Luglio 3rd, 2021 Riccardo Fucile DI MAIO E FICO A CENA DA GRILLO…. CONTE MANDA GIU’ L’APERTURA DEL GARANTE: “MA I MIEI PUNTI FERMI RESTANO”
Una cena di Beppe Grillo con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il presidente
della Camera Roberto Fico: è l’incontro che ieri 2 luglio, a Marina di Bibbona, avrebbe aperto la via alla mediazione all’interno del Movimento 5 stelle dopo una settimana di alta tensione.
L’incontro toscano del fondatore del M5s con il ministro degli Esteri e il presidente della Camera ha infatti preceduto il post su Facebook, pubblicato durante il match Italia-Belgio, con cui Grillo ha sospeso la votazione del direttivo e incaricato un comitato di sette persone, inclusi gli stessi Di Maio e Fico, di una mediazione su Statuto, Carta dei valori e Codice etico.
Sabato fonti vicine a Giuseppe Conte hanno fatto sapere che l’ex premier ha aperto uno spiraglio, dicendosi a favore del tentativo di mediazione per rilanciare il Movimento 5 stelle ed evitare scissioni, a patto però che restino saldi alcuni principi fondamentali.
L’ex premier, fanno notare le fonti a lui vicine, non può che valutare positivamente il tentativo di mediazione in atto, dal momento che lui stesso ha sempre lavorato per trovare una sintesi e per evitare spaccature e scissioni.
Ben venga quindi il tentativo proposto da Grillo, di cui Conte era stato preventivamente informato, se utile a rilanciare il M5s e a dar vita a un nuovo corso, tenendo fermi però quei principi fondamentali su cui si è già espresso con chiarezza e sui quali non intende trattare.
(da agenzie)
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Luglio 3rd, 2021 Riccardo Fucile DETERMINANTI I 17 VOTI DEI REAZIONARI DI ITALIA VIVA … ZAN: “SE VOGLIONO FINIRE COME IN UNGHERIA E POLONIA SE NE ASSUMERANNO LA RESPONSABILITA'”
Il ddl Zan contro l’omofobia ha incassato il primo via libera alla Camera lo scorso 4 novembre, durante il governo Conte II.
Merito del sostegno dei giallorossi, una maggioranza composta da M5s, Pd, Italia Viva e Leu. Il voto finale alla Camera è avvenuto a scrutinio segreto, chiesto da Fratelli d’Italia: 265 favorevoli, 193 contrari e un astenuto.
Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega hanno votato contro, ma 5 deputati azzurri – in dissenso dal gruppo – hanno detto sì alla legge mentre poco prima i deputati leghisti e di Fratelli d’Italia hanno messo in atto una protesta in Aula, al grido di «libertà, libertà» e indossando sul volto alcuni bavagli contro quella che hanno definito «una legge che mette il bavaglio alla libertà di pensiero».
«Non possiamo finire come l’Ungheria e la Polonia. Approvare una legge come questa significa posizionare l’Italia tra i Paesi più avanzati, non approvarla significa darla vinta a Salvini che flerta, come la Meloni, con Orban e Duda e con quei Paesi che stanno facendo leggi omofobe e sessiste e che stanno riducedo le libertà» ha detto il senatore Alessandro Zan, estensore dell’omonimo disegno di legge che ha poi aggiunto: «I partiti si assumeranno la responsabilità di votarla o meno».
I numeri al Senato
I voti favorevoli al testo del ddl Zan senza modifiche si attestano su una forbice che oscilla tra i 135 e i 145 sì. Da soli, senza i renziani, insufficienti a “blindare” il testo. I voti a sostegno della legge sono dei 75 senatori M5s, 38 del Pd, almeno 6 delle Autonomie, i 6 senatori di Leu, inoltre si calcolano almeno una decina dal gruppo Misto.
I voti contrari, nel caso non si apportassero modifiche al testo, sono così composti: 51 senatori di Forza Italia (ma alcuni azzurri potrebbero votare a favore come accaduto già alla Camera), 20 FdI, 64 Lega, 7 Idea, a cui andrebbero aggiunti altri voti dal Misto, per un totale che si aggira da un minimo di 145 voti contrari fino a toccare anche 150 no.
