Destra di Popolo.net

CANDIDATURE CENTRODESTRA TORNANO IN ALTOMARE, NON C’E’ ANCORA INTESA SUI POLITICI, SI RITORNA (PER ORA) AI CIVICI

Maggio 24th, 2021 Riccardo Fucile

SPUNTANO ALTRI NOMI A CASACCIO: L’EX GRILLINO FAVIA A BOLOGNA, LA DALLA CHIESA E MATONE A ROMA, DALL’OCCHIO E DEL DEBBIO A MILANO E PURE GERVASONI, QUELLO CHE HA INSULTATO MATTARELLA… MA NON SI ESCLUDONO I POLITICI GASPARRI O IL NEO LEGHISTA STORACE A ROMA

Il centrodestra “correrà unito in tutte le città” e mette nero su bianco che si preferiscono “candidature civiche, rappresentanti del mondo del lavoro e delle professioni”.
Nessun accordo però al vertice dei leader sulle Comunali: appuntamento (auspicato) tra una settimana, quando ogni partito avrà fatto i propri sondaggi sui nomi in campo. A Roma in pole c’è il professore-avvocato nonché speaker radiofonico Enrico Michetti, lanciato da FdI ma poi derubricato da Meloni a “nome interessante come altri”. Per Forza Italia spunta il magistrato Simonetta Matone, poi Rita Dalla Chiesa. Mentre Vittorio Sgarbi propone l’ex prefetto Achille Serra (che è stato anche senatore del Pd), l’ex grillino Giovanni Favia per Bologna e Vittorio Feltri per Milano.
Dove la Lega punta invece su Maurizio Dallocchio, economista e docente alla Bocconi (che non ha ancora detto sì), ma emerge Paolo Del Debbio, mentre perde quota Annarosa Racca, presidente di Federfarma lombarda, ultimo nome uscito dal cilindro salviniano.
In campo ci sarebbe pure Marco Gervasoni, il professore che ha insultato Mattarella. Insomma, l’intesa nel centrodestra sarà pure vicina, ma è ben dissimulata. Negli uffici della Lega a Montecitorio nel pomeriggio si incontrano Salvini, Meloni, Tajani, Maurizio Lupi, Gaetano Quagliarello per “Cambiamo” di Toti, il centrista De Poli e Sgarbi. Clima tranquillo, nonostante da mesi i leader di lega e FdI non si vedano vis à vis. Convitato di pietra, il Copasir, di cui secondo tutti i partecipanti non si è parlato. Subito prima del summit, il Capitano e Tajani si incrociano al Senato, e si diffonde la voce di un’intesa siglata a sorpresa sulle grandi città: Michetti per la Campidoglio e Racca per il capoluogo lombardo.In realtà, le cose procedono più lentamente.
I leader prendono finalmente atto dell’”indisponibilità” sia di Albertini che di Bertolaso, se ne fanno una ragione e si guarda davvero avanti. Il centro dell’incontro è Roma, di Milano si parla poco. Non appare convincente la proposta, lanciata dallo stesso Albertini, di Fabio Minoli, direttore relazioni esterne della Bayer ed ex comunicatore di Confindustria.
Neppure il nome di Racca però fa proseliti, scivolando tra le proposte “interessanti” e niente più. Salvini rinvia: “Sono emersi 4-5 nomi inediti da sondare… Valuteremo i profili migliori”. Meloni mette fretta, chiede di chiudere la partita entro la settimana prossima, consapevole che sarà complicato. Anche perché il piano A restano appunto i civici, ma gli esponenti politici non sono del tutto fuori dal tavolo. Raccontano che Tajani abbia insistito nel proporre Gasparri a Roma e Lupi a Milano, senza riuscire per ora a convincere gli alleati. Ad avere l’ultima parola saranno i sondaggi che nei prossimi giorni dovranno misurare la forza reale dei nomi proposti. Se si tornasse sul versante politico, per Roma i nomi in corsa non sarebbero pochi: Fi punta su Gasparri, la Lega avrebbe Storace, mentre Fdi potrebbe schierare la giovane consigliera regionale Chiara Colosimo (in alternativa, Rampelli o il capogruppo alla Camera Lollobrigida). L’unica certezza, pare, è la candidatura condivisa del capogruppo azzurro a Montecitorio Roberto Occhiuto per le regionali in Calabria.
(da Huffingtonpost)

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NEL RECOVERY DI DRAGHI ZERO CASE POPOLARI, UN ALTRO FAVORE A BANCHE E PRIVATI

