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SONDAGGIO IXE’: PD A SOLI TRE PUNTI DALLA LEGA

Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile

IL CONSENSO PER IL GOVERNO IN DUE MESI E’ SALITO DAL 35% AL 56%

Gli orientamenti di voto questa settimana vedono confermata la costante erosione della Lega (25,9% dal 26%), ben distante dal risultato delle Europee e ora a soli 3 punti dal Pd, che sale al 22,9% dal 22,6%.
Guadagna qualche decimo di punto anche il Movimento 5 Stelle, salendo al 16,4% dal 16. È quanto emerge da un sondaggio Ixè per Carta Bianca.
Nel complesso l’area di Governo ha recuperato un punto rispetto al sondaggio di due settimane fa, non tanto per effetto di una crescita del gradimento dei singoli leader di partito, quanto per il traino del Presidente del Consiglio Conte, la cui fiducia ha raggiunto il 60%, segnando un balzo di 20 punti dall’inizio dell’emergenza.
Proprio sulla gestione dell’emergenza il Governo ha guadagnato consenso: la fiducia nell’esecutivo è passata, infatti, dal 35% di febbraio all’attuale 56%.
Iv passa all′1,9 dal 2 mentre la Sinistra sale al 3,6 dal 3,5.
All’opposizione Fdi è stabile al 12,5 e Fi passa al 7,7 dal 7,5.

(da agenzie)

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RICORDATE QUANDO “GLI STATISTI” SALVINI E MELONI PROPOSERO VITTORIO FELTRI COME PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA?

Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile

LO VEDETE BENE NEL RUOLO DI “GARANTE DELL’UNITA’ NAZIONALE” UNO CHE DICE I MERIDIONALI SONO INFERIORI?

Correva l’anno 2015, precisamente il 28 gennaio. Di lì a sei giorni — precisamente il 3 febbraio — il Presidente della Repubblica sarebbe diventato Sergio Mattarella.
Nel toto nomi che precede la nomina della massima carica dello Stato erano stati interpellati anche Matteo Salvini e Giorgia Meloni che, durante un’intervista, hanno fatto il nome del candidato ideale secondo loro, un nome per chi non vota sinistra.
La scelta del leader leghista e della guida di Fratelli d’Italia è ricaduta proprio su Vittorio Feltri.
«Abbiamo scelto di proporre un uomo come Vittorio Feltri, persona libera, abituata a dire quello che pensa, coraggiosa. Perchè all’Italia serve una persona così», diceva la Meloni cinque anni fa.
La palla passa poi a Salvini che, alla domanda su cosa dicesse il diretto interessato rispetto alla candidatura, affermava che «è d’accordo perchè noi vogliamo risvegliare l’Italia che non è di sinistra. L’Italia che produce, che lavora, che contesta l’Europa delle banche e dell’euro, della finanza, che vuole bloccare gli immigrati clandestini, che non è politicamente corretta, allineata, serva. L’Italia renziana».
Nel 2015 per Salvini l’Italia che produce non era l’Italia che votava sinistra, così come ieri sera per Feltri i meridionali sono «in molti casi sono inferiori».
L’ultima Vittorio Feltri l’ha condivisa su Twitter: «Dicono che il virus si accanisca sui coglioni. Allora non ho nulla da temere».
L’accusa è chiaramente rivolta a Sandro Ruotolo e Maurizio De Giovanni, che oggi hanno denunciato Vittorio Feltri in seguito a quello che ha detto sui meridionali. Considerato che Ruotolo adesso è senatore, la denuncia fatta per violazione della Legge Mancino — che punisce le manifestazioni di odio anche verbale nei confronti delle persone — avrà  un altro valore.
Ruotolo e De Giovanni hanno «deciso di promuovere ogni azione giudiziaria sia in sede civile che penale nei confronti del direttore di Libero». La proprietà  di linguaggio e le idee secessioniste di Feltri, colui che giudica i meridionali inferiori, difficilmente potrebbero — o avrebbero mai potuto — renderlo il candidato ideale a garantire l’unità  nazionale della Repubblica italiana.

(da agenzie)

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“IL MIO ADDIO DA QUESTO LETTO SENZA CUORE”: LA STRAZIANTE LETTERA DEL NONNO MORTO DI COVID IN UNA RSA

Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile

ATTO DI ACCUSA ALLA STRUTTURA: “LA MIA DIGNITA’ DI UOMO, DI PERSONA PERBENE, E’ GIA’ STATA UCCISA”

