Destra di Popolo.net

TIEPIDE CONVERGENZE CLIMATICHE PER TENER DENTRO LA CINA

Ottobre 31st, 2021 Riccardo Fucile

DRAGHI PROVA A VEDERE IL BICCHIERE PIENO: “LA CINA SI E’ RIAVVICINATA

“La cosa che l’Italia ha fatto in questi due giorni è stato capire il punto di vista degli altri. I paesi in via di sviluppo ci dicono: ‘Voi avete inquinato un sacco perciò siamo in questo caos. Quando voi inquinavate, noi emettevamo zero emissioni perché eravamo poveri. Ora non potete puntare il dito contro di noi’. Ecco, se si entra in questo clima di lotta, non andiamo da nessuna parte: dobbiamo ascoltare e mantenere l’ambizione, condividerla con loro. Questo è il ruolo che dobbiamo dare”. Al termine di un intenso G20 a Roma, Mario Draghi cerca il bicchiere mezzo pieno quando dice che “teniamo vivi i nostri sogni”.
Il presidente di turno di questo club delle maggiori economie del pianeta, molto elogiato dai partner occidentali, difende l’accordo sul clima, anche se di fatto il testo finale cancella la data del 2050 per la neutralità climatica, sostituendola con un più vago “entro o intorno alla metà del secolo” e trasferendo tutti i nodi irrisolti della trattativa globale alla Cop26 che domani entra nel vivo a Glasgow. “Gradualmente si arriverà al 2050”, confida il premier, determinato a sottolineare i passi compiuti, il fatto che ora anche Russia, Cina e India “riconoscono la validità scientifica di tenere il riscaldamento globale entro il grado e mezzo di aumento”, “prima volta che accade in un G20”. E poi il fatto il vertice di Roma sia riuscito a dire stop ai finanziamenti internazionali per le centrali di carbone “per la fine del 2021” e a confermare la cifra di 100 miliardi di dollari annui da trasferire ai paesi poveri per aiutarli nella transizione. “L’Italia stanzia 1,4 miliardi di dollari ogni anno per 5 anni, il che fa circa 7 miliardi”, annuncia.
Ma soprattutto in questo G20, test di leadership internazionale per Draghi, il capo del governo fa slalom sulle tensioni tra oriente e occidente, cerca di tenere tutti a bordo della stessa barca multilaterale, anche se Vladimir Putin e Xi Jinping hanno disertato il summit, collegati online da Mosca e Pechino.
“Il multilateralismo – dice – si concilia con queste tensioni perché è l’unica cosa che si possa fare. Un vecchio articolo del New York Times diceva: ’Gli Usa e la Cina ’fight fight, talk talk”, cioè si combattono, ma parlano. “Siamo sempre riusciti a superare le tensioni, non vedo perché dovremmo ritenere di non riuscire a superarle oggi”
In giornata, mentre gli sherpa dei G20 continuavano a trattare sul clima, mentre i leader ne parlavano nella loro plenaria senza tregua (niente pausa pranzo: hanno mangiato qualcosa al tavolo ovale mentre discutevano), tra OOriente e occidente è successo un po’ di tutto. Mentre il segretario di Stato Tony Blinken incontra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, Taiwan avverte dell’incursione di otto aerei militari cinesi. Gli Stati Uniti sono responsabili di “interferenze sconsiderate negli affari interni cinesi”, intima Wang a Blinken.
E che dire dello storico accordo tra Ue e Usa per la rimozione dei dazi su acciaio e alluminio, annunciato proprio qui a Roma in pompa magna da Ursula von der Leyen e Joe Biden? L’intesa chiude l’era Trump, ma rinsalda i rapporti transatlantici in nome di un nemico comune: la Cina. Perché l’accordo punta a escludere l’import di acciaio cinese sul mercato statunitense: troppo ‘sporco’ di carbonio, è la motivazione. Un dardo lanciato nelle relazioni già infuocate tra est e ovest.
Inoltre, per restare sul clima, se Draghi legge “il senso del comunicato finale” come “più vicino al traguardo del 2050” per le zero emissioni, Russia e Cina difendono a spada tratta il loro “2060”.
Ma il presidente dei G20 non getta benzina sul fuoco delle tensioni. Se si sente leader del multilateralismo? Glielo chiede una giornalista americana della Cnbc in conferenza stampa. Naturalmente la risposta è “no”, ma il suo obiettivo è questo, anche a costo di dire che il problema della Cina con le questioni ambientali non sta nel fatto che lì non hanno i Fridays for future, evidentemente non consentiti dal sistema. No, non c’è un problema di democrazia in Cina per Draghi, che però in sala, parlando ai leader, ha detto: “Saremo giudicati da quello che faremo. Vorrei ringraziare molti degli attivisti che ci spingono, ci mantengono tutti sul pezzo”, anche “quando dicono che sono stanchi di questi bla bla bla” o che “parliamo senza sostanza”.
“Pechino – dice in conferenza stampa – produce circa il 50 per cento dell’acciaio mondiale e molti impianti vanno a carbone. Convertire questi impianti e adattare la produzione di acciaio è una transizione difficile. Questo spiega la loro difficoltà: non è tanto la mancanza di pressione dell’opinione pubblica. Io penso che anche lì si lamentano dell’inquinamento, ce n’è evidenza diffusa”.
(da Huffingtonpost)

