Destra di Popolo.net

“PARTECIPATISSIMA ASSEMBLEA DI ITALIA VIVA”, MA NELLA FOTO MOLTI DEGLI ISCRITTI APPAIONO DUE VOLTE

Maggio 12th, 2021 Riccardo Fucile

GAFFE DEL DEPUTATO RENZIANO NOBILI: RADDOPPIA I PARTECIPANTI CON PHOTOSHOP

Tutto si è svolto nella giornata di martedì 11 maggio con Luciano Nobili, deputato di Italia Viva, che sul suo profilo Twitter ha pubblicato uno screenshot di una riunione degli iscritti al partito, che si è svolta online, scrivendo: “Partecipatissima l’Assemblea in cui gli iscritti di Italia Viva Roma hanno incontrato Carlo Calenda e progettato il futuro della Capitale. La sfida è tra chi vuole cambiare e i mille interessi che vogliono lasciarla com’è. Dopo anni di disastri Roma può tornare grande. Al lavoro!”.
Agli utenti, però, non è sfuggito il fatto che nella stessa foto molti dei partecipanti alla riunione apparissero più volte nei riquadri, probabilmente nel goffo tentativo di accrescere il numero effettivo dei partecipanti all’assemblea.
Nell’istantanea, infatti, si vede lo stesso Nobili, ma anche Carlo Calenda e altri partecipanti, letteralmente “sdoppiarsi”.
Poco dopo il tweet è stato rimosso dallo stesso Nobili, ma la foto, nel frattempo, era già divenuta virale sul web provocando l’ironia e lo scherno degli utenti.
(da agenzie)

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LA STORIA DEL MIGRANTE CHE OGNI GIORNO PAGA CON UN EURO L’AUTISTA DEL BUS CHE LO PORTA AL LAVORO

Maggio 12th, 2021 Riccardo Fucile

ORA CERCANO DI AIUTARLO AD ACQUISTARE UN ABBONAMENTO ANNUO

«La dignità ha un sapore bellissimo» scrive su Facebook l’autista del bus che racconta questa vicenda. Che è una storia di viaggi, perché la vita dei migranti che arrivano in Italia è tutta una storia di viaggi, ma al tempo stesso di orgoglio, del proprio lavoro, dei propri doveri e del proprio ruolo in una società.
Un migrante, probabilmente africano, di cui non si conosce né il nome né il preciso tragitto quotidiano, al termine del suo viaggio a bordo di un mezzo pubblico, la linea R6 Anm che collega i quartieri napoletani di Fuorigrotta e Pianura, nella zona Occidentale, poco prima di scendere si avvicina al lato del guidatore e lascia lì una moneta da un euro. Col suo gesto intende pagare il viaggio.
L’uomo è stato più volte rimproverato per il suo comportamento: gli autisti dei mezzi pubblici non possono accettare denaro da nessuno, ovviamente. Dovrebbe semmai fare il biglietto, il ragazzo. O meglio, un abbonamento che a conti fatti, visto lo spostamento giornaliero, gli costerebbe molto meno di un euro a corsa. Niente da fare. Non si sa se per incapacità materiale o per altri problemi non lo fa.
Racconta l’autista testimone del gesto:
Poco prima di scendere, per evitare di ottenere il giusto e netto rifiuto da parte degli autisti, lascia furtivamente un euro sul cruscotto dell’autobus e poi scende.Un euro la mattina ed un euro il pomeriggio. Non riusciamo a fermarlo per spiegargli che non può e non deve farlo! Una volta un collega lo ha rimproverato anche bruscamente, ma lui si è incazzato ancor più del collega!
Tra l’altro, gli costerebbe molto meno un abbonamento mensile o addirittura uno annuale. Se qualcuno lo riconoscesse dalle immagini, per piacere, gli spieghi che lui è costretto a munirsi di titolo di viaggio prima di salire sul bus e che, soprattutto, gli autisti non possono percepire soldi.
Questa storia è così ricorrente, quotidiana, che uno dei dipendenti della società di trasporto napoletana, l’Anm, ha deciso di immortalarla con un video e di girarlo a Francesco Borrelli, uno dei politici napoletani più “social” in assoluto, insieme al re dell’informazione radiofonica napoletana Gianni Simioli. Obiettivo: cercare questo ragazzo, magari aiutarlo con una colletta per acquistare un abbonamento annuale.
(da agenzie)

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POVERO CENTRODESTRA: ALBERTINI RINGRAZIA E DECLINA, BERTOLASO NEMMENO RINGRAZIA