Sapeva che restavano pochi giorni davanti a lui. Allora ha deciso di scrivere una lettera a figli e nipoti. Un messaggio che suona come un atto d’accusa contro il sistema delle rsa.
“Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi cari miei figli e nipoti. (L’ho consegnata di nascosto a Suor Chiara nella speranza che dopo la mia morte possiate leggerla)”, premette nel messaggio, pubblicato sulla rivista Interris, un nonno di 85 anni morto di coronavirus.
“Comprendo di non avere più tanti giorni – scrive -, dal mio respiro sento che mi resta solo questa esile mano a stringere una penna ricevuta per grazia da una giovane donna che ha la tua età  Elisa mia cara. È l’unica persona che in questo ospizio mi ha regalato qualche sorriso ma da quando porta anche lei la mascherina riesco solo a intravedere un po’ di luce dai suoi occhi; uno sguardo diverso da quello delle altre assistenti che neanche ti salutano. Non volevo dirvelo per non recarvi dispiacere su dispiacere sapendo quanto avrete sofferto nel lasciarmi dentro questa bella ‘prigione’”
L’uomo ricorda un testo di don Oreste Benzi che parlava degli ospizi come di ‘prigioni dorate’. “Allora – continua – mi sembrava esagerato e invece mi sono proprio ricreduto. Sembra infatti che non manchi niente ma non è così… manca la cosa più importante, la vostra carezza, il sentirmi chiedere tante volte al giorno ‘come stai nonno?’, gli abbracci e i tanti baci, le urla della mamma che fate dannare e poi quel mio finto dolore per spostare l’attenzione e far dimenticare tutto. In questi mesi mi è mancato l’odore della mia casa, il vostro profumo, i sorrisi, raccontarvi le mie storie e persino le tante discussioni. Questo è vivere, è stare in famiglia, con le persone che si amano e sentirsi voluti bene e voi me ne avete voluto così tanto non facendomi sentire solo dopo la morte di quella donna con la quale ho vissuto per 60 anni insieme, sempre insieme”.
″In 85 anni ne ho viste così tante – ricorda – e come dimenticare la miseria dell’infanzia, le lotte di mio padre per farsi valere, mamma sempre attenta a ogni respiro e poi il fascino di quella scuola che era come un sogno poterci andare, una gioia, un onore. La maestra era una seconda mamma e conquistare un bel voto era festa per tutta la casa. E poi, il giorno della laurea e della mia prima arringa in tribunale. Quanti ‘grazie’ dovrei dire, un’infinità  a mia moglie per avermi sopportato, a voi figli per avermi sempre perdonato, ai miei nipoti per il vostro amore incondizionato.
Gli amici, pochi quelli veri, si possono veramente contare solo in una mano come dice la Bibbia e che dire, anche il parroco, lo devo ringraziare per avermi dato l’assoluzione dei miei peccati e per le belle parole espresse al funerale di mia moglie”.
“Ora non ce la faccio più a scrivere e quindi devo almeno dire una cosa ai miei nipoti… e magari a tutti quelli del mondo. Non è stata vostra madre a portarmi qui – precisa – ma sono stato io a convincere i miei figli, i vostri genitori, per non dare fastidio a nessuno.
Nella mia vita non ho mai voluto essere di peso a nessuno, forse sarà  stato anche per orgoglio e quando ho visto di non essere più autonomo non potevo lasciarvi questo brutto ricordo di me, di un uomo del tutto inerme, incapace di svolgere qualunque funzione”.
“Certo – aggiunge -, non potevo mai immaginare di finire in un luogo del genere. Apparentemente tutto pulito e in ordine, ci sono anche alcune persone educate ma poi di fatto noi siamo solo dei numeri, per me è stato come entrare già  in una cella frigorifera”.
″In questi mesi mi sono anche chiesto più volte: ma quelli perchè hanno scelto questo lavoro se poi sono sempre nervosi, scorbutici, cattivi?
Una volta quell’uomo delle pulizie mi disse all’orecchio: ‘sai perchè quella quando parla ti urla? Perchè racconta sempre di quanto era violento suo padre, una così con quali occhi può guardare un uomo?’. Che Dio abbia pietà  di lei. Ma allora perchè fa questo lavoro? Tutta questa grande psicologia, che ho visto tanto esaltare in questi ultimi decenni, è servita solo a fare del male ai più deboli? A manipolare le coscienze e i tribunali? Non voglio aggiungere altro perchè non cerco vendetta. Ma vorrei che sappiate tutti che per me non dovrebbero esistere le case di riposo, le Rsa, le ‘prigioni’ dorate e quindi, si, ora che sto morendo lo posso dire: mi sono pentito. Se potessi tornare indietro supplicherei mia figlia di farmi restare con voi fino all’ultimo respiro, almeno il dolore delle vostre lacrime unite alle mie avrebbero avuto più senso di quelle di un povero vecchio, qui dentro anonimo, isolato e trattato come un oggetto arrugginito e quindi anche pericoloso”.
“Questo coronavirus ci porterà  al patibolo ma io già  mi ci sentivo dalle grida e modi sgarbati che ormai dovrò sopportare ancora per poco… l’altro giorno l’infermiera mi ha già  preannunciato che se peggioro forse mi intuberanno o forse no. La mia dignità  di uomo, di persona perbene e sempre gentile ed educata è stata già  uccisa. Sai Michelina, la barba me la tagliavano solo quando sapevano che stavate arrivando e così il cambio. Ma non fate nulla vi prego… non cerco la giustizia terrena, spesso anche questa è stata così deludente e infelice. Fate sapere però ai miei nipoti (e ai tanti figli e nipoti) che prima del coronavirus c’è un’altra cosa ancora più grave che uccide: l’assenza del più minimo rispetto per l’altro, l’incoscienza più totale.
E noi, i vecchi, chiamati con un numeretto, quando non ci saremo più, continueremo da lassù a bussare dal cielo a quelle coscienze che ci hanno gravemente offeso affinchè si risveglino, cambino rotta, prima che venga fatto a loro ciò che è stato fatto a noi”.

