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LA BUFALA CHE “LA DONNA STUPRATA A RIMINI HA SUBITO L’ASPORTAZIONE DELL’UTERO” E’ SOLO L’ULTIMO ANELLO DI UNA ASSOCIAZIONE A DELINQUERE A SFONDO RAZZISTA

Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile

STANNO MINANDO SCIENTIFICAMENTE LA SICUREZZA DELLO STATO PER ALIMENTARE IL CONSENSO XENOFOBO NEL SILENZIO DELLE ISTITUZIONI

E’ ormai evidente a tutti, salvo che al Viminale, che non si tratta più di viralizzatori di professione interessati ad aumentare i clic e monetizzare per portarsi a casa un cospicuo gruzzoletto.
Ormai sul web agisce una vera e propria associazione a delinquere, coordinata e diretta, che sforna ogni giorno “mirati” post razzisti per orientare e dirigere “l’indignazione popolare” con bufale, false notizie, calunnie, falsificazioni palesi di fatti.
Con il meccanismo del “condividete” e grazie alla fogna razzista che esiste in Italia solo perchè nessuno ha ancora bussato loro alla porta, la bufala si propaga e diffonde, alimentando le percentuali dei partiti   xenofobi, secondo copione.
Ieri, come denunciato anche da Mentana al TGLa7 è stata la volta della falsa notizia: “La donna stuprata a Rimini dalle luride risorse africane ha dovuto subire l’asportazione dell’utero. Non potrà  avere figli”
Siamo di fronte ad una fake news particolarmente atroce, che trasforma il dolore in vantaggi politici, siamo arrivati a capitalizzare su una tragedia sognando per la vittima conseguenze ancora più gravi perchè queste porterebbero più voti alla fogna razzista.
Non basta, poche ore e arriva una seconda bufala:
La vittima dello stupro di Rimini ha tentato più volte il suicidio. Ora è pesantemente sedata e sorvegliata a vista. Il personale medico, paramedico ed ausiliario riferisce di NON avere mai visto tanta bestialità  e orrore. La Vittima ha fratture multiple, ma quel che è peggio è che questi diavoli le hanno SFONDATO tutto l’apparato riproduttivo, che nel corso di un’operazione le è stato asportato, impedendole così, se mai avesse voluto farsi una vita e avere dei figli.
Il Giornale di Rimini ha voluto approfondire:
Ieri abbiamo contattato in primis ANSA ed a seguire svariate fonti media polacche come Warsaw News, Indipendent, Warsaw Voice, Warsaw.com e logicamente nessuno ha confermato la notizia anzi dalla Polonia arrivano voci fondate di una ragazza che con forza e coraggio sta cercando di dimenticare e ricominciare.Che dire? Forse che già  è tale la sofferenza di queste vittime, che davvero sarebbe ora di far calare il sipario su una terribile vicenda come questa per permettere alle vittime di ritrovare quella normalità  che di certo oggi vedono come impossibile”
Ma non siamo di fronte alle manipolazioni di un folle, bensì di un disegno eversivo per minare la coesione sociale del Paese e favorire l’avvento di forze politiche ben definite.
Quando qualcuno se ne accorgerà  forse sarà  troppo tardi.

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LA FOGNA RAZZISTA OGGI SI ESIBISCE CONTRO LE DUE STUDENTESSE USA: SE LA VIOLENZA SESSUALE NON E’ OPERA DELLE “BESTIE ISLAMICHE” NON SI DIVERTONO

Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile

LA PRESUNTA VIOLENZA SESSUALE DA PARTE DI DUE CARABINIERI NON SUSCITA SDEGNO, SALVINI E LA MELONI TACCIONO…. E PIOVONO INSULTI CONTRO “LE DUE TOSSICHE UBRIACHE E SGUALDRINE”

