Luglio 12th, 2021 Riccardo Fucile IN CALO LEGA, M5S E FORZA ITALIA, IN AUMENTO FDI E PD
Il tradizionale sondaggio del lunedi di Swg -La7 vede aumentare il distacco tra il
partito della Meloni (+ 0,3%) a scapito della Lega (-0,4%) portando Fdi al 20,8% contro il 20,2% del partito di Salvini.
Dietro il Pd risale dello 0,1% toccando quota 18,9%, mentre cala dello 0,2% il M5s che si ferma al 14,4%.
Scende dello 0,2% anche Forza Italia che si attesta al 6,8%. Cattive notizie anche per Calenda che scende dello 0,1% e si ferma al 3,5%.
Sale la Sinistra di Fratoianni al 2,7% (+ 0,3%) mentre Art 1 è al 2,5%.
Tutti gli altro sono intorno al 2%: Italia Viva e + Europa al 2%, i Verdi all’1,7%
(da agenzie)
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Luglio 12th, 2021 Riccardo Fucile LA DIARCHIA CHE CONTE VOLEVA EVITARE SI E’ REALIZZATA NEI FATTI… GRILLO POTRA’ CACCIARE CONTE IN QUALSIASI MOMENTO
Giuseppe Conte non è riuscito a sbarazzarsi di Beppe Grillo.
La diarchia, che l’ex premier avrebbe voluto evitare a tutti i costi, nei fatti si è realizzata. Il Garante mantiene infatti i poteri che aveva prima scegliendo i componenti del Consiglio di garanzia e del collegio dei probiviri che all’interno del Movimento 5 Stelle hanno un peso rilevante.
Basti pensare che hanno la facoltà di scegliere chi espellere dal mondo pentastellato, nel caso di condotte contrarie al regolamento. Lo stesso Presidente M5s può essere defenestrato su volere del Garante e degli organi di garanzia da lui e solo da lui nominati.
Inoltre il Garante è “custode dei principi e dei valori dell’azione politica”, trapela da chi ha visionato il nuovo Statuto. Quanto basta per lasciare al fondatore M5s ampi spazi di manovra riguardo le scelte politiche che spettano al presidente, quindi a Conte. Tra l’altro già nel precedente Statuto, quello redatto nel 2017 quando fu scelto Luigi Di Maio capo politico, all’articolo 8 si leggeva che il Garante era “il custode dei valori fondamentali dell’azione politica dell’associazione”.
A dimostrazione che è stato riscritto uno Statuto per poi in fondo cambiare poco o niente nonostante i nove giorni di trattative portate avanti dai sette saggi e nonostante lo strappo di Conte in una conferenza stampa durante la quale aveva detto che non avrebbe accettato una diarchia in convivenza con Grillo.
Fonti interne chiariscono in cosa consisterà il ruolo del presidente sul piano delle scelte politiche. Questione fondamentale per capire il nuovo corso M5s e che margini di manovra avrà Conte.
Un esempio fra tutti e imminente riguarda il tema della giustizia, la cui idea dell’ex premier come si è visto è opposta a quella di Grillo e ora i parlamentari sono in ansia perché non sanno che atteggiamento assumeranno i vertici nei riguardi del governo. Intanto se prima si chiamava Capo politico, non appena ci sarà il voto online questa stessa figura si chiamerà ‘Presidente’.
E come si apprende da fonti vicine all’ex premier sarà “l’unico titolare e responsabile della determinazione e dell’attuazione dell’indirizzo politico del Movimento 5 Stelle”. È pur vero però che sarà affiancato da una segreteria politica che Conte sceglierà in prima persona, punto a suo favore, ma sui cui Grillo difficilmente non sarà consultato. Anche perché se la linea politica dovesse essere difforme ai principi del Movimento, il Garante potrà in un qualsiasi momento intervenire e influenzare l’andamento delle scelte perché dal Consiglio di Garanzia passano le regole d’ingaggio e ogni tipo di candidatura.
Già in passato il Capo politico aveva il compito di mantenere l’unità dell’indirizzo politico del Movimento 5 Stelle coordinandosi con gli eletti del M5S, con i capigruppo parlamentari e con i membri grillini del governo. È chiaro che mentre Di Maio nel 2017 era strettamente legato a Grillo, e pur avendone la libertà difficilmente avrebbe preso una decisione contraria al volere del Garante o senza averlo consultato, anche per il rapporto personale che intercorre tra loro, ora non si può dire la stessa cosa di Conte. Quindi non è affatto detto che la convivenza tra l’ex premier e il Garante sarà facile, ma Grillo avrà pur sempre il potere di cacciarlo quando e se vorrà.