Maggio 24th, 2021 Riccardo Fucile

2,8 MILIARDI VANNO ALL’HOUSING PRIVATA SOCIALE CHE PIACE ALLE FONDAZIONI MA CHE IN 12 ANNI HA CREATO SOLO 9.000 ALLOGGI

Il piano casa del governo Draghi? Zero case popolari, tanto housing sociale e alcuni interventi a favore della marginalità, dai diversamente abili fino a misure per contrastare le “baraccopoli” figlie del caporalato in agricoltura.
I progetti che dovrebbero ridurre il disagio abitativo in Italia emergono dagli allegati al Piano nazionale di ripresa e resilienza: per aumentare il patrimonio residenziale a favore delle famiglie meno abbienti ci sono due diverse voci da 1,4 miliardi di euro (100 milioni dal 2022 a salire fino a 500 nel 2026) che andranno a finanziare interventi dentro al “Programma per la qualità dell’abitare”.
Tradotto? “Riqualificazione e aumento degli alloggi sociali, miglioramento dell’accessibilità, mitigazione della carenza abitativa, welfare urbano”, si legge nel piano.
Il fatto è che gli “alloggi sociali” sono qualcosa di radicalmente diverso dalle case popolari, pure più volte citate dal premier Mario Draghi nei suoi discorsi di presentazione del Recovery Plan alle Camere. Si tratta di edilizia privata sociale.
Un sistema che stando al Piano nazionale messo a punto da Cassa depositi e prestiti nel 2009 avrebbe dovuto consentire di realizzare 20mila alloggi attirando compartecipazioni di spesa dal settore privato.
Oggi sono solo 9mila a fronte di 650mila richieste inevase per accedere agli alloggi di edilizia residenziale pubblica. E i criteri di reddito per accedervi spesso escludono le persone più difficoltà. Basti dire che in Lombardia possono entrare nei quartieri di housing sociale persone o famiglie con Isee fino a 96mila euro annui.
Il disagio in Italia: 50mila sfratti, 220mila pignoramenti, 100mila case popolari vuote
A febbraio il Forum Diseguaglianze e Diversità, cercando di orientare l’impianto del Recovery, ha prodotto il documento “Una casa dignitosa, sicura e socievole per tutti. Una missione strategica attivata dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”.
Curato fra gli altri da urbanista dell’Università La Sapienza di Roma e dal presidente di Federcasa – la Federazione degli enti gestori di case popolari –, il toscano Luca Talluri.
Cosa dice? Che le case popolari in Italia sono 805mila ma altre 100mila potrebbero essere rimesse in uso con un piano di investimenti.
La domanda invece? 650mila richieste inevase per accedere agli alloggi di edilizia residenziale pubblica. A tanto ammonta il numero di famiglie in attesa nelle graduatorie dei Comuni.
E ancora: 50mila nuove sentenze di sfratto ogni anno che sono andate aumentando del 57% in 10 anni. Oltre a 100mila richieste di esecuzione sfratto ogni anno e il gigantesco, quanto non trattato, problema delle esecuzioni immobiliari e dei pignoramenti, con una media negli ultimi cinque anni di 220mila lotti che finiscono in asta, al 70% sul settore residenziale.
Housing sociale: la creatura Cdp-Cariplo
Basteranno i soldi e le misure previsti per far fronte a questo disagio abitativo? Per rispondere occorre capire che cos’è l’housing sociale su cui il governo ha scommesso nella missione 5 del Piano, quella dedicata a Inclusione e coesione, che comprende anche interventi di “Rigenerazione urbana” per il riutilizzo di aree pubbliche e il miglioramento dell’arredo urbano e del tessuto sociale e ambientale – a oggi non meglio dettagliati – in alcune grandi aree metropolitane (Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria, Messina, Cagliari, Palermo).
Parliamo di edilizia privata sociale finanziata tra il 60 e l’80% da Cassa Depositi e Prestiti attraverso un sistema di fondi immobiliari locali per l’abitare. Nasce come idea in seno alla Fondazione Cariplo nei primi Duemila, come strumento per rispondere alla crisi del ceto medio impoverito.
La platea che dovrebbe servire? In gergo si definisce “zona grigia” degli inquilini: chi è troppo benestante per le case popolari ma non abbastanza per il mercato immobiliare privato delle città. La leggenda vuole che ad innamorarsi dell’housing sociale sia stato direttamente Giuseppe Guzzetti, lo storico e potente capo delle fondazioni bancarie in Italia (oggi 87enne) che per portare avanti il suo disegno partendo da Milano, in Cariplo chiamò dal mondo della finanza londinese Sergio Urbani, attuale Direttore Generale della Fondazione bancaria azionista di Intesa Sanpaolo. Il quale, appena insediato in Cariplo, sulla sua scrivania trova e studia un dossier firmato dall’attuale assessore alla Casa del Comune di Milano, Gabriele Rabaiotti, all’epoca giovane ricercatore del Politecnico di Milano.