Determinanti, sia per l’eventuale approvazione definitiva del ddl Zan che per la sua bocciatura, i voti dei 17 senatori di Italia Viva. Il partito di Renzi alla Camera ha votato a favore, ma al Senato chiede modifiche al testo.
(da La Stampa)
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Luglio 3rd, 2021 Riccardo Fucile “NON HO FATTO A TEMPO A LEGGERLO”
La collocazione della Lega in Europa torna a provocare grande tensione tra
Giancarlo Giorgetti e Matteo Salvini. Proprio all’indomani della sottoscrizione da parte del segretario federale del Manifesto dei sovranisti, insieme a Giorgia Meloni, Marine Le Pen e Viktor Orban, il ministro per lo Sviluppo economico ostenta disinteresse nei confronti dell’iniziativa.
“Dico la verità, non ho fatto a tempo a leggerlo”, risponde ai cronisti che lo attendono a Varese, dove si è recato per firmare i referendum sulla giustizia. Poi mitiga: “La cosa è stata curata da Lorenzo Fontana che è il responsabile esteri che ha preso il mio posto.
Ma la frittata ormai è fatta.
La sua posizione causa ancora più scalpore anche perchè Giorgetti non è solo un esponente di spicco della Lega, garante di intensi rapporti economici e internazionali, dagli Usa alle cancellerie europee, ma è anche il capo della delegazione leghista in un governo guidato da un premier, Mario Draghi, simbolo dei valori europeisti, spesso attaccati violentemente da Orban e dagli altri leader del cosiddetto Gruppo di Visegrad.
Non a caso Enrico Letta torna all’attacco, vedendo una contraddizione “chiara ed evidente” tra l’adesione a quella “Carta dei valori” e l’appoggio al governo europeista di Draghi: “E’ come se tifasse Milan e Inter insieme”, sintetizza il segretario dem. Furibonda la replica dei capigruppo leghisti secondo cui è Draghi che “sta smentendo su tutto” Enrico Letta, “basti pensare al Mes o alla patrimoniale”. Quindi, concludono Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo, sia “Letta a trarne le conseguenze e, se vuole, esca dal governo”.
La risposta di Giorgetti sembra tuttavia essere in qualche modo un messaggio implicito di fedeltà al Presidente del Consiglio e una presa di distanze dal vertice leghista, che immediatamente reagisce cercando di calmare le acque: “Giorgetti – spiega Salvini a Matera – stamani era a firmare i referendum in un gazebo della Lega a Varese”. Dissenso sul manifesto? “Assolutamente, ci mancherebbe altro”, aggiunge, difendendo l’iniziativa europea resa necessaria, spiega, per evitare che “l’Europa sia un campo profughi, torni ai tagli, alle chiusure, alle austerità. Io – conclude – ai miei ministri chiedo di rilanciare l’Italia”. Più tardi proprio Lorenzo Fontana fa sapere di aver chiamato Giorgetti e che tra loro c’è “piena sintonia”.
Ma dietro le risposte di circostanza trapela l’irritazione per una frase che, per la sua valenza politica, finisce per riaprire antiche ferite: appena pochi mesi fa, persino prima della nascita del governo Draghi, Giorgetti auspicava l’apertura di una seria interlocuzione del partito leghista con il Ppe e i successori di Angela Merkel: “La Lega dovrà avviare un movimento verso il centro, oppure correrà il rischio di essere annientata”, era il suo vaticinio.
Ma soprattutto la sua posizione di oggi – mastica amaro la Lega – rischia di oscurare mediaticamente la campagna referendaria sulla giustizia
(da Huffingtonpost)
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Luglio 3rd, 2021 Riccardo Fucile IL PARTITO DI MARINE E’ UNA IMPRESA FAMILIARE CHE NON POTRA’ MAI VINCERE…SOLO LA MELONI PUO’ SCAMBIARLA PER UNA “VERA GOLLISTA”: MEGLIO CHE RIPASSI LA STORIA
Papà Le Pen, quel vecchio satrapo di Jean-Marie, 93 anni, invita la figlia Marine a riaccendere la “virilità” del partito, o sarà la disfatta.