(da Huffingtonpost)
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Luglio 12th, 2021 Riccardo Fucile LE ALTERNATIVE CI SONO…. CHE RUOLO HANNO I SERVIZI E CHE RAPPORTI HANNO CON I CRIMINALI LIBICI?
Siamo in buona compagnia. Ecco quanto scritto da Paolo Mieli in un suo editoriale
sul Corriere della Sera: “L’occasione per la cancellazione dei sussidi italiani ai guardiani delle coste tripoline (la motovedetta Ras Jadir fu un dono del governo guidato da Paolo Gentiloni) potrebbe essere fornita dalla discussione che questa settimana verrà affrontata nelle commissioni Esteri e Difesa della Camera. Esame che avrà come oggetto proprio il rinnovo del «contratto» con i libici stipulato ai tempi dell’esecutivo Gentiloni e rinnovato con i due governi presieduti da Giuseppe Conte.
Un contratto fin dall’inizio criticato da Emma Bonino, Matteo Orfini (Pd), da Fratoianni, dai quotidiani Avvenire e Manifesto
Bonino, Fratoianni e Orfini, assieme a pochissimi altri parlamentari, intellettuali e giornalisti, sono rimasti a lungo isolati nella loro battaglia.
Fino al 25 febbraio 2020 quando l’assemblea nazionale del Pd votò all’unanimità una mozione in cui si sosteneva che ‘la Guardia costiera libica non esiste’, ciò che ‘è dimostrato da numerose inchieste giornalistiche e dai report delle Nazioni Unite’ da cui si capisce «come in realtà si tratti di milizie armate sovente in lotta tra loro e molto spesso coinvolte in prima persona nel traffico di migranti e nella gestione dei lager». Ragion per cui non meritavano di ricever più neanche un euro dalle finanze italiane.
Poi però, come talvolta accade per le decisioni di quel partito, il deliberato rimase lettera morta e tutto procedette come prima (nonostante il Pd avesse un ruolo assai rilevante nel secondo governo presieduto da Conte).
Colpa di una distrazione provocata dal Covid, forse. Per una coincidenza, però, nel giorno in cui si era pronunciato unanime con quella mozione, il Pd aveva anche eletto a presidente Valentina Cuppi, sindaca di Marzabotto.
Anche questa votazione era avvenuta all’unanimità. Parve un bel colpo di immagine portare una giovane donna alla testa di un partito assai sensibile — nei documenti e nelle dichiarazioni ufficiali — al tema della promozione di figure femminili.
Senonché Cuppi — rimasta presidente dopo il passaggio da Nicola Zingaretti ad Entico Letta — non si è mai accontentata di rivestire un ruolo per così dire ornamentale.
E nei giorni scorsi — prima dell’aggressione di cui, Cartabia consentendo, si occuperà Patronaggio — ha rilasciato a Daniela Preziosi una clamorosa intervista. Nel colloquio con la giornalista del Domani, Cuppi — forse memore della coincidenza tra la sua elezione e quel voto contro gli aiuti economici alla Guardia costiera tripolina — esortava il proprio partito ad uscire dal vago e a votare no, adesso, a quel genere di finanziamenti alla Libia. Un no secco.
Bilanciato dall’erogazione della stessa somma di denaro per sovvenzionare lo sminamento di alcuni quartieri di Tripoli, il potenziamento dell’ospedale di Misurata e per chiunque in terra libica fosse impegnato in attività benefiche compiute nel rispetto dei diritti umani.
All’interno del partito le dichiarazioni di Cuppi sono cadute purtroppo nel vuoto.
Ma forse per il partito di Letta è giunto il momento di prestare attenzione, oltre che agli innumerevoli problemi del momento, anche a quel che ha dichiarato Valentina Cuppi. E di dire con chiarezza se e come intende onorare l’impegno preso solennemente un anno e mezzo fa”, conclude Mieli.
I migranti in Libia
Si stima che circa 1,3 milioni di persone abbiano bisogno di assistenza umanitaria in Libia. Le famiglie sfollate, le persone rifugiate e migranti sono tra le più vulnerabili e a rischio sicurezza in un paese che è diviso internamente da fazioni contrastanti e differenze inter-tribali.
Di questi 1,3 milioni, 348 mila sono minori, bambini e bambine che hanno urgente bisogno di ogni genere di sostegno per poter vivere dignitosamente.