Maggio 12th, 2021 Riccardo Fucile

LE GRANDI PERSONALITA’ SI SFILANO DALLE LISTE DEL CENTRODESTRA PERCHE’ NON LO RITIENE AFFIDABILE

Albertini ha ringraziato e declinato l’offerta di candidatura a sindaco di Milano per il centrodestra. Bertolaso non ha neppure ringraziato, e ha passato la mano.
Delle altre città si sa meno, per la regola mediatica che ‘zooma’ solo i grandi centri: ma la tendenza è la stessa, le grandi personalità si sfilano alla prima invocazione del tavolo di centrodestra.
Certamente influisce lo sputtanamento dolosamente indotto dai media sulla figura del politico: una volta l’elezione a sindaco coronava il corso di onori di un professionista, di un imprenditore, di un cittadino. Oggi no.
Chi vive bene, difficilmente si infila nel tunnel della lotta barbara di questa stagione, con annesso odio social senza risparmio di dosi.
E il tutto per cinque anni di grane da affrontare in Comune, con danni professionali ed economici, e per quattromila euro netti al mese, senza considerare la probabilità di un successivo decennio di giudizi amministrativi, civili e penali, inevitabile indotto di una prestazione amministrativa. Davvero fare il sindaco è un’avventura spericolata per una persona di successo.
Ma non è solo questo a mettere in fuga i migliori candidati. Esiste una remunerazione morale che ancora può motivare un cittadino a rinunciare a qualcosa per la propria comunità: è il gusto di lasciare un segno, sentendosi parte di un progetto di Patria, di Paese, di Comunità. È quello che il giurista campano Ettore Fiore chiama ‘reddito psichico’, una soddisfazione che va oltre il calcolo dei propri interessi economici. Per anni la borghesia italiana è stata mossa dal ‘reddito psichico’.
La Dc fu fondata a Milano, dalle grandi famiglie borghesi riunite in casa di Enrico Falck, che mai volle candidarsi, ma aprì la strada all’impegno politico di una generazione di avvocati, medici, imprenditori. Il celebre avvocato genovese Acquarone, scomparso da poco, confessava che l’impegno parlamentare gli costava come una barca di trenta metri, ma non vi rinunciò mai.
Anche il centrodestra ha coinvolto la borghesia illuminata di questo Paese: Albertini stesso ne è stato una bandiera, non la sola. Berlusconi ha immesso nelle istituzioni migliaia di sindaci, amministratori, parlamentari tratti dalla borghesia professionale e produttiva.
È accaduto anche a sinistra, per carità, ma questa spinta a destra è il ‘core business’, non se ne può fare a meno. È la ragione sociale, e oggi manca.
La classe dirigente diffusa di questo Paese snobba il centrodestra. Non lo stima, non lo considera affidabile, né preferibile -negli argomenti, nelle parole d’ordine- allo sgangherato populismo che fortunatamente e velocemente declina a sinistra.
Ecco perché non si trovano i candidati: semplicemente perché il centrodestra non è come dovrebbe essere. Ed è un problema per il Paese, non per i politici.
(da Huffingotonpost)

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“IL VERO SCANDALO E’ CHE SUI MIGRANTI NON ESISTE L’EUROPA”: INTERVISTA A CHRISTOPHER HEIN, DOCENTE DI DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE ALLA LUISS

Maggio 12th, 2021 Riccardo Fucile

“BISOGNA DIRE CHE L’ITALIA E’ SOLO QUINTA IN EUROPA PER RICHIESTE DI ASILO, NON ESISTE ALCUNA EMERGENZA, IN ITALIA SOLO IL 5% DELL’INTERA RICHIESTA DI ASILO IN EUROPA”

