Destra di Popolo.net

STRADE SICURE: E LA SALUTE DEI MILITARI? LETTERA APERTA AL MINISTRO TRENTA

Luglio 27th, 2018 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA DI 150 MILITARI SULLE CONDIZIONI ALLUCINANTI IN CUI SONO COSTRETTI AD OPERARE PER FARE UNO SPOT AL GOVERNO… LA SEDICENTE DESTRA SOVRANISTA TACE, NOI NO

Gentile Ministro Elisabetta Trenta,
quando si è diffusa la notizia dei 150 militari impegnati nella missione “Strade sicure” che hanno chiesto di rimodulare le consegne e le condizioni di svolgimento del servizio, sono stato contattato da diversi giovani, donne e uomini, che mi hanno raccontato la rispettiva esperienza.
Inizia così una lettera aperta che l’avvocato dei 150 soldati impegnati nell’operazione “Strade Sicure”, Giorgio Carta, scrive al ministro della Difesa.
A sentire i loro racconti, sorge il sospetto che la collettività  non tenga in sufficiente conto i disagi ed i pericoli per la salute di questi ragazzi che siamo da tempo abituati a vedere schierati nelle nostre strade e che ci danno una benefica sensazione di sicurezza già  solo con la loro presenza.
Confidando nella buona impressione che lei umanamente suscita, mi chiedo se la posizione di vertice al ministero della difesa le consenta di conoscere appieno i problemi concreti ed i disagi della truppa. Sono disagi che, da lungo tempo, io constato quotidianamente nei tribunali militari, allorchè vedo padri di famiglia processati, per esempio, solo per essersi seduti sul mezzo per ripararsi dal freddo e, se non ancora in servizio permanente, addirittura posti in congedo dopo la condanna.
A tal fine, voglio riportarle due testimonianze pervenutemi oggi via email. Per spirito collaborativo, non per polemica, sia chiaro, ma vorrei che le leggesse anche lei per farsi un’idea sulle possibilità  di migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini in uniforme, ovviamente una volta fatti i dovuti accertamenti sui fatti da loro narrati.
Un ragazzo mi ha scritto: «Siamo di stanza temporanea a (…), dunque impiegati nell’operazione ormai conosciutissima “Strade Sicure”. Voglio metterla al corrente delle condizioni in cui lavoriamo: mi riferisco particolarmente alle condizioni alloggiative al limite della decenza, camere affollate da 6 persone, senza adeguati arredi per sistemare il vestiario, bagni fatiscenti da condividere con almeno un complesso, quindi circa 100 persone, sistemati in una caserma (…) che rasenta il limite dell’agibilità . Voglio passare ora alle condizioni di servizio al limite della resistenza del militare stesso: mi riferisco a gap, compresi di piastre antiframmentazione inadeguate in ambito nazionale, oltre a taglie spropositate per la nostra statura, maschere nbc obbligati a portarle al seguito nonostante scadute e quindi non utilizzabili in ambito operativo, nel nostro caso a cappelli (…) usati a temperature elevate senza potersi proteggere dal sole e mezzi che non supererebbero alcuna revisione in ambito civile, riposi sistematicamente non garantiti in quanto sottorganico. Come ultimo punto voglio presentare anche l’aspetto economico, non per quanto riguarda l’onere, stabilito da legge, ma per il fatto che ci viene retribuito in tempi biblici aspettando anche 6 mesi per vedere il nostro compenso».
Una ragazza mi ha invece scritto: «Oggi abbiamo un po’ tutti letto la novità  sul servizio. Così ci hanno ripagato: sui siti fissi oltre ad indossare il completo armamento di 20 kg o poco più, dobbiamo aggiungere la maschera sul fianco libero, così da rendere più pesante il servizio delle 6 ore in piedi sotto il sole cocente.
Mentre nelle pattuglie dinamiche con il mezzo dobbiamo tener indossato il combat jacket e solo in questo caso ci hanno agevolato nel non mettere il gap quando scendiamo dal mezzo per controllare i punti sensibili (che prevede circa una sosta di 10-15 min). Spero che riuscirete a dare una svolta a questo servizio. Io parlo per me ma siamo tutti nelle stesse condizioni. I gap non sono delle misure giuste quindi fanno molto male. Ho la schiena distrutta, il gap sul cinturone comprime sia l’osso sacro che le ovaie, le varici sulle gambe stanno prendendo il sopravvento, sembrano quasi dei tatuaggi… Ci stanno distruggendo… Ma io mi chiedo a quale scopo? Sì che dobbiamo fare deterrenza ma non possiamo distruggere il nostro fisico così. Non ci mettono nella condizione di prestare con serenità  il nostro servizio».
Tanto premesso, signora Ministro, le rivolgo una proposta indecente: vuole incontrare — direttamente e senza la consueta presenza di superiori che potrebbe inibire il dialogo — alcuni militari di truppa impegnati nella missione “Strade sicure”, per farsi raccontare in quali condizioni riferiscono di essere impiegati?
Se è d’accordo, sarei ben lieto di portargliene qualcuno direttamente in via XX settembre, con la garanzia che il contenuto dell’incontro resterebbe riservato, se lo desidera, e sarebbe liberamente da lei valutato ai fini un suo eventuale interessamento sulla vicenda.
È una proposta che, sia chiaro, mi sento di fare solo ad un Ministro che ispira fiducia già  solo col suo aspetto rassicurante e che confido potrebbe accettarla con sincero interesse.
Ci pensi: sarebbe un’ottima occasione per dimostrare a tutti che la classe politica è davvero cambiata e che ha davvero a cuore le condizioni degli operai con le stellette.
Anticipatamente grazie per la risposta, anche riservata, che vorrà  darmi.