Circa 393 mila sono sfollati interni e più di 43 mila sono rifugiati e richiedenti asilo che provengono principalmente dall’Africa sub-sahariana. Persone, spesso anche minori soli non accompagnati, che affrontano viaggi estenuanti, dove il rischio di non arrivare a destinazione, che non è la Libia bensì l’Europa, è altissimo.
Rimarca Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera: “Nel suo rapporto sui diritti umani, Amnesty International scrive che nel 2020 la guardia costiera libica ha «intercettato in mare 11.891 rifugiati e migranti, riportandoli indietro sulle spiagge libiche, dove sono stati sottoposti a detenzione arbitraria e indefinita, tortura, lavoro forzato ed estorsione».
Ma neppure questi conti vergognosi tornano. Il capo missione dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), Federico Soda, osserva che se gli ospiti dei campi ufficiali sono circa quattromila, mancano all’appello ottomila dei migranti catturati solo lo scorso anno.
Alcuni vengono assistiti nei programmi dell’Unhcr o dell’Oim. Ma ne risultano svaniti ancora troppi. «Dobbiamo pensare che vengano trasferiti in campi non ufficiali, di cui nessuno conosce il numero», dice Soda
Di recente la Brigata 444 ha fatto irruzione nei centri clandestini di Bani Walid, liberando profughi torturati e stuprati, per ricondurli nel circuito formale.
Ma la differenza tra strutture legali e illegali in Libia spesso è solo burocratica. E talvolta il percorso è inverso.
Scrive Amnesty: «A migliaia sono sottoposti a sparizione forzata, dopo essere stati trasferiti in luoghi di detenzione non ufficiali, compresa la ‘Fabbrica del Tabacco’ di Tripoli, sotto il comando di una milizia affiliata al Gna (il governo nazionale). Di loro non s’è saputo più nulla».
Già dai rapporti Onu del 2018 era noto come profughi e migranti fossero catturati, seviziati e ricattati da gang spesso «parastatali», nelle quali confluivano banditi e funzionari governativi.
Già da allora la famosa guardia costiera libica veniva definita alla stregua di una confraternita di pirati. A settembre dell’anno scorso l’Unhcr ha rilasciato una nota formale in cui si rigetta la nozione della Libia come posto sicuro di sbarco e «si invitano gli Stati a trattenersi dal rimandare in Libia qualsiasi persona salvata in mare»
Nella mappa dei luoghi più mortali per i migranti in Africa, subito dopo il deserto tra Niger e Libia c’è la costa libica, con Bani Walid, Sabratha, Zuwara e Tripoli. E, appena venerdì scorso, l’Alto commissario Filippo Grandi è tornato a sollecitare «la fine delle detenzioni abusive», auspicando che «la nuova amministrazione libica dia segnali più forti di voler bloccare lo sfruttamento di migranti e rifugiati» (non va certo in questo senso la recente scarcerazione e promozione a maggiore della guardia costiera del trafficante Bija)”., conclude Bianconi
Lavoro sporco
Come riconosciuto dalle istituzioni internazionali ed europee, comprese le Nazioni Unite e la Commissione europea, la Libia non può in alcun modo essere considerata un luogo sicuro dove far sbarcare le persone soccorse in mare: sia perché è un Paese instabile, dove non possono essere garantiti i diritti fondamentali, sia perché migranti e rifugiati sono sistematicamente esposti al rischio di sfruttamento, violenza e tortura e altre gravi e ben documentate violazioni dei diritti umani.
Eppure, continua ad aumentare il contributo italiano ed europeo alla Guardia costiera libica, che negli ultimi 4 anni ha intercettato e riportato forzatamente nel Paese almeno 50 mila persone, 12 mila solo nel 2020.
Tutti i governi italiani che si sono succeduti hanno ostacolato l’attività delle navi umanitarie, senza fornire alternative alla loro presenza in mare. Persino le recenti modifiche della normativa in materia di immigrazione non hanno di fatto eliminato il principio di criminalizzazione dei soccorsi in mare, che era stato introdotto dal secondo Decreto Sicurezza.
