Luglio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
UN ESCAMOTAGE DEL PADRE PADRONE PER RIPRENDERSI IL M5S E FINGERSI DEMOCRATICO
L’atto di mediazione di Beppe Grillo è arrivato. In serata, mentre tutta Italia era
davanti alle tv per seguire la Nazionale di calcio, il garante del M5s ha pubblicato un post su facebook con cui ha bloccato il voto sul comitato direttivo, che aveva deciso dopo la conferenza stampa di Giuseppe Conte e sul quale peraltro si era consumato anche un braccio di ferro con il reggente, Vito Crimi.
Grillo, però, non rinuncia a mettere mano allo statuto redatto in questi 4 mesi – da quando lo ha “incoronato” leader in pectore – dall’ex premier, quello statuto che aveva definito “seicentesco”.
Incaricato di modificare la struttura di regole dei Cinquestelle (oltre allo statuto, anche la cosiddetta Carta dei valori e il Codice etico) sarà un comitato di sette esponenti che ricoprono vari incarichi: Vito Crimi, presidente del comitato di garanzia, Davide Crippa ed Ettore Licheri, capigruppo di Camera e Senato, Tiziana Beghin, capodelegazione all’Europarlamento, i due ministri Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli, il presidente della Camera Roberto Fico. “Il comitato dovrà agire in tempi brevissimi” scrive Grillo. Il suo compito sarà compiere “modifiche ritenute più opportune in linea con i principi e i valori della nostra comunità”.
La mossa di Grillo arriva dopo le pressanti richieste di mediazione arrivate in particolare dai gruppi parlamentari di Camera e Senato. Era stato questo – ricomporre la frattura, far riavvicinare le parti – l’appello che era uscito sia dopo l’assemblea dei deputati (sia pure spaccata su posizioni diverse) sia dopo quella del Senato, che più chiaramente aveva chiesto a Grillo e Conte “un passo indietro” in questa tenzone che dura ormai da una settimana.
Vale la pena sottolineare che Grillo non fa mai il nome di Giuseppe Conte e quindi non è chiaro se la eventuale rielaborazione delle carte statutarie che il garante affida agli esponenti più autorevoli del movimento sottintende una mano tesa nei confronti dell’ex presidente del Consiglio, nonostante le parole tutt’altro che amichevoli che i due si sono scambiati negli ultimi giorni.
L’impressione è che la mossa del garante sia un modo per “riprendersi il Movimento”, agendo in prima persona – rivendicando il suo ruolo che è stato il centro della disputa con Conte – e indicando però un percorso partecipativo, sia pure attraverso le figure più autorevoli tra i Cinquestelle.
“Riprendersi il Movimento” e allo stesso modo mettere Conte davanti a un bivio che solo due giorni fa aveva detto che non avrebbe tenuto il suo progetto politico nel cassetto.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
ALTRO CHE DI LOTTA E DI GOVERNO
Come dare torto al giornalista del Financial Times che, al termine di un colloquio a piazza Navona con Salvini in versione moderata filo-Draghi, filo Nato, filo-europeista, quasi da uomo dell’establishment si chiede se, rispetto al Salvini delle simpatie per Trump, Putin e allo scetticismo sull’Euro, sia cambiata davvero la persona o solo il “costume” che indossa.
La conferma del dubbio, che lascia propendere per la seconda risposta, arriva con la firma del manifesto dei sovranisti europei assieme alla Le Pen, Orban, Kaczynski, la Meloni e il leader spagnolo di Vox “contro l’ideologia tecnocratica di Bruxelles”.
Non c’è l’uscita dall’euro, e questa non è una novità, ma il manifesto è un distillato di sovranismo, ribattezzato “patriottismo” contro le regole e le norme che i perfidi burocrati impongono alla vita dei popoli, tra le quali, chissà se carità di patria appunto, non è nominato quel Recovery plan su cui Orban l’anno scorso mise il veto.
Al governo con Draghi in Italia sognandolo addirittura al Quirinale, con la Le Pen in Europa sognandola all’Eliseo, col Recovery che serve all’Italia al di qua delle Alpi, con i suoi nemici al di là.