Nessuna donna dovrebbe mai subire una violenza sessuale o rimanere vittima di uno stupro.
Per questo motivo il nostro ordinamento giuridico punisce chi commette questo crimine, indipendentemente dal fatto che sia uno straniero o un italiano.
Ciò premesso in uno Stato di diritto diritto come il nostro ognuno è innocente fino alla condanna definitiva. Nessuno dovrebbe essere accusato ingiustamente di un reato che non ha commesso. In questa ipotetica Nazione questo dovrebbe valere sia se gli accusati sono italiani che se sono di origine straniera.
La storia, ancora tutta da chiarire, della denuncia di stupro presentata da due studentesse americane ha però mandato in tilt molti che di solito non si fanno troppi scrupoli ad emettere sentenze per direttissima.
Tacciono i vari Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che prima di vergare vibranti prese di posizione nei confronti delle vittime questa volta pare vogliano essere sicuri al 100% delle accuse.
Il motivo è che le due ragazze hanno accusato due Carabinieri di averle stuprate ieri notte a Firenze. Di solito spetta agli avvocati della difesa minimizzare le accuse e ai giudici scagionare i sospettati.
In questo caso ci hanno pensato direttamente i giornalisti del Giornale che decide che questa vicenda “va trattata con il beneficio d’inventario” in un articolo che inizia con “stupri veri o presunti?” lasciando già  intendere che forse in questo caso lo stupro è inventato.
Questa felpata attenzione a non ledere i diritti degli accusati, che è sacrosanta, stride con quanto letto nei giorni scorsi nei confronti delle “bestie” (come furono subito chiamate) che hanno violentato una ragazza polacca e una transessuale peruviana a Rimini.
Prima ancora che si sapesse qualcosa sull’identità  dei quattro stupratori di Rimini già  si ipotizzava — con malcelata soddisfazione — potesse trattarsi di risorse boldriniane. Eppure in quel caso l’accusa era ancora meno circostanziata di oggi.
A quanto pare infatti ci sono dei filmati delle telecamere che hanno inquadrato le due ragazze mentre salivano a bordo della macchina di servizio.
Questo di per sè ovviamente non prova che sia avvenuto uno stupro, ma sono gli stessi elementi che — nella stessa fase del caso di Rimini — erano in possesso dell’opinione pubblica.
In quel caso erano le telecamere di sorveglianza puntate sulla spiaggia, oggi quelle poste lungo il tragitto da piazzale Michelangelo a Borgo Santi Apostoli.
Inoltre i due militari — che erano intervenuti per sedare una rissa in un locale — sono già  stati identificati.
Nell’articolo del Giornale pubblicato ieri pomeriggio però un pezzo pieno zeppo di condizionali che trasudava un’estrema cautela. Dovuta senza dubbio al fatto che al momento nessuno è ancora stato condannato. Ma che stride con i titoloni ad effetto sugli immigrati stupratori di Rimini, fatti ancora prima che un PM avesse sentito le vittime e i testimoni.
Evidentemente c’è qualcosa che non torna nella narrativa: qui le vittime sono straniere e i presunti stupratori sono italiani. Anzi: sono Carabinieri.
Quello che leggiamo non è dettato dal garantismo ma dalla volontà  di minimizzare l’accaduto.
Insomma finchè non si hanno prove certe meglio andarci con i piedi di piombo. Anche perchè dalla denuncia è chiaro che gli stupratori non sono immigrati (e sembra quasi sentir dire: purtroppo).
Curiosamente anche le reazioni della folla sono diverse. Perchè se un immigrato stupra — poco importa se è colpevole o no — è un animale.
Se una ragazza americana denuncia uno stupro meglio stare attenti. Sono infide.
E nel caso le accuse siano infondate c’è già  chi propone l’espulsione immediata.
Lo sanno tutti che le americane “si ubriacano, trombano e la mattina dopo vanno a sporgere denuncia per stupro”.
Se proprio vogliamo processare i carabinieri “prima mandiamo a giudizio i politi del Cermis e poi si vada pure a processo per i carabinieri che “hanno sollazzato le vostre sgualdrine”. L’italiano, impariamo oggi, non stupra: sollazza.
C’è chi si sorprende che due Carabinieri abbiano mandato a monte una carriera “per una scopata”. Fermo restando che sono innocenti fino a prova contraria qui stiamo parlando di una denuncia di stupro, non dell’avventura di una notte (in servizio).
Le due studentesse, che se i fatti venissero confermati sarebbero due vittime di violenza sessuale, vengono poi accusate di essere due “tossiche ubriache”.
Si sa che le americane sono tutte abituate alla fiction e gli italiani dovrebbero ricordarsi “il caso amand fox” (Amanda Knox). La storia è inverosimile perciò le americane “vanno perseguite!”. Guarda caso Amanda Knox è stata giudicata innocente.
Alcuni utenti sostengono che in America siano troppo sensibili al tema dello stupro e che quello che da loro è considerata violenza sessuale da noi potrebbe quasi passare per un complimento o chissà  che cosa (sempre che venga da parte di un nativo).
Altri ritengono sia meglio “studiare meglio” e tenere conto della “stima di ognuno di noi” nei confronti dei Carabinieri da cui ne consegue che sia “più che normale non dar per scontato la versione delle ragazze”.
Un altro dettaglio che non torna ai nostri avvocati d’ufficio è il fatto che le due avessero stipulato un’assicurazione contro lo stupro. Segno secondo molti che sia tutto un piano premeditato per spennare i polli italioti.
Sono proprio fortunate (se si esclude il dettaglio della violenza sessuale) ad essere assicurate: ora saranno ricche. Anzi chi ci dice che non l’abbiano fatto di proposito? Poco importa che negli USA ci si assicuri per qualsiasi cosa.
E soprattutto che il fatto di essere assicurati contro qualcosa non significa voler truffare l’assicurazione.
C’è chi da questa vicenda ne trae una lezione di vita: diffidate da “certe donnine che quando non ottengono ciò che vogliono arrivano a commettere gesti eclatanti.. specie se fatte!”.
Insomma il sesso debole non lo sarebbe mia così tanto: le donne sono ben a conoscenza dei nostri bassi istinti e li utilizzano a loro vantaggio per ricattarci. Curioso che tutti questi ragionamenti su stupri inventati, denunce fatte per ripicca.
Anzi chi ci dice che non siano state loro a violentare i Carabinieri?
Non stiamo più guardando i — pochi — fatti noti della vicenda. Stiamo qui esaminando semplicemente la vita e le “motivazioni” delle due ragazze. È già  stato deciso che non sono state stuprate, anzi, diciamo che anche se fosse successo “se la sono cercata”.
Ed è questo il problema perchè chi esprime la sua solidarietà  alle vittime degli stupri quando a stuprare sono gli immigrati non lo fa per la vittima ma perchè è razzista.
Se invece è un italiano ad essere denunciato ecco che “aveva la gonna troppo corta”, “era ubriaca”, “se l’è cercata”.

(da “NextQuotidiano”)

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SI STRINGE IL CERCHIO SUI DUE CARABINIERI: TRACCE BIOLOGICHE SUL LUOGO DELLA VIOLENZA E GAZZELLA FERMA 20 MINUTI DAVANTI AL PALAZZO

Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile

TROVA RISCONTRI IL RACCONTO DELLE DUE STUDENTESSE AMERICANE CHE HANNO DENUNCIATO LA VIOLENZA   SESSUALE SUBITA DAI DUE CARABINIERI A FIRENZE

Sono indagati per violenza sessuale i due carabinieri denunciati dalle due studentesse americane a Firenze per un presunto stupro subito dalle giovani nella notte tra il 6 e il 7 settembre.
Le ragazze giovedì mattina avevano chiamato il 113 raccontando di essere state violentate da due militari in divisa dopo essere state accompagnate a casa con l’auto di servizio.
I reperti della polizia scientifica nello stabile dove vivono le due ragazze confermerebbero la presenza di tracce biologiche compatibili con un rapporto sessuale che sarebbe avvenuto nell’androne del palazzo.
Le stesse ragazze avevano raccontato che una di esse aveva subito gli abusi in quell’ambiente.
Altre tracce di questo tipo sarebbero state trovate nel percorso tra l’ingresso del palazzo fino nell’appartamento delle due giovani.
Anche dalle analisi mediche è emerso che le due ragazze hanno avuto recenti rapporti sessuali.
L’auto dei carabinieri inoltre avrebbe sostato per circa 20 minuti davanti al palazzo del centro storico in cui vivono le giovani. Il dato emergerebbe dalle immagini di due telecamere di sicurezza vicino all’immobile: la prima ha ‘ripreso’ l’arrivo della vettura e l’altra la sua uscita dalla zona.
Tra le due immagini intercorrerebbero, appunto, 20 minuti. Non ci sarebbero invece telecamere nella piazzetta dove si affaccia il palazzo.
I militari questa mattina sono stati identificati e indagati. Da parte della procura non giunge alcun commento ma a parlare è stata la stessa ministra della Difesa Roberta Pinotti: “Gli accertamenti sono ancora in corso ma risulta una qualche fondatezza rispetto alle accuse che vengono mosse” – ha detto – si tratterebbe, e il condizionale è d’obbligo, di un episodio gravissimo. Lo stupro è sempre grave, ma è di gravità  inaudita se commesso da carabinieri in uniforme”.
Sul caso indaga anche la procura militare di Roma: i magistrati della procura militare attendono il rapporto della polizia per poter procedere per gli aspetti di propria competenza.