Nel corso del 2020, l’Italia ha bloccato inoltre sei navi umanitarie con fermi amministrativi basati su accuse pretestuose, lasciando il Mediterraneo privo di assetti di ricerca e soccorso e ignorando, allo stesso tempo, le segnalazioni di imbarcazioni in pericolo. Contribuendo così alle 780 morti e al respingimento di circa 12.000 persone, documentate durante il corso dell’anno dall’OIm
Scrive Duccio Facchini su altraeconomia :”L’Italia continua senza sosta ad assistere ed equipaggiare la cosiddetta Guardia costiera libica per intercettare le persone nel Mediterraneo e respingerle sulle coste nordafricane. Tra la fine del 2020 e i primi tre mesi del 2021, i soli appalti in capo al Centro navale della Guardia di Finanza sono stati oltre 50 per un valore complessivo di circa sette milioni di euro (da aggiudicare o in via di imminente aggiudicazione).
Uno di questi risale al febbraio 2021 e riguarda la manutenzione straordinaria da parte del nostro Paese di due motovedette cedute a Tripoli “nell’ambito del protocollo di cooperazione Italia-Libia”.
Nell’atto autorizzativo del Centro navale datato 8 febbraio e che richiama l’accordo del febbraio 2017 si legge che i lavori di “somma urgenza” -pari a 138.800 euro- dovranno essere svolti in Sicilia in un “ricovero discreto” per “mezzi navali di grandi dimensioni” al fine di “nasconderli alla vista di persone estranee”.
Non solo: l’unico operatore invitato alla procedura negoziata -il cantiere navale “Marina di Riposto Porto dell’Etna”, in provincia di Catania, già impegnato in altre forniture- è stato selezionato anche sulla base dell’”efficacia e discrezione dimostrate in occasione di precedenti analoghe lavorazioni, per evitare di divulgare all’esterno attività di elevata ‘sensibilità istituzionale’”.
Ombre inquietanti
Le inchieste pubblicate da organi di stampa autorevoli, come la rivista Internazionale e il quotidiano Il Domani, gettano davvero più che un’ombra oscura su tutto ciò che riguarda il rapporto tra il governo italiano e le milizie libiche che controllano i traffici di petrolio ed esseri umani nel Mediterraneo”.
A dirlo all’Adnkronos è Luca Casarini, capo missione di Mediterranea Saving Humans, aggiungendo: “I giornalisti Zach Campbell e Lorenzo D’Agostino hanno investigato e dimostrato per il sito statunitense ‘The Intercept’ come l’accanimento giudiziario e poliziesco contro le ong del soccorso in mare sia stato pianificato negli uffici della superprocura antimafia, la Dna, che ha anche coordinato l’attività in questo senso di cinque Procure siciliane”.
“Questa azione coordinata, che aveva come obiettivo ‘togliere di mezzo le Ong’ – prosegue Casarini – ha visto la partecipazione di esponenti, tuttora in servizio, dei servizi segreti, che avevano il compito di ‘costruire le prove’. Inoltre, si descrive, sempre attraverso fonti documentali e circostanziate, che l’Italia ha sempre saputo di collaborare con criminali libici accusati di efferati delitti, per creare un sistema atto a fermare in ogni modo, anche con la morte, persone migranti e profughi in fuga da orrore e violenze. La cosiddetta ‘guardia costiera libica’ e la ‘zona Sar libica’, secondo questa inchiesta, sono pure invenzioni per coprire le gravissime violazioni dei diritti umani”.
Per il capomissione di Mediterranea Saving Humans anche il reportage di Sara Creta su Il Domani “documenta con video, registrazioni radio, testimonianze precise, come le catture di migranti in mare che fuggono dai campi di concentramento libici, siano coordinate da aerei europei di Frontex e da Roma”.
Da qui l’interrogativo di Casarini. “Di fronte a tutto questo ci sarà in Italia un procuratore, un magistrato, che senta il bisogno di fare piena luce su cos’è stato e cosa è il patto Italia-Libia? Ci sarà pure un magistrato che davanti ad accuse e prove del genere voglia ridare un minimo di giustizia anche a uno solo di quei morti che giacciono in fondo al mare o che è stato ammazzato da quelli che per il governo italiano sono stretti collaboratori in Libia?”.
“Il Parlamento vorrà istituire una commissione di inchiesta, come già richiesto da alcuni parlamentari, sul patto Italia-Libia – conclude Casarini -? Qui siamo difronte a una situazione paragonabile alle stragi o ai rapporti tra Stato e mafia. Una delle pagine più nere, criminali e vergognose della storia della Repubblica”.