La freddezza con cui è stata accolta in Europa la richiesta di solidarietà dell’Italia sui migranti “è un’ennesima doccia fredda che certifica il fallimento dell’intesa del 2019 a Malta” e l’assenza di una “prospettiva per rendere le frontiere esterne dell’Ue veramente europee”.
“Abbiamo un club di 27 Stati membri, ma – quando parliamo di richiedenti asilo o cittadini di Paesi terzi che fanno ingresso in modo irregolare – tutto si concentra a una manciata di Paesi. Il vero scandalo – se si guardano le statistiche dell’Unione Europea – è che ci sono tanti Paesi dove non arriva pressoché nessuno”.
Christopher Hein, docente di Diritto e politiche di immigrazione e asilo presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Luiss Guido Carli, direttore per 25 anni del Consiglio italiano rifugiati (Cir), commenta con HuffPost il deludente esito dell’appello alla solidarietà lanciato martedì dal governo italiano nella doppia sede del vertice europeo con i Paesi africani a Lisbona e al Consiglio Affari generali a Bruxelles.
Di fronte ai grandi sbarchi dei giorni scorsi a Lampedusa, nessun Paese finora si è fatto avanti per accogliere una parte dei richiedenti asilo. Come commenta questo silenzio?
“È un’ennesima doccia fredda che certifica il fallimento del tentativo che si è fatto nel settembre 2019 a Malta: un’intesa politica – non un accordo – tra pochi Stati (Italia, Malta, Germania, Francia). Questo gruppo, nei fatti, non si è mai consolidato né allargato in modo significativo. Non sorprende, dunque, che la proposta della ministra Lamorgese – peraltro già avanzata a marzo – di un ricollocamento strutturale non abbia avuto accoglienza”.
Ancora una volta, l’Italia si ritrova sola nella gestione di un flusso migratorio che in realtà dovrebbe riguardare a tutta l’Ue...
“Questo è vero solo in parte. Bisogna soffermarsi a vedere la situazione anche dall’altra parte: non abbiamo solo Lampedusa. Abbiamo anche le isole Canarie, le isole greche, la rotta balcanica dove c’è un aumento del flusso migratorio proveniente dalla Grecia; poi c’è una situazione di nuovo molto incerta che è quella dell’Ucraina. Non bisogna essere troppo italo-concentrati: l’immigrazione è un fenomeno che riguarda altri Paesi europei. È importante conservare la lucidità, e in questo aiutano le statistiche”
E cosa dicono queste statistiche?
“Dicono, ad esempio, che la Germania ha ricevuto lo scorso anno 122mila richieste d’asilo; quest’anno già 57mila. In Italia lo scorso anno sono state presentate poco più di 21mila richieste: come vediamo, c’è una grande differenza. Se mettiamo a confronto la situazione italiana con altri Paesi come Spagna, Francia e Grecia, vediamo che nel 2020 l’Italia era solo al quinto posto nel numero di richieste d’asilo, con molta distanza non solo dalla Germania ma anche dagli altri tre.
L’Italia ha ricevuto lo scorso anno un 5% della totalità dei richiedenti asilo nell’Unione europea, che erano 416mila. La popolazione italiana, con i suoi 60 milioni di abitanti, corrisponde circa al 12% della popolazione dell’Ue a 27. Questi sono alcuni dati di cui bisogna tener conto per inquadrare – non certo per giustificare – la fredda accoglienza alla richiesta italiana”.
Resta il fatto che qui ci arrivano per mare, dopo viaggi terribili, che troppo spesso finiscono in tragedia…
“A rendere urgente la situazione italiana è certamente questa modalità di arrivo, così tragica. È una modalità che riguarda soprattutto l’Italia, ma anche, in misura minore, Spagna, Grecia, Malta, Cipro. Non a caso questi cinque Paesi si sono messi insieme nel cosiddetto Med5, così da presentare ove possibile una posizione unica. La drammaticità degli arrivi, come abbiamo visto questo fine settimana con oltre duemila sbarchi a Lampedusa in 48 ore, è indubbiamente una questione che investe l’Italia più di ogni altro Paese”.
Proviamo a inquadrare la situazione degli sbarchi di questi giorni. Siamo di fronte a un’emergenza?
“A Lampedusa c’è un ovvio problema di gestione che avrebbe qualsiasi Paese nell’accogliere in una piccola isola in mezzo al mare più di duemila persone in due giorni. In termini di numeri assoluti, non siamo a livelli così alti: dal primo gennaio 2021, in totale, sono arrivate 13mila persone. Non è un numero totalmente non gestibile o da emergenza: in passato sono stati affrontati numeri molto maggiori (nel 2016 erano più di 180mila). Sono le modalità a essere drammatiche: se queste persone fossero arrivate all’aeroporto di Fiumicino o di Palermo con un documento di viaggio o un visto d’ingresso per motivi di richiesta d’asilo, nessuno griderebbe all’emergenza. Il problema è che queste persone non possono entrare in modo regolare: devono fare questi viaggi infernali perché nessuno dà loro un visto d’ingresso”.
Ora a raccoglierle dal mare non ci sono più neanche le navi delle ong. Pensare che c’è chi le chiamava taxi del mare…
“È un aspetto che tengo moltissimo a sottolineare: in questo momento non c’è nessuna nave di soccorso delle ong a navigare nel Mediterraneo centrale, e in 48 ore abbiamo visto arrivare più di duemila persone. Se ci voleva ancora un’evidenza che la teoria del pull factor del soccorso in mare è basata sul nulla, eccoci accontentati”.
Il tema dell’immigrazione mette a nudo le fragilità del progetto europeo?