(da agenzie)

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LA PREMIATA DITTA GRILLO&CASALEGGIO VUOLE BLINDARE IL DAMERINO FUORICORSO, MA GLI ORTODOSSI SI RIBELLANO: “E’ UNA FARSA”

Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile

REGOLE DELLE PRIMARIE M5S CALZATE SU MISURA PER FARE ELEGGERE DI MAIO, LA FRONDA INTERNA NON SI PRESENTERA’ PER PROTESTA

Un faccia a faccia via Skype. Beppe Grillo e Davide Casaleggio stanno mettendo a punto in gran segreto le regole per partecipare alle primarie online che incoroneranno il candidato premier dei 5 stelle.
Ma il fondatore non si è mosso dalla sua casa di Genova. E non lo farà  neanche stasera per la manifestazione di Trieste a dieci anni dal VaffaDay (dove invece andrà  il figlio del cofondatore).
Per questo, finora, ci sono stati solo colloqui telefonici o in videoconferenza.
Spetta a Grillo la scelta finale tra le opzioni messe a punto negli ultimi giorni alla Casaleggio Associati. Nel corso, tra l’altro, di un lungo vertice lunedì scorso insieme al favorito, Luigi Di Maio, e a due suoi fedelissimi, il deputato Riccardo Fraccaro e il candidato governatore in Sicilia Giancarlo Cancelleri.
Accantonati i metodi “tagliacorrenti” che in posti come Genova hanno fatto solo danni, in questo momento sul tavolo sono rimaste due ipotesi: la prima è quella del modello “quirinarie”, con la scelta libera degli iscritti, ma riservate agli eletti che saranno a fine mandato al momento del voto.
Senza doppio turno: chi arriva primo, o prima, vince.
La seconda, quella che si fa avanti in queste ore, prevede invece un certo numero di “autocandidati” tra cui gli iscritti al blog saranno chiamati a scegliere.
Ma tra gli ortodossi – e cioè tra coloro che si oppongono a Luigi Di Maio e alla sua folta schiera di pragmatici – sta maturando in queste ore l’idea di ritirarsi in massa. Tutti. Lasciando che a correre siano solo il vicepresidente della Camera e qualche comparsa.
L’obiettivo è svelare quella che ormai gran parte di loro considera una farsa.
Perchè con Alessandro Di Battista che ha passato l’estate a fare endorsement a Luigi Di Maio – con cui ha saldato un asse ormai da tempo – le possibilità  che la scelta del candidato premier dei 5 stelle sia davvero una gara sono scomparse.
Per questo, la maggior parte dei parlamentari è concentrata su altro: a preoccuparli sono soprattutto le regole che dovranno arrivare per le ricandidature.
Se ci sarà  ancora l’obbligo per chi ha più di 40 anni di presentarsi in Senato. Come e in base a quali criteri saranno stilate le liste.
Roberto Fico – che in un post su Facebook due giorni fa ha ribadito la sua linea “ribelle” sull’immigrazione condividendo il video in cui Gino Strada attacca il ministro dell’Interno Marco Minniti – si era detto disponibile alla candidatura lo scorso dicembre, ma non è mai più tornato sulla possibilità  di sfidare Luigi Di Maio.
Stesso discorso per il senatore Nicola Morra. O per Paola Taverna, cui è stato affidato da Davide Casaleggio il complicato dossier delle regionali nel Lazio, dov’è ormai chiaro che si candideranno la deputata Roberta Lombardi (la più fiera oppositrice della sindaca di Roma Virginia Raggi) e la consigliera regionale Valentina Corrado (a volerci riprovare è anche l’altro consigliere, Davide Barillari).
Alla senatrice Taverna, a luglio scorso, Davide Casaleggio ha affidato il compito di coordinare la corsa.
Così, la strada di Luigi Di Maio appare spianata. Il 24 settembre – alla festa di Rimini – diventerà  il primo candidato premier del Movimento 5 stelle.
Le regole in arrivo servono a blindarlo e a mantenere la promessa agli iscritti. Saranno loro a scegliere.
A due settimane dal voto, però, in campo c’è solo lui.

(da “La Repubblica”)

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LO SCHIAFFO DI MEDICI SENZA FRONTIERE AL GOVERNO: “NON ACCETTIAMO FONDI DA CHI CREA IL PROBLEMA”

Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile

“BANDI PER GESTIRE I CAMPI PROFUGHI IN LIBIA? NO GRAZIE, FACCIAMO DA SOLI GIA’ DA UN ANNO”