Come dargli torto…
L’appello al Parlamento
In una nota congiunta, Asgi, Emergency, Medici Senza Frontiere, Mediterranea, Oxfam e Sea-Watch hanno chiesto al Parlamento di istituire una Commissione di inchiesta, che indaghi sul reale impatto dei soldi spesi in Libia e sui naufragi nel Mediterraneo e di presentare un testo che impegni il Governo a:
1) – interrompere l’accordo Italia-Libia, subordinando qualsiasi futuro accordo bilaterale alla transizione politica della crisi libica, nonché alle necessarie riforme del sistema giuridico che eliminino la detenzione arbitraria e prevedano adeguate misure di assistenza e protezione per migranti e rifugiati;
2) – dare l’indirizzo a non rinnovare le missioni militari in Libia, chiedendo la chiusura dei centri di detenzione nel Paese nord-africano;
3) – promuovere, in sede europea, l’approvazione di un piano di evacuazione dalla Libia delle persone più vulnerabili e a rischio di subire violenze, maltrattamenti e gravi abusi;
4) – dare mandato per l’istituzione di una missione navale europea con chiaro compito di ricerca e salvataggio delle persone in mare;
5) – promuovere, in sede europea, l’approvazione di un meccanismo automatico per lo sbarco immediato e la successiva redistribuzione delle persone in arrivo sulle coste meridionali europee, sulla base del principio di condivisione delle responsabilità tra stati membri su asilo e immigrazione;
6) – promuovere la revoca dell’area di ricerca e soccorso libica, poiché solo finalizzata all’intercettazione e al respingimento illegale delle persone in Libia;
7) – riconoscere il ruolo delle organizzazioni umanitarie nella salvaguardia della vita umana in mare, mettendo fine alla loro criminalizzazione e liberando le loro navi ancora sotto fermo.
Sette richieste che se raccolte darebbero lustro all’Italia e cancellerebbero, almeno in parte, la vergogna dei finanziamenti ai torturatori libici. Se non ora, quando?!
(da Globalist)
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Luglio 12th, 2021 Riccardo Fucile IL PRIMO NODO DA SCIOGLIERE E’ QUELLO DELLA GIUSTIZIA
Il primo nodo da sciogliere per Giuseppe Conte come nuovo leader del Movimento 5 Stelle è proprio quello a cui forse tiene di più. Quello della giustizia. Il “sì” dei quattro ministri 5 Stelle di giovedì alla riforma Cartabia che ha cancellato la “Bonafede” sulla prescrizione, per di più spinta da Beppe Grillo con tanto di telefonata al premier Mario Draghi, all’avvocato proprio non è andata giù.
E così adesso l’intenzione dell’ex premier è quella di far modificare il testo alla Camera, a partire dal 23 luglio: Conte considera la riforma così com’è stata approvata in Consiglio dei ministri “inaccettabile” e, se il testo dovesse rimanere lo stesso, “non passerà con i voti del M5S”.
Per l’ex premier, che ne ha parlato con i suoi nelle ultime ore e tiene un filo diretto con l’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede, la riforma non solo non va bene “come princìpio” ma ancora di più “alla luce della situazione dei tribunali italiani” che non garantirà di chiudere i processi nei tre anni stabiliti dopo la sentenza di primo grado.
L’obiettivo quindi del nuovo leader M5S è di modificare notevolmente la riforma in aula. E se non sarà possibile? Per il momento, nessuno arriva ad ipotizzare l’uscita dal governo Draghi ma, in caso di muro contro muro con i partiti più garantisti, la maggioranza ballerà
Anche Bonafede è sulla stessa linea di Conte. Ieri, durante l’assemblea con i parlamentari, ha parlato di “riforma sbagliata” che rischia di creare “isole di impunità”. I due si sono già messi a studiare alcune modifiche alla riforma che non la stravolgano completamente ma che permettano di recuperare parte del terreno perso.
Il sogno è quello di eliminare la nuova “improcedibilità” à la Cartabia e tornare all’impianto della “Bonafede” con sconti di pena se il processo dura troppo. Più realisticamente, l’obiettivo è agire sul processo di Appello per evitare che scatti la prescrizione.
Come? Inserendo modifiche processuali per far rispettare il limite dei due anni e abolendo il divieto di reformatio in peius – in secondo grado le pene non possono essere più alte del primo – così da fare da deterrente per i ricorsi.
Inoltre, e questa è la battaglia su cui i 5S si batteranno di più, l’ex premier vorrebbe abolire la norma secondo cui il Parlamento (con una relazione annuale) può dettare alle procure la priorità sui reati da perseguire. Una riforma sognata per anni da Silvio Berlusconi – che voleva i pm alle dipendenze dell’esecutivo – e che ora il M5S vede come fumo negli occhi. Tra due settimane, quando a Montecitorio, arriveranno gli emendamenti di Cartabia, si porrà un problema politico interno al M5S e al governo.