(da “Huffingtonpost”)

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INFERMIERA SI TROVA BIGLIETTO NELLA POSTA: “CI PORTI IL CORONAVIRUS”

Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile

LAVORA NEL REPARTO MALATTIE INFETTIVE: “QUELLE PAROLE MI HANNO FERITA, SONO MESI FATICOSI, MI CAPITA DI USCIRE IN LACRIME DAL REPARTO. NON MI ASPETTO UN GRAZIE, MA NEMMENO PAROLE DEL GENERE”

Ha sentito suo fratello e sua madre parlare fuori, nel cortile di casa, e si è affacciata. Capannori, centro a pochi chilometri da Lucca. “Mi sa che ti hanno lasciato un messaggio…”.
E’ così che Damiana Barsotti, 48 anni, infermiera del reparto di Malattie infettive all’ospedale San Luca si è trovata tra le mani quel foglio scritto al computer.
Poche righe, ma parole affilate: “Grazie per il Covid che tutti i giorni ci porti in corte. Ricordati che ci sono anziani e bambini, grazie”. Messaggio anonimo, ma purtroppo chiaro: “Non è che uno si aspetta un grazie, ma sinceramente quel messaggio mi ha ferito” racconta Damiana che fa l’infermiera da quasi trent’anni. “Sono momenti durissimi, mi capita di piangere andando a vestirmi in reparto o di piangere uscendo a fine turno, non mi era mai capitato di stare in mezzo a un dolore così diffuso, a una malattia così imprevedibile”.
Racconta dei turni a lottare contro il contagio da coronavirus, dell’ansia: “Ho in testa gli occhi di chi sta sdraiato sul lettino con la maschera di ossigeno alla bocca e chiede a noi: “ce la farò?” e noi facciamo di sì con la testa, ma è per fargli coraggio. Perchè la verità  è che non sappiamo niente. Se ce la farà  o non ce la farà  perchè non conosciamo la grammatica di questo virus e a volte vediamo miglioramenti che ci lasciano sperare e poi peggioramenti improvvisi e inaspettati. Non è come per le altre malattie che dai una medicina e ti aspetti un certo decorso”.
Damiana racconta anche la paura: “A volte mi chiedo: sono coperta bene? Ho messo tutti i dispositivi per proteggermi?”.
Non ha idea su chi possa aver depositato quel biglietto nella posta di quel gruppo di case in cui abita: “Siamo in diversi qui e a volte c’è stato qualche battibecco con i vicini, ma non mi sarei mai aspettata un biglietto come quello e in un momento così difficile”.
Ha chiamato i carabinieri che hanno scritto in un verbale la storia di quel messaggio. La vicenda è stata riportata anche sul Tirreno. “Va detto che dopo che si è sparsa la notizia ho ricevuto la solidarietà  del sindaco di Capannori Luca Menesini, degli infermieri del reparto e dei medici e quella dei dirigenti dell’Asl Nord Ovest e la cosa mi ha fatto piacere. Siamo noi i primi a fare la massima attenzione ai comportamenti quando usciamo dal reparto e siamo noi i primi a pagare se dovessimo commettere una qualche disattenzione” dice ancora Damiana che non presenterà  nessun esposto: “A che serve? Non ho tempo, sta per cominciare il mio turno…”.

(da agenzie)

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TEMPI LUNGHI PER I RECOVERY BOND, L’ITALIA PUNTA A GIUGNO PER UNA INTESA

Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile

OCCORRE PRIMA UN ACCORDO SUL BILANCIO UE… DIVISIONE TRA CHI VUOLE PRESTITI E CHI SOLDI A FONDO PERDUTO

Rischiano di essere lenti i tempi di risposta dell’Unione Europea alla crisi del coronavirus. Ne sono consapevoli i leader dei 27 Stati membri che domani si riuniranno in videoconferenza.
Come sottolineano fonti europee alla vigilia del summit, sanno che il rischio, se non ci si muove subito per garantire che la ripresa non sia asimmetrica negli Stati membri, è di subire contraccolpi politici, nonchè economici per la zona euro, il mercato unico, l’area Schengen e soprattutto la perdita di competitività  europea sul mercato globale. Nonostante ciò, ci sono degli ostacoli importanti nei negoziati sul piano di ripresa europeo finanziato con bond emessi dalla Commissione, il piatto principale della riunione di domani. L’Italia però punta ad un’intesa entro giugno, nella convinzione che l’urgenza diventerà  sempre più pressante per tutta l’Ue.
Il primo ostacolo è la difficoltà  di raggiungere un accordo tra i leader sul bilancio pluriennale europeo. E’ questo il contenitore nel quale verrà  messo il fondo di ripresa, finanziato con i bond emessi dalla Commissione.
Risultato non da poco, visto che è la prima volta che la Commissione europea emette bond con i quali raccoglierà  sul mercato risorse per mille miliardi, cifra ancora ufficiosa sulla quale i leader devono ancora raggiungere un’intesa. Ma prima c’è il bilancio 2021-2027.
A febbraio, i capi di Stato e di governo ci hanno messo due giorni per terminare un vertice finito senza accordo, spaccati tra i paesi cosiddetti ‘frugali’ del nord, meno generosi con l’Ue, e quelli del sud, più bisognosi di aiuti europei.
Proprio in quei giorni, tra l’altro, in Italia scoppiava l’epidemia del Covid-19. Ora, a sentire le fonti europee, le previsioni non sono rosee. “L’idea è di raggiungere un accordo entro il 2021, ma non è certo”, dice un diplomatico Ue. E tra l’altro, per le decisioni finali, servirà  anche un vertice dei leader a Bruxelles, vale a dire non in videoconferenza come sta avvenendo ora in tempi di divieto di assembramenti e reclusioni a casa. Quando? Dipende da cosa succede nei prossimi mesi: “Se entro l’estate ci saranno cattive sorprese”, in quanto a diffusione del virus, “allora i tempi si allungheranno”, aggiunge la stessa fonte.
Nè è contemplata l’idea di procedere sul fondo di ripresa staccato dal bilancio europeo. L’intesa di massima raggiunta dai leader è di procedere di pari passo su entrambi i binari, perchè sono interconnessi.
Se n’è parlato anche nell’ultimo vertice convocato da Charles Michel, il presidente del Consiglio europeo che lunedì scorso è riuscito a far sedere intorno allo stesso tavolo in videoconferenza Giuseppe Conte e il premier olandese Mark Rutte, con il francese Emmanuel Macron, lo spagnolo Pedro Sanchez e naturalmente la Cancelliera Angela Merkel, che da quando ha assunto il ruolo di mediazione tra nord e sud ha impresso una svolta ai negoziati bloccati dai veti incrociati. Anche il vertice convocato da Michel non era roba scontata: una settimana fa ci aveva provato ma non ci era riuscito a convincere tutti.
Ecco, il vertice di lunedì ha preparato il terreno per il Consiglio di domani, in modo che i leader affidino il mandato alla Commissione europea di preparare la sua proposta sul piano di ripresa legato al bilancio europeo (verrà  presentata il 29 aprile).
Dopodichè i leader si riuniranno ancora. L’alternativa scartata era il piano franco-italiano, sul quale è arrivato anche il contributo spagnolo, di un fondo di ripresa come strumento nuovo, slegato dal bilancio. Cosa mal vista dai paesi del nord, che comunque — secondo alcuni osservatori — avrebbe portato via tempo in quanto si trattava di mettere in piedi uno strumento nuovo, roba da modifica dei trattati, dunque lunghissima.
Ma il “pacchetto interconnesso”, come lo definiscono fonti europee per sottolineare la sua indissolubilità , tra fondo di ripresa e bilancio europeo non è via più breve.
E però ci sono altri ostacoli. Prima di arrivare a discutere della dimensione del fondo — appunto, si parla di mille miliardi che è il minimo per Italia, Francia, Spagna e gli altri alleati di questa battaglia — i leader dovranno trovare un accordo su come verranno erogate le risorse raccolte.
E prevedibilmente su questo si svolgerà  il grosso della discussione domani, sottolineano fonti diplomatiche europee. I paesi del nord spingono affinchè l’erogazione avvenga sotto forma di prestiti agli Stati membri. Quelli del sud puntano a contributi a fondo perduto. Per ora la maggioranza degli Stati pende sulla prima opzione. Nodo non semplice da sciogliere.
E’ per questo che a Bruxelles non si sbilanciano sulle scadenze. Dal canto suo, nella lettera di invito ai leader europei per il Consiglio di domani, il presidente Michel indica giugno come data di attivazione degli interventi della Banca europea per gli investimenti (Bei), il piano Sure della Commissione di sostegno al mondo del lavoro e i prestiti del Mes.
Ciò significa che entro giugno, il board del Salva Stati dovrà  stendere nero su bianco quelle assenze di condizionalità  prospettate dall’accordo in Eurogruppo.
Di fatto, è questo il momento di chiarezza sul Mes che l’Italia si aspetta, per uscire dal pantano delle polemiche tra i partner di maggioranza Pd e M5s. Conte aprirà  il capitolo anche domani in consiglio, ma non potrà  ottenere certezze visto che il summit non si concluderà  con una dichiarazione comune, ma solo con una conferenza stampa di Michel e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, lei che in questa fase si ritroverà  ad avere lo scettro della gestione della crisi, con un potenziale ‘bazooka’ da mille miliardi per aiutare gli Stati membri.
Ma l’Italia punta a giugno anche per il piano di ripresa, la cosiddetta ‘quarta gamba’ del pacchetto licenziato dall’Eurogruppo sulla quale, mette in chiaro Michel, “non c’è ancora un accordo”. Obiettivo di Conte è ottenere il via libera politico domani per cominciare i negoziati sia sul bilancio pluriennale che sul ‘recovery fund’ vero e proprio.
E da lì in poi avviare il pressing per fare presto contro chi al nord cercherà  di rallentare e piantare paletti, a meno che non si renda davvero conto che portarla per le lunghe non conviene a nessuno.