“Assolutamente sì. Il vero scandalo – se si guardano le statistiche dell’Unione europea – è che ci sono tanti Paesi dove non arriva pressoché nessuno. Si tratta del Gruppo di Visegrád (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia), di Austria e piccoli Paesi baltici, ma ormai anche di Danimarca e Finlandia, che hanno pochissime richieste d’asilo e pochissimi ingressi. Abbiamo un club di 27 Stati membri, ma – quando parliamo di richiedenti asilo o cittadini di Paesi terzi che fanno ingresso in modo irregolare – tutto si concentra a cinque Paesi.
Il nucleo del problema, in fondo, è che l’Unione europea non ha una competenza per dire: tu, Olanda, devi prendere 10mila persone. Questa competenza non c’è perché non è prevista dal Trattato di Lisbona. La Commissione europea può appellarsi, può chiedere, ma non può prescrivere: tutto resta sempre su base volontaria perché il principio della sovranità nazionale, su questa materia, resta invariato”.
Si parla tanto di superare il Regolamento di Dublino, ma alla fine siamo sempre fermi lì…
“È proprio così. Adesso abbiamo la nuova proposta – che non si chiama più Dublino ma Regolamento sulla gestione dell’asilo e dell’immigrazione, all’interno del nuovo Patto che la Commissione ha presentato il 23 settembre dell’anno scorso e adesso è in fase di dibattito. Se guardiamo il testo, però, ci accorgiamo che lo spirito di Dublino – secondo cui la competenza per la richiesta d’asilo è sempre del primo Paese di approdo – rimane sostanzialmente invariato: non c’è un vero superamento, per niente. Sui Paesi esposti al Mediterraneo, di frontiera esterna sensibile come l’Italia, resta la pressione di dover gestire una grandissima parte dei richiedenti asilo. Si prevede una correzione attraverso un meccanismo di ricollocamento che però resta molto timido, sempre su base volontaria. Nella sostanza, il principio della responsabilità del primo Paese di arrivo è rimasto. La ministra Lamorgese, insieme ai suoi colleghi del Mediterraneo, ha giustamente chiesto di più. Lo ha detto anche Draghi nel suo discorso al Parlamento, quando ha commentato il Patto proposto dalla Commissione europea”.
Dunque, stiamo aspettando un Patto che comunque riteniamo insufficiente. Non c’è la prospettiva di proporre qualcosa di un po’ più ambizioso
“Purtroppo, è una prospettiva che non si intravede, e non vedo neanche come si possa concludere questa partita, date le posizioni molto molto divergenti tra il Med5 da un lato e il gruppo di Visegrád dall’altro estremo. La Commissione si è arrampicata sugli specchi per trovare un complicatissimo meccanismo di solidarietà intra-europea che include, ad esempio, la famosa sponsorship per il ritorno, dove i Paesi invece di accettare un richiedente asilo dal primo Paese d’arrivo possono scegliere di facilitare il ritorno del richiedente che non ha ottenuto la protezione. Francamente, però, è tutto campato in aria, non potendo obbligare gli Stati membri. L’altro problema è che abbiamo tutt’ora il principio di unanimità su queste questioni, per cui tutti devono essere d’accordo: cosa praticamente impossibile”.
La frontiera marittima italiana è destinata a non diventare mai una vera frontiera europea?
“Mai dire mai, tutto può cambiare, anche nei Paesi dell’est che per ora bloccano qualsiasi reale cambiamento. Per ora, la frontiera marittima italiana resta italiana. Bisognerebbe trovare un gruppo di Stati all’interno dell’Unione – i cosiddetti volenterosi – che si mettano insieme per fare le proprie regole, secondo il modello dell’Europa a due velocità. Certo, il contesto politico oggi non aiuta”.
Quale impatto avranno le elezioni dei prossimi mesi in Germania e poi in Francia?
“La situazione in Germania cambierà, il 26 settembre ci saranno le elezioni politiche. Con alta probabilità il partito Verde entrerà nel futuro governo federale; non si sa ancora se arriveranno a presentare il cancelliere, ma è una possibilità concreta. Questo comporterà dei cambiamenti: sull’immigrazione i Verdi tedeschi hanno un’idea molto più vicina a quella italiana. In questi mesi di campagna elettorale, però, Berlino ha le mani legate: in questo momento nessuno vuole esporsi più di tanto su un tema che viene considerato caldo. Questo discorso vale anche per la Francia, dove abbiamo madame Le Pen determinata a prendersi l’Eliseo, e per la Spagna, dove il premier Sánchez fa i conti con la batosta di Madrid”.
Nelle ultime ore si è menzionata la possibilità che l’Ue sigli con la Libia un accordo sull’immigrazione come quello voluto dalla Germania con la Turchia: in sostanza, soldi (6 miliardi nel caso dell’intesa Bruxelles-Ankara firmata nel 2016) in cambio dell’impegno a fermare i flussi… Cosa ne pensa?
“La commissaria Ylva Johansson ha subito smentito un’idea di questo genere: è un totale non senso perché Libia e Turchia sono due Paesi non comparabili – già era difficile la costruzione che la Turchia fosse un cosiddetto Paese terzo sicuro, figuriamoci la Libia. Non si può pensare di replicare ciò che si è fatto nel 2016 con la Turchia perché la Libia – come è stato ampiamente dimostrato – non è un porto sicuro. Già il fatto di aver delegato, con l’accordo del 2017, la questione alle guardie costiere libiche lascia aperti molti punti. È impossibile che la Libia diventi un Paese stabile nel giro di un anno: mi auguro che diventi uno Stato di diritto, ma ci vorrà del tempo. Con questo non voglio dire che la Turchia sia uno Stato di diritto, ma rispetto alla Libia in un certo senso lo è. Dobbiamo anche ricordare che l’Ue si è resa ricattabile firmando l’accordo con Ankara: si è messa nelle mani di Erdoğan, delegando a lui la questione”.