Il Movimento infatti sulla giustizia è spaccato in due: da una parte ci sono i ministri – Luigi Di Maio, Stefano Patuanelli, Federico D’Incà e Fabiana Dadone – e i loro fedelissimi, dall’altra il corpaccione del gruppo parlamentare che annuncia le “barricate” in aula. Minacciare l’uscita dal governo significherebbe anche sconfessare i propri ministri.
Durante l’assemblea di ieri i grillini più ortodossi, da Giulia Sarti ad Alberto Airola passando per il senatore Marco Pellegrini e la vicepresidente della Camera Maria Edera Spadoni, hanno parlato di “schifezza” e chiesto “mani libere” in aula, mentre l’ala più governista dei gruppi – il capogruppo alla Camera Davide Crippa, Daniela Torto e Luca Migliorino – difende la scelta dei ministri.
Il nuovo M5S di Conte proverà a modificare la riforma in Parlamento ma dovrà scontrarsi con i partiti – in particolare Lega, FI e IV – che la considerano addirittura troppo “giustizialista”. A quel punto si aprirà un problema politico nel governo.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 12th, 2021 Riccardo Fucile “SONO D’ACCORDO CON IL PROF. COPPI E DAVIGO: SI PENSA SOLO A SMALTIRE CARTE NON AD ASSICURARE UN DECISIONE GIUSTA”
Procuratore Nicola Gratteri, le piace questa “riforma della Giustizia” della ministra
Marta Cartabia approvata all’unanimità dal Consiglio dei ministri?
Concordo pienamente con quel che ha detto il professor Coppi. Il sistema non solo è destinato ad andare in tilt, ma in questo modo non viene assicurata alcuna “giustizia”. Stabilire che la prescrizione si interrompe dopo la sentenza di primo grado, ma al contempo imporre termini “tagliola” per il processo di appello e per quello successivo di Cassazione, senza intervenire sui sistemi di ammissibilità degli appelli o dei ricorsi per Cassazione, significa solo preoccuparsi di “smaltire carte”, non di assicurare una decisione giusta. Noi magistrati dobbiamo fare giustizia, non smaltire carte: noi abbiamo a che fare con la vita delle persone. I giudici di appello e di Cassazione devono, all’esito di un’analisi ponderata, rimediare – se esistono – a errori commessi nel grado precedente. Con questa “riforma”, invece, da una parte si gettano al macero migliaia di processi, e dall’altra si accentua la tendenza a trasformare le corti in “sentenzifici”, che badano solo ai numeri, con buona pace della qualità delle decisioni.
Coppi ha aggiunto che la “riforma” Cartabia è “un groviglio” incomprensibile e che a questo punto era meglio la riforma Bonafede.
Concordo pienamente anche su questo. Al di là dei proclami di “riforma costituzionalmente orientata”, a me pare che si vada esattamente in senso contrario. Scusi, ragioniamo: si celebra un processo che si conclude con una condanna; l’imputato condannato fa appello nel quadro di un sistema su cui non si è intervenuti a livello legislativo; il giudizio di appello, o quello successivo in Cassazione, non si chiude nei tempi indicati; che fine fa la condanna di primo grado? Diventa improcedibile con un prestampato? E le persone offese? Le vittime del reato, le parti civili costituite nel processo? Assurdo. Quindi sì, era sicuramente meglio la riforma Bonafede.
Davigo, sul Fatto, ha definito questa trovata dell’improcedibilità “un’amnistia mascherata”. Condivide?
Assolutamente sì. Con un’aggiunta: questa “tagliola” colpirà anche processi delicatissimi, come omicidi colposi e violenze sessuali.
Lei ha sempre chiesto una riforma che non renda più conveniente delinquere, ma rispettare le leggi: quanto è lontana, con questa “riforma”, quel sogno?
Direi che è naufragato. Ma c’è altro: perché nessuno pensa alle vittime del reato? Perché nessuno pensa alla mortificazione di chi non solo viene umiliato da soprusi e angherie, ma poi viene anche praticamente abbandonato dallo Stato? È come pensare di risolvere il dramma delle liste d’attesa nelle Asl col bollino di scadenza: vai all’ospedale, prenoti una visita o un intervento chirurgico, aspetti pazientemente il tuo turno e poi, quando finalmente arriva, se non c’è posto o è passato troppo tempo, perdi ogni diritto: niente visita e niente intervento, anche se sei malato grave ti rimandano a casa. Ma davvero è questa la giustizia che gli italiani si meritano?