(da “Huffingtonpost”)

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INTERVISTA A COTTARELLI: “OK AL MES MA ALL’ITALIA NON BASTA, QUEST’ANNO DEFICIT AL 10%, SERVE UNO SCATTO DEGLI IMPRENDITORI”

Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile

“BISOGNA PUNTARE SUGLI INVESTIMENTI PUBBLICI MA ANCHE LE AZIENDE PRIVATE DEVONO FARE LA LORO PARTE”

L’economista Carlo Cottarelli è direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università  Cattolica di Milano. Ex dirigente del Fondo monetario internazionale ed ex commissario alla spending review sotto il Governo Letta, nel maggio 2018 fu per tre giorni premier incaricato dal presidente della Repubblica Mattarella, salvo poi rinunciare per lasciare spazio al nascente Governo Conte 1.
Professore, l’economia italiana naviga nella tempesta. Cosa vede all’orizzonte?
Questo è un anno difficile per tutto il mondo e molto difficile in particolare per noi, perchè abbiamo un’emergenza sanitaria più forte rispetto a tanti altri paesi, che determinerà  anche una caduta del Pil più forte. E quindi abbiamo un problema di rischi di crisi finanziaria.
Come si agisce in questi casi?
Abbiamo la necessità  di spendere, come Stato, molto di più di quanto era stato previsto. Ma c’è un problema di finanziamenti, perchè siamo un paese con un debito pubblico molto alto. La questione è: da dove verranno questi finanziamenti?
Da dove?
Dobbiamo basarci sul sostegno dell’Europa. La Banca centrale europea ha già  previsto di acquistare 220 miliardi di titoli di stato italiani.
L’Ufficio parlamentare di bilancio prevede che nel primo semestre del 2020 il Pil del nostro paese chiuderà  a -15%. Stima verosimile?
Il Fondo monetario internazionale ha previsto una caduta per l’intero anno del 9 per cento. L’Istat ha calcolato che il 40 per cento dell’attività  produttiva è oggi bloccato. La botta è sicuramente molto forte, però ancora nessuno può sapere quanto esattamente
Andiamo incontro a una crisi peggiore di quella del 2008-2012?
Sicuramente sì.
Quali differenze ci sono rispetto ad allora?
Qui c’è uno schock di offerta che allora non c’era. Nel 2008-2012 c’era solo uno shock di incertezza, oggi invece non si può andare a lavorare. È molto diverso.
Quali sono i settori che soffriranno di più?
Tutti i settori che implicano spostamenti, in primis il turismo e in generale tutti quelli che esportano.
Come valuta la risposta del Governo alla crisi?
Il problema è il solito: la lentezza. E poi i provvedimenti di difficile interpretazione: tutti i commercialisti lo stanno lamentando.
Con il Decreto Liquidità  il Governo ha stanziato 400 miliardi di euro a garanzia dei prestiti bancari alle imprese. La critica è: “Ennesimo regalo alle banche”.
Bah… Se lo Stato non avesse concesso la garanzia si sarebbe detto che le banche non avrebbero potuto prestare soldi, ora che si dà  la garanzia si dice che è un regalo… È chiaro che quando lo Stato fa cose in deficit sta regalano qualcosa a qualcuno, ma in questo caso è una cosa necessaria, altrimenti chi sostiene l’economia?
Che ne pensa della proposta di un reddito universale?
Se fosse universale, nel senso che andrebbe anche a Cottarelli o a Berlusconi, non lo farei. Io ho una pensione che deriva dalla mia attività  al Fondo monetario internazionale: perchè dovrei ricevere dei soldi dallo Stato? Un reddito universale può essere pensato per dare una spinta macroeconomica, per aumentare la domanda. Ma il rischio sarebbe che una parte di questo reddito poi potrebbe non essere speso e finire in risparmi
Come si può intervenire allora?
Se ci sono soldi pubblici da spendere, io punterei di più su acquisti diretti fatti dallo Stato. Se poi magari riuscissimo a fare anche qualche investimento pubblico… Ma bisogna muoversi rapidamente: bisognerebbe pensare già  adesso a come rilanciare gli investimenti pubblici
Qualcuno torna a parlare di Stato imprenditore.
In una fase di emergenza è possibile che lo Stato debba intervenire acquisendo la proprietà  di attività  produttive. Ma deve essere una cosa temporanea.
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha evocato il Piano Marshall. Che analogie ci sono tra il dopoguerra e questa fase?
Il Piano Marshall comportò regali dagli Stati Uniti all’Italia per circa il 2 per cento del Pil all’anno per cinque anni. Per la maggior parte si trattava di importazioni di prodotti dagli Usa. Noi invece adesso abbiamo bisogno di un’altra cosa, cioè di domanda di prodotti italiani. Il Piano Marshall è stato clamoroso e senza precedenti, in termini quantitativi però 2 punti di Pil all’anno sono utili ma non ti cambiano la vita
E allora?
La ricostruzione nel dopoguerra non è avvenuta per il Piano Marshall, è avvenuta perchè i lavoratori e gli imprenditori italiani si sono rimboccati le maniche e sono ripartiti.
Anche oggi servirebbe “uno scatto” del settore privato, come dice il presidente del Censis De Rita?
Certamente.
La Commissione europea ha sospeso il Patto di Stabilità . Ora quindi potremo fare deficit libero?
Sì, quest’anno si andrà  al 9-10 per cento del Pil.
Eurobond, Coronabond, Recovery bond. Facciamo un po’ di ordine.
La confusione deriva dal fatto che il termine Eurobond veniva usato in passato per indicare la mutualizzazione del debito passato. Cosa che sarebbe bella ma non avverrà  mai, perchè quello è un tipo di altruismo che non esiste neanche in paesi che hanno raggiunto unità  politica: negli Stati Uniti, ad esempio, ogni Stato rimane responsabile per il proprio debito. I Recovery bond, o Coronabond, invece, sono soldi che si prendono a prestito insieme e si decide insieme come utilizzarli.
Germania e Olanda non vogliono i Coronabond, Italia e Spagna temono che il Mes sia il passepartout per la Troika. Chi ha ragione?
Il problema principale è che c’è un preconcetto per cui il Mes significa austerità  e gli Eurobond significano mutualizzazione del debito.
E invece?
Se per il Mes l’unica condizionalità  riguarderà  le spese sanitarie dirette e indirette, non vedo perchè dire di no.
Non è chiarissimo cosa si intende per spese indirette.
Bisognerebbe capirlo meglio. Ma mi sembra ovvio che se una fabbrica resta chiusa perchè c’è un’emergenza sanitaria, le spese fatte per sostenere quella fabbrica dovrebbero essere considerate spese indirettamente sanitarie.
Obiezione che viene fatta: le condizionalità  potrebbero cambiare più avanti.
Al momento io continuo a pensare che, se si comincia con una condizionalità  legata alla sanità , non è possibile poi introdurre condizioni macroeconomiche. Ma va certamente verificato. Conte ha assunto una posizione abbastanza ragionevole su questo punto. Dice: “Vediamo le condizioni”. Fa bene a lasciare la porta aperta. Ma il punto fondamentale è un altro
Quale?
I soldi del Mes sono pochi: all’Italia arriverebbero circa 36 miliardi di euro. Ci serve di più. La cosa principale sono i 220 miliardi in titoli di stato della Bce. I Recovery bond potrebbero essere una cosa utile anche come segnale ai mercati finanziari. E da lì potrebbero arrivare più soldi
Quanti?
Se l’emissione sarà , come sembra, di 1.000 miliardi di euro, all’Italia potrebbero arrivare 150 miliardi.
La cancelliera tedesca Merkel sbaglia a dire no ai Recovery bond?
Secondo me sì, perchè il costo per la Germania sarebbe molto basso. Tra l’altro, la garanzia verrebbe data solo pro-quota dalla Germania. Ma c’è un problema politico: Merkel deve convincere i tedeschi che non si tratta del primo passo verso la mutualizzazione del debito passato