(da Huffingtonpost)

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IL PARROCO DI LAMPEDUSA: “OGNI ANNO SIAMO COLTI DI SORPRESA DAGLI SBARCHI, DALLA POLITICA SOLO PROPAGANDA”

Maggio 12th, 2021 Riccardo Fucile

DON CARMELO: “NON SI PUO’ CHIAMARE EMERGENZA A MENO DI NON VOLERSI SOTTRARSI ALLE PROPRIE RESPONSABILITA'”

Una terra, quella di Lampedusa, da sempre soggetta agli sbarchi dei migranti. Le soluzioni provate negli ultimi anni, con diversi governi, sono state molte, ma ogni anno la situazione sembra incontrollabile.
“Ho visto uomini e donne molto provati, c’erano anche dei bambini. Tutti nei loro corpi portavano i segni della sofferenza”, dice don Carmelo La Magra, parroco di Lampedusa, che lunedì insieme ai volontari della parrocchia San Gelardo, ha portato acqua, succhi di frutta e coperte termiche ai migranti rimasti per ore sul molo Favaloro prima di essere trasferiti nell’hotspot di contrada Imbriacola, al collasso dopo la raffica di arrivi che ha portato sulla più grande delle Pelagie oltre 2mila persone.
Un flusso consistente ma non inaspettato secondo il parroco.
“Con l’arrivo del bel tempo le partenze aumentano – dice -, è un fenomeno che si ripete puntuale ogni anno, eppure ancora ci si ritrova impreparati, colti alla sprovvista da qualcosa che non si può chiamare emergenza a meno di non volersi sottrarre alle proprie responsabilità”
Immagini, quelli dei migranti ammassati sul molo, che colpiscono dritte al cuore.
“Qualcuno cercava di riparo dal sole sotto i cartoni, qualcun altro tentava di dormire in mezzo ai rifiuti. Chiedevano acqua, erano assetati, e camminavano a piedi scalzi tra la sporcizia”. Stipati in una striscia di cemento in condizioni igienico-sanitarie disumane.
“Sul molo ci sono solo due bagni, molto sporchi già prima degli ultimi sbarchi perché nessuno ne cura la pulizia”, racconta. Sui social il prete ha postato le immagini delle bottiglie di plastica piene di urina e sotto ha scritto: “Governo dei migliori vergogna”.
“Centinaia di persone. Sarebbero bastati anche solo cinque italiani lasciati in quelle condizioni per poche ore a suscitare lo sdegno di un’intera nazione”.
E ancora: “Manca la volontà politica di affrontare il fenomeno – conclude don Carmelo -. Lo si tratta da un punto di vista economico, sanitario, di sicurezza, ma mai si lavora a un’accoglienza vera. Nessuno propone soluzioni, vedo solo tanta propaganda”.
(da agenzie)

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DRAGHI: “NESSUNO DEVE ESSERE LASCIATO SOLO IN ACQUE ITALIANE”

Maggio 12th, 2021 Riccardo Fucile

E CI MANCHEREBBE PURE QUELLO, LO PREVEDE IL CODICE PENALE E QUELLO DELLA NAVIGAZIONE… “DIALOGO IN CORSO CON GERMANIA E FRANCIA” PER LA RICOLLOCAZIONE