avv. Giorgio Carta
(da “GrNet.it – Sicurezza e Difesa“)

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TAV O TAP, NORD O SUD, GRILLINI IN CONFUSIONE: PER BLOCCARE L’OPERA MANCANO I NUMERI IN AULA E NEI CONTI PUBBLICI

Luglio 27th, 2018 Riccardo Fucile

LO STOP NON CI SARA’ PERCHE’ NON HANNO LE PALLE DI RISCHIARE DI FAR SALTARE L’ALLEANZA CON LA LEGA… PIU’ FACILE TRADIRE GLI ELETTORI CHE RISCHIARE LE POLTRONE

Tav o Tap? Chi va giù dalla torre: il nord o il sud? I voti presi sulla promessa di bloccare la Torino-Lione o quelli incassati con l’impegno di campagna elettorale di abbandonare il progetto del gasdotto a Melendugno nel Salento?
I vertici del M5s al governo hanno capito che dovranno scegliere: non potranno ottenere entrambi gli stop.
E mentre sul Tap ormai da giorni cominciano a prendere contromisure per preparare l’elettorato a digerire l’amaro boccone, sulla Tav fanno fatica, agitano qualche residua speranza.
Anche se, a sentire i leghisti al massimo potranno ottenere un ridimensionamento dell’opera per risparmiare. Stop.
Per il resto, non c’è una maggioranza in Parlamento. E per bloccare la Torino-Lione servono i numeri: in aula e anche in legge di stabilità . Una vera clava per un Movimento eletto anche per le sue bandiere No Tav e No Tap, con Beppe Grillo che anche oggi sul suo blog insiste sulle ragioni del no.
Oggi da Palazzo Chigi prendono tempo. Di Tav non si è mai parlato con l’alleato leghista, dicono dallo staff del premier Giuseppe Conte.
Il dossier è ancora in fase istruttoria sul tavolo del ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli: nessuna decisione è stata ancora presa e soprattutto non ci sono state valutazioni al riguardo. Si deciderà  in autunno, appunto, quando finirà  l’analisi costi e benefici
Le grandi opere sono il primo tornante di questa inedita alleanza gialloverde. Una delle prove da superare in autunno, che si aggiunge alla difficile mission di far quadrare i conti pubblici con una legge di stabilità  che si vuole imbottire con il reddito di cittadinanza, la flat tax e anche gli incentivi del decreto dignità  per la trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato.
Il vicepremier Luigi Di Maio li ha quantificati in “300milioni di euro l’anno”.
Per non parlare del fatto che dire no alla Tav comporterà  comunque un impegno di spesa: 2 miliardi di euro in caso di rescissione dei contratti, dicono dall’osservatorio di governo sulla Torino-Lione istituito nel 2006 dal governo Berlusconi III.
E poi le spese per rimettere a posto le cose come erano prima che iniziassero i lavori
Il diritto dei trattati è regolato dalla Convenzione di Vienna.
Adottata nel 1969, è a questa che ci si deve rifare nel caso in cui l’Italia decida di fermare la Torino-Lione, per la cui realizzazione Italia e Francia hanno sottoscritto quattro accordi internazionali (1996, 2001, 2012 e 2015).
L’ultimo, quello del 2015, è stato integrato con il Protocollo addizionale del 2016. Il via libera ai lavori definitivo è arrivato, tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, quando i Parlamenti italiano e francese hanno ratificato l’accordo.
Dunque, anche un eventuale stop deve passare dal Parlamento. E lì i numeri non ci sono: Pd, Forza Italia e Lega non vogliono bloccare l’opera, votata in via definitiva in Senato nel 2014 (governo Renzi) tra le proteste dei cinquestelle e dei pochi parlamentari di sinistra.
Ma anche se ci fossero i numeri in aula, sarebbe complicato trovare una forma giuridica a qualcosa che non è mai successo prima: la rescissione di un trattato internazionale per atto unilaterale di uno dei contraenti, lo Stato italiano in questo caso.
Complicato far quadrare le promesse elettorali con la realtà . Sul Tap, per dire, il governo si sta già  preparando a dire sì. Lo confermano le reticenze del ministro per il Sud Barbara Lezzi, nella recente visita in Puglia con tanto di scontro verbale con il governatore Michele Emiliano.
E martedì scorso, ci ha pensato il Fatto Quotidiano, organo molto vicino alla parte pentastellata del governo, a cominciare a preparare l’elettorato con una pagina tutta dedicata al gasdotto di Melendugno: “Gli ostacoli per bloccare il Tap: geopolitica, contenzioso, Trattati”.
Qualche giorno prima, il presidente Sergio Mattarella in visita in Azerbaijan con il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi aveva rassicurato le autorità  azere sulla realizzazione dell’opera.