La ministra accusa alcuni uffici giudiziari per i tempi lunghi dei processi. Che cosa si può chiedere ai capi degli uffici come lei?
Sicuramente devono vigilare e intervenire, stimolando i magistrati – se ce ne sono – improduttivi e ottimizzando le risorse disponibili. Ma, lo ripeto, pretendere decisioni tempestive e nel contempo “giuste”, perché è questo l’obiettivo imprescindibile a cui dobbiamo puntare. E che, con questa riforma, diventa un’utopia.
Cosa si dovrebbe fare, o si sarebbe dovuto fare, per accorciare i tempi biblici della giustizia?
La politica non può pensare di abbreviarli con la tagliola dei termini di due anni in appello o un anno in Cassazione, che con questo sistema si sa già in anticipo che non potranno mai essere rispettati. Per avere processi più rapidi occorrono prima di tutto uomini (magistrati, personale amministrativo e di polizia giudiziaria) e mezzi adeguati rispetto a una mole di affari giudiziari elefantiaca. E poi si deve intervenire a monte, non a valle. Rendere più snelle le procedure è possibile, ma bisogna partire dal basso: limitare le ipotesi di appello, rendere inammissibili le impugnazioni vistosamente pretestuose (e sono molte); ridurre i ricorsi in Cassazione solo ai casi che realmente riguardano la legittimità. E ancora: limitare gli incarichi “fuori ruolo” solo a quegli Uffici dov’è veramente necessaria la presenza di magistrati; e rivedere la geografia degli uffici giudiziari. Ma ci sarebbero tanti altri interventi possibili, che realmente vanno nella direzione di una effettiva riduzione dei tempi, se davvero questo fosse l’obiettivo dei “riformatori”. Ma, con questa “riforma”, è un’utopia.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 12th, 2021 Riccardo Fucile MOLTI NON SANNO CHE LA BANDIERA INGLESE E’ IN AFFITTO DA GENOVA DAL 1190 E CHE GLI INGLESI NON PAGANO IL CANONE DA 250 ANNI
È una storia che si perde nella notte dei tempi quella della bandiera che abbiamo visto sventolare dagli inglesi allo stadio di Wembley nella sfida contro l’Italia degli Euro2020.
Il classico vessillo con la croce rossa su campo bianco è in realtà italiano o meglio di Genova.
La Croce di San Giorno di Genova è stata infatti affittata alla corona inglese nel 1190, che pure non paga il canone da 250 anni.
Nel 1190 re Riccardo d’Inghilterra, detto “Riccardo cuor di leone”, chiese alla Repubblica genovese di poter utilizzare per la flotta britannica il vessillo di San Giorgio in cambio del versamento di un tributo annuale.
Di fatto, però, dopo qualche secolo, nulla venne più pagato.
A risollevare la questione, nel 2018, fu il sindaco di Genova
Il primo cittadino del capoluogo ligure aveva chiesto con sarcasmo alla corona inglese gli arretrati del canone di affitto per la bandiera biancorossa, che i sovrani inglesi si sono “dimenticati” di versare.
“Your Majesty, I regret to inform you that from my books it looks like you didn’t pay for the last 247 years”. “Vostra Maestà, mi dispiace informarvi che dai miei libri risulta che non abbiate pagato per gli ultimi 247 anni”, aveva detto il sindaco di Genova.
Nel Medioevo, la Croce di San Giorgio era anche il simbolo dei “pellegrini armati” che presero poi il nome di crociati.
(da agenzie)
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Luglio 12th, 2021 Riccardo Fucile DUE ANNI FA, NEL RUGBY, DOPO LA SCONFITTA CON IL SUDAFRICA STESSA MISERABILE SCENEGGIATA
Un gesto inaspettato, ostile e lividamente antisportivo, ha guastato ieri sera la
cerimonia di premiazione dell’Europeo, gettando un’ombra di mediocrità su una magnifica serata di sport.
I giocatori dell’Inghilterra, infatti, insopportabilmente delusi dalla sconfitta subita ad opera di un’Italia irriducibile e volitiva, uno dopo l’altro, si sono tolti dal collo la medaglia d’argento che avevano appena ricevuto: un gesto davvero patetico al quale, per di più, gli atleti inglesi non sono nuovi.
Soltanto un paio d’anni fa, il due novembre del 2019, finalisti ai Mondiali di Rugby in Giappone, i Bianchi fecero esattamente la stessa cosa.