“A fronte di questa complessa e drammatica realtà politica, sull’ immigrazione il governo vuole seguire una politica equilibrata efficace e umana, nessuno sarà lasciato solo in acque territoriali italiane, il rispetto dei diritti umani è una componente fondamentale nella politica migratoria”. A dirlo il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel rispondere al leghista Maurizio Molinari sul tema migranti durante il question time alla Camera dei deputati.
Nella gestione dei flussi migratori l’Italia, prosegue Draghi, è “impegnata a promuovere opportune iniziative bilaterali” con i Paesi del Nord Africa, mentre a livello europeo il governo si impegna a chiedere a Bruxelles una “redistribuzione credibile e efficace” dei migranti.
Il presidente del Consiglio aggiunge: ”È in corso un fattivo dialogo con Germania e Francia per rivitalizzare” l’accordo di Malta “questa forma di cooperazione, applicata con regolarità sino all’esplosione della pandemia e in virtù della quale è stato possibile ricollocare circa mille richiedenti protezione”.
“Il nostro obiettivo – continua – è attivare subito un meccanismo temporaneo di emergenza per il ricollocamento dei migranti soccorsi in operazioni Sar, basato sugli stessi principi di condivisione e di solidarietà dell’Accordo di Malta”.
Pronta la risposta della Germania. “L’Italia non può essere lasciata sola” per quanto riguarda il flusso di migranti, “non deve essere lasciata sola. La Germania ha partecipato alla ricollocazione dei profughi e lo faremo anche in futuro” ma “ci aspettiamo lo stesso comportamento dagli altri partner dell’Ue”.
Lo ha detto il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, al termine dell’incontro con il titolare della Farnesina Luigi Di Maio, aggiungendo di aver già contattato la commissione per dare la disponibilità.
(da agenzie)

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DRAGHI SALVA DURIGON MA IN PRATICA SI TIENE UN MILLANTATORE BALLISTA AL GOVERNO

Maggio 12th, 2021 Riccardo Fucile

“INDAGINI SUI FONDI LEGA COORDINATE DA COLONNELLI, NON DA GENERALI”… MA GLI OBIETTANO: “IN UN PAESE SERIO DOPO UN’ORA IL PREMIER AVREBBE CHIESTO LE SUE DIMISSIONI, COSI’ SI DIMOSTRA COMPLICE”

Il presidente del Consiglio Mario Draghi è intervenuto nell’Aula della Camera per il suo primo ‘question time’. La prima interrogazione a cui ha risposto è quella che parte dall’inchiesta giornalistica di Fanpage.it, che vede coinvolto il sottosegretario dell’Economia Claudio Durigon.
L’esponente leghista, non sapendo di essere ripreso dalle nostre telecamere, a proposito delle indagini sui finanziamenti della Lega, ha detto: “Quello che indaga della Guardia di Finanza, il generale lo abbiamo messo noi…”.
Il deputato Forciniti (L’alternativa c’è) ha chiesto a Draghi se intenda rimuovere il sottosegretario al Mef, braccio destro di Salvini nel Lazio: “Quelle di Durigon sono parole gravissime, sia se millantava con spacconeria, perché gettano discreto sulla Guardia di Finanza e sul Mef, sia se Durigon potesse davvero vantare un credito di riconoscenza nei confronti di qualcuno che sta indagando sul suo stesso partito. In ogni caso tertium non datur, è evidente che Durigon non può rimanere in quel ministero un minuto in più”.
Draghi ha risposto così, senza alludere ad alcuna richiesta di dimissioni da parte sua: “Onorevole Presidente, onorevoli deputati l’interrogazione ha ad oggetto alcune affermazioni dell’on. Durigon verosimilmente riguardanti un’indagine che ha visto coinvolti diversi professionisti e un’istituzione privata. Sentito il Comando generale della Guardia di finanza, si segnala che l’indagine oggetto dell’interrogazione è stata svolta dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Milano, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, alle dipendenze e sotto la direzione della Procura della Repubblica di Milano”.
“Il codice di procedura penale art. 329 recita al comma 1: gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria, le richieste del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e comunque non oltre la chiusura delle indagini preliminari. In altre parole gli agenti di polizia giudiziaria possono riferire solo al magistrato titolare dell’indagine. I Reparti della Guardia di finanza che hanno svolto le suddette attività investigative sono comandati da ufficiali con il grado di Colonnello. Nessun ufficiale Generale ha svolto ruoli direttivi nelle investigazioni oggetto dell’interrogazione. Peraltro, si evidenzia che tali ufficiali non rivestono qualifiche di polizia giudiziaria e pertanto non possono ricoprire un ruolo di diretto intervento nell’ambito delle indagini eseguite di iniziativa o su delega dell’Autorità giudiziaria”.
“I Reparti operativi del Corpo, peraltro – ha proseguito Draghi – sono dotati di piena autonomia organizzativa; il carattere gerarchico che connota la struttura del Corpo stesso non altera mai il rapporto di dipendenza funzionale dall’Autorità Giudiziaria delegante, che per legge assume la direzione delle indagini. Infine, la stessa procura di Milano, in data 29 aprile, ha confermato piena fiducia ai militari della Guardia di finanza evidenziandone la professionalità, il rigore e la tempestività negli accertamenti loro delegati”.
Il deputato Colletti ha replicato: “In quale paese civile un sottosegretario potrebbe dire di controllare un generale della Guardia di Finanza che sta indagando sul suo stesso partito. In quale paese un sottosegretario rimarrebbe al proprio posto? Lei non ha detto nulla per più di una settimana? Perché voi, i suoi ministri, siete così omertosi? In un paese serio un presidente del Consiglio specchiato dopo un’ora dalla pubblicazione del servizio di Fanpage avrebbe imposto le immediate dimissioni del sottosegretario, o ne avrebbe decretato la revoca immediata. Il sottosegretario ha giurato nelle sue mani, lei ne ha la responsabilità politica, non la Lega. Questa vicenda dimostra il substrato valoriale del suo governo e della sua maggioranza. Cosa bisogna fare per ottenere la dimissione di un politico? Servono soltanto due parole: ‘revoca immediata’ e con questa risposta lei si è dimostrato complice”.
(da agenzie)