(da TPI)

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IL SOCIOLOGO TRIANI: “ITALIANI IN CASA PERCHE’ FIFONI NON PERCHE’ RISPETTANO LE REGOLE”

Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile

“PROTESTE IN USA PERCHE’ ABITUATI A FARE QUELLO CHE GLI PARE”… COME LA CULTURA INFLUENZA LE MISURE ANTICONTAGIO

Esiste una correlazione tra le scelte politiche che i Paesi del mondo stanno adottando per sconfiggere l’emergenza sanitaria da Coronavirus e i loro fattori culturali come, ad esempio, gli stili di vita, le tradizioni — talvolta antichissime — e, perchè no, le confessioni religiose.
Una teoria sposata dal professor Giorgio Triani, sociologo dell’Università  di Parma, che ha cercato di mettere in collegamento quanto fatto finora dai principali Stati — o quelli con una situazione più drammatica di altre — e la loro storia culturale.
Si parte dalla Cina, primo Paese a incassare il duro colpo dell’epidemia.
«È dalle notizie dell’ultima settimana che dobbiamo partire per capirci qualcosa — dice il professore -. Si è infatti detto che i morti di Wuhan sarebbero il 50% in più di quelli ufficiali. Questo è il frutto di un regime che da tempo immemore nasconde sotto al tappeto, nella speranza di dare in pasto al mondo l’immagine di un sistema perfetto; lo fa da 70 anni. Allo stesso tempo, la Cina, dotata di integerrimo spirito orientale, ha fatto quello che sa fare meglio: mettere in riga il popolo con misure drastiche, militarizzando gli ambienti per scampare al pericolo. Ancora una volta è l’esempio lampante del fatto che la storia non inventa, al più esagera».
L’Italia, sebbene si stia mostrando «responsabile, con un senso civico quasi mai dimostrato prima, non crediamo certo lo stia facendo per improvvisa disciplina piombata dall’alto. Le misure restrittive e la quarantena esistono perchè l’italiano è fifone. Sono tutti presi a restare in casa, a suonare l’Inno di Mameli fuori dalla finestra perchè il popolo ha una paura folle di morire. Il popolo italiano è strutturalmente indisciplinato, storicamente mai stato unito. Qui si ritrova ad esserlo perchè siamo gente malfidata, abbiamo timore di ammalarci e finire per non essere curati a dovere. Sanzioni e controlli certo funzionano, ma con la minoranza».
C’è poi la Svezia, il cui sistema per combattere il Covid sembrava essere vincente, un modello da seguire ma che, invece, piano piano si sta dimostrando più fallibile del previsto. «Sono partiti con spirito sportivo, senza blocchi, serrate. Locali pubblici e scuole aperte. Pensavano di cavarsela. Sono da sempre un Paese che ama vivere all’aria aperta, in totale libertà . Lì tutto funziona in modo perfetto, quasi mai si assiste a storture nel sistema. Un posto in cui non esiste un’iperconcentrazione urbana, dunque credevano fosse questo il loro jolly: “siamo pochi, viviamo distanti, che potrà  mai capitarci”. E invece adesso subiscono l’effetto collaterale, quello dei contagi, della diffusione della malattia e a loro non rimane altro che esorcizzare la morte». Ieri la Svezia ha registrato il suo record di vittime in un giorno: 185 decessi che portano a 1.765 il totale dei morti. Altri 545 cittadini sono risultati positivi.
Anche in Svizzera niente lockdown, nonostante il numero dei contagi — sono più di 27 mila — e i decessi che hanno quasi raggiunto quota 1.500. «Ho notato con il programma di Google che traccia la mobilità  che lì non schiodano le percentuali, molto alte, di coloro che continuano a muoversi per andare negli spazi verdi come i parchi. Eppure nessuno prende misure in merito. Questo può essere rapportabile al loro essere estremamente indipendenti. Basti pensare alla divisione in cantoni: ogni cantone ha una sua costituzione, un suo parlamento, un suo governo e suoi organi giurisdizionali. Ogni cantone bada a se stesso e così ogni cittadino che è responsabile della propria e della vita altrui: è un meccanismo automatico».
Gli Stati Uniti vivono in queste ore forti proteste anti-lockdown. La gente scende per strada, indice manifestazioni, nonostante il divieto di assembramento, per chiedere di non rimanere ancora per molto in casa. Gli Usa registrano 814.490 casi Covid confermati e 44.342 decessi. «Sarà  dura laggiù: gli americani hanno un senso di libertà  personale molto forte, da sempre. Dal poter possedere un’arma sotto il cuscino, allo sparare al ladro che ti entra in casa. È la patria in cui tutto è possibile, in cui tutti possono fare tutto. Sono abituati a prendersi qualsiasi tipo di libertà  e quindi nutrono poca disponibilità  a rispettare le regole imposte dall’alto, a farsi carico di restrizioni che, però, di fatto, possono salvare la vita».