“Primo: noi non accettiamo fondi dai governi europei da un anno, in polemica con le politiche di contenimento dell’immigrazione adottate dall’Ue. Secondo: capiamo la sensibilità  del ministero degli Esteri, che pensa alle ong per gestire i campi in Libia, ma lì operiamo già  autonomamente. Non vogliamo farci finanziare da chi genera il problema: sarebbe un controsenso”.
Tradotto: è no, grazie facciamo da soli, come sempre.
Marco Bertotto è il responsabile Advocacy di Medici Senza Frontiere e in questa intervista ci spiega perchè Msf respinge la proposta del sottosegretario Mario Giro di affidare alle ong la gestione dei campi profughi in Libia.
Nell’articolo de La Stampa sulla proposta di Giro, si parla di bandi per la gestione dei campi, dopo che Msf ha denunciato all’Unione Europea le condizioni terribili di detenzione dei migranti trattenuti in Libia. E’ una buona idea?
Credo non si possa parlare di bandi, perchè in Libia nessuno sarebbe in grado di gestire nè bandi, nè campi. In una riunione alla Farnesina ci è stata prospettata la disponibilità  di fondi per le ong interessate a operare nei centri di detenzione in Libia. E su questo devo fare una premessa.
Prego.
Msf non è parte di questo percorso. Perchè dal 2016 noi non accettiamo fondi da alcun governo europeo o dall’Unione Europea in polemica con le politiche di contenimento dell’immigrazione adottate dall’Ue. Non vogliamo farci finanziare da chi genera il problema: sarebbe un controsenso.
Suona come un no secco: anche Gentiloni ieri da Praga ha parlato di una possibile cooperazione con le ong per migliorare le condizioni dei centri dove sono trattenuti i profughi che arrivano in Libia dall’Africa
Allora: da un lato è importante che ci sia questa sensibilità  da parte del ministero degli Esteri che vuole spingere le organizzazioni italiane a contribuire al miglioramento della situazione nei campi in Libia. Ma noi stiamo già  lavorando lì con la nostra presenza nei centri di trattenimento dei profughi e con fondi nostri.
E continuerete a farlo?
Certamente, senza fondi pubblici, viviamo di donazioni. Aggiungo che il tema sta nell’ordine delle cose.
Cioè?
C’è il rischio che questa idea di dare alle ong la gestione dei centri in Libia appaia come una strumentalizzazione dell’azione umanitaria e del lavoro delle ong da parte di un governo che ha contribuito a creare una condizione di intrappolamento delle persone in Libia. Mi sembra insomma una risposta tardiva rispetto allo sforzo che è stato fatto di chiudere le porte. Da un lato, capiamo il senso di urgenza di Giro, che è sempre stato perplesso rispetto alla gestione della crisi migratoria…
Si riferisce alla gestione del Viminale? Evidente che fate la differenza tra il sottosegretario Giro e il ministro Minniti..
La polemica è stata pubblica anche nel governo sul codice di condotta per le ong e ha coinvolto anche il ministro Delrio, che ha preso le distanze. Noi guardiamo da osservatori, non vogliamo fare polemiche. Ci sembra importante che ci siano più organizzazioni non governative a lavorare in Libia, ma la speranza è che il governo italiano usi la sua influenza sulle autorità  libiche non solo per migliorare i centri di detenzione, ma per il loro superamento.
Su questo la vostra denuncia è chiara
A prescindere dalle nostre attività  in loco, in Libia c’è un sistema di detenzione arbitraria che coinvolge migranti e rifugiati ed è scandaloso: non basta chiuderli e spostarli dove c’è più aria. La detenzione arbitraria va superata, la speranza è che l’Italia si faccia sentire sulle autorità  libiche. Fermo restando che finora la politica italiana ed europea è stata complice di questa situazione: prima abbiamo chiuso le rotte e poi ci chiediamo come stanno.
Avete soccorso gente in mare, fornendo anche un aiuto alla Guardia costiera, fino a quando è nata la polemica politica di campagna elettorale. Ora vi chiedono di gestire i campi in Libia. Magari fino alla prossima polemica? Vede questo rischio?
Non nascondo un po’ di stupore nel vedere che le autorità  che ieri criticavano le ong, anche se non è il caso di Giro nello specifico, e dicevano che le ong erano il problema, ora dicono che sono la soluzione. Le ong sono autonome e indipendenti e operano su principi umanitari. Proprio per questo pensiamo che non potremmo mai lavorare in Libia con fondi italiani o europei. C’è un atteggiamento schizofrenico verso le ong: a seconda del vento politico, vengono considerate il problema o la soluzione. Questo nasconde il fallimento della politica e dei governi: ieri dovevano salvare in mare e dunque il nostro intervento è stato benvenuto. Oggi non riescono ad affrontare la situazione in Libia con la diplomazia e l’azione politica e scaricano su di noi. Noi operiamo a prescindere da loro. Siamo in Libia da un anno e ora ci arriva l’Europa: continueremo senza curarci di quello che pensano le autorità  e continuando a puntare il dito sulla responsabilità  dei governi.
Gentiloni dice che non si può separare l’attenzione ai diritti umani dalle politiche di contenimento dei flussi. Che ne pensa?
Lui rivendica che il governo ha pensato a entrambi contemporaneamente, ma dal nostro punto di vista l’ordine logico doveva essere diverso. I tempi oggi non sono sicuramente tempi brevi per migliorare le condizioni in Libia. Per quanto abbiano chiesto la mobilitazione dell’Unhcr e dell’Oim, oggi anche se aumentassimo le risorse non avremmo garanzia di poter ottenere condizioni accettabili per i migranti in Libia.
Però certamente prima di un anno fa non era possibile mettere piede in Libia. Il fatto che siete presenti lì è anche frutto delle diplomazie internazionali che hanno dato vita al governo al Serraj e stanno muovendo passi per la stabilizzazione del paese. O no?
Capiamo che i tempi della stabilizzazione sono medio-lunghi ma l’efficienza e la velocità  con cui si è cercato di sigillare la rotta nel Mediterraneo centrale confligge con questo argomento. Non contestiamo che la situazione sia complessa, contestiamo il fatto che siano state respinte delle persone senza curarsi di dove andavano a stare e in quali condizioni. Insomma: per togliere le persone dalla pioggia, le abbiamo messe al coperto, ma la casa è incendiata. Forse andava spento l’incendio prima, altrimenti non le salvi. Ecco la Libia è esattamente questo. È una questione di politiche e di priorità .
Avete una stima di quanti centri di detenzione ci siano in Libia?
Difficile farla. I dati parlano di una 40ina di centri sotto il dipartimento libico per il contrasto dell’immigrazione clandestina. Ma nessuno sa quanti centri siano gestiti dalle milizie, magari al confine sud del paese. Noi siamo a Tripoli e Misuraca da circa un anno. Da gennaio scorso ad oggi abbiamo operato in circa 16 centri di detenzione, attualmente svolgiamo interventi con team medici in condizioni molto, molto difficili.

(da “Huffingtonpost“)

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LIBIA, 200 DOLLARI PER IMBARCARSI, VIAGGIA GRATIS CHI PORTA CON SE’ ALMENO 4 PERSONE

Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile

UN BUSINESS DA 35 MILIARDI DI DOLLARI… L’ANALISI DEL LISTINO PREZZI

Trentacinque miliardi di dollari l’anno. Per giro d’affari, il traffico di persone è dietro solo a quello di armi e droghe.
Di certo una parte notevole di questi proventi è generata in Africa. Dalla Nigeria, ai paesi della costa occidentale, passando per la striscia del Sahel, fino alla regione del Corno d’Africa: i sogni di fuga di centinaia di migliaia di persone incontrano i “servizi” offerti dai trafficanti.
Poi c’è la rotta del Mediterraneo Centrale, attraverso la quale sono sbarcati in Italia circa 600000 migranti dal 2014.
L’industria è dunque potente, organizzata, e ramificata. Per combatterla è utile studiarne i meccanismi di funzionamento interni.
Per esempio, le dinamiche dei prezzi, cioè le somme chieste dai trafficanti per il viaggio, oltre al luogo e la tempistica con cui i pagamenti sono effettuati. Informazioni potenzialmente decisive per anticipare le rotte e l’intensità  dei flussi migratori.
Quanto costa quindi spostarsi dall’Eritrea al Sudan, e risalire il deserto fino alla Libia? Qual è il prezzo, invece, partendo dal Niger?
E, soprattutto, quanto chiedono gli scafisti per la traversata verso l’Italia?
Alcuni ricercatori della Global Initiative Against Transnational Organized Crime hanno raccolto questo tipo di dati, intervistando migranti e trafficanti in Africa sub-sahariana, Sahel e Nord Africa.
Fino alla fine del 2013, la traversata dalle coste libiche era molto costosa.
I siriani potevano pagare anche più di 2000 euro, con una media che si aggirava tra i 1000 e i 1500 euro testa.
Poi si è assistito a un calo per almeno due motivi. Torture, rapimenti e lavori forzati hanno dissuaso i siriani dall’avventurarsi in Libia, lasciando gli africani (disposti a pagare molto meno) come “passeggeri” principali.
Allo stesso tempo, i trafficanti si sono accorti di poter abbattere i costi delle loro operazioni.
Progressivamente, hanno smesso di tentare vere e proprie traversate in direzione dell’Italia. L’industria si è trasformata così in un business di economie di scale, dove profitti enormi si realizzano contenendo i costi e stipando 100-150 persone in gommoni costruiti per ospitarne 60.
Oggi, secondo le testimonianze raccolte dalla Global Initiative Against Transnational Organized Crime, partire dalla Libia costa al massimo 200 dollari, e sale a bordo gratis chi porta con sè almeno quattro persone (paganti).
D’inverno, in condizioni meteo più sfavorevoli, bastano 40-80 dollari a testa.
Una volta consolidato, questo modello risulta difficile da scalfire.
Per esempio, a fine 2014, quando Triton ha sostituito Mare Nostrum con un’ area di soccorsi più limitata, le partenze dalla Libia non sono diminuite, e un numero altissimo di persone è annegato in mare.
Protetti dalle milizie, e con una domanda in continua crescita, gli scafisti dominano il mercato e hanno pochi incentivi a migliorare la qualità  dei loro servizi.
L’altra rotta di particolare rilevanza è quella che attraversa il Niger, controllata dalla tribù nomade dei Tebu (che ha avuto la meglio sui Tuareg), e percorsa perlopiù da cittadini dell’Africa occidentale.
Il centro di smistamento più importante, fino alla fine del 2016, era la città  di Agadez, nel nord del paese.   Tutti i lunedì almeno cento pick-up con a bordo 25-35 migranti partivano per la Libia. Quattro giorni nel deserto fino a Sebha, nella Libia centrale; il prezzo per un passaggio si aggirava tra i 200 e i 400 dollari a testa.
Agadez oggi è una città  fantasma rispetto all’anno scorso. Si è svuotata dopo la stretta sui traffici chiesta dall’Unione Europea al governo nigerino.
Sembra però che si stiano aprendo nuove rotte a ovest, attraverso l’Algeria, e a est verso l’Egitto. Certamente più pericolose (oltrechè costose), come dimostrano i cadaveri ritrovati sempre più spesso nel deserto.
Nel Corno d’Africa, il punto nevralgico per lo spostamento dei migranti è Karthum, capitale del Sudan.
Per arrivarci dall’Eritrea, uno dei regimi più autoritari del Continente, si paga tra i 3.000 e i 5.000 dollari. Più economico invece dalla Somalia, perchè i controlli alle frontiere sono meno severi.
Da lì, la prassi era muoversi verso l’Egitto. Oggi però il viaggio è diventato molto più costoso (3.000-5000 dollari).
Su pressione politica dell’Unione Europea, l’esercito sudanese ha sigillato i confini settentrionali, assoldando milizie arabe di etnia Janjaweed, tanto spietate quanto efficaci.
In alternativa, sembra aver preso piede la pista libica, con i prezzi scesi ai minimi grazie all’intraprendenza di gruppi nomadi che cercano di dirottare verso occidente quei migranti prima destinati all’Egitto.
Per spostarsi da Khartum fino alle coste della Libia si paga oggi appena 1000 dollari. Una delle ultime, e davvero pericolose, tendenze si sta manifestando invece in Somalia.
Qui ai migranti, spesso reclutati nei campi profughi, viene offerto di posticipare il pagamento alla conclusione del loro viaggio.
Indebitandosi, però, finiscono soggetti a forme estreme di abusi e sfruttamenti, tra cui lunghi periodi di lavoro forzato una volta giunti a destinazione.

(da “La Stampa”)

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STRASBURGO BACCHETTA L’ITALIA: “CARCERI ITALIANE SOVRAFFOLLATE, TROPPI MALTRATTAMENTI”

Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile

LE AUTORITA’ ITALIANE INVITATE A RICHIAMARE FORMALMENTE LE FORZE DELL’ORDINE

“Le carceri italiane sono ancora troppo sovraffollate”. A bacchettare il nostro Paese, da Strasburgo, è il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa.
Nel rapporto sull’Italia stilato dopo i sopralluoghi dell’aprile del 2016, si spiega che “il problema non è stato risolto perchè molti istituti di pena operano ancora al di sopra dell proprie capacità “.
Nel documento il Cpt ribadisce anche che l’Italia deve rispettare gli standard che il comitato ha fissato per lo spazio che ogni detenuto deve avere a sua disposizione in cella: 6 metri per due di spazio vitale, esclusi i sanitari, in cella singola, e 4 metri per due in una cella condivisa con altri detenuti.
Dopo la condanna del 2013 della Corte di Strasburgo, il Comitato segnala tuttavia che nel primi 6 mesi del 2016 la popolazione carceraria è aumentata da 52.164 a 54.072 detenuti, e che questo aumento non si è arrestato.
La preoccupazione cresce perchè, secondo il governo italiano, al 26 marzo 2017 sono state 56.181 le persone in carcere.
Le autorità  italiane hanno spiegato che stanno prendendo misure al riguardo. Una è quella di permettere ai detenuti stranieri di scontare la pena nei loro paesi, l’altra è di ricorrere con maggiore frequenza alle misure alternative alla detenzione.
Si denunciano, inoltre, numerosi casi di maltrattamenti.
Il Comitato ha espresso preoccupazione “per le accuse di maltrattamenti fisici inflitti a persone private della libertà  dalle forze dell’ordine o detenute in carcere”.
Nel testo si specifica che “le persone in custodia non sempre godono delle garanzie previste dalla legge”.
Le autorità  italiane sono dunque state invitate a fare “una comunicazione formale alle forze dell’ordine, ricordando loro che i diritti delle persone in loro custodia devono essere rispettati e che il maltrattamento di tali persone sarà  perseguito e sanzionato di conseguenza”.
Il rapporto cita come casi di maltrattamenti rilevati “pugni, calci e colpi con manganelli al momento del fermo (e dopo che la persona era stata messa sotto controllo) e, in alcune occasioni, durante la custodia”.
E si tratta di un fenomeno da arginare perchè “se l’emergere di informazioni che indicano maltrattamenti non è seguita da risposta pronta ed efficace, coloro che sono propensi a maltrattare crederanno di poterlo fare senza essere puniti”.
Tra le associazioni che si occupano dei diritti dei detenuti, Antigone auspica la ripresa del percorso della riforma del sistema carcerario italiano.
“Il rapporto del Consiglio d’Europa – ha detto il presidente Patrizio Gonnella – offre un quadro preoccupante. Ad agosto il numero dei detenuti ha superato le 57mila unità . Su alcuni punti – ha proseguito – si deve intervenire attraverso la ripresa delle riforme, partendo da quella dell’ordinamento penitenziario il cui lavoro è ora in mano ad alcune commissioni di esperti, nominate dal ministro della Giustizia, con le quali abbiamo voluto dialogare attraverso venti nostre proposte che vanno dall’isolamento, alla formazione dello staff penitenziario, dalla salute ai diritti delle persone detenute”.
Ma ci sono anche degli aspetti positivi. Antigone sottolinea come il rapporto metta in evidenza alcuni elementi positivi, tra cui il regime della sorveglianza dinamica (che si applica ormai in molte carceri nei reparti di media sicurezza) e la nomina del Garante Nazionale delle persone private della Libertà  personale.
Anche la riforma della sanità  con il passaggio alle Asl è vista con favore dagli esperti del Comitato. Infine è stato apprezzato il miglioramento della condizione degli detenuti dopo il passaggio dagli opg alle rems.