Da Cariplo il progetto approda in Cassa Depositi e Prestiti. Che inizia a strutturare nel 2009 un piano nazionale dell’housing sociale. Obiettivo? Realizzare 20mila alloggi in 20 anni con 2,2 miliardi di euro. Che, a leva, avrebbero attirato compartecipazioni di spesa dal settore privato. Il piano non decolla mai. Anche perché la crisi dei mutui si abbatte in quegli anni sul settore bancario e immobiliare e lo stesso Guzzetti nel tempo si defila dal suo ruolo di dominus. Quando nascevano i primi fondi immobiliari si racconta che bastasse una sua telefonata per trovare realtà come Pirelli o Telecom pronte a mettere 10-20 milioni di euro sul piatto per un fondo dedicato all’edilizia privata sociale. Oggi? Sono 9mila gli appartamenti in housing sociale in tutta Italia, per un canone d’affitto medio di 500 euro al mese più spese, mentre altri vengono venduti a prezzi convenzionati o affittati per i primi 8 anni e poi ceduti con patti di futura vendita.
A far fallire, almeno dal punto di vista sociale, la “visione” iniziale della strategia abitativa ci si mettono anche le Regioni: i criteri di reddito per accedervi attraverso una serie di graduatorie gestite privatamente vengono innalzati nel tempo. E oggi, in Lombardia, possono entrare nei quartieri di housing sociale persone o famiglie con Isee fino a 96mila euro annui.
Chi entra in affitto deve avere redditi che superano di almeno tre volte il canone di locazione. Persone quindi perfettamente “solvibili” anche su un ricco mercato immobiliare come la piazza di Milano. Mentre invece non può entrare chi ha subito per esempio uno sfratto. Per citare un altro esempio a Perugia è stato aperto di recente un bando per i primi 67 appartamenti (su 171) realizzati all’Ex Tabacchificio. Per accedervi? Si legge che “la capacità economica del nucleo familiare viene valutata sulla base del “reddito convenzionale” che non deve essere superiore a 60mila euro né inferiore.
Tutti pazzi per il social housing all’italiana
Il settore però è effervescente. Ai numeri, da oltre 10 anni deludenti, fa da contraltare un’importante campagna di marketing e comunicazione. Che batte su quanto sia innovativo creare quartieri in periferia in elevati classi energetiche in chiave di riconversione ambientale e che, nella città contemporanea, sono abitati dal cosiddetto “mix sociale” o “mixitè”: una sorta di melting pot fra autoctoni e stranieri, benestanti e meno, giovani e anziani, diversamente abili che lavorano nelle realtà di vicinato del quartiere stesso.
Solo per fare gli esempi più recenti: all’housing sociale sono destinate importante porzioni delle aree da riqualificare nell’ambito di Reinventing Cities, il bando internazionale promosso dal Comune di Milano e la rete delle grandi città nel mondo “C40” che ha messo a gara aree nei quartieri di Crescenzago, Bovisa, all’Ex Macello di Milano, lo scalo di Lambrate.
Sempre in edilizia convenzionata andranno edificate alcune porzioni degli scali ferroviari dismessi che Ferrovie dello Stato ha venduto ai privati. A Milano negli anni sono nati quartieri che hanno cambiato anche la toponomastica della città: da “Figino Borgo Sostenibile” a “Cenni di Cambiamento” (via Cenni) passando per “Moneta Milano” in via Moneta, il “Cascina Merlata Social Village” accanto ad Expo fino a “Redo Merezzate” nel quartiere di Rogoredo-Santa Giulia, che nel 2026 ospiterà le Olimpiadi invernali. Dove alcuni degli abitanti raccontato di aver comprato per investimento, non per necessità, contando su un rialzo dei prezzi grazie alla manifestazione a cinque cerchi.
Ecco gli uomini dell’housing sociale
Chi sono gli uomini e le donne che devono portare avanti il disegno sull’housing sociale in Italia? Tutti volti riconducibili al mondo di Cdp e Redo sgr, la società benefit emanazione di Cariplo e Intesa Sanpaolo che ha in mano, da quasi monopolista, la partita: da Paola Delmonte, ex Cariplo, poi Cdp e oggi in Redo, vera e propria pasionaria dell’housing sociale e studiosa della materia, a Giordana Ferri presidente della Fondazione Housing Sociale (emanazione di Cariplo) fino all’avvocato Carlo Cerami, presidente di Redo e storico amministrativista di Milano legato al centrosinistra e attualmente consigliere di amministrazione di Cdp. In via Goito è entrata invece nel 2021 come responsabile dei Fondi FIA (Fondi Investimento per l’Abitare) Francesca Maria Silva. Ingegnere, milanese-genovese di nascita, Maria Silva è un’esperta di smart cities e rigenerazione urbana. In passato legata umanamente all’ex ministra della Difesa, Roberta Pinotti (che ne è la madrina), tanto da essere nominata durante il suo dicastero alla presidenza di Difesa Servizi, la società della difesa che gestisce beni immobiliari e servizi, prima di andarsene al termine dell’incarico.
(da Il Fatto Quotidiano)

