“Se Berlusconi non potrà  tornare in campo, il centrodestra – dice il Cavaliere – dovrà  trovare qualcuno al suo interno. Il governatore del Veneto Luca Zaia si sta comportando molto bene. Dico Zaia o qualcun altro in grado di emergere e convincere tutti”.
Parole pronunciate non a caso all’emittente televisiva veneta Canale Italia, in un’intervista che nei giorni scorsi era stata “proposta” proprio da Arcore.
In quella Regione il consenso della Lega, anche grazie all’amministrazione di Zaia, sfiora il 40% mentre Forza Italia arranca sotto al 10%, anche se per il rilancio Berlusconi si sta affidando al giovane Simone Furlan, quello dell’esercito di Silvio per intenderci.
In ossequio all’idea che nessuno possa essere meglio di lui, Berlusconi antepone un significativo “se” all’incoronazione.
Perchè i tempi delle elezioni politiche non sono ancora chiari e il Cavaliere continua a ripetere che se da Strasburgo nel frattempo dovesse arrivare la tanto agognata sentenza che lo riabiliterà  lui è pronto a candidarsi premier.
“Da solo quel pronunciamento – ha spiegato nei giorni scorsi ad alcuni interlocutori – vale il 5% in più di consenso per Forza Italia perchè a quel punto sarà  chiaro al mondo che io sono stato fatto fuori con un trucco”.
Ma se questo non dovesse avvenire? Chi ha avuto modo di parlare con lui giura, che il nome di Zaia viene fatto con molta serietà : il suo profilo moderato potrebbe mettere insieme le diverse anime del centrodestra (Alfano compreso) ma anche di Forza Italia: sia quelli che chiedono un accordo con la Lega sia quelli che pregano il leader azzurro di non cedere al vento lepenista
Ma più di tutto, al momento, l’obiettivo di Berlusconi è quello di gettare scompiglio nel campo di Matteo Salvini.
“Io – aveva detto qualche settimana fa incontrando le deputate – non ho problemi con la Lega, ho ottimi rapporti sia con Bossi che con Maroni. Io ho problemi solo con Salvini”.
Lanciare il nome di Zaia, dunque, potrebbe riaprire una rivalità  per ora soltanto sopita nel Carroccio. Dove, vale la pena ricordarlo, il congresso è stato solo momentaneamente congelato.
E buona parte della classe dirigente non è certo disposta a rinunciare all’ipotesi di avere un candidato premier leghista solo perchè Salvini punta a quell’obiettivo. Raccontano che nel consiglio federale che si è tenuto oggi l’argomento sia stato anche per questo prudentemente evitato, anche se non sono mancati sorrisi e ammiccamenti nell’ala che non sta con il segretario.
E in molti sono certi che Zaia manterrà  un atteggiamento low profile fino all’ultimo ma che ci stia facendo più di un pensierino.
Ed ecco che nel gioco su più tavoli che gli è così congeniale, l’ex premier si è costruito il suo schema.
La sua idea è quella di far valere la sua golden share nella trattativa sulla legge elettorale per ottenere un proporzionale.
Con il premio di coalizione bisognerebbe mettersi tutti insieme per raggiungere il 40%, è vero. Ma Berlusconi pensa che con la sua presenza attiva in campagna elettorale Fi potrebbe addirittura tornare al 20% rendendo quel traguardo raggiungibile.
E, a quel punto – è il suo ragionamento — chi il capo dello Stato chiamerebbe per formare il governo?
La coalizione di centrodestra e, soprattutto, il partito che ne detiene la maggioranza. Ovviamente, un disegno che non prevede in alcun modo la celebrazione di primarie. La proposta azzurra è che il diritto di designare la guida della coalizione vada alla lista che ha preso di più (nel suo disegno, a lui stesso).
Se questo è il film che l’ex premier ha cominciato a girare nella sua testa, non resta spazio per il listone unico di cui ieri ha parlato la leader di Fdi, Giorgia Meloni.
“Al Nord rischieremmo di sparire – spiega un dirigente azzurro – e poi Berlusconi non ha alcuna voglia di mettersi a trattare con Salvini per i posti in lista. Vuole giocare per sè”.
D’altra parte a bocciare seccamente la proposta è lo stesso segretario leghista. “I minestroni – sentenzia – non ci piacciono”.

(da “Huffingtonpost”)

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