(da agenzie)

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CARLO FRECCERO E IL M5S “NORMALIZZATO”

Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile

“DOVEVANO COMBATTERE LOBBY E POTERI FORTI E SONO FINITI CON DI MAIO A CERNOBBIO…”

Carlo Freccero, consigliere di amministrazione della RAI su proposta del MoVimento 5 Stelle, in un’intervista al Fatto Quotidiano   parla dell’anniversario del V-Day e dei cambiamenti del M5S:
“Diciamo che quella piazza oggi non sarebbe più possibile. I giornali e le tv ormai hanno re-indirizzato quella rabbia contro i migranti e i poveri, ovvero dei falsi obiettivi, favorendo un guerra tra ultimi e l’ascesa dell’estrema destra. È stato un lavoro profondo, che sta producendo i suoi effetti.
È un processo che ha influenzato anche il Movimento e sulla sua presunta svolta a destra?
Assolutamente sì.
Si può dire che comunque il M5S sia partito dalla piazza di Bologna. Ma in questi anni ha seminato qualcosa?
I Cinque Stelle sono stati molti bravi a coagulare quel sentimento di insoddisfazione ben visibile al V-Day. Gli hanno dato concretezza e visibilità . E poi in questi anni hanno svolto un ottimo lavoro di opposizione. Hanno studiato con attenzione i dossier, e hanno preso coscienza del reale consultando anche fonti fuori del mainstream, non limitandosi a quello che scrivevano i giornali. In più, hanno promosso una reale contro-informazione, innanzitutto sul web. Però poi c’è l’aspetto negativo.
Ossia?
Con la crescita dei consensi, hanno avuto la tendenza a diventare maggioranza. E questo li ha portati a normalizzarsi
Un problema
Pare quasi inevitabile, dopo che entri in Parlamento. E a me pare un nodo centrale: non è proprio possibile fare politica e puntare al governo rimanendo diversi?
Freccero spiega che a Cernobbio il M5S ha dimostrato di non aver più tanta voglia di combattere i poteri forti
I Cinque Stelle sono diventati come gli altri?
Io dico che mi ha colpito vedere Di Maio al Forum Ambrosetti di Cernobbio, dieci anni esatti dopo quel V-Day. Gianroberto Casaleggio vagheggiava un futuro diverso, mentre Di Maio e i 5Stelle sembrano accettare il presente e realtà  come le lobby. Il Movimento pare stanco.
Si potrebbe obiettare che un candidato premier in pectore deve parlare con gli imprenditori. E poi anche Casaleggio senior andò a Cernobbio.
Casaleggio, che al tempo stava già  male (settembre 2014, ndr), ci andò come “l’altro”, con i suoi capelli spettinati, a parlare proprio di futuro. Mostrava una differenza. E soprattutto, non si lasciò contaminare. Invece Di Maio si è seduto al tavolo con Salvini e ha dato l’esame, vestito di tutto punto, azzimato. Un’immagine che rappresenta molto bene la mutazione dei Cinque Stelle. Prima avevano sempre combattuto lobby e poteri forti. E ora invece…”

(da “Huffingtonpost”)

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INTERVISTA AD ANGELA MERKEL: “NON CREDO AL REDDITO DI CITTADINANZA, IL NOSTRO OBIETTIVO E’ GARANTIRE UN LAVORO A TUTTI”

Settembre 8th, 2017 Riccardo Fucile

“NELL’ERA DIGITALE CAMBIERA’ IL TIPO DI LAVORO, NON IL NUMERO DEGLI OCCUPATI”…”IN GERMANIA QUATTRO MILIONI DI MUSULMANI CONTRIBUISCONO ALLA PROSPERITA’ DELLA NOSTRA NAZIONE”