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ALTRO CHE SCUOLE APERTE IN ESTATE; SCRUTINI ANTICIPATI, SI CHIUDE PRIMA

Maggio 24th, 2021 Riccardo Fucile

DIDATTICA, NESSUN RECUPERO DELLE ORE PERSE A CAUSA DELLA PANDEMIA E PAGELLE SPOSTATE A LEZIONI IN CORSO (COSÌ SI RISPARMIA)

L’idea del governo di allungare il calendario scolastico in estate è durata il tempo di qualche retroscena sui giornali.
Ora che giugno si avvicina, la realtà che si profila è ben diversa: invece che aumentare i giorni in aula recuperando un po’ del tempo perso a causa della pandemia di Covid, le scuole finiranno di fatto molto prima del previsto.
A deciderlo è stato il ministero dell’Istruzione guidato da Patrizio Bianchi, che la scorsa settimana ha firmato un’ordinanza con la quale ha indicato agli Uffici scolastici regionali la possibilità di anticipare gli scrutini a prima della fine della scuola. Una decisione motivata “in ragione della perdurante emergenza pandemica” e che riguarda tutte le classi “delle istituzioni scolastiche statali e paritarie del primo e secondo ciclo di istruzione”.
Ergo, “fermo restando l’avvio degli stessi (scrutini, ndr) non prima del 1° giugno 2021”, le valutazioni finali e le conseguenti decisioni su promozioni e bocciature sono anticipate “entro il termine delle lezioni fissato dai calendari delle Regioni e delle province autonome”.
L’ordinanza è stata recepita in tutta Italia e qualche Ufficio regionale, nel darne informazione alle varie scuole, ha reso un po’ più esplicite le ragioni di tanta fretta. È il caso, per esempio, dell’Ufficio scolastico del Lazio, che ha chiesto ai suoi istituti di fare presto: “Le istituzioni scolastiche statali svolgono, salvo impossibilità, gli scrutini finali tra il primo e l’8 giugno, quando un termine successivo richiederebbe di autorizzare la spesa aggiuntiva necessaria a prorogare il contratto di lavoro ad uno o più docenti”.
Il problema dunque, al netto della ovvia difficoltà nel gestire i protocolli anti-Covid, è anche economico. Svolgere gli scrutini ad anno scolastico ancora in corso consente infatti di non dover prolungare le supplenze alle migliaia di docenti precari, con conseguente risparmio per le casse pubbliche. La conseguenza più immediata però è che in questo modo gli insegnanti hanno dovuto affrettare i tempi per le ultime prove e le ultime interrogazioni, dovendo chiudere prima del previsto le valutazioni sugli studenti. Col paradosso che poi, a scrutini completati, i ragazzi avranno ancora qualche giorno di lezione che sarà però del tutto ininfluente sul proprio destino scolastico.
Una chiusura anticipata che, come detto, sembra contraddire le intenzioni di cento giorni fa, quando il governo si insediò con il proposito di valorizzare la didattica in presenza – falcidiata dalle chiusure – anche a costo di sacrificare parte delle vacanze estive.
Quel che resta di quel progetto è il “Piano scuola estate”, un insieme di attività distribuite da giugno a settembre per cui gli istituti e gli studenti possono richiedere l’accesso su base volontaria. Si tratta di ore di laboratorio, di orientamento, di iniziative sul territorio e persino di incontri “con mondi esterni”, ovvero “le professioni e il terzo settore”.
Due giorni fa, a domanda diretta del Corriere della Sera sull’apertura delle scuole in estate, il ministro Bianchi ha sviato: “Oltre 5.800 istituti hanno presentato progetti per ricever le risorse Pon. Per il nostro Piano estate le scuole dispongono anche di 150 milioni dal decreto Sostegni”.
Le due cose però – il Pon (Programma operativo nazionale) e il Piano estate – non sono la stessa cosa, visto che il primo, come ha notato il dirigente scolastico dell’istituto Marinelli di Udine Stefano Stefanel su La tecnica della scuola, comprende progetti che le scuole possono sviluppare “entro il 31 agosto 2022 e che quindi non hanno necessariamente molto a che fare con l’estate”.
Senza dimenticare che gli istituti scolastici in Italia, anche escludendo le vecchie scuole materne, sono circa 40 mila.
(da Il Fatto Quotidiano)

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LA LEGGE DELLA REGIONE SARDEGNA CHE INVENTA 65 POLTRONE E FA SPENDERE 6 MILIONI DI EURO AI CONTRIBUENTI

Maggio 24th, 2021 Riccardo Fucile

TUTTE FIGURE A CHIAMATA DIRETTA PER FARCI POSARE IL CULO GLI AMICI DEI SOVRANISTI

Domani il Consiglio regionale della Sardegna approverà la norma 107. Che dal nulla creerà 65 nuove figure apicali in Regione dal costo per le casse pubbliche: almeno 3,5 milioni l’anno (secondo la maggioranza), oltre 6 milioni per le opposizioni.
Secondo un emendamento presentato dal presidente di Regione Sardegna Christian Solinas gli stipendi dei neo-cooptati in Regione saranno caricati sugli enti di provenienza degli stessi. Cioè il dirigente sarà pagato dall’ente dal quale proviene (che si ritroverà così senza un dirigente che però dovrà pagare). Tutte le figure saranno a chiamata diretta.
E saranno:
un segretario generale (costo 285.600 euro l’anno);
3 capi dipartimento (733.400 euro complessivi);
6 “esperti dell’ufficio staff”(805.669);
5 esperti per il Comitato per la legislazione (671.416);
3 addetti di Gabinetto (180.000);
2 addetti al cerimoniale (120.00);
1 autista (60,616 euro).
A questi si aggiungeranno 5 consulenti per gli assessorati (285.600) e 36 addetti (733.400). Tutte figure reclutate a chiamata diretta.
“Così ha voluto il presidente Solinas, il sardista, eletto in parlamento in un seggio blindato della Lega in Lombardia, e che con la Lega in Sardegna governa. Ma il poltronificio” non offre a Solinas solo il potere di dare lavoro, ma anche quello di toglierlo.
La maggioranza ha inserito tre emendamenti, ribattezzati “emendamenti Sardara”, che azzerano uffici di gabinetto e ufficio stampa, che a detta della maggioranza mirano a silurare chi aveva partecipato al famigerato pranzo vietato di Sardara”, conclude il quotidiano.
Il pranzo di Sardara
Il riferimento è al pranzo al ristorante alle Nuove Terme di Sardara nel Medio Campidano. Nel quale c’erano anche altri tre commensali vicini a Solinas: il dg dell’assessorato agli Enti locali Umberto Oppus, l’ex dg di Abbanoa, Sandro Murtas, e l’amministratore straordinario della provincia di Sassari, Pietrino Fois. Il nome è stato fatto dal comandante regionale dei Forestali Antonio Casula, interrogato per tre ore dal pubblico ministero Gianciacomo Pila della procura di Cagliari, ha fatto il nome di Esu. Ieri invece al palazzo di giustizia si è presentato il colonnello Marco Granari, comandante del 151° Reggimento della Brigata Sassari (anche lui uno dei commensali). Il presidente Solinas, quando scoppiò la bomba, negò di esserne a conoscenza.
“Gli elementi che conosciamo oggi cambiano la questione – ha detto Massimo Zedda – al pranzo di Sardara c’era il portavoce del governatore che aveva dichiarato di non essere parte della comitiva ”.
Per l’ex sindaco di Cagliari, “o il presidente è connivente, oppure deve cacciare Esu”. Appare inverosimile che il braccio destro di Solinas, un mercoledì lavorativo, vada a una riunione col gotha dell ’apparato politico-amministrativo del centrodestra sardo, senza che Solinas lo sapesse. “E resta da chiarire il motivo del ‘Sardaragate’ ”, aggiunge Zedda, “di cosa hanno parlato i presenti? Probabilmente della ‘legge del poltronificio’ (la legge 107, che crea 65 nuove poltrone in Regione, dal costo di 6 milioni di euro, ndr)”.
(da Il Fatto Quotidiano)