(da Open)

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IL GIUDICE: “BUONI SPESA ANCHE AGLI IMMIGRATI, PRIMARIO IL DIRITTO ALL’ALIMENTAZIONE”

Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile

“NEGARE LA RESIDENZA ANAGRAFICA TAGLIA FUORI CHI NON HA IL PERMESSO DI SOGGIORNO”

Discriminatoria la delibera del Comune di Roma che chiede la residenza anagrafica come requisito per il buono spesa, escludendo così tutti i migranti irregolari.
Il provvedimento, destinato a fare da apripista, è della giudice Silvia Albano.
Il provvedimento, in dieci pagine, esamina il ricorso di un immigrato filippino, Randy A., 38 anni, assistito dall’avvocato Salvatore Fachile, che ha contestato, davanti al giudice della sezione Diritti e immigrazione, la delibera che disciplina l’erogazione dei ticket.
L’immigrato era giunto in Italia nel settembre del 2016 insieme alla compagna e ai due figli della donna rimasta vedova. Dalla loro relazione era poi nato un figlio in Italia e la coppia   era diventata titolare di permesso di soggiorno per sei mesi.
Scaduta l’autorizzazione, però, i due e i figli sono rimasti a Roma. Lui lavora come aiuto cuoco, lei come domestica. I figli vanno regolarmente a scuola.
L’immigrato aveva chiesto al Municipio XIV il contributo specificando la propria condizione economica per effetto del lockdown e la situazione di irregolare, privo della residenza.
Ma proprio per questi motivi è stato escluso dal buono spesa. “Attualmente – ha sostenuto il legale dell’immigrato – il ricorrente e la sua famiglia non riuscirebbero neppure a regolarizzarsi essendo al momento chiusi gli Uffici Immigrazione delle Questure e sospese le procedure di rilascio dei permessi”
Argomentazione accolte dal giudice che nelle dieci pagine del provvedimento rileva che “il buono spesa è stato istituito nell’emergenza sanitaria in atto per garantire alle persone più vulnerabili la possibilità  di soddisfare un bisogno primario e un diritto fondamentale quale il diritto all’alimentazione”.
Richiamando la dottrina della Corte costituzionale e le norme internazionali, la giudice spiega che “nel caso di specie non si discute dell’accesso a prestazioni assistenziali “ordinarie”, ma dell’accesso ad una misura emergenziale tesa a fronteggiare le difficoltà  dei soggetti più vulnerabili a soddisfare i propri bisogni primari a causa della situazione eccezionale determinata dall’emergenza sanitaria in atto”.
Per la magistrata, poi, è sufficiente che la famiglia abbia dimostrato di abitare effettivamente a Roma attraverso la documentazione scolastica e le certificazioni vaccinali dei figli minori. E di aver certificato la condizione di disoccupazione senza accesso ai benefici della cassa integrazione previsti per i titolari di contratto regolare.
“Il ricorso – conclude Albano – deve, pertanto essere accolto, dichiarando il diritto del ricorrente e l’intero nucleo familiare al beneficio del buono spesa per famiglie in difficoltà  introdotto dal Comune di Roma

(da agenzie)

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LE TUTE BLU DELLA FIOM: “TANTISSIME AZIENDE HANNO GIA’ RIAPERTO, IL GOVERNO NON GESTISCE NULLA”

Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile

INTERVISTA A DE PALMA: “NON STA PREVALENDO UNA LOGICA SANITARIA, MA UNA LOGICA DI MERCATO”

“Conte deve parlare di cose concrete e reali: non può continuare a indicare la data del 4 maggio per la fine del lockdown, quando nel frattempo stanno aprendo moltissime multinazionali e aziende solo con l’autorizzazione dei prefetti o con un silenzio-assenso. Sto parlando di aziende che sono state chiuse per la pandemia in quanto non strategiche per la produzione. Adesso improvvisamente sono diventate strategiche… Pur senza un piano del Governo, stanno riaprendo le aziende che hanno un mercato. Restano chiuse quelle che non ce l’hanno più e hanno i lavoratori in cassa integrazione. Non sta prevalendo una logica sanitaria, bensì una logica di mercato”.
Michele De Palma, responsabile automotive della Fiom-Cgil, è furioso con la modalità  con cui il Governo sta preparando la fase 2, dopo il lockdown dell’ultimo mese e mezzo a causa dell’emergenza coronavirus: “Siamo al punto che se vai a fare jogging, ti fermano, controllano e multano. Mentre il campo del lavoro è una terra di nessuno: le aziende decidono di riaprire senza un piano di sicurezza sociale, della mobilità , senza un piano per i test nelle fabbriche”.
Avete scioperato per chiedere protocolli di sicurezza nelle fabbriche rimaste aperte in fase di lockdown. Avete anche fatto accordi con Fca. Adesso che ci avviciniamo alla fase 2 cosa temete?
Il Governo non la sta gestendo per niente. Continuano a fare un dibattito finto sulla riapertura il 4 maggio, quando in realtà  molte aziende hanno già  riaperto. E altre ancora, tra cui moltissime multinazionali, apriranno la prossima settimana. Ma di cosa stiamo parlando? Il Governo rischia di arrivare tardi con il suo piano, quando le aziende avranno già  riaperto senza uno schema di protezione nè dal punto di vista sociale, nè dal punto di vista della mobilità  dei lavoratori, che spesso arrivano da fuori Regione e si spostano in bus. E senza un piano epidemiologico, senza un piano per i test, senza personale che possa compiere le verifiche nelle aziende.
Cosa chiedete al Governo?
Che si assuma le sue responsabilità . Noi ce le siamo assunte scioperando e facendo accordi per la tutela della sicurezza dei lavoratori nelle aziende che sono rimaste aperte, cioè quelle essenziali, inserite nel Dpcm con la lista dei codici Ateco che potevano lavorare in periodo di pandemia. Ora sta succedendo che aziende che non erano in quella lista, improvvisamente figurano come strategiche e riaprono senza che il Governo abbia fatto un piano. Non stanno riaprendo solo quelle aziende che non hanno un mercato, aziende che rischiano di non riaprire con i lavoratori che rischiano di essere in cassa integrazione poi di perdere il lavoro. Ecco la differenza tra quando hanno deciso il lockdown e ora è che le aziende che hanno fermato la produzione hanno potuto mandare i dipendenti in cassa integrazione e nel frattempo abbiamo contrattato protocollo di sicurezza che abbiamo ottenuto anche scioperando. Per il resto, riaprono senza rete tutte le aziende che hanno un mercato senza rete.
Quali sono?
Ce ne sono tantissime. Servirebbe un piano che rischia di arrivare tardi, quando hanno già  riaperto col rischio di una falsa partenza: se scoppiano nuove emergenze di contagi, che facciamo? Meglio fermare le riaperture fino al 4 e lavorare alla messa in sicurezza.
Pensate di scioperare di nuovo?
Il punto non è questo. Perchè lo sciopero è un’arma contro l’azienda quando non rispetta le linee guida sul distanziamento di almeno 1 metro, non dà  i dispositivi di protezione. Oggi le aziende sostengono di chiedere di riaprire perchè lo prevede il Dpcm con le deroghe sulla strategicità  affidata ai prefetti. Il punto è che c’è un vuoto di cui il Governo deve farsi carico. Conte parli di cose certe e reali per le riaperture. Tra l’altro, mi chiedo, c’è un piano per chi non sa a chi lasciare i figli per tornare al lavoro, visto che le scuole sono chiuse? No, manca anche quello.
Però, magari, pur nell’insicurezza, i lavoratori, che voi rappresentate, vogliono tornare al lavoro, per non perderlo…
Ma noi non abbiamo mai detto: tutti a casa. Anzi, abbiamo anche proposto che stabilimenti chiusi da anni come Termini Imerese siano riconvertiti per produrre beni necessari in periodo di pandemia. Nessuno ci ha risposto. Ripensare le riduzioni del futuro è come produrle è il centro della riflessione che dovrebbe vedere sindacato, governo e imprese ascoltare la comunità  scientifica. Il punto è che serve equilibrio e competenza: non si può rischiare tutto per permettere alla gente di andare al lavoro, anche in aziende non essenziali e senza aspettare un piano di sicurezza per i lavoratori e per tutti, e poi allo stesso tempo, se vai a fare jogging ti possono fermare, controllare e multare. Significa che prevale la logica di mercato. Non c’è alcuna logica sanitaria. Non vogliamo tornare alla normalità  che ci ha portato in questa crisi sanitaria, sociale ed economica.

(da “Huffingtonpost”)

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