Se in Puglia non si può, forse si può in Piemonte, dove il movimento No Tav è da sempre meglio organizzato dei No Tap.
Basta andare su google: con Tav viene fuori la Torino-Lione, con Tap l’Air Portugal. Il Movimento alla sua prima esperienza di governo si agita sull’alta velocità .
Subito dopo il viaggio presidenziale in Azerbaijan, si allarma Toninelli: “Nessuno firmi il completamento dell’opera”, la Tav s’intende. Un avvertimento a chi nel governo si azzardi a definire dettagli sull’alta velocità  tra Francia e Piemonte prima che la parte pentastellata abbia deciso.
Una correzione rispetto ad una precedente dichiarazione con cui il ministro delle Infrastrutture aveva seminato delusione in Val di Susa: la Tav è un’opera “che abbiamo ereditato. Se, quando è nata, ci fosse stato il M5s al governo, non sarebbe mai stata concepita in questa maniera, così impattante, così costosa. Il nostro obiettivo sarà  quello di migliorarla, vogliamo migliorare un’opera che è nata molto male”.
E’ un dossier più che aperto. Salvini come al solito fa la parte del leone: “Dal mio punto di vista, sulla Tav occorre andare avanti, non tornare indietro”. Poi aggiunge: “C’è da fare l’analisi costi-benefici: l’opera serve o no, costa di più bloccarla o proseguirla?”.
In un’intervista al Secolo XIX il leghista Edoardo Rixi, sottosegretario ai Trasporti chiarisce: la Tav “è un’opera strategica, ma ci sono fattori da chiarire: una galleria in pieno territorio francese è finanziata per il 35% dall’Italia e per il 40% dall’Europa. Parigi ci mette solo il 25%. Non va bene”.
Invece rivedendo l’opera si potrebbe risparmiare “anche sopra il miliardo di euro — continua Rixi – Migliorando il percorso, rendendolo meno impattante”.
Insomma, la Lega lascia chiaramente capire che al massimo si potrà  rivedere l’opera per risparmiare. Non la si può bloccare. Tra i cinquestelle è panico. Si rimanda ogni decisione.
Luigi Di Maio si nasconde dietro Toninelli: “La Tav non è sul tavolo del governo, deciderà  il ministro Toninelli quando incontrare il suo omologo francese”.
Dal ministero delle Infrastrutture fanno sapere che ancora in agenda non c’è incontro con le autorità  parigine. Ma intanto i francesi si mostrano piuttosto tranquilli: “Osservo che in seno alla coalizione di governo i due vicepremier Di Maio e Salvini non sono per niente d’accordo”, dice all’Ansa Stephane Guggino, delegato generale del comitato della Transalpine. E però, aggiunge, l’eventuale decisione di bloccare la Tav “dovrà  passare da un voto del Parlamento: qualcuno dovrà  assumersi le proprie responsabilità “.
Mentre il Commissario straordinario del Governo per l’asse ferroviario Torino-Lione, Paolo Foietta sottolinea di avere un “mandato fino al 31 dicembre 2018, definito dal presidente della Repubblica, che mi chiede di fare quanto è in mio potere per realizzare la Torino-Lione. E’ un incarico che sto cercando di onorare. Se si vuole modificarlo, lo si faccia con un atto e non con un post. Come previsto dalla Costituzione intendo ottemperare all’incarico che mi è stato affidato con disciplina e onore, rispondendo al governo, a cui torno a chiedere un incontro al più presto”.
Sul suo blog Beppe Grillo ci mette il carico da novanta smontando i “9 luoghi comuni sulla Tav”.
Il sottosegretario agli Interni Carlo Sibilia dice chiaramente che “ci sono infrastrutture più urgenti”. E ne ha ben donde: parla dalla provincia di Salerno, dal sud dove i treni sono un optional, non un mezzo di trasporto certo.
Ma la Tav è ancora lì, come uno spettro ad agitare i sonni di governo.
Peraltro, la polemica scoppia proprio a ridosso del weekend della Festa dell’Alta felicità  in Val di Susa, organizzata ogni anno dai movimenti No Tav, direzione artistica di Andrea Bonadonna del centro sociale Askatasuna, uno dei più attivi nelle proteste contro l’alta velocità .
In programma molti concerti e dibattiti, tra gli altri Marina Rei, Francesco Di Bella. Domani in calendario anche una gita al cantiere di Chiomonte, dopo che nelle settimane scorse i No Tav sono tornati in piazza, anzi nei boschi della Val di Susa, con lancio di razzi e bombe carta: identificati in 25 dalle forze dell’ordine.
C’è da dire che questa parte di movimento non si identifica in toto con il Movimento Cinquestelle.
Ma il caso Tav e il suo omologo meridionale Tap restano uno scoglio altissimo per il M5s, una di quelle prove del nove che possono lasciare strascichi fatali proprio nell’elettorato più fedele: dritto al cuore del Movimento, il suo zoccolo duro da cui è nato tutto o quasi tutto.