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CASO REGENI, DOMANI L’UDIENZA PRELIMINARE A CARICO DEI QUATTRO ASSASSINI DI GIULIO REGENI

Maggio 24th, 2021 Riccardo Fucile

OTTO TESTIMONI INCHIODANO I SERVIZI SEGRETI EGIZIANI

Dopo un primo rinvio, domani, si terrà a Roma l’udienza preliminare per avviare il processo a carico di 4 agenti della National security egiziana che secondo le indagini della Procura di Roma sequestrarono, torturano e uccisero il ricercatore italiani Giulio Regeni. Tribunale della Capitale dovrà decidere se rinviare a giudizio o meno il generale Tariq Sabir e gli altri tre agenti coinvolti: Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif.
“Vi chiediamo ancora di stare al nostro fianco” scrivono sui social i familiari di Regeni annunciando l’udienza di domani.
Regeni massacrato dagli 007. Tre testi sbugiardano l’Egitto.
Tre nuovi testimoni puntano il dito contro gli 007 egiziani nell’uccisione del giovane ricercatore friulano. La svolta nell’inchiesta della Procura della Repubblica di Roma è arrivata ad aprile.
Con le tre nuove testimonianze raccolte dagli inquirenti sono diventati otto i testimoni che accusano in modo ritenuto dai pm italiani chiaro e credibile gli appartenenti ai servizi segreti egiziani imputati di essere gli autori del sequestro, delle sevizie e della morte di Regeni.
I nuovi testimoni hanno specificato ai magistrati che gli 007 del Cairo avrebbero pianificato i depistaggi già nelle ore successive alla morte di Regeni, di cui erano a conoscenza già il 2 febbraio del 2016, 24 ore prima del ritrovamento ufficiale del corpo, stabilendo di inscenare una rapina finita nel sangue. I verbali delle nuove testimonianze sono stati così depositati ieri dalla Procura, in vista dell’udienza preliminare.
Dopo la chiusura delle indagini preliminari, nel dicembre scorso, almeno dieci persone si sono fatte avanti con gli inquirenti, affermando di avere notizie sul caso, ma solo tre sono state ritenute attendibili. I “dati probatori apportano nuovi elementi conoscitivi su fatti già acquisiti”, assicurano fonti giudiziarie. Uno dei nuovi testimoni ha raccontato agli investigatori del Ros e dello Sco che gli 007 sapevano della morte di Regeni già il 2 febbraio del 2016 e che per deviare l’attenzione da loro erano pronti ad “inscenare una rapina finita male”.
Lo stesso ha poi aggiunto di essere diventato amico di Mohammed Abdallah, il capo del sindacato indipendente degli ambulanti del Cairo, che ha denunciato il ricercatore italiano ai servizi egiziani dopo essere entrato in contatto con il giovane per la ricerca sui lavoratori ambulanti che stava svolgendo quest’ultimo, sottolineando che il 2 febbraio di cinque anni fa era con Abdallah: “Ho notato che era palesemente spaventato. Lui mi ha spiegato che Giulio Regeni era morto e che quella mattina era nell’ufficio del commissariato di Dokki in compagnia di un ufficiale di polizia che lui chiamava Uhsam quando quest’ultimo aveva ricevuto la notizia della morte e che la soluzione per deviare l’attenzione da loro era quella di inscenare una rapina finita male”.
Nei confronti degli imputati il procuratore Michele Prestipino e il sostituto Sergio Colaiocco hanno ipotizzato, a vario titolo, i reati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. Per i testimoni, inoltre, il torturatore di Regeni fu il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif che, insieme a soggetti rimasti ignoti, avrebbe portato avanti per almeno nove giorni le sevizie avvenute in una villetta in uso ai servizi segreti nella periferia della capitale egiziana.
Torture “durate giorni che causarono a Regeni “acute sofferenze fisiche” messe in atto anche attraverso oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni, avvenute nella stanza 13 al primo piano di una villa utilizzata dai servizi segreti per i “sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale”. “L’ho visto lì dentro – ha raccontato il testimone – con ufficiali e agenti. C’erano catene di ferro con cui legavano le persone, lui era mezzo nudo e aveva sul torace segni di tortura e parlava in italiano. Delirava, era molto magro. Era sdraiato a terra con il viso riverso, ammanettato”.
(da agenzie)