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I CINQUESTELLE BUTTANO CANCELLERI GIU’ DALLO STRETTO DI MESSINA

Maggio 12th, 2021 Riccardo Fucile

ALL’ASSEMBLEA CONGIUNTA TUTTI CONTRO IL SOTTOSEGRETARIO CHE HA APERTO ALL’OPERA ALL’INSAPUTA DEI PARLAMENTARI

La scommessa sul Ponte sullo Stretto, rilanciata dal sottosegretario siciliano alle infrastrutture Giancarlo Cancelleri rinnegando tra le altre cose le sue posizioni di un tempo fermamente contrarie all’opera cara a Silvio Berlusconi, è dichiarata perdente dai parlamentari Cinque Stelle.
Un coro di no all’assemblea congiunta da Federica Dieni a Mauro Coltorti. Critico Stefano Patuanelli. “Ci troveremo a doverne discutere con atti parlamentari, quindi è necessario un confronto”, ha spiegato il reggente 5S, Vito Crimi, bollando l’uscita del sottosegretario come “non opportuna”.
Ma Cancelleri non demorde, propone gli Stati Generali delle infrastrutture siciliane e rilancia: “Sono pronto a fare di tutto per la compattezza del Movimento ma per una volta vorrei che quel no che non è ideologico possa essere rimesso al centro del nostro dibattito interno e cominciare a ragionare a quello che può essere un progetto per il Sud”.
E ancora: “Guardiamo con sana invidia l’alta velocità che arriva in Calabria. Ma se vuoi portarla in Sicilia il treno non ci arriva.. sul traghetto non entra!”.
L’altra bomba la spara il capogruppo M5S alla Camera: “Non mi sarei aspettato una fuga in avanti su un giornale prima della discussione con il M5S”, ha detto Davide Crippa. Spara anche il senatore e geologo Ruggiero Quarto: “Avrei preferito parlare del rischio frane, del rischio alluvioni, dei 44 miliardi che servono per mettere in sicurezza il paese dal rischio idrogeologico, di adeguamento del costruito a rischio sismico o del 40% di perdite della rete idrica. Invece ci troviamo ancora a parlare del Ponte sullo Stretto. Non ho preclusioni ideologiche ma oggi parlare di ponte è prematuro perché mancano le necessarie conoscenze scientifiche”.
Affonda la proposta anche il senatore Giuseppe D’Ippolito: “Io non ho competenze tecniche ma faccio presente che la posizione del M5S è un dato acquisito in Parlamento. Noi abbiamo detto no alla proposta di Stefania Prestigiacomo (FI) consacrando la nostra posizione in atti parlamentari su cui non mi sento di tornare indietro. Tu dichiari che si farà in 10 anni se ci sarà il via libera senza problemi al decreto Semplificazioni. Ma se questo testo dev’essere il viatico per fare il Ponte diventa allora un incentivo a non votarlo”.
(da agenzie)

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ORBAN IMPEDISCE LA DICHIARAZIONE DI CONDANNA UE A PECHINO PER LA REPRESSIONE A HONG KONG: AL SOVRANISTA PIACCIONO LE DITTATURE