Distratti dal rumore della scissione (o implosione) dei Cinque Stelle, focalizzati sul Pd che vede franare l’orizzonte strategico dell’ultimo anno, per un istante si è perso di vista il carnevale di questa destra che, parafrasando Woody Allen, se “Dio è morto” e “Marx pure” tanto bene non sta, a dispetto della retorica sull’invincibile armata che, appena si potrà votare, tornerà al governo con un plebiscito popolare.
Ma che non trova generali a Milano, dove siamo al settimo candidato da verificare, perché l’unico che aveva messo d’accordo tutti è Gabriele Albertini, sindaco ai tempi di Berlusconi e Bossi, alla faccia delle nuove classi dirigenti.
E che, dove li ha trovati o tirano poco come a Roma o combinano pasticci come a Napoli: Maresca che prima chiede ai partiti di non presentare i simboli, poi è costretto a cambiare idea, nel frattempo la Meloni incontra, e sembra un endorsement, l’avvocato Sergio Rastrelli, figlio di Antonio, l’unico presidente di regione che abbia mai avuto il Movimento sociale.
Fosse solo un problema di candidati, in verità è questione un po’ seria. E speculare a quel che succede nell’altro campo: il collasso che ha portato al governo Draghi reso, per Lega, più acuto da una “lotta per l’egemonia” che ne mina consenso e identità. Non è un Salvini di “lotta e di governo”, perché la sala macchine è appaltata a Draghi. È un Salvini che, dopo aver subito l’operazione e costretto, facendo di necessità virtù, a intestarsela sperando che i dividendi arrivino, saltella su ogni palcoscenico possibile per agitare le sue bandiere identitarie.
Come dall’altro lato c’è Zan e lo ius soli che mai vedranno la luce, dall’altro c’è l’orbanismo oltre confine che però non precipita nel consiglio dei ministri e la sceneggiata a Santa Maria Capua Vetere con la truce rimozione, o quantomeno minimizzazione, del pestaggio e la retorica dell’“onore” degli uomini in divisa da difendere, al netto di qualche “mela marcia”.
Come se quella divisa non fosse stata sporcata proprio da chi si rende responsabile di atti del genere e se non fossero proprio quei responsabili i primi traditori dello Stato. Che poi non si capisce come funzioni questo albero delle mele per Salvini, per cui se uno di colore commette un crimine vanno cacciati tutti gli immigrati, se un penitenziario diventa una caserma sudamericana con 52 guardie che pestano i detenuti scopre l’arte del distinguo.
Al fondo c’è una visione del carcere come luogo di punizione e sopraffazione che è poi l’opposto dell’attenzione ai diritti dei detenuti, battaglia storica di quei radicali scelti da Salvini come compagni di strada per una giustizia più giusta, a proposito di abiti cangianti.
Va bene che quei referendum non riguardano il carcere, ma insomma c’è qualcosa che non torna. Non torna che, a forza di cambiare tutti questi vestiti, non si capisce chi sei. O forse si capisce ancora meglio chi sei.
(da Huffingtonpost)
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Luglio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
CIRCA UN CENTINAIO I PARLAMENTARI SU CUI CONTARE
Continua senza sosta lo scouting di Giuseppe Conte. Le sue truppe in Parlamento
fremono, tutto il Movimento 5 stelle è con il fiato sospeso, ma il professore delude chi si aspettava una sua mossa già oggi, per ratificare uno strappo che è nei fatti.
L’ex premier tira dritto, e continua a manovrare il pallottoliere nel tentativo di capire su chi può contare e su chi no.
Respinto l’assalto a Luigi Di Maio: “Da che parte stai?”, gli ha chiesto ieri in un incontro da lui stesso sollecitato, ma il ministro degli Esteri gli ha ribadito che una scissione sarebbe un errore madornale, che bisogna lavorare per l’unità, e avrebbe cercato di dissuaderlo: “Con te verrebbe solo Patuanelli, dividerci farebbe male a tutti”.
A vuoto anche il tentativo con Virginia Raggi, ancora brucia la ferita del tentativo di allargare il campo di centrosinistra con Nicola Zingaretti candidato sindaco, quando ancora l’avvocato – bei tempi – si muoveva da leader in pectore.