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“LIBERO” NON HA RISPETTO NEANCHE DEI MORTI DEL MOTTARONE

Maggio 24th, 2021 Riccardo Fucile

LA SCHIFOSA INSINUAZIONE CHE IL GIOVANE UNIVERSITARIO IRANIANO CHE E’ MORTO INSIEME ALLA FIDANZATA ITALIANA POTREBBE ESSERE STATO UN ATTENTATORE ISLAMICO

Non si fermano neanche di fronte a una tragedia, dando un (doppio) saggio su come non dovrebbe mai essere e comportarsi il giornalismo.
Protagonista, manco a dirlo, è il quotidiano “Libero”. Che entra a gamba tesa sulla tragedia della funivia precipitata ieri sul Mottarone, con 14 vittime e un bambino di cinque anni orfano dell’intera famiglia in lotta tra la vita e la morte in un ospedale di Torino. A cominciare dal titolo, che mette in correlazione due temi che nulla c’entrano e che, anzi, se associati, diventano a dir poco offensivi.
“E’ la tragedia di chi voleva tornare a vivere” scrivono a caratteri cubitali, strizzando l’occhio agli “aperturisti”, come se su quella funivia ci fossero una e una sola categoria di persone, di più come se si potesse catalogare un gruppo di turisti con una tipologia umana specifica, accidentalmente attorno a cui “Libero” ha costruito tutte le sue (dimenticabili) battaglie contro le chiusure per il Covid.
E ancora: come se fregasse a qualcuno cosa pensassero e da quale motivazione fossero mossi per salire in cima a una montagna per una gita. O, infine, come se gli altri, quelli che ieri, intorno alle 12,30 (orario dell’incidente), si trovavano a casa non volessero tornare a vivere come chiunque altro.
La fantasiosa pista iraniana
Non facesse abbastanza schifo usare la tragedia di 14 persone per la propria propaganda, “Libero” riesce addirittura a superarsi, dedicando un passaggio del sottotitolo alla presenza, nella lista dei deceduti, di un cittadino iraniano, che nella visione ristretta del mondo di un lettore medio di “Libero” (così come dei suoi autori) non è altro che un pericoloso musulmano. Né più né meno. E allora ecco arrivare il capolavoro:
“A bordo pure un iraniano. Non si esclude alcuna pista” scrive “Libero”, lasciando intendere nemmeno tanto velatamente che potrebbe trattarsi di un attentato terroristico di matrice islamica.
Ma chi era il ragazzo iraniano morto sul Mottarone? Si chiamava Mohammadreza Shahaisavandi, 23enne residente a Diamante (Cosenza), studente universitario a Roma, dove per pagarsi gli studi lavorava in un bar.
Era andato a Verbania a trovare la fidanzata, Serena Cosentino, 27enne di Belvedere Marittimo (Cosenza), anche lei morta nella caduta della funivia.
Non esiste alcuna prova – anche remota – di legami tra Shahaisavandi con organizzazioni terroristiche, nessun precedente né alcun elemento anomalo o sospetto sul suo conto, ma è bastata una nazionalità a “Libero” per metterlo gratuitamente sul banco degli imputati senza alcuna prova né la minima dignità o deontologia.
Ma questa non è una novità.
(da NextQuotidiano)

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“ORBAN INVADE ANCHE L’UNIVERSITA’ MA IL POPOLO E’ AVVOLTO IN UN’APATIA SOVIETICA”