Giorgia Meloni, sul Corriere della sera la difende, lodandola come una “vera gollista”. Lettera appassionata, dove la leader di Fratelli d’Italia parla della francese per difendersi dalla spietata diagnosi di Ernesto Galli della Loggia che lega i due partiti in un giudizio simile: classe dirigente scarsa e conti mai compiuti fino in fondo con la storia del fascismo.
Per Galli il Rassemblement National è certo più amico del maresciallo Pétain, eroe della prima guerra mondiale, poi primo ministro collaborazionista col nazismo, che del generale De Gaulle, eroe della Francia libera.
E le elezioni regionali francesi dei giorni scorsi hanno dimostrato che il cordone sanitario che avvolge da sempre il partito di Le Pen è ancora attivo. Fratelli d’Italia rischia lo stesso destino?
Giorgia, nella sua lettera al Corriere, può dire di non avere scheletri nell’armadio e di considerare la vittoria alleata del 1945 un “evento fortunato e positivo per l’Italia”. Anche se nel suo fortunatissimo libro non dà mai un vero giudizio sul fascismo, ma dichiara di non coltivarne il culto e in visita anche lei allo Yard Vascem si domanda con vera o finta ingenuità e senza darsi una risposta “com’è stato possibile” lo sterminio degli ebrei.
Marine Le Pen è nata nel 1968, a Parigi. Nel 1976 la casa di famiglia nel XV arrodissement della capitale viene distrutta da una bomba diretta contro il padre. Si trasferiscono a Montretout, sulla collina di Saint-Cloud, lo skyline grigio-azzurro di Parigi sullo sfondo. È un castelletto con 4 mila metri quadri di giardino che l’erede di un anziano industriale amico dei nazisti Hubert Lambert regala al leader dell’estrema destra francese. Nel salone c’è un grande ritratto del padre Jean-Marie abbigliato da pirata dell’Ottocento che scruta l’orizzonte nel cannocchiale, aggrappato sulla spalle un ermellino bianco. Marine cresce tra questa e l’altra casa di famiglia in Bretagna, molto più amata come racconta nell’autobiografia “À contre flot”.
Però è qui, nella discreta magione di Saint-Cloud che cresce la génération Marine, lei diventa la leader del partito per diretta investitura paterna, qui matura la rottura fra i due, fino alla scomunica senza appello del padre e la cacciata dal partito.
E qui comincia il percorso da “vera gollista” come la chiama Giorgia Meloni. L’esercizio risulta assai difficile: raccogliere l’eredità paterna e costruire un partito più largo senza negarla. Ma il Front National era nato antigollista, all’inizio degli anni Sessanta, contro la la concessione dell’indipendenza all’Algeria decisa da De Gaulle. Le Pen aveva servito come “lieutenant” in quella guerra che segnò la svolta nel colonialismo francese e non solo. Riconobbe di aver partecipato alle torture contro i “ribelli” (Le “meno violente possibili”, precisa nelle memorie) che sono state negli anni un marchio di infamia per l’esercito francese, riconosciute come tali da Emmanuel Macron.
E nelle memorie racconta addirittura di aver organizzato l’evasione dal carcere di Jean-Bastien Thiry, il colonnello dell’aeronautica condannato nel 1963 per l’attentato fallito a De Gaulle e compiuto dall’Oas (organisation de l’armée secrète) organizzazione vicina al Front National. L’evasione fallirà e il colonnello sarà giustiziato.
Questo è lo sfondo del partito di Marine Le Pen che dice quanto possa essere acrobatico per lei definirsi “gollista”.
Sempre nella sue memorie il padre racconta anche di aver aver incontrato giovanissimo il generale: “Charles de Gaulle rimane per me un’orribile fonte di sofferenza per la Francia… Nel 1945 nel Morbihan: ho stretto quella mano indifferente. Mi parve brutto, non aveva il volto di un eroe. Un eroe dev’essere bello. Come Saint Michel o il maresciallo Pétain. Rimasi deluso”.