Ma Conte non retrocede, il rapporto con Beppe Grillo è pressoché nullo, e da entrambi i fronti si spiega che nelle ultime ore continuano a non esserci contatti tra i due, e i contiani di ferro ancora scuotono la testa per l’impietoso giudizio dato dal garante al suo arrivo in Senato qualche giorno fa: “Avevamo dieci ministri e non abbiamo portato a casa niente”.
Il fondatore del resto va avanti. Vito Crimi, capo reggente ormai non si sa più bene di cosa, ha avviato l’iter per l’elezione del Comitato direttivo. Con un post non sul Blog delle stelle – nelle mani di Rousseau – ma su un sito nuovo di zecca, movimento5stelle.eu, e non sulla piattaforma di Davide Casaleggio, bensì sull’esordiente SkyVote, e nelle chat parlamentari già serpeggiano i timori per ricorsi e possibili invalidazioni.
“Vito ha deciso di fare il voto solo perché eleggeranno cinque carneadi, spingendo tutti ad andare con Conte”, un po’ ironizza e un po’ no un deputato. Non ci sono date né modalità di candidatura al momento perché tutti gli occhi sono puntati a lunedì.
Conte, che si è preso qualche ora di stacco fuori Roma, continua a far filtrare la propria disponibilità a raccogliere l’invito di presentare lo Statuto in un’assemblea, che ancora non ha data né ora ma che viene invocata proprio per la sera di lunedì. “È un modo di prendere tempo”, osserva chi ancora spera in una ricomposizione, aspettando che succeda l’imponderabile.
Diciannove senatori, tra cui Danilo Toninelli, hanno lanciato un appello all’unità e alla ricomposizione della rottura, con la speranza che “le posizioni si riconcilino”. È un drappello considerato vicino a Grillo, e che qualcosa si è rotto malamente a prescindere da come finirà lo testimonia la rabbiosa reazione di un collega: “I soliti che con Grillo si garantiscono il giardinetto del potere”.
Un giardinetto che Conte vuole arare in tempi brevi, perché più passa il tempo e più la situazione si fa difficile. “Un conto è contestare quel che ha fatto Beppe, un altro è andarsene dal Movimento”. Dopo l’iniziale entusiasmo di previsioni che arrivavano a 150 parlamentari scissionisti, la pista in molti casi si sta freddando, soprattutto a Montecitorio, dove gli onorevoli sono divisi e lacerati dai dubbi.
Si prenda l’area che guarda a Roberto Fico, l’altro grande big che non si è espresso, divisa equamente tra chi non è insensibile alle ragioni di Grillo (Brescia, Gallo) e chi considera non giustificabile il trattamento riservato a Conte (Ricciardi, Micillo, Sportiello).
Così anche tra i ministri, dove la posizione di Patuanelli a favore del professore al momento sembra isolata, anche se gli occhi sono puntati su Federico D’Incà, che si è messo in posizione d’attesa anche se molti lo accreditano di tendenza contiana.
Il partito dell’ex premier ha bisogno di soldi, e nella sua fase di startup ha assoluta necessità di un gruppo parlamentare il più ampio possibile. Perché un partito per come l’ha in mente l’ex premier necessita di una sede nazionale, presidi sul territorio, uno staff che porti avanti la macchina. E a questo proposito rimangono in bilico le posizioni dei tre collaboratori appena assunti dai gruppi di Camera e Senato (tra cui lo stesso Casalino), che in caso di scissione potrebbero ricevere il benservito.
Se a Montecitorio è un mero problema di numeri, perché venti deputati possono a prescindere formare un gruppo, a Palazzo Madama occorre un simbolo che si sia presentato alle ultime elezioni.
Contatti ci sono stati con Leu, al momento relegata a componente del Misto perché non arriva all’asticella dei dieci necessari, ma la discussione nello stadio più avanzato è quella con il Maie, gruppo sul quale Conte ha già cercato di far leva nella disastrosa operazione dei responsabili. In attesa che si pronuncino Fico e Di Maio, i numeri che circolano con più insistenza accreditano una cinquantina di senatori, la maggioranza del gruppo, che accarezzano l’idea della scissione e una quarantina (su oltre 160) deputati.
Gli occhi sono tuttavia puntati sulle possibili assemblee della prossima settimana, sulla sfida che l’ex premier potrebbe lanciare ai gruppi per prendersi in mano i 5 stelle: ecco il mio Statuto, ditemi cosa c’è di sbagliato.