“Non credo nel reddito di cittadinanza”. Lo ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel in un’intervista esclusiva all’HuffPost e Focus Online, in cui delinea le sfide che la Germania dovrà  affrontare nei prossimi mesi.
In vista delle elezioni federali che si terranno il 24 settembre, la cancelliera parla quindi della necessità  di adeguare il lavoro alle “necessità  attuali”: Merkel esclude che nell’era digitale i posti di lavoro debbano giocoforza diminuire ma, anzi, “ci saranno più lavori legati alla programmazione”.
E per questo sottolinea l’importanza delle scuole nel processo di alfabetizzazione digitale dei giovani.
Quanto al fenomeno migratorio, la cancelliera afferma che “anche i migranti contribuiscono alla nostra prosperità  e aiutano a plasmare la nostra società “, fermi restando i valori sanciti dalla Costituzione tedesca.
A proposito, Merkel si dice soddisfatta per la creazione di posizioni nel mondo del volontariato nell’accoglienza dei rifiugiati, “ne abbiamo create di ulteriori anche per i rifugiati stessi, e mi piacerebbe conservarle”.
Come sarà  la Germania nel 2030? Su quali obiettivi state lavorando?
L’obiettivo del mio lavoro è far sì che la Germania continui ad essere un paese forte e affermato in un arco di tempo che va dai dieci ai quindi anni; un paese che offra un’adeguata occupazione ad un numero maggiore di persone, e che sia socialmente equo.
Come intende raggiungere questo risultato?
Dobbiamo formare i lavoratori qualificati necessari o permettere a queste risorse di lavorare in Germania attraverso una legge mirata sul lavoro qualificato degli immigrati. La Germania cambierà  grazie alla digitalizzazione. Spero che avremo una rete gigabyte nazionale entro il 2030 che, tra le altre cose, sarà  un prerequisito importante per espandere la presenza di auto a guida autonoma sulle strade. Assisteremo alla nascita di nuovi concept soprattutto nell’area della mobilità  — in particolare nelle zone urbane, ma anche in quelle rurali.
Le aree rurali e soprattutto l’agricoltura devono contare su network digitali efficienti per poter operare in un modo redditizio e attento all’ambiente, in futuro. Ci assicureremo che i cittadini siano in grado di usufruire di quasi tutti i servizi statali attraverso portali digitali dedicati. Tutti i cittadini avranno un account che specifica con precisione chi ha accesso a questi dati. La trasparenza e la protezione dei dati avranno un ruolo importante in questo senso. Il progresso digitale, anche nel sistema sanitario, può portare cambiamenti positivi e rilevanti. Nel frattempo, la telemedicina diventare di granlunga più importante, specie nelle aree rurali.
Dove intravede del potenziale futuro per le aziende tedesche e per l’economia della Germania?
Tra dieci anni, le persone non saranno solo connesse ai loro smartphone come adesso, ma — per dirla con termini semplici — anche alle cose. I produttori comunicheranno con i loro prodotti, per così dire; ciascuna vite di ogni macchina sarà , per la durata del suo ciclo di vita, sempre connessa alla produzione che l’ha originata. Le riparazioni e la manutenzione saranno condotte in maniera molto diversa. Già  oggi lo stiamo vedendo. L’intero settore dell’intelligenza artificiale rivestirà  un ruolo cardine. Ecco perchè è importante continuare a dare man forte agli istituti di ricerca come la Max Planck Society e organizzazioni simili.
Le sembra che il mondo aziendale sia troppo legato alla vecchia economia e che la transizione al mondo digitale non abbia ancora raggiunto il livello di altre nazioni?
Siamo già  posizionati piuttosto bene in quella che è nota come Industria 4.0 e impegnati a standardizzare il cosiddetto internet delle cose. Questo non vale solo per le aziende più importanti, ma anche per le piccole e medie imprese. Anche il settore dell’artigianato ha accolto la digitalizzazione rapidamente. Quando ci sono in ballo digitalizzazione e processi di produzione non temo per il prestigio della nostra economia.
Dove intravede lo spazio per il miglioramento dunque?
Dobbiamo recuperare rispetto alle relazioni tra aziende e clienti. Sono sempre più numerosi i fornitori online asiatici e americani che vogliono mettere le mani sui prodotti locali. Dall’altra parte di questa equazione vi sono i fornitori di questi prodotti in Germania, che devono imparare a rendere più personali le loro relazioni con i clienti. Se controlliamo questa interfaccia in cui produttore e consumatore s’incontrano, se gli altri non dominano le vendite con la loro offerta digitale, allora eviteremo di diventare un “banco di lavoro” ampliato. Dobbiamo sicuramente riuscire in questo.
Un cambiamento fondamentale è previsto per maggio dell’anno prossimo con la Direttiva sull’ePrivacy. La Direttiva renderà  impossibile tracciare qualcuno attraverso i normali cookies. Significa che si renderà  necessario un singolo accesso login, e il problema in questo paese e che Google, Facebook e Amazon hanno molti più dati. Come intende impedire a Google, Facebook e Amazon di montarsi la testa?
Dobbiamo assicurare un giusto accesso ai dati, anche per i fornitori più piccoli. Questo influisce sulle priorità  da stabilire, vedi la questione su dove emerge e dove avviene il contatto con i clienti. È importanti assicurare che non tutto sia automaticamente orientato verso i fornitori maggiori.
La Direttiva getta una luce ancora più importante in questo contesto. In parole povere, dobbiamo assicuraci che anche i piccoli fornitori siano in grado di raggiungere i clienti.
Non è semplice perchè, senza conoscere gli algoritmi nel dettaglio, dobbiamo garantire che questi algoritmi offrano le stesse opportunità  a tutti. Abbiamo visto, ad esempio, come Facebook cambi costantemente i suoi algoritmi così che tu non sappia mai cosa ti offriranno. Se si accede a questa piattaforma sporadicamente, i cambiamenti risultano piuttosto significativi…
C’è lo stream privato che viene personalizzato in modo tale da mostrare solo quello che combacia con gli interessi dell’utente.
È vero. Ed è proprio questo che dobbiamo tenere d’occhio perchè limita la diversità  di opinione, ovviamente. Siamo estremamente limitati quando vediamo solo quello che probabilmente ci piace.
E questo ha un enorme impatto sulla società  nel suo insieme.
Ovviamente. Il modo in cui all’interno della società  si formano le opinioni cambia, se siamo al corrente solo di informazioni parziali e quando manca una base condivisa di conoscenze e fatti sui quali basiamo le nostre opinione.
Ha menzionato le aziende più piccole. Come può assicurarsi che non siano estromesse dal mercato fin dall’inizio per mancanza di forza economica?
In primo luogo, è molto importante connettere le aree rurali ad internet a banda larga. In secondo luogo, dobbiamo stabilire degli standard. Il governo federale ha aperto la piattaforma Industrie 4.0 soprattutto per le piccole e medie imprese, per aiutarle a distinguersi nell’internet delle cose.
Ma non pensa che si dovrebbe tenere conto anche delle agevolazioni fiscali?
Di recente abbiamo adottato agevolazioni fiscali per le start-up, che devono avere lo spazio per crescere. Inoltre, vogliamo rendere deducibili le spese per la ricerca.
Ha appena menzionato l’accesso a internet ad alta velocità . State portando avanti un confronto con Deutsche Telekom su come continuare a portare avanti la rete a fibra ottica? Molte aree sono ancora servite con i cavi di rame.