Giorgia Meloni scrive che Marine non si è mai dichiarata simpatizzante di Pétain e del regime di Vichy, però nel 2017 è inciampata in una brutta gaffe quando ha detto che non fu “responsabilità di francesi” la famosa retata del Vélodrome d’hiver di Parigi nel 1942 quando oltre 12 mila ebrei rifugiati in Francia dall’est Europa furono indirizzati nei campi di sterminio. D’altra parte le responsabilità della polizia francesi e del regime di Vichy sono state più che provate.
Sulle elezioni regionali di domenica scorsa, così deludenti per la Le Pen e il suo corso normalizzatore, Giorgia Meloni fa una sintesi a proprio uso e consumo sommando i voti presi dalla destra repubblicana gollista (circa 40 per cento) a quelli per le liste della Le Pen (circa il 20) e dice: in Francia c’è una maggioranza di forze patriottiche del 60 per cento.
Il che è vero solo dal punto di vista aritmetico, perché i due mondi in realtà non sono politicamente sommabili: i gollisti hanno fatto – come sempre – campagna contro la Le Pen, in nessuna parte della Francia, salvo qualche minuscolo accordo locale, il Rassemblement è mai entrato in gioco. In Italia il sistema si costruisce nelle alleanze, e si può andare al governo anche perdendo voti; in Francia funziona sulla competizione, o si vince o si perde.
Se Fratelli d’Italia viene vissuto come un partito del sistema da trent’anni, la Meloni ha fatto il ministro e se il centro destra vince le prossime elezioni è sicuro che lei stessa tornerà al governo.
Nel sistema francese è impossibile, il partito di Marine è e resta un’ “entreprise familiale” che non può sottrarsi alla sua storia e al suo paradossale destino: senza Le Pen non esiste, con Le Pen non potrà mai davvero vincere.
Ma non è tutto, le ricadute delle fallimentari elezioni di domenica stanno manifestando retroscena ai limiti del grottesco.
Al Nord il candidato sconfitto lepenista ha denunciato per appropriazione indebita il direttore di finanziamento della sua campagna, si è scoperto che per essere candidati nel Rassemblement si doveva pagare. Queste le tariffe: 20 mila euro per essere testa di lista nei dipartimenti, 10 mila per una posizione eleggibile (con la clausola che si doveva pagare anche in caso di non elezione) e 3 mila per essere in lista senza speranza di elezione. E dietro le quinte si muoveva Génération identitaire, un’organizzazione messa fuori legge per odio razziale.
Se il moderato vincitore gollista Xavier Bertrand alla prima dichiarazione dopo la vittoria ha detto “Abbiamo spaccato la mascella del Rassemblement” qualche ragione ci dev’essere.
(da Huffingtonpost)
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Luglio 3rd, 2021 Riccardo Fucile I MASSIMI FUNZIONARI DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA IN CAMPANIA HANNO CERCATO DI DEPISTARE E MANIPOLARE LE PROVE
Manomissione dei filmati incriminati, con tanto di rimozione dell’audio e
alterazione della data e dell’ora di creazione.
Tra gli episodi di depistaggio emersi in questi giorni nell’indagine sulle violenze nei confronti dei detenuti a opera degli agenti della Penitenziaria al carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), secondo l’accusa ci fu anche il tentativo di modificare i video delle telecamere interne delle proteste in carcere per falsare la rappresentazione della realtà del 6 aprile 2020, giorno dei violenti pestaggi.
Protagonisti, come è emerso dall’ordinanza di custodia cautelare, i massimi funzionari dell’amministrazione penitenziaria in Campania, ovvero l’allora comandante Pasquale Colucci e il Provveditore campano Antonio Fullone, il primo ai domiciliari, il secondo sospeso.
Lo scopo della manomissione era giustificare la perquisizione straordinaria del 6 aprile, legandola in modo indissolubile, come fosse una diretta conseguenza, alla protesta dei detenuti del giorno prima.