(da Huffingtonpost)
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Luglio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA FIRMA IL MANIFESTO DEI SOVRANISTI E FA IL GOVERNISTA LIBERALE IN ITALIA
Salvini un po’ come “Mattia Pascal”. È questa l’immagine del leader della Lega fotografata dal quotidiano anglosassone Financial Times.
In effetti nella giornata di oggi il leader della Lega ha fatto emergere un cambiamento d’identità repentino, tanto che il quotidiano inglese ha definito Salvini un uomo “dai tanti costumi, un uomo di spettacolo che può cambiare in un colpo d’occhio immagine”.
Era il primo pomeriggio di oggi quando è uscita la notizia che Salvini ha firmato una Carta dei Valori insieme ai sovranisti europei, tra cui Le Pen e Orbán,
“Per dire ‘no’ ad un’Europa senza nazioni” e “contro l’ideologia tecnocratica di Bruxelles”.
Negli stessi minuti dell’annuncio della nascita dell’“Unione dei patrioti europei”, per combinazione, il quotidiano anglosassone Financial Times ha pubblicato un colloquio con il leader della Lega, in cui si sottolinea il riallineamento di Salvini su una posizione europeista, vicina a quella di Draghi.
E il leader della Lega giustifica il suo europeismo. “Salvini si è trasformato? È diventato un uomo dell’establishment?” si chiede allora il giornalista Miles Johnson del Financial Times. “Il mondo è cambiato, l’Europa è cambiata, gli Stati Uniti sono cambiati, le dinamiche economiche sono cambiate. Abbiamo certi valori e quelli rimangono” risponde Salvini.
Il leader della Lega aggiunge anche che la sua idea è “un’Europa del popolo, non un superstato ma una unione delle diversità e delle comunità”.
Il manifesto sovranista
La Lega ha firmato la Carta dei Valori comune alle destre europee con il Rassemblement National di Marine Le Pen, gli austriaci del Fpoe, i fiamminghi del Vlaams Belang, i danesi del Dansk Folkeparti, gli estoni di Ekre e il Perussuomalaiset finlandese, tutti del gruppo Id.
Per l’Ecr hanno firmato il Pis polacco, gli spagnoli di Vox, Fratelli d’Italia, gli olandesi di Ja21, i greci di El, il Pnt-Cd rumeno (Partidul National Taranesc Crestin Democrat), i lituani dell’Llra-Kss (Lietuvos Lenku Rinkimu Akcija), i bulgari del Vmro, Movimento Nazionale Bulgaro. Più gli ungheresi di Fidesz, nei Non Iscritti.
Manca invece la firma di Alternative fuer Deutschland, importante componente del gruppo Id.
I partiti hanno sottolineato come il documento sia nato “per dire ‘no’ alla creazione di un Superstato europeo, alla distruzione o alla cancellazione della tradizione europea, alla trasformazione delle istituzioni sociali e dei principi morali fondamentali”.
“Sono felice di firmare la dichiarazione redatta insieme a Matteo Salvini, Viktor Orbàn, Jaroslaw Kaczynski, Santiago Abascal, Giorgia Meloni, Tom Van Grieken e altri leader europei. Il Rassemblement dei patrioti europei è lanciato!”, ha dichiarato Marine Le Pen via social.
Secondo l’Rn, l’accordo sulla Carta ”è la prima pietra verso la costituzione di una grande alleanza nel Parlamento Europeo”. Non si parla più di uscire dall’Europa ma di darle un altro indirizzo, opposto “al percorso federalista che la allontana inesorabilmente dai popoli che sono il cuore vibrante della nostra civiltà” scrive Marine Le Pen.
La nascita dell’alleanza dei patrioti punta a formare un gruppo parlamentare sovranista che potrebbe contare all’incirca su 115 deputati a Strasburgo, diventando la terza formazione dopo i popolari e i social-democratici.
La riorganizzazione e l’unione dei sovranisti sono state possibili dopo che il premier dell’Ungheria Orbán è uscito dal Partito popolare europeo. Fino a quel momento Orbán e il suo partito Fidesz era legati ai Républicains dell’ex presidente Sarkozy e rifiutavano l’alleanza con Marine Le Pen.