(da “Huffingtonpost”)

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LE MANI DI SALVINI SU TUTTE LE FERROVIE ITALIANE, TRA TRENITALIA A TRENORD

Luglio 27th, 2018 Riccardo Fucile

GESTIRE LE FERROVIE VUOL DIRE METTERE LE MANI SU 90 MILIARDI DI INVESTIMENTI

Volevano prendersi Trenord, hanno finito per mettere le mani su tutta Trenitalia.
È il jackpot centrato della Lega di Matteo Salvini, grazie al ministro Cinque Stelle, Danilo   Toninelli, il quale mercoledì pomeriggio ha licenziato via Twitter l’ad della società  Renato Mazzoncini.
Un licenziamento “etico”, secondo il ministro, motivato dal rinvio a giudizio ricevuto in Umbria per una storia di truffa dal renzianissimo manager, nonostante questi fosse stato riconfermato in extremis dal governo Gentiloni.
Uno spoil system estremo che in realtà  nasconde lo scambio spartitorio degno della più scafataPrima Repubblica: Cassa Depositi e Prestiti ai pentastellati, Ferrovie alla Lega.
Nel pacchetto il Toninelli ha anche messo la marcia indietro sulla fusione Fs-Anas, un mostro giuridico voluto da Renzi, apprezzato solo dai fedelissimi dell’ex segretario Pd.
Altra motivazione addotta da Toninelli per il siluramento, la disastrosa condizione del trasporto regionale: il ministro ha infatti incolpato Mazzoncini di aver investito troppo sull’alta velocità  a scapito del Tpl. Un’accusa risibile alla luce dell’ultimo piano industriale triennale di Fs, tutto votato all’accaparramento del Tpl italiano, come dimostrano gli oltre 5 miliardi destinati all’acquisto dei nuovi treni regionali di Hitachi e Alstom.
Alla guida del colosso da oltre 8 miliardi l’anno di investimenti (tanti ne sono previsti nel 2018) molto probabilmente finirà  l’unico manager spendibile dal Carroccio, Giuseppe Bonomi, l’uomo che la Lega mette nelle società  ricche. Da Sea ad Arexpo. Gli altri nomi in lista, a partire da Maurizio Gentile, attuale Ad della controllata Rete ferroviaria italiana hanno poche chance.
Ma siamo sicuri che nello scambio i grillini abbiano fatto un affare? È tutto da vedere.
Perchè controllare le Ferrovie significa gestire oltre 90 miliardi di investimenti tra rete, tecnologia e materiali viaggianti, la maggior parte dei quali localizzati in Italia. Fs, tramite le sue controllate, gestisce i grandi lavori infrastrutturali del Paese, sceglie con i suoi bandi i fornitori; decide in quale direzione le università  italiane debbano fare ricerca.
È, insomma, il primo committente del settore secondario e terziario italiano.
Ma, soprattutto, rispetto a Cdp, i suoi vertici hanno piena libertà  di manovra nelle scelte di allocazione delle risorse, e controllare gli investimenti di una società  che conta 81 mila dipendenti, e che dà  lavoro ad altri 240 mila nella filiera, significa decidere circa il 2% del pil italiano.
Salvini si ritrova così a raccogliere i frutti delle scelte di Renzi, al quale va fatto risalire il disegno di fare di Fs una piccola Iri, un grumo di potere economico in grado di influenzare le scelte politiche anche delle varie amministrazioni locali.
Da queste pagine spesso abbiamo criticato la scelta del governo di lasciare mano libera a Fs nel fare man bassa dei vari contratti di servizio regionali: al posto delle gare competitive a livello europeo — auspicate da Antitrust e Corte Costituzionale -, l’esecutivo ha permesso che le regioni “regalassero” i trasporti regionali a Trenitalia con affidamenti diretti. Dal Lazio alla Sicilia, dalla Puglia all’Umbria.
Una posizione condivisa da molti parlamentari di M5s, che per anni hanno osteggiato la politica del trasporto pubblico locale italiana, raccogliendo voti dagli estenuati pendolari italiani. Quegli stessi pendolari che avrebbero voluto fortemente i “loro” pentastellati seduti nella sala comando di Fs e che invece si ritroveranno l’uomo di fiducia del “Comandante” Salvini.
Un esempio per comprendere quanto il cambio dei vertici di Fs abbia ripercussioni immediate su tutta la politica e sull’economia del Paese (e sul potere finito in mano al Carroccio), lo offre l’intricata situazione di Trenord, la società  lombarda di trasporti ferroviari, partecipata paritariamente fino a pochi mesi fa da Regione Lombardia e Fs. Trenord nasce nel 2011 perchè la Lega — allora era ancora fieramente autonomista —   sognava la costituzione della macro-regione del nord e sapeva che il primo passo del progetto doveva essere la creazione di un player ultraregionale in grado di sottrarre il controllo dei trasporti a Trenitalia.
Un matrimonio nato male e finito peggio, tanto che i due sposi si sono ritrovati a rimpallarsi le responsabilità  per gli immani disservizi subiti quotidianamente dai pendolari della regione più industrializzata d’Italia.
Un rapporto burrascoso sfociato nel prossimo divorzio annunciato un po’ a sorpresa dal neo governatore lombardo Attilio Fontana. Secondo il piano del Pirellone, il servizio sarebbe dovuto tornare a dividersi: alcune linee a Trenord (controllata solo da Regione Lombardia), le altre affidate alla “nemica” Fs, in regime di concorrenza sfrenata.
Un progetto confuso, nebuloso, senza certezze temporali e giuridicamente intricato, tenuto nascosto da Fontana fino all’ultimo, che aveva suscitato le ire dei sindacati e le proteste delle opposizioni al Pirellone.
Alla luce di quanto successo a Roma mercoledì 25, tutto ha più senso: Fontana stava solo prendendo tempo, in attesa che la testa di Mazzoncini rotolasse dalla rupe. Nel frattempo, guarda un po’ le coincidenze, il governatore lombardo aveva nominato proprio Giuseppe Bonomi nel board di Ferrovie Nord Milano, la società  regionale che gestisce Trenord.
Oggi, che le Ferrovie sono passate alla Lega, quel divorzio per incomprensioni gestionali, probabilmente, non sarà  più necessario perchè tra leghisti ci si aiuta, non si fa la guerra.
Il Carroccio è riuscito così — dopo vent’anni di attesa e vani tentativi — a prendersi tutti i binari italiani. Un capolavoro politico per il quale Matteo Salvini dovrà  ringraziare sempre quell’altro Matteo.