Il Gip evidenzia come Colucci acquisisca «indebitamente su mandato di Fullone, il 9 aprile 2020, cinque spezzoni delle video-registrazioni operate in data 5 aprile e relative alla protesta per barricamento». Colucci, prosegue il Gip, invia i video «attraverso applicativo WhatsApp a Fullone nella stessa data e, a Massimo Oliva (sospeso, ndr), demandandogli l’alterazione mediante eliminazione dell’audio («Mi togli l’audio?») nonché l’alterazione della data e dell’ora di creazione, in modo da renderla coerente con quanto riportato nella sua falsa relazione del 6 aprile 2020 e simulare di aver visionato, in tempo reale, ed acquisito gli spezzoni del video – in data 5 aprile – nel corso delle proteste per barricamento, così artefacendo, con autonoma prova documentale, l’evento per giustificare in modo postumo la perquisizione del 6 aprile 2020 e le violenze avvenute nella medesima data».
«Una volta alterati gli spezzoni del video», prosegue il gip, «Colucci li consegnava a Francesca Acerra (Commissaria della Penitenziaria sospesa dal servizio), la quale inviava nella chat di gruppo (composta, tra gli altri, da Acerra, Colucci, Fullone) due dei cinque spezzoni di video, privi dell’audio che riprendevano le proteste dei detenuti».
Gli spezzoni dei video sono poi finiti in un cd-rom che Colucci consegna ad Acerra, e questa a sua volta li consegna ai carabinieri della Compagnia di Santa Maria Capua Vetere a cui sono state delegate le indagini. Quel cd-rom Fullone lo produsse anche nel corso dell’interrogatorio reso agli inquirenti il 10 luglio 2020, nonostante «fosse consapevole dell’alterazione».
(da agenzie)
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Luglio 3rd, 2021 Riccardo Fucile “NELLE CARCERI LE GUARDIE USANO IL METODO DEL BRANCO: CHI DENUNCIA PAGA CARO”
Samuele Ciambriello denuncia da anni le condizioni negli istituti del territorio. Per lui la mattanza del 6 aprile 2020 è il risultato di «un approccio cinico» alla rieducazione. Che ha portato a silenzi e depistagg
Samuele Ciambriello è il Garante dei diritti dei detenuti per la Regione Campania. Da anni le segnalazioni che raccoglie in dossier sulle condizioni nelle carceri del territorio sono spesso inascoltate.
Lo abbiamo intervistato sui fatti di Santa Maria Capua Vetere che hanno portato sotto inchiesta 52 agenti di polizia penitenziaria per i pestaggi e le sevizie avvenute nell’istituto il 6 aprile 2020, dopo le proteste dei carcerati per i timori di contagio da Covid nella struttura.
Dietro «all’offesa alla Costituzione» e al «cortocircuito» che la vicenda ha provocato a livello istituzionale, ci sono i depistaggi rilevati dall’inchiesta, un clima di «avversione» verso i 44 detenuti su 292 che «hanno avuto il coraggio di denunciare».
Un’atmosfera che crea silenzi e approccio «cinici» nel Paese rispetto alla questione della rieducazione. Portando chi «sconta i suoi sbagli a vivere in un clima forcaiolo»
Sono anni che denuncia le condizioni nelle carceri campane, ma non cambia nulla. Perché?
A partire dalla questione del sovraffollamento, sono anni che riceviamo sanzioni dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Manca una riforma dell’ordinamento penitenziario da 10 anni e il tema viene affrontato con una distanza tra quello che è lo stato attuale degli istituti e ciò che dovrebbero essere secondo la Costituzione e le buone pratiche di rieducazione. Il cambiamento non avviene perché la politica e gli ultimi ministri della Giustizia hanno avuto un approccio cinico e pavido. Non trattano questi argomenti perché considerano il carcere una risposta semplice a bisogni concreti. Dal punto di vista sociale e culturale, sulle carceri c’è un clima negativo nel Paese
Perciò abbiamo aspettato un anno e mezzo per vedere quei filmati?