Maggio 24th, 2021 Riccardo Fucile

INTERVISTA A JOZSEF PALINKAS, PRESIDENTE DELL’ACCADEMIA DELLE SCIENZE UNGHERESE

Sistema mediatico, economico, legale, politico, culturale: Viktor Orban e il suo partito Fidesz in Ungheria oggi controllano tutto.
Georgely Karacsony, sindaco di Budapest, sfiderà il premier alle elezioni del prossimo anno, ma attualmente l’opposizione del Paese non è riuscita a fermare nemmeno l’ultimo emendamento che riguarda le università magiare.
Con la nuova legislazione approvata a tempo di record, non saranno più istituti statali, ma verranno gestite da fondazioni guidate da uomini “di vedute nazionaliste” e fedeli al partito.
Ex membro di Fidesz, Jozsef Palinkas, professore di Fisica e presidente dell’Accademia delle scienze ungherese, ha occupato lo scranno più alto del ministero dell’Istruzione nel governo Orban, ma lo ha abbandonato quando ha capito che “il potere che mirano ad esercitare è senza controllo”.
“L’Ungheria è nei guai”. Professor Palinkas, è vero quel che ha detto Karacsony, che sfiderà il premier alle prossime urne?
Verissimo. Sono vicino al suo movimento, pur sapendo che dopo oltre un decennio di controllo della società, c’è poca possibilità di vincere. L’Ungheria è nei guai in molti sensi, un’apatia simile tra la popolazione non si riscontrava dai primi anni Ottanta, quando il Paese era gestito dai quadri del regime sovietico.
Professore, cosa sta succedendo alle università ungheresi?
Per una legge approvata senza consultazioni durante la pandemia, le università ungheresi subiranno un processo anomalo di privatizzazione e saranno controllate da fondazioni, gestite a loro volta da consigli con membri nominati a vita. In inglese si chiamano board, in ungherese curatorium. Avranno il controllo sulla proprietà degli edifici e delle strutture insieme a tutta la strumentazione, anche se sarà lo Stato a continuare a finanziare le università. Le università ungheresi sono importantissimi attori economici della società: alcune ricevono budget che superano quelli di cittadine intere. In molti hanno espresso preoccupazione per la fine dell’autonomia di ricerche, insegnamento e procedure per l’assegnazione dei fondi. Adesso un rettore non verrà eletto, ma sarà il curatorium a nominare fedeli del governo. È un sistema che finisce per favorire alleati, fiancheggiatori o semplici speculatori e che elimina chiunque non accetti l’ideologia di Fidesz.
Quali saranno le conseguenze più gravi per ricerca ed insegnamento?
Non temo per le materie scientifiche, come matematica, fisica o chimica, ma la biologia è già al limite. Di certo mirano al controllo ideologico delle materie umanistiche: in Ungheria c’è un’isteria collettiva che circonda i cosiddetti “gender studies”, che nel Paese vengono associati al movimento Lgbt, e sono diventati argomento vietato.
È stata chiusa la Central European University e verrà aperta un’università cinese.
È politica. Questo non è un Paese che ha più un sistema legale stabile: per far chiudere la Centrale European University della Open Society di George Soros è stato cambiato il regolamento del sistema universitario. Invece l’enorme università cinese – un mastodonte da mezzo milione di metri quadri -, che sarà la più grande in Ungheria, verrà costruita con un miliardo e mezzo di euro preso in prestito dalle banche cinesi. Saremo in debito con Pechino e l’unico senso che credo abbia questa università è essere un fortino cinese a Budapest.
E quindi in Europa.
L’Unione europea può aiutare a cambiare la situazione o influenzarla, ma non interferirà nella politica interna: non ha comunque gli strumenti adeguati per farlo. Potrebbe far pesare la sua voce per le battaglie legali, portare Budapest alla Corta europea, oppure minacciare di elargire fondi solo se ci sarà rispetto dei diritti umani e delle norme di legge, che attualmente sono uno scherzo: in Ungheria non c’è più divisione dei poteri. La situazione in cui versa la nazione oggi però è un problema della popolazione ungherese.
Che non si ribella davvero.
Le persone oggi non sono minacciate nella loro vita quotidiana, ma sanno che se alzano la voce verranno, per esempio, licenziate o che la loro vita sarà resa difficile. Non c’è comunque un sentimento rivoluzionario in giro. C’è solo una cosa che può svegliarli: la pessima situazione economica, che se non cambierà, diventerà una spinta verso il processo di cambiamento. I media sono controllati dallo Stato, nelle zone rurali che costituiscono gran parte del Paese, le persone nei villaggi, per esempio, non sanno della nuova legislazione universitaria o che sta per aprire un’università cinese, ma una cosa gli può interessare.
Cosa?
Dovrebbero essere informati che verrà costruita con soldi che dovremo restituire ai cinesi e allora si opporrebbero.
Lei ha trascorso tutta la vita tra i banchi delle aule universitarie, ma per un periodo, è stato tra gli scranni più alti del potere: il partito di governo lo ha abbandonato dopo aver servito come ministro dell’Istruzione.
Agli albori Fidesz era un partito conservatore, adesso è diventato autoritario. La trasformazione è avvenuta con un processo lento, cominciato subito dopo il 2002, quando Fidesz perse le elezioni. Oggi non lascia spazio alla democrazia e mira al controllo incondizionato della società. Vogliono un potere senza controllo e lo vogliono su tutto, adesso anche sulle università.
(da Huffingtonpost)

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DIROTTAMENTO VOLO, LA UE BLOCCA 3 MILIARDI DI AIUTI AL REGIME CRIMINALE DI LUKASHENKO

Maggio 24th, 2021 Riccardo Fucile

GLI STATI UNITI CHIEDONO UN’INDAGINE INTERNAZIONALE CONTRO UN ATTO DI PIRATERIA AEREA… L’EUROPA: “LIBERATE IL GIORNALISTA PROTASEVICH”