(da “Business Insider”)

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LA RAGGI, CAMPING RIVER E LA PROPAGANDA CHE VINCE SULLA VERITA’

Luglio 27th, 2018 Riccardo Fucile

LA NARRAZIONE TOSSICA DI UNO STATO BUGIARDO SUL CASO ROM

Poi alla fine, non sono le 200 persone buttate per strada nel caldo torrido romano; questo non interessa nessuno. Ciò che conta è come si è saputo comunicare all’esterno lo sgombero del campo rom di Camping River, a Roma.
E’ fuori discussione: è sulla narrazione della sua genesi, della sua giustificazione e della sua necessità  che il Campidoglio ha vinto la sua battaglia.
Interviste, video e un paio di post sui social al momento giusto ed ecco che il tragico allontanamento di sessanta famiglie dalle loro abitazioni è diventato la battaglia vinta contro il degrado, l’illegalità , i roghi tossici.
Addirittura contro l’Europa che non rispetta la sovranità  nazionale.
Poi se la realtà  è un’altra e se a pagare il prezzo della propaganda sono i poveracci di via Tiberina, pazienza.
In fondo non è la prima volta che accade. Anche la Giunta Raggi ha capito che non importa ciò che fai ma come, e soprattutto cosa racconti.
Sapendo che anche davanti ad un’informazione falsa o un numero inesatto, la smentita avrà  sempre e comunque tempi ampi e spazi compressi per sopravvivere alle reazioni suscitate dalla prima notizia. Che ormai sarà  diventata virale.
Primo esempio. La “terza via”.
E’ un’espressione coniata da poche settimane nelle stanze di Palazzo Senatorio e da quel giorno ripetuto in ogni intervista da qualsiasi rappresentante istituzionale quando deve parlare di “questioni rom” a Roma. Nè sgomberi, nè assistenzialismo: adesso c’è la “terza via”, il cui canale privilegiato ha un nome: rimpatrio assistito. Ed ecco che il 20 luglio spunta un video girato negli uffici comunali.
Una coppia di rumeni (lei a volto coperto) ringrazia timidamente la sindaca per l’aiuto ottenuto nel tornare in Romania. «Vogliamo dimostrare che terza via è effettivamente possibile», ripete la sindaca presentando il video. Arriva tardi chi si dilata nella spiegazione, troppo lunga e di scarso appeal, che i cittadini comunitari presenti nei campi romani, gli unici che potrebbero rimpatriare, rappresentano solo il 15% della popolazione totale e che già  il sindaco Veltroni ci aveva provato nel 2007 con gli stessi strumenti ed i medesimi fallimentari risultati.
Secondo esempio. Allarme igienico-sanitario.
E’ quello che scatenato l’Ordinanza sindacale che ha giustificato lo sgombero entro 48 ore dalla sua notifica. “Vi allontaniamo dalle vostre case — è stato spiegato agli abitanti — per la tutela della vostra salute”.
Anche in questo caso, nessun impatto per l’articolata narrazione: «E’ stato il Comune a decidere il 30 giugno di sospendere l’erogazione dell’acqua e a chiudere le utenze. Una settimana prima era stato sempre il Comune a distruggere una cinquantina di moduli abitativi lasciando le persone per strada» .- come ha sostenuto la nostra associazione presentando ricorso alla Cedu.
“Allarme igienico-sanitario” è lo slogan vincente ed inquietante, che rimanda a pericoli, a contagi, a pestilenze, a untori da allontanare.
Terzo esempio. La cattiva Europa.
Il 23 luglio la Corte Europea per i Diritti dell’uomo sospende lo sgombero organizzato per lo stesso giorno, decidendo di rimandare la decisione al 27 luglio, al fine di leggere le carte e approfondire la questione. «Ci mancava il buonismo della Corte Europea per i diritti dei rom», il commento sarcastico di Matteo Salvini sui social. Il giorno dopo, accompagnato dalla sindaca Raggi rincara la dose: «Strasburgo non fermerà  la legalità ».
Poche parole per spostare il problema da Camping River ad un’Europa cattiva e prepotente che attenta alla sovranità  nazionale. Dopo lo sgombero del 26 luglio, realizzato in barba alla decisione della Corte di Strasburgo, la sindaca scrive: «La Corte Europea ci dà  ragione».
Troppo lunga la contro narrazione che c’è poco da celebrare, visto che è stata solo sospesa la misura ad interim relativa allo sgombero perchè che lo stesso è stato già  effettuato.
La verità  è che il ricorso, promosso da tre ricorrenti del campo, è ancora pendente come una spada di Damocle sull’Amministrazione perchè si apre alla violazione di gravi articoli.
Tre slogan per raccontare una realtà  virtuale, menzognera, semplificata all’osso.
Che però è vincente perchè compressa in uno slogan pubblicitario, accattivante come un dolce proibito, e soprattutto rispondente a ciò che la persona comune vuole ascoltare.
Una realtà  che copre omissioni e incapacità , che si compiace di se stessa. E che si materializza nella navetta della Polizia che, il giorno dopo lo sgombero, accompagna i giornalisti accreditati nel visitare le macerie del Camping River.
Il campo dove l’unica cosa tossica non sono stati i roghi — mai registrati in quell’insediamento — ma la narrazione di uno Stato che fa propaganda.

Carlo Stasolla
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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SAROST, 15 GIORNI DI ODISSEA IN MARE PER I 40 PROFUGHI CHE NESSUNO VUOLE

Luglio 27th, 2018 Riccardo Fucile

A BORDO ANCHE UN UOMO FERITO E DUE DONNE INCINTE, UNA RISCHIA DI PERDERE IL BAMBINO… LA NAVE FERMA AL LARGO DELLA TUNISIA : “DIVIDIAMO IL PANE, AIUTATECI” … ITALIA, MALTA E FRANCIA SUL BANCO DEGLI IMPUTATI