Le indagini sono partite a ridosso dei fatti e dei filmati si sapeva già da giugno. Lo stesso quotidiano Domani scriveva dell’esistenza delle immagini già dallo scorso ottobre. I maltrattamenti e i depistaggi di quei giorni hanno creato un cortocircuito tra Roma e chi pensava di rimanere impunito. Poi, come emerge dalle stesse chat degli agenti al vaglio degli investigatori, tutti hanno capito che era accaduto qualcosa di terribile. Non si tratta di un gioco delle parti, ma il clima forcaiolo da “gettiamo la chiave” sulle carceri ha contribuito a malintesi e silenzi dannosi tanto quanto gli avvenimenti del 6 aprile 2020.
Poi ci sono i depistaggi. Tra questi, stando alle carte della Procura, emergono foto utili a simulare la presenza di armi rudimentali nelle carceri.
La presenza di armi, come fornellini e spranghe, dovevano fungere da attenuante all’operato. È importante segnalare che diversi agenti si sono ribellati al depistaggio fatto con le foto scattate dai loro colleghi. Cose del genere contribuiscono a dinamiche che spostano l’attenzione dalla necessità di rinnovamento del sistema carcerario. Nel luglio scorso, per esempio, Matteo Salvini in visita a Santa Maria Capua Vetere si rivolse alla stampa dicendo che «se usano coltelli e ti tirano l’olio bollente non puoi rispondere con le margherite».
Dai tabulati delle chat emerge il “Metodo Poggioreale”. C’è un preciso modus operandi nella gestione delle tensioni nelle carceri?
Poggioreale è il carcere più grande d’Europa e per ristabilire l’ordine le guardie applicano il metodo del “branco”. Questo intendevano nelle chat. In un qualsiasi carcere d’Italia se sgarri 6 o 7 guardie ti prendono e ti “dicono chi comanda. Per i comuni mortali è sconvolgente vedere gente inerme trattata in quel modo, ma questo è: gli agenti presi dall’esterno rientrano nella logica dell’utilizzo, in caso di rivolte negli istituti, del Nucleo Operativo d’Intervento. Che all’occorrenza raccoglie agenti nel territorio per risolvere scontri delicati. Nel caso di Santa Maria Capua Vetere, il comandante è ai domiciliari.
Come vive chi ha denunciato?
La costrizione in carcere è dura. Delle 292 persone abusate solo in 44, più alcuni familiari che sono andati dai carabinieri, hanno denunciato. Queste persone hanno avuto il coraggio e alcuni di loro sono stati trasferiti in altre strutture per questo. Chi è rimasto lì, invece, vive in un clima avverso. Lo stesso Vincenzo Cacace, alla ribalta della cronaca dopo le accuse poi smentite alla direttrice del carcere, lo ha detto. Lo percepisco ogni volta che sono ritornato in quel carcere. C’è anche chi comprende la necessità di questo coraggio. Agenti della Casa Circondariale di Bologna e di Secondigliano, per esempio, hanno espresso solidarietà ai detenuti e sui social hanno chiesto giustizia per l’oltraggio al vivere civile, oltre che alla divisa. Ma davanti a questa coscienza c’è il fatto che, nello stesso carcere di Santa Maria Capua Vetere, continuano a starci gli agenti inquisisti ma a piede libero. Delle 114 guardie penitenziarie che sarebbero coinvolte, infatti, solo 52 sono stati raggiunti dagli ordini di custodia della Procura.
(da agenzie)
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Luglio 3rd, 2021 Riccardo Fucile E LE REGIONI RESTANO A SECCO DI FIALE
La campagna vaccinale italiana prosegue anche nei mesi più caldi, ma tra dosi
somministrate in vacanza e opere di sensibilizzazione per i più giovani, c’è uno nodo che non si è ancora sciolto.
Sono i fragili, quella stessa categoria a cui la struttura commissariale ha riconosciuto priorità assoluta fin dai primi mesi del piano e che ad oggi non risulta essere stata ancora messa in salvo dai pericoli della Covid-19.
Secondo l’ultimo report del generale Figliuolo, sono 2.585.513 gli over 60 che in Italia non hanno ricevuto nemmeno la prima dose di vaccino. Un numero importante soprattutto se si considera la minaccia sempre più concreta della variante Delta, la stessa mutazione che ha provocato l’impennata di contagi nel Regno Unito e che, secondo l’ultimo monitoraggio dell’Iss, è attualmente presente in ben 16 Regioni italiane.