L’Unione europea blocca il pacchetto d’investimenti da 3 miliardi di euro che dovevano finire in Bielorussia dopo il dirottamento di un volo Ryanair e l’arresto del dissidente Roman Protasevich che viaggiava a bordo.
La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, entrando al Consiglio Ue che, tra le altre cose, dovrà decidere quali provvedimenti prendere nei confronti del governo di Minsk, ha dichiarato che “serve una risposta molto forte contro questo dirottamento completamente inaccettabile. Lukashenko deve capire che questo atto non può essere senza conseguenze. Il pacchetto economico da 3 miliardi di investimenti pronto ad andare dalla Ue in Bielorussia resta congelato finché la Bielorussia non diventerà democratica”.
E si stanno discutendo sanzioni dirette contro individui ed entità economiche che finanziano il regime e contro l’aviazione.
La vicenda che ha coinvolto l’ex direttore del canale Telegram Nexta, nonché oppositore politico di Lukashenko, si allarga di ora in ora sul piano diplomatico, con la Bielorussia che si difende dagli attacchi dell’Occidente che “politicizza la situazione” e Mosca che prende le difese dell’alleato storico, aprendo una nuova frattura con Usa e Ue dopo i recenti scontri sul caso di Alexei Navalny.
Il Consiglio Ue che si riunisce stasera ha in cima all’agenda la discussione su possibili sanzioni a Minsk, mentre la Cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha commentato: “Abbiamo assistito a un atterraggio forzato, tutte le altre spiegazioni sono del tutto inverosimili. Roman Protasevich deve essere rilasciato immediatamente, così come la sua compagna”.
La Farnesina, così come altri Paesi europei, ha convocato l’ambasciatore bielorusso. E anche il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, chiede una presa di posizione forte da parte dell’Unione: “I fatti di ieri sono di una gravità inaudita. Chiediamo l’immediato rilascio e un’indagine internazionale. La nostra risposta dev’essere forte, immediata e unitaria. L’Unione europea deve agire senza esitazioni e punire i responsabili. Stasera avete una grande responsabilità per dimostrare che l’Unione non è una tigre di carta“.
Anche il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “appoggia le richieste di un’indagine completa, trasparente e indipendente”.
Il ceo di Ryanair Michael O’Leary ha denunciato un “sequestro di Stato” da parte di Minsk e ha aggiunto che a bordo dell’aereo ci fossero agenti del servizio di sicurezza bielorusso (Fsb).
“Sembra che l’intenzione delle autorità fosse quella di far uscire un giornalista e la persona che viaggiava con lui”, ha spiegato. “Crediamo anche che all’aeroporto siano sbarcati agenti del Fsb“, ha aggiunto.
Dagli Usa il segretario di Stato americano, Antony Blinken bolla l’azione bielorussa del dirottamento come un atto “sfrontato e scioccante” e insiste sulla necessità di una “indagine internazionale”, mentre domani gli ambasciatori della Nato discuteranno del caso.
In Europa, invece, dove il Consiglio Ue è chiamato in serata a discutere di nuove sanzioni contro Minsk, il ministero degli Esteri tedesco ha convocato l’ambasciatore bielorusso perché “le spiegazioni avute fin qui dal governo bielorusso per l’atterraggio forzato sono assurde e non credibili”.
“Il primo punto all’ordine del giorno del Consiglio europeo è la Bielorussia, quello che è successo ieri è uno scandalo internazionale, lavoriamo a sanzioni che sono sul tavolo del summit”, ha detto il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Mentre il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, ha detto di augurarsi “una risposta forte a quello che è successo ieri”, un episodio “veramente senza precedenti, un fatto vergognoso e incredibile a cui l’Ue deve dare una risposta. Mi attendo il massimo di risposta possibile perché non si può stabilire un precedente di questo genere”.
(da agenzie)

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FUNIVIA MOTTARONE, L’ULTIMA MANUTENZIONE IL 3 MAGGIO PROPRIO ALLA CENTRALINA DEI FRENI CHE IERI NON HA FUNZIONATO

Maggio 24th, 2021 Riccardo Fucile

L’AZIENDA LEITNER PUBBLICA L’ELENCO DEGLI INTERVENTI

Sulla funivia del Mottirone, precipitata ieri con 14 vittime, l’ultimo intervento di manutenzione e sicurezza da parte di Leitner era stato svolto il 3 maggio scorso proprio sulle centraline idrauliche dei freni d’emergenza, quelli che, nel caso della cabina in salita, ieri non hanno funzionato.
Il primo dicembre, inoltre, era stato effettuato il “finto taglio”, ovvero la rottura del cavo traente con attivazione immediata del freno d’emergenza: cioè esattamente quello che è avvenuto, e che poi sarebbe dovuto accadere, ieri, quando invece dopo il cedimento del cavo di trazione non c’è stato il blocco del freno e la cabina con 15 persone a bordo è arretrata sempre più velocemente lungo il cavo di sostegno rimasto intatto, scarrucolando in corrispondenza del primo pilone e precipitando.
“Sulla base dei documenti in suo possesso e delle verifiche interne effettuate – scrive la società in una nota – Leitner in relazione alla tragedia avvenuta domenica sull’impianto Stresa-Mottarone, rende noto l’elenco dei controlli e delle manutenzioni portate a termine negli ultimi mesi, secondo le prescrizioni della normativa vigente, sulla base del contratto di manutenzione sottoscritto con la società di gestione Ferrovie del Mottarone. L’ultimo è stato il 3 maggio scorso, con la manutenzione e il controllo delle centraline idrauliche di frenatura dei veicoli”.
“In precedenza – si legge ancora nella nota – dal 29 marzo al 1 aprile, erano stati fatti controlli non distruttivi su tutti i componenti meccanici di sicurezza dell’impianto previsti dalla revisione quinquennale, in scadenza ad agosto 2021. Quindi effettuati in anticipo sui tempi”.
“Ancora prima, il 18 marzo prove di funzionamento dell’intero sistema d’azionamento; il 4 e 5 marzo lubrificazione e controlli dei rulli e delle pulegge delle stazioni; il 1 dicembre 2020 finti tagli (prova che prevede una simulazione della rottura della fune traente e conseguente attivazione del freno d’emergenza) effettuati su entrambe le vetture; il 5 novembre 2020 controllo periodico magnetoinduttivo delle funi traenti (e di tutte le funi dell’impianto) come da disposizione del decreto dirigenziale del ministero dei Trasporti n.144 del 18/05/2016 (periodicità imposta una volta all’anno) con esito positivo”.
(da agenzie)

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