Oggi sono al quindicesimo giorno in mare, i migranti che nessuno vuole.
Tra loro anche due donne incinte in gravi condizioni di salute. A rilanciare su Twitter la loro odissea è la sezione italiana della ong Sea Watch, che scrive: “Sono da due settimane ignorati dalle istituzioni, che negano sia un porto di sbarco che l’evacuazione delle due donne in gravidanza”.
I migranti invisibili sono quaranta e dal 16 luglio si trovano a bordo della Sarost 5, la motonave di supporto logistico per le piattaforme offshore di gas che li ha soccorsi. Erano stati intercettati in mare, a 90 miglia da Lampedusa, nella zona Sar maltese, dopo un guasto al motore dell’imbarcazione con cui erano partiti dalla Libia cinque giorni prima, e portati su una piattaforma petrolifera da cui la Sarost li ha caricati a bordo.
Ai 40 naufraghi però – provenienti da diversi Paesi africani, dall’Egitto al Mali, dalla Nigeria alla Sierra Leone – nè l’Italia nè Malta nè la Francia hanno concesso l’autorizzazione allo sbarco.
A quel punto la Sarost ha fatto di nuovo rotta verso il Nordafrica e si trova da giorni ferma al largo di Zarzis, in Tunisia, che però non è ritenuta un luogo sicuro dalla comunità  internazionale.
A quanto si è appreso, all’inizio i migranti avrebbero chiesto di non essere sbarcati in Tunisia, poi avrebbero cambiato idea, ma il Paese non ha concesso l’ok.
Gli spazi sono ridotti, la nave non è attrezzata per i soccorsi e non c’è personale medico.
Tra i 40 migranti, costretti a dividere con i 14 membri dell’equipaggio le razioni di cibo rimaste, ci sono anche un uomo ferito e due donne incinte, una di sei mesi che ha bisogno di assistenza e una di poche settimane.
Mongi Slim, medico del Comitato tunisino della Mezzaluna rossa che mercoledì scorso è salito a bordo, ha dichiarato: “Abbiamo chiesto almeno per loro una evacuazione immediata, ma senza ricevere risposta”, ha detto. Sempre inascoltati finora gli appelli delle persone salvate e dell’equipaggio.
“Stiamo soffrendo, stiamo soffrendo molto. Sono 14 giorni che non mangiamo. L’equipaggio a bordo divide i pasti con noi ma non è abbastanza. Per favore aiutateci”, hanno detto mercoledì ai microfoni di Radio Radicale.
E ancora: “Abbiamo solo pane, abbiamo perso chili”, abbiate pieta”. “Non aspettiamo viveri o beni di prima necessità , chiediamo una risposta su dove sbarcarli, l’equipaggio è stanco”, ha spiegato a Euronews il comandante in seconda.
Oggi a lanciare un nuovo appello è l’ong Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes), che chiede alle autorità  del Paese nordafricano di autorizzare lo sbarco. E sottolinea la “difficile situazione umana” di questi migranti, fermi da due settimane in mare benchè alcuni abbiano bisogno di cure mediche e psicologiche.   Il Forum parla di “politiche disumane degli Stati dell’Unione europea che si rifiutano di assumere la responsabilità  legale e umana nei confronti dei migranti”.
Mentre la Ue fa sapere che, attraverso la sua delegazione in Tunisia, sta seguendo la vicenda “da vicino, in coordinamento con le autorità  tunisine, l’Unhcr, l’Iom e gli Stati Ue”.