Al momento della premiazione, ostentando disprezzo per quel secondo posto appena conquistato, si sfilarono stizzosamente la medaglia, come bambini capricciosi e viziati che non sanno perdere.
Un comportamento insensato, meschino che – unitamente ai fischi riservati all’Inno di Mameli – in fondo ha anche un po’ sinistramente evidenziato l’inconsistenza del bel gesto antirazzista del prepartita, quando tutti si sono inginocchiati in segno di rispetto per una giusta causa.
Alla base di tutto, probabilmente, il solito problema: un Ego ipertrofico. Il vizietto di sentirsi predestinati alla vittoria. Ai Mondiali di Rugby il Sudafrica schiantò l’Inghilterra per 32 a 12 (confermando del resto una storica superiorità) e ieri, a Wembley, un’Italia manovriera, tenace e pugnace, pur colpita dopo due minuti da quello che Chiellini ha definito “un cazzotto in faccia a freddo”, ha castigato gli aspiranti baronetti con la tortura più crudele: la sconfitta ai rigori.
Lo stadio è ammutolito e non c’è stato un applauso per i vincitori.
La verità è che il tanto celebrato fair play inglese, vale soltanto quando vincono. Allora è tutto un concerto di occhiolini e pacche sulle spalle, di “good match” rivolti agli avversari carichi d’ironia, e di sorrisi.
Che si tratti di calciatori o di rugbisti (che il maistream vorrebbe votati per natura alla lealtà sportiva) il risultato non cambia: perdere sarà anche la vera apoteosi poetica degli eroi, ma è difficile da digerire.
In fondo, vedere gli inglesi rifiutare la medaglia d’argento, è stato un po’ come vedere Rockerduck mangiarsi il cappello dopo aver perso l’ennesima sfida con Paperon de Paperoni: e, diciamoci la verità, è stata una goduria immane.
(da agenzie)
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Luglio 12th, 2021 Riccardo Fucile DOPO LE OFFESE RAZZISTE ARRIVA ANCHE UN ATTO DI VANDALISMO… IN QUEL PAESE C’E’ BISOGNO DI OTTIMI PSICHIATRI
Ieri sera l’attaccante della nazionale inglese e del Manchester United, dopo essere subentratto negli ultimissimi minuti dei tempi supplementari della finale di Euro 2020, tra Inghilterra e Italia, si è presentato dal dischetto, durante i calci di rigore, sbagliando il penalty.
I sedicenti tifosi non gliel’hanno perdonata e addirittura hanno imbrattato un suo murale a Manchester
Dopo le offese razziste rivolte al 23enne e a Saka e Sancho per i loro errori dal dischetto, è arrivata la notizia di questo atto di vandalismo.
Il murale era stato realizzato su una fotografia in bianco e nero di Daniel Cheetham e dipinto dall’artista di strada Akse nell’ambito di un progetto sociale come riconoscimento per l’impegno di Marcus a favore dei bambini poveri.
“Ho riparato quello che ho potuto e ho coperto le scritte”, ha raccontato Ed Wellard dell’Ong Withington Walls, intervenuto nella notte appena lo hanno avvertito. “con la sconfitta si è infranto un sogno ma vedere queste cose è molto più deprimente”, ha osservato, “il razzismo sembra essere sempre più dilagante”.
(da agenzie)
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Luglio 12th, 2021 Riccardo Fucile “SE LA PRENDONO CON IL POVERO SAKA, MA DOVE ERANO STERLING, STONES E SHAW?”
“Penso che sia troppo per un ragazzino avere tutto sulle spalle in quel momento”.
José Mourinho, allenatore della Roma, attacca la scelta dei rigoristi inglesi nella finale contro l’Italia: a condannare i ‘Tre Leoni’, è stato l’errore del 19enne Saka.
“Tante volte succede che i giocatori che dovrebbero esserci non ci sono, i giocatori che dovrebbero esserci scappano dalle responsabilità”, ha spiegato il portoghese a ‘TalkSport’.
“In questa situazione, dov’era Raheem Sterling? Dov’era John Stones? Dov’era Luke Shaw? Perché Jordan Henderson o Kyle Walker non sono rimasti in campo? Per Saka avere sulle spalle il destino di un Paese… penso sia troppo. Mi dispiace molto per lui”, ha aggiunto il tecnico.
“Non chiedetemi chi perché non ve lo dico, ma mi è stato detto al 100 per cento che un giocatore avrebbe dovuto calciare un rigore ha rifiutato”, ha aggiunto lo ‘Special One’.
(da Huffingtonpost)
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