Maggio 12th, 2021 Riccardo Fucile

IL DISASTRO DEL VINCOLO DELL’UNANIMITA’

A Pechino qualcuno starà sorridendo. L’Unione europea è preoccupata, a giusto titolo, per le misure liberticide che il governo cinese continua a adottare e attuare a Hong Kong, oltre che nei confronti della minoranza uigura in Xinjiang.
Per i ministri degli Esteri Ue, riuniti a Bruxelles, l’argomento era inevitabile né deve sorprendere che, dinanzi alla gravità dei recenti sviluppi, dal dibattito sia emersa una condanna pressoché unanime della linea dura imposta dai cinesi.
Oltre che sulle drammatiche violazioni di diritti fondamentali ai danni della comunità uigura, l’attenzione si concentra sulla recente legge di sicurezza nazionale per Hong Kong, che introduce un controllo di Pechino sulla scelta dei candidati alle elezioni della città, limitando fortemente la democrazia e il pluralismo che dovrebbero essere garantiti dalla sua costituzione (basic law). Tra l’altro, la legge ha portata extra-territoriale, consente cioè di perseguire penalmente anche persone fisiche o giuridiche straniere, sul territorio di Stati che abbiano un trattato di estradizione con la Cina, per l’eventuale sostegno da esse offerto a quanti a Hong Kong si oppongono alla repressione realizzata dal regime.
La situazione è indifendibile, anche per chi come la Germania ha solidissimi rapporti economici e commerciali con la Cina e tuttavia non si nasconde quando si tratta di richiamare al rispetto di diritti umani basilari.
Eppure l’Unione europea non è riuscita a pronunciarsi all’unanimità: tutti d’accordo tranne l’Ungheria, sicché si è preso tempo per cercare di superare il veto di Budapest.
Per ora nulla di fatto, se ne riparlerà nei prossimi giorni. Il governo ungherese si era già opposto a sottoscrivere conclusioni del Consiglio Esteri critiche nei confronti della Cina. Pesano le relazioni amichevoli tra i due Paesi, “altamente apprezzate” da Pechino, e l’intensa collaborazione economica e sanitaria. Nei mesi scorsi, ad esempio, l’Ungheria si è precipitata ad acquistare vaccini cinesi anti-Covid, non autorizzati in Europa. Con una certa soddisfazione della Repubblica popolare.
Per carità, ciascuno deve essere libero di perseguire i propri “interessi nazionali”, ma qui si pone un problema di fondo. Se anche per emettere una semplice dichiarazione – non per inviare cannoniere – l’Unione europea resta impigliata nella regola dell’unanimità e quindi nella possibilità di blocco da parte di ogni singolo Paese membro, sarà ancora molto lunga la strada da percorrere perché l’Ue sia considerata un protagonista della politica internazionale.
Esperti autorevoli raccomandano gradualità e prudenza prima di metter mano a eventuali riforme. Certo, le regole vanno ben meditate, come va valutato con cura il quadro fragile in cui ci muoviamo. Però, francamente, qualche dubbio sull’assetto attuale è lecito esprimerlo.
È difficile far funzionare una società se il suo Consiglio di amministrazione è tenuto ad adottare le sue deliberazioni all’unanimità. Altrettanto problematico sarebbe gestire un condominio con quella regola. D’altra parte, se il Consiglio europeo elegge il proprio presidente a maggioranza qualificata (art. 15.5 Tue), è singolare che per una dichiarazione si preveda l’unanimità.
E se al Consiglio europeo di Milano del 1985 ci si fosse adagiati su quel criterio, la storia sarebbe andata in un’altra direzione. Invece, con lungimiranza e coraggio, la presidenza italiana (Craxi, Andreotti) scelse di procedere a maggioranza sul voto per l’apertura della Conferenza per la riforma dei trattati con l’Atto Unico. Si opposero tre Paesi – Danimarca, Grecia e Regno Unito – su dieci, allora eravamo in dieci, ma la decisione fu adottata.
Nel momento in cui si comincia, con tante riserve tra le stesse istituzioni comunitarie, a discutere di futuro dell’Europa, forse potrebbe essere utile riflettere un attimo su come si prendono le decisioni in Europa.
Oggi siamo paralizzati davanti a una mera espressione di solidarietà per chi vede conculcati i propri diritti, domani avremo sul tavolo scelte ancora più pesanti, a impatto diretto. Se penseranno a materie come le risorse per la ripresa o il contrasto all’immigrazione illegale, gli ungheresi (e altri) certamente difenderanno l’unanimità a spada tratta. E’ un dato di fatto. La domanda è se ci si debba fermare qui e continuare a far sorridere i cinesi.
(da Huffingotinpost)

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