Secondo quanto fa sapere la struttura commissariale. nell’ultima settimana sono stati raggiunti poco più di 100 mila ultrasessantenni. La fascia dai 60 ai 69 anni risulta quella meno vaccinata di tutte (1.458.624 senza neanche una dose), ma anche tra gli over 70 si contano 781 mila persone senza la prima dose, il 13% del totale.
Fragili da raggiungere. Ma con quali dosi?
Il gap dei più fragili preoccupa non poco il generale Figliuolo, in queste ore impegnato anche a rassicurare tutte quelle Regioni che rischiano di rimanere a secco di dosi. Il timore di diverse amministrazioni locali è quello di non avere abbastanza fornitura per le prossime settimane ed è per questo che sono stati già annunciati veri e propri rinvii di somministrazione per le fasce più giovani d’età. Un esempio fra tutti è il Lazio, che lamentando l’assenza di circa 100 mila dosi di Pfizer, ha stoppato le prenotazioni per gli over 17, fatto slittare poi la campagna per i soggetti dai 12 ai 16 anni e prorogato la prima dose per gli appuntamenti fissati nel periodo tra l’11 e il 15 di luglio. I numeri su cui Figliuolo invita a ragionare sono quelli dei totalmente vaccinati: oltre 19 milioni di italiani hanno già ricevuto la seconda dose e la rassicurazione del governo è quella di poter disporre a breve di una fornitura sufficiente per raggiungere l’immunità di gregge entro fine estate.
Intanto anche l’Emilia- Romagna di Stefano Bonaccini lamenta scarsità di dosi. La speranza è quella di poter ricevere dal commissario per l’emergenza un’ancora più dettagliata tabella di marcia delle forniture in arrivo, valutando nel frattempo uno stop alle prenotazioni fino al 15 di agosto per la fascia 20-59 anni. «Non potendo rimandare quelli che devono fare il richiamo», ha spiegato il presidente di Regione, «bisogna fare attenzione a non far venire gente facendola aspettare giorni seduta dentro o fuori i punti vaccinali». Ed è proprio per il timore di rimanere a secco di fiale che Regioni come Emilia-Romagna, Sardegna, Lazio e Campania hanno preferito mettere in stand by le vaccinazioni anche per i turisti.
La Puglia lamenta una riduzione di circa 432mila dosi di Pfizer per il mese di luglio, dovendo così rinviare a data da destinarsi oltre 219 mila prenotazioni di under 50. «L’integrazione delle dosi del generale Figliuolo non è tale da poterci far somministrare quelle che abbiamo fatto a giugno» ha fatto eco anche il presidente della Toscana Eugenio Giani, convinto però in una ripresa rapida per i prossimi mesi. «Entro settembre riusciremo a raggiungere il 75-80% di vaccinati in totale» ha aggiunto. In Lombardia, dove il 2 di luglio si è registrata quota zero decessi, dato che non si segnalava dal 6 ottobre scorso, è prevista per il mese di agosto la consegna di oltre 1 milione di dosi.
(da agenzie)
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Luglio 3rd, 2021 Riccardo Fucile I VOLI NAZIONALI AUMENTATI DEL 19,7%, I VILLAGGI VACANZA DEL 16,9%
Vacanze, ‘stangata’ nel mese di giugno secondo i consumatori. I voli nazionali, in un solo mese segnano infatti un aumento del 19,7%, collocandosi al primo posto della top ten.
Al secondo posto villaggi vacanze, campeggi, ostelli della gioventù e simili con un rialzo del 16,9%. Sul gradino più basso del podio i voli internazionali saliti del 10% sul mese precedente. E’ quanto emerge dall‘elaborazione effettuata dall’Unione nazionale consumatori, sulla base dei dati Istat, che ha confrontato i dati di giugno su maggio.
Non si salva nemmeno chi vuole noleggiare un’auto o vuole affittare un posto auto nel luogo di villeggiatura: dovrà pagare il 6,3% in più rispetto a un mese fa. In quinta posizione la voce che forse rappresenta più le vacanze, il pacchetto turistico: quelli nazionali saranno più cari del 4,5%.