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ROMA E LAMORGESE SUPERANO IL TEST SICUREZZA

Ottobre 31st, 2021 Riccardo Fucile

L’ITALIA VINCE LA SFIDA DEL G20 SENZA INCIDENTI

Nessun incidente durante i cortei di protesta, nessuna violazione della zona rossa, nessun problema per i cortei dei leader, nessun contrattempo nei due appuntamenti più a rischio, la visita alle Terme di Diocleziano e la foto dei capi di Stato e di Governo che lanciano la monetina a Fontana di Trevi.
L’Italia vince la sfida della sicurezza del G20 e il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese rivendica il risultato grazie ad un “ottimo gioco di squadra” che ha consentito di superare “una prova molto impegnativa”.
E’ stato un fine settimana “complesso” ed è stata garantita “con efficienza e professionalità” la sicurezza dei leader, sottolinea la titolare del Viminale con la macchina della sicurezza ancora a pieno regime visto che alcuni capi di Stato, tra cui il presidente americano Joe Biden, rimarranno ancora per diverse ore a Roma.
Non è dunque il momento di abbassare la guardia ma un primo bilancio si può tracciare ed è un bilancio positivo. Il primo a saperlo è proprio il ministro, anche perché andavano cancellate le immagini del 9 ottobre scorso, con il centro di Roma trasformato in terreno di scontro tra i no pass e le forze di polizia e l’attacco dei neofascisti di Forza Nuova alla sede della Cgil. Fotogrammi che avevano lasciato il segno, nell’opinione pubblica e nello stesso governo e che, era chiaro a tutti, non si sarebbero potuti ripetere in un momento in cui tutti gli occhi del mondo erano puntati sull’Italia.
Ma il fatto che tutto sia filato liscio è il frutto di una programmazione che va avanti da mesi e di un’attività di prevenzione che stavolta, a differenza di venti giorni fa, ha funzionato. Lo dice la stessa Lamorgese, che ha seguito tutto il summit dal Viminale in stretto contatto con il capo della Polizia Lamberto Giannini, quando ripete che al successo del vertice si è arrivati “anche grazie ad un’attenta programmazione delle attività e dei servizi, condivisa in sede di Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica e con un livello eccellente di coordinamento tra tutte le forze in campo, sia nella fase di prevenzione sia in quella di controllo e di vigilanza del territorio”.
Per mesi 007 e antiterrorismo si sono scambiati e hanno incrociato le informazioni poi riportate puntualmente sul tavolo del Comitato nazionale antiterrorismo e condivise con tutti i soggetti interessati. E per mesi si è pianificato il dispositivo poi messo in atto a Roma e coordinato dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza, cui per legge spetta la gestione della macchina organizzativa della sicurezza e il coordinamento di tutte le forze di polizia e deli altri soggetti, dalle forze armate ai vigili del fuoco fino a tutto il personale sanitario, che in questi tre giorni hanno operato su Roma. Un dispositivo imponente che ha visto oltre 8mila uomini impegnati, i cieli della capitale interdetti al volo, lo scudo anti droni schierato, una bolla di massima sicurezza di 10 km quadrati nella zona dell’Eur, il monitoraggio costante di social e chat, il ripristino dei controlli alle frontiere.
Così le uniche fibrillazioni le hanno prodotte i cambi di programma dei leader – soprattutto di Biden che sabato pomeriggio ha disertato l’appuntamento alle terme di Diocleziano per andare a messa alla chiesa di San Patrizio – le passeggiate dei capi di Stato in centro, che hanno provocato ulteriori disagi ai romani già alle prese con una città blindata, e i flash mob degli attivisti del Climate Camp.
Dopo quello di sabato sulla Cristoforo Colombo, oggi è stata la volta di un’azione in via IV novembre, una delle strade sul percorso delle delegazioni per il rientro dalla Nuvola alle rispettive residente. A realizzarla gli ambientalisti di ‘ExtinctionRebellion’: alcuni si sono incatenati alla cancellata del Foro di Traiano, a due passi dal Quirinale, mentre un’altra quindicina ha bloccato la circolazione. Protesta pacifica che si è conclusa come quella di ieri, con gli attivisti spostati di peso dalla carreggiata.
(da agenzie)

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IL G20 SUL CLIMA HA SCOPERTO L’ACQUA CALDA

Ottobre 31st, 2021 Riccardo Fucile

NECESSARIA UNA RIDUZIONE DEL 55% DELLE EMISSIONI ENTRO IL 2030

Dal G20 di Roma ci aspettavamo più risposte e azioni concrete sul fronte della lotta alla crisi climatica. Siamo delusi dal Patto per il clima siglato oggi.
Si tratta di un accordo che va a formalizzare quanto già acquisito in passato, senza prevedere impegni concreti sulla finanza climatica, a partire dall’Italia che non ha messo sul tavolo il suo giusto contributo – almeno 3 miliardi di euro l’anno – per i 100 miliardi di dollari complessivi promessi 6 anni fa a Parigi come impegno collettivo dei Paesi industrializzati per aiutare quelli più poveri nell’azione climatica. Insomma alla Nuvola dell’Eur di Roma il G20 ha sostanzialmente scoperto l’acqua calda nella lotta alla crisi climatica.
Ora l’auspicio è che a Glasgow, dove oggi si apre la Cop26, i grandi del Pianeta riescano a trovare un’intesa per arrivare a un nuovo ambizioso accordo per il clima in grado di mantenere vivo l’obiettivo di 1,5°C dell’Accordo di Parigi firmato nel 2015, ma anche per accelerare l’adattamento ai cambiamenti climatici, far fronte alle perdite e ai