Con Orban ma anche con Draghi
Sono in tanti, però, a pensare che la firma di un manifesto comune con Orbán sia inconciliabile con la posizione europeista del governo Draghi, sostenuto anche dalla Lega. Tra di loro c’è il segretario del Pd Enrico Letta che ha fortemente criticato Salvini su Twitter. “Non si può stare allo stesso tempo con l’europeismo e con Orbán. Non si può essere sostenitori insieme di Draghi e di Orbán. Semplicemente, non si può” ha scritto. “L’alleanza dei sovranisti di Salvini e Meloni ha due primi ministri, Orbán e Morawiecki. Sono gli unici due che l’anno scorso hanno messo il veto a Next Generation EU e al Recovery Plan che salva l’Italia. Solo la determinazione degli altri 25 li ha poi battuti” ha aggiunto Letta.
Questa volta però, a sostenere il doppio gioco di Salvini c’è anche il Financial Times. Con il giornalista che di fronte alle dichiarazioni di Salvini rimane sorpreso e con un interrogativo. “Mi chiedo quale versione di Salvini io abbia incontrato – scrive Johnson -. Forse ha ragione, il mondo sta cambiando e lui cambia con esso. Oppure, più probabilmente, non ho davvero incontrato l’uomo ma solo un altro dei suoi costumi”.
(da Huffingtonpost)
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Luglio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
IL PARERE DEL PATROCINATORE DELLE CAUSE DEGLI ESPULSI
L’ex grillino e patrocinatore delle cause degli espulsi spiega a Open cosa può
succedere dopo la mossa del senatore che si è autonominato capo politico e perché presto i grillini potrebbero scindersi di fatto in due partiti
«Lo Statuto prevede che le consultazioni siano indette con una duplice modalità: la pubblicazione sul sito e la comunicazione all’indirizzo mail degli iscritti. Ma il sito dev’essere a conoscenza degli iscritti. Quando questi si iscrivono, è indubbio che ne conoscano uno visto che l’iscrizione avviene proprio tramite il blog. Ma attualmente, in punta di diritto, gli iscritti non sono stati informati del cambio di sito. E questo è soltanto uno dei motivi che potrebbe portare all’annullamento». L’avvocato Lorenzo Borré, ex militante grillino della prima ora e patrocinatore di decine di cause degli espulsi con un’ottima percentuale di vittorie in giudizio, spiega a Open perché l’annuncio di Vito Crimi sul voto per il Comitato di Garanzia del M5s pubblicato sul nuovo blog del M5s rischia di far finire nel caos il MoVimento 5 Stelle; portando all’elezione di due capi e alla scissione di fatto, e favorendo la creazione di un partito di Conte e di uno di Grillo.
Crimi quindi sbaglia perché non ha seguito una procedura corretta?
«Non c’è solo questo. C’è anche il problema dell’identificazione dei soggetti abilitati al voto, che deve avvenire tramite Rousseau a norma di Statuto. In più, il senatore vicino a Conte non ha il potere di indire il voto: quello ce l’hanno soltanto il Comitato Direttivo, che però deve essere eletto. Oppure il Garante, che però è Grillo».
E perché il senatore si è firmato “capo politico”?
«Anche questo è incomprensibile, visto che una sentenza del tribunale di Cagliari ha riconosciuto che lui non è il capo politico del M5s. Quindi, riepilogando: il voto non si può fare su quella piattaforma perché lo Statuto prevede che sia indetto su Rousseau. In ogni caso manca la comunicazione sul cambio di sito. Manca anche l’abilitazione, anch’essa da effettuare in esclusiva sulla creatura di Davide Casaleggio. E infine l’indizione è stata effettuata da un soggetto non abilitato a farla. Un passo, quattro inciampi».
E cosa succederebbe se Grillo a questo punto annunciasse il voto sulla piattaforma Rousseau?
«Potrebbe farlo. Così avremmo due capi».
I quali dovrebbero dividersi i soldi del M5s.
«E sarebbero il Papa e l’Antipapa. In ogni caso chi fa la prima mossa si espone a un’impugnazione per cui, tra l’altro, potrebbe non essere nemmeno competente il tribunale di Roma. E questo potrebbe velocizzare i tempi di una causa legale».
Oppure Beppe potrebbe sfiduciare il Comitato di Garanzia e far votare su Rousseau la sua destituzione.