Seguono il trasporto marittimo (+2,9%), i pacchetti vacanza internazionali (+2,5%), i musei, parchi e giardini (+1,8%), il trasporto ferroviario passeggeri (+1,1%), mentre chiudono la graduatoria i servizi ricreativi e sportivi che includono anche la voce stabilimenti balneari (parchi di divertimento, piscine, palestre, stabilimenti balneari, impianti sportivi) con un +0,9% (9 volte l’inflazione mensile, pari allo 0,1%). Non entrano nella top ten, anche se per un soffio, i ristoranti (+0,6%).
Nella top ten dei rincari annui, al primo e secondo posto i carburanti, che incideranno pesantemente sui viaggi per andare verso l’agognata meta delle ferie. Ricordiamo che secondo l’Istat l’84% degli italiani utilizzerà il mezzo personale per raggiungere la località di vacanza. La benzina è salita rispetto a giugno 2020 del 16,2%, mentre il gasolio del 15,6%.
Al terzo posto i pacchetti vacanza nazionali che rispetto a un anno fa segnano un rialzo del 9,7%. Se ne approfittano anche musei, parchi e giardini con un balzo su base annua del 9,1%. In quinta posizione l’affitto garage e il noleggio dei mezzi di trasporto (+6%), poi il trasporto ferroviario passeggeri (+5,9%), i Villaggi vacanze, campeggi (+4,5%), all’ottavo posto fast food e servizi ristorazione take away (+2,6%). Chiudono la classifica il trasporto marittimo (+2,2%) e, in decima posizione, i ristoranti con un aumento dell’1,9%.
“Se il buongiorno si vede dal mattino andiamo male! A luglio e agosto, considerata la maggiore domanda rispetto a giugno, è concreto il rischio che i prezzi decollino ancora di più”, commenta il presidente dell’Unc, Massimiliano Dona. ”Capiamo le difficoltà del settore turistico, ma va considerato che anche le famiglie sono in crisi. E’ un momento difficile per tutti, ma c’è chi, come gli albergatori, almeno per ora, ha deciso responsabilmente di mantenere i prezzi sostanzialmente stabili, alzandoli dell’1,1% su base annua ma riducendoli dello 0,8% su maggio” , conclude.
(da agenzie)
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Luglio 3rd, 2021 Riccardo Fucile “SE RIUSCIRO’ A ESSERE BRAVA LA META’ DI QUANTO LO E’ STATA JO, NE SARO’ ORGOGLIOSA”
Kim Leadbeater è la nuova rappresentante in parlamento della comunità di
Batley and Spen, contea del West Yorkshire. La candidata laburista ha soffiato il seggio al rivale conservatore Ryan Stephenson, dato per vincitore fino all’ultimo, per soli 323 voti.
La notizia importante però è che la neo eletta è la sorella minore di Jo Cox, deputata laburista uccisa a soli 42 anni il 16 giugno 2016 con un colpo di pistola, sparato da un estremista sovranista sul finire di una campagna referendaria durissima in cui il popolo britannico era stato chiamato a decidere se rimanere o lasciare l’Unione Europea.
La storia
Jo Cox, europeista, era stata raggiunta da tre colpi di arma da fuoco e numerose coltellate mentre si recava a un appuntamento nella sua stessa costituency, un’aggressione premeditata, come accerterà poi la magistratura che lo condannerà all’ergastolo alcuni mesi dopo, dal nazionalista Thomas Mair, affiliato a un gruppo neonazista.
Un omicidio che aveva scosso l’intero mondo politico e che aveva portato alla sospensione della campagna oramai agli sgoccioli. Per la Brexit, infatti, si è votato pochi giorni dopo, il 23 giugno.
“Ho lavorato per quattro anni con la Jo Cox Foundation ha detto la nuova parlamentare alla stampa con l’obiettivo di unire le persone della nostra comunità e volevo costruire il nostro progetto partendo da qui. Ho visto tanta cattiveria in questa campagna elettorale, ci sono divisioni nella nostra comunità che devono essere sanate”.
(da agenzie)
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