Mina Andreeva, vice portavoce della Commissione europea, aggiunge: “Secondo le nostre informazioni, le persone a bordo stanno ricevendo aiuti e cure. Speriamo in sviluppi positivi”.

(da agenzie)

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DECRETO DIGNITA’, INVECE CHE MIGLIORARE DI MAIO PEGGIORA: SALE DAL 20% AL 30% LA PERCENTUALE DEI PRECARI CHE UNA AZIENDA POTRA’ ASSUMERE

Luglio 27th, 2018 Riccardo Fucile

E ALLA FINE SI SCOPRE LA MARCHETTA DI GRILLINI E LEGHISTI ALLA CONFINDUSTRIA… CON POLETTI (PD) ERA IL 20%

Le aziende potranno assumere con contratti a termine (compresi quelli in somministrazione) fino al 30% dei propri dipendenti: un tetto superiore a quello del 20% fissato dal decreto Poletti, antipasto del Jobs Act.
E’ quello che prevede un emendamento dei relatori   Giulio Centemero (Lega) e Davide Tripiedi (M5s) al decreto Dignità  approvato venerdì mattina, quando le commissioni Finanze e Lavoro della Camera dovrebbero concludere i lavori sul testo e inviarlo all’Aula per la discussione a partire dalla prossima settimana.
La novità  appare come un cedimento alle richieste del mondo imprenditoriale che aveva paventato effetti negativi sull’occupazione proprio perchè il decreto voluto dal ministro e vicepremier Luigi Di Maio, come è noto, riduce a 12 mesi la durata massima dei contratti a tempo in assenza di una causale.

(da agenzie)

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SENZA DIMORA, A EDIMBURGO NASCE IL PRIMO “HOMELESS VILLAGE”

Luglio 27th, 2018 Riccardo Fucile

MENTRE IN ITALIA I SENZATETTO VENGONO ABBANDONATI A SE STESSI

E’ nato ad Edimburgo, in Scozia, il primo Homeless village del mondo.
Sorge su un terreno donato dal comune e può contare su 11 case appositamente costruite per ospitare i senzatetto.
Il progetto della onlus Social Bite vuole creare una comunità  stabile e solidale per 20 persone, per i prossimi 12-18 mesi. Se ne parla in un articolo di Ronnie Convery pubblicato dalla rivista Scarp de’ tenis.
L’idea è che questo ambiente possa aiutare le persone a prepararsi a vivere in alloggi permanenti e che sia una soluzione più valida rispetto agli ostelli, ai rifugi e ai B&B. Entusiasta il co-fondatore di Social Bite, Josh Little-John, come si legge nell’articolo: “Quello che stiamo facendo al Village sta diventando un’alternativa praticabile ai modelli di alloggi temporanei che sono stati adottati finora per i senzatetto”.
L’Homeless village sarà  dunque un ambiente comunitario, protetto e organizzato dove lo staff dell’associazione Cyrenians incoraggerà  le persone a sostenersi a vicenda per costruire un futuro più felice, in un luogo fatto di sicurezza e speranza.
Il progetto, spiega Josh nell’articolo, fa parte di una rete di soluzioni pensate per risolvere il problema dei senza dimora e si affiancherà  ad un programma di housing first che prevede nei prossimi 18 mesi la realizzazioni di 800 alloggi tradizionali in cinque città  scozzesi.