«Già. D’altro canto Crimi ha adempiuto soltanto in parte alla diffida di Grillo che gli intimava di chiamare il popolo M5s al voto, visto che non l’ha indetta su Rousseau. Ci sono dei momenti in cui i nodi gordiani vanno recisi. Altrimenti…».
(da Open)
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Luglio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
ANDREA SCANZI: “E’ ORA DI SCEGLIERE”
Eh no, cari parlamentari 5 Stelle. Troppo facile non scegliere, ovvero andare in tivù e dire come tanti piccoli democristiani: “Vogliamo Grillo e pure Conte”. Certo. E magari pure una fettina di culo (ops). Così è troppo facile.
Potevate avere entrambi fino a quando lo PsicoBeppe, con grazia e lucidità consuete, ha cannoneggiato con toni empi – e sommamente indecenti – quello stesso uomo che ha scelto lui. Roba da manicomio per direttissima.
Ora Conte e Grillo non possono più coesistere. Se Conte diventa leader del M5S, vuol per forza dire che nel frattempo qualcuno dentro il M5S ha fatto politicamente fuori Grillo. Oppure che Grillo, di colpo, è diventato così calmo e quieto da accettare tutto quel che fino al giorno primo neanche voleva sentir nominare. Fantascienza.
Se poi Conte accettasse di stare nel M5S con ancora dentro Grillo, fidandosi di una persona capace di accoltellarlo politicamente con una tale veemenza sgangherata, dimostrerebbe di essere un bel coglione credulone. E non mi pare, in tutta onestà, il tipo.
La rottura è stata troppo violenta e brutale, nonché pesantemente scema e volgare. Un regalo scriteriato alla destra (che infatti adesso adora Grillo. Ma guarda un po’). Impossibile tornare indietro.
È tempo di scegliere. Per tutti. Per Conte, che ora – se vuole continuare con la politica – “deve” fare un partito tutto suo. Una sua lista è data tra il 10 e il 15%. Dimezzerebbe il M5S, subito sotto il 10%, e attecchirebbe parecchio pure tra gli elettori Pd. Ora o mai più, per Conte.
Ma è tempo di scegliere soprattutto per i 5 Stelle. Se vogliono Conte, o fanno politicamente fuori Grillo dal movimento oppure escono dal M5S e lo seguono. Se invece non vogliono Conte, la strada è solo una: escono subito dal governo, fanno rientrare i pasdaran Morralezzi, danno il Movimento in mano all’unico che può tirarlo su (Di Battista) e diventano – per sempre – una forza antagonista minoritaria d’opposizione, ma con un suo senso e una sua logica
Va bene tutto, però scegliete.
E finitela con ‘sta litania paracula del “voglio Conte e voglio pure Grillo”. Quando lo dite in tivù o lo scrivere sui social fate un po’ tenerezza e un po’ pena. Volere ancora insieme Conte e Grillo è impossibile nonché ormai inquietante. Un po’ come dire: “Voglio i nuovi Beatles con dentro Lennon e pure Gianni Drudi”
È tempo di scegliere. Fatelo, una volta per tutte. E smettetela con questo cazxo di Asilo Mariuccia a cielo aperto.
Andrea Scanzi
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
UNA TEORIA CAMPATA IN ARIA SECONDO CUI LA MELONI NON SAREBBE PIU’ SOLA ALL’OPPOSIZIONE E SI INDEBOLIREBBE
Due grillini con una fava. Secondo quanto scrive La Stampa se parte dei 5 Stelle con
la scissione abbandonasse il governo potrebbe essere sostituito dall’arrivo di Giorgia Meloni.