Sì. Da un lato, abbiamo dato una spinta significativa al cosiddetto vectoring per raggiungere l’obiettivo di 50Mbit al secondo. Quando lavoriamo nel campo dei gigabit, dobbiamo prima affidarci ad una rete a banda larga di base, in fibra ottica o rame.
Questo può essere integrato con lo standard 5G per una maggiore efficienza. Abbiano stabilito un’alleanza di rete. Ovviamente, stiamo lavorando per assicurare che tutti siano in grado di godere delle stesse condizioni d’investimento. Intendiamo mettere all’asta ulteriori domini di frequenza. Inoltre, è possibile migliorari i servizi a fibra ottica nelle zone rurali o offrire una copertura di rete mobile ad alte prestazioni in queste regioni.
Ha appena detto che ci sarà  un impatto sul mondo del lavoro. È giusto immaginare che alcune tipologie di lavoro scompariranno. Come possiamo assicurarci che le persone il cui lavoro diventerà  obsoleto non restino indietro? Non è il momento di pensare a un reddito di cittadinanza?
Non credo nel reddito minimo universale. Sono convinta che riusciremo a conformare le carriere alle necessità  attuali. Il numero di lavoratori non dovrà  calare per forza, ma a cambiare sarà  il tipo di lavoro svolto. Ci saranno più lavori legati alla programmazione, allo sviluppo di applicazioni, nel servizio clienti eccetera. Dobbiamo muoverci per tempo e creare i giusti programmi di formazione professionale. È necessario anche dire a bambini e giovani dove si trovano le opportunità  professionali. Ed assicurarci che le scuole siano adeguatamente preparate a formare i ragazzi per la vita dopo la scuola. Il Governo Federale contribuirà  a rendere disponibili i moderni curricula tramite e-Cloud, a cui tutti avranno accesso. Questo, credo, sarà  un punto focale della nostra politica in materia di istruzione per i prossimi quattro anni.
Alla luce di quanto ha detto, i metodi d’insegnamento standard, quelli che conosciamo da anni, dovrebbero essere mantenuti, o anche le scuole necessiteranno di un cambiamento?
Le scuole dovranno cambiare, e questo cambiamento è già  in corso in molti istituti. Naturalmente, cambierà  quello che gli alunni imparano e come lo imparano. Lettura, scrittura e aritmetica resteranno fondamentali, ma saranno insegnate anche competenze di programmazione di base. Dovremo promuovere l’alfabetizzazione digitale, così che gli alunni possano trarre il meglio dalla rivoluzione digitale, e sapere come gestire responsabilmente i loro dati e quelli altrui.
Per quanto tempo possiamo consentire che l’istruzione resti una responsabilità  degli stati federali — i cui standard variano enormemente in alcuni casi?
Capisco che molti genitori non vogliono più ascoltare dibattiti su chi dovrebbe essere responsabile dell’istruzione. Sono molto più preoccupati per il fatto che le scuole sono male organizzate, o addirittura senza accesso a internet. Ma le responsabilità  devono essere definite attentamente e il Governo Federale crede in una condivisione di responsabilità . Ecco perchè abbiamo emendato la Costituzione, affinchè le scuole siano rifornite e modernizzate. Chiuderemo anche un accordo sull’educazione digitale con gli stati federati, per garantire assistenza alle scuole in alcune aree.
Non abbiamo bisogno di insegnanti più qualificati, o più giovani, per far sì che l’alfabetizzazione digitale sia insegnata ai nativi digitali?
Dobbiamo dare agli insegnanti migliori opzioni di formazione. Sono certa che molti di loro sono motivati. Hanno bisogno di tempo per partecipare ad ulteriori programmi di formazione.
L’interesse verso chiese, unioni e associazioni sta scemando. Stiamo andando verso una società  fatta di individui ripiegati su se stessi, addirittura egocentrici?
La rivoluzione digitale pone delle sfide anche in questo senso. Chiunque può trovare velocemente una tribù di individui affini con cui interagire, anche senza conoscerli di persona.
Ma vale la pena vivere in società  solo se c’incotriamo sul serio e ci sosteniamo l’un l’altro. M’incoraggia molto il fatto che, su 82 milioni di persone, più di 30 scelgano di essere volontari. È una cosa che intendiamo promuovere, ad esempio supportando il Servizio Volontario Federale, che ogni hanno conta più candidati che posti disponibili. Abbiamo creato anche ulteriori posizioni per chi lavora con i rifugiati ed anche per i rifugiati stessi, e mi piacerebbe conservarle. È un buon segno, dopo tutto, che così tanti giovani siano disposti ad offrire il loro tempo per aiutare gli altri.
Crede, come noi, che integrare le persone con una storia d’immigrazione alle spalle sarà  la sfida più grande della nostra società , negli anni a venire?
Mi permetta di dirla diversamente: credo che la nostra sfida più grande sia mantenere salda la coesione sociale nell’era digitale. Parte di questo compito è integrare le persone nella società . Molti, soprattutto giovani, sono già  totalmente coinvolti nella rivoluzione digitale, concependola come qualcosa di stimolante, edificante, che porta con sè tante cose da scoprire e utilizzare, e che è anche divertente. Altri temono che il loro lavoro scomparirà . Naturamente, aumenteranno le carriere che richiedono un know-how più ampio. Ecco perchè l’istruzione deve essere potenziata globalmente — senza rendere tutti degli accademici. Invece, dobbiamo potenziare i corsi di formazione professionale e assicurarci che soddisfino le esigenze del lavoro nell’era digitale. Di certo, dobbiamo fare di più per integrare migranti e rifugiati nella forza lavoro. Al contempo, tuttavia, dobbiamo aiutare le persone che provengono da famiglie meno istruite. Nei prossimi quattro anni, intendo dedicare un’attenzione speciale ai disoccupati a lungo termine. Una priorità  del prossimo mandato legislativo sarà  aiutarli ulteriormente a trovare un’occupazione e rientrare nel mondo del lavoro.
In termini d’integrazione quali saranno gli obiettivi da raggiungere entro il 2030, considerando che, oggi, gli immigrati corrono il rischio maggiore di cadere in povertà ?
Abbiamo fatto dei progressi. All’inizio del mio primo mandato come Cancelliera, ho creato la carica di Commissario per l’immigrazione, i rifugiati e l’integrazione alla Cancelleria Federale, per richiamare l’attenzione su questo problema.
Il nostro report periodico sull’integrazione mostra i progressi che sono stati fatti, ad esempio per quanto riguarda la percentuale di bambini che conseguono certificati scolastici.
Tuttavia, c’è ancora molto da fare. C’è ancora un divario significativo tra i giovani che hanno una storia d’immigrazione e i giovani che non ce l’hanno. Almeno oggi la generazione di giovanissimi ha maggiori opportunità  per far parte della società  grazie al diritto al posto negli asili nido.
Col numero crescente di migranti nel paese, molti sono preoccupati e chiedono come sarà  la nostra società  nel 2030. La Germania manterrà  la sua cultura prevalentemente giudeo-cristiana, cioe occidentale?
Il nostro paese resterà  profondamente radicato (e guidato da) in questa cultura. Allo stesso tempo, quattro milioni di musulmani vivono in Germania. Anche loro contribuiscono alla nostra prosperità  e anche loro fanno parte della Germania e aiutano a plasmare la nostra società . I valori e le regole racchiusi nella Costituzione valgono per tutti, senza eccezioni. Non sono soltanto messi nero su bianco, ma formano la base della nostra coesistenza.
Quindi continueremo ad avere la domenica libera — e non il venerdì?
Certamente.

(da “Huffingtonpost”)

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