(da Globalist)

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SALVINI ORA SI LAMENTA PERCHE’ LA CANTANTE ZILLI LO HA MANDATO A FANCULO DAL PALCO

Luglio 27th, 2018 Riccardo Fucile

“PER FARLO HA UTILIZZATO SOLDI PUBBLICI” … LEI REPLICA: “NESSUN CONTRIBUTO PUBBLICO, SPESE PAGATE DA SPONSOR, RESTO DELLA MIA OPINIONE”

Voce inconfondibile, presenza sanremese ormai assidua e pure personaggio televisivo, Nina Zilli è sicuramente una delle cantanti più amate dal pubblico nazionalpopolare ( e non) di questa stagione, una di quelle che sembra mettere d’accordo tutti. O quasi. Da ieri ha sicuramente un avversario, il ministro dell’Interno Matteo Salvini che l’ha attaccata dai suoi attivissimi social, accusandola di «averla insultata con soldi pubblici».
I fatti
Ovvero il team che segue il leader leghista su Facebook ha postato ieri un video in cui la cantante lo manda letteralmente a quel paese durante un concerto a Comacchio.
In realtà  i fatti risalgono al 5 luglio, nei giorni in cui vi era molto dibattito per le immagini dei piccoli migranti annegati (con relativa polemica legata al fatto che alcuni sostenessero essere foto finte).
Sullo schermo della piazza romagnola, scorrevano dunque le immagini dei bambini e la cantante ha dunque proferito il vaffa, per mostrare la sua distanza dalle politiche del governo sul tema dell’accoglienza.
Il dibattito sui social
Interpellata, la cantante si limita a commentare : «Mi sono fatta prendere dall’enfasi e ho detto quell’insulto. Me ne scuso, forse avrei dovuto dire abbasso, per quanto il vaffa sia stato sdoganato. Ma rimango della mia opinione, non ce la si prende con i bambini e con chi scappa dalla guerra».
In quanto al tema dei soldi pubblici, dall’entourage fanno sapere che i costi di questo tipo di iniziative sono quasi integralmente coperti dalle sponsorizzazioni.
E sui social si è scatenato subito il dibattito: in tanti se la prendono con la cantante, con varie contumelie, altri la difendono, mentre qualcuno fa notare perchè uno non debba esprimere, in qualunque circostanza, la sua opinione, condivisibile o meno che sia, da cittadino prima che da artista.

(da agenzie)

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L’ISOLA DI MAIORCA: “SALVINI PERSONA NON GRADITA”

Luglio 27th, 2018 Riccardo Fucile

DECISIONE ALL’UNANIMITA’ IN COMUNE: “XENOFOBIA PREOCCUPANTE”… LA SOLITA RISPOSTA ARROGANTE: “CHI SE NE FREGA”… LA VERGOGNA INTERNAZIONALE DI AVERE UN MINISTRO RAZZISTA… E ORA SI ASPETTA LA MAGISTRATURA SPAGNOLA

Il segertario della Lega Matteo Salvini? Persona non grata.
Le politiche sui migranti del ministro dell’Interno hanno strascichi sul piano internazionale.
ll Consiglio comunale di Maiorca ha infatti dichiarato il ministro dell’Interno “persona non grata” nell’isola spagnola. Lo rende noto il Diario de Mallorca, spiegando che la mozione, presentata dai partiti Podemos, Mes e Psib, è stata approvata all’unanimità , includendo anche una condanna della proposta del ministro dell’Interno italiano di fare un censimento dei Rom
Il consiglio comunale di Maiorca tra le altre cose ricorda “l’immensa opera umanitaria delle Ong come Proactiva Open Arms, Lifeline, Proemaid o SMH nel salvataggio di decine di migliaia di persone dalla morte certa nel Mediterraneo”, e si condannano le politiche migratorie europee “senza garanzie per i diritti umani”.
In questo senso, Podemos ha condannato le “terribili e oltraggiose dichiarazioni e le politiche” di Salvini, che “distillano una xenofobia molto grave e preoccupante e un evidente disprezzo per la vita e la dignità  umana”.
Il Consiglio ha sollecitato il suo presidente Miquel Ensenyat a dichiarare “persona non grata” anche il presidente Usa Donald Trump, sempre per le sue politiche sui migranti. La replica di Salvini è arrivata, ancora una volta, dai social e rigorosamente all’insegna del sarcasmo: “Non benvenuto a Maiorca? Chi se ne frega, le mie vacanze le faccio in Italia!”.
Come se una decisione del genere riguardasse solo lui e non l’immagine dell’Italia nel mondo. Avere un ministro razzista è una vergogna per tutti gli Italiani veri.

(da agenzie)

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