Creando di fatto un vero e proprio governo di centrodestra già in questa legislatura. Ma se l’ipotesi è più fantapolitica che altro c’è un altro scenario che solletica Salvini…
Secondo Ilario Lombardo in realtà il vero obiettivo della Lega e di Salvini non è di certo l’entrata di Fratelli d’Italia al governo. Del resto perché Giorgia Meloni dovrebbe rinunciare a una posizione di tutto vantaggio che l’ha portata al sorpasso del Carroccio, almeno secondo i sondaggi, con la possibilità di arrivare alla campagna elettorale per le politiche con un potere contrattuale inedito sulla leadership del centrodestra? Il sogno segreto della Lega sarebbe quello di vedere i grillini scissi e spaccati in parlamento, tra chi sostiene Draghi e chi contende invece l’opposizione, e la visibilità che ne deriva, a FdI. Con la speranza che Meloni abbia vita meno facile:
Non avrebbe più l’esclusiva dell’opposizione e questo, secondo i calcoli dei leghisti, potrebbe aiutare a sgonfiare i sondaggi in crescita che ormai danno la leader di Fdi in procinto di sorpassare il Carroccio. I grillini divisi aiuterebbero soprattutto se dovessero riesumare l’armamentario movimentista di Alessandro Di Battista, che da mesi chiede al M5S di abbandonare il governo Draghi. Si riproporrebbe una sfida populista-sovranista che secondo il leader leghista potrebbe rimettere in competizione lo stesso bacino di voti e darebbe modo a lui di sopportare con più tranquillità la convivenza con i tecnici e le costrizioni della vita di governo.
In realtà, come hanno spiegato alcuni sondaggisti, Fratelli d’Italia ha rubato voti alla Lega. Perché dovrebbe quindi risentire della fuoriuscita dal governo di parte del vecchio movimento?
(da NextQuotidiano)
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Luglio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
QUALCUNO RICORDI CHE AI TEMPI DI MUSSOLINI GLI AFFITTI DI CASA SI PAGAVANO E NESSUNO ALLOGGIAVA GRATIS NELLA CASA DEL FASCIO
Imbrattato il murale contro il razzismo a Roma. Non più «do the right thing», ma «resta in piedi».
Non più un giocatore in ginocchio, ma un azzurro in piedi e con lo sguardo verso l’altro. Non più il braccio destro rivolto al cielo, con il pugno chiuso, ma la mano aperta e il saluto romano.
Il Blocco Studentesco, associazione legata a CasaPound, ha coperto il murales realizzato dallo street artist Harry Greb nel quartiere Monti, in via dei Neofiti.
L’opera raffigurava un giocatore del Subbuteo che si staccava dalla pedana e si inginocchiava per partecipare al movimento Black Lives Matter, nato dopo l’omicidio di George Flyod, l’uomo di colore ucciso da un agente di polizia che gli aveva premuto il ginocchio sul collo.
La scritta era stata realizzata dopo le polemiche che hanno coinvolto gli Azzurri, che non avevano deciso di inginocchiarsi durante la partita contro l’Austria.
(da agenzia)
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Luglio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
SONO ACCUSATI DI AVER PRESO A PUGNI UN DETENUTO
Tre agenti e un ispettore della Polizia penitenziaria di Monza sono stati rinviati a
giudizio con le accuse, a vario titolo, di lesioni aggravate, falso, calunnia, violenza privata, abuso d’ufficio e omessa denuncia. I quattro – secondo la ricostruzione dell’accusa – avrebbe aggredito un detenuto nel 2019.
I fatti sarebbero avvenuti, come ricorda l’Associazione Antigone, “nel corridoio della sezione dove il detenuto sarebbe stato preso a calci e pugni”, spiega l’avvocatessa Simona Filippi. L’indagine partì proprio da una denuncia di Antigone, ora costituitasi parte civile, che era stata avvertita dal fratello della presunta vittima che “raccontò di una violenta aggressione fisica ad opera di diversi agenti di polizia penitenziaria”.
Ora, spiega Filippi, “attendiamo l’inizio del processo penale che, anche in questo caso, dovrà stabilire cosa accadde nell’istituto di Monza” e Antigone si augura che “il governo si costituisca parte civile per dare un segnale forte a tutti gli operatori penitenziari”. L’apertura del processo è prevista per il novembre prossimo.
Tra i diversi capi d’imputazione contestati all’inizio dalla procura guidata da Claudio Gittardi ai quattro è caduto il reato di tortura, che era relativo a un altro episodio.
“Nei giorni in cui è esploso il caso delle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, quello che arriva da Monza è un altro segnale importante di come non ci debba essere spazio per l’impunità davanti ad episodi di questo tipo – dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. In attesa del governo, conclude Gonnella, un segnale è “arrivato dall’Amministrazione Penitenziaria che, nel caso specifico, ha collaborato affinché si accertassero i fatti”.
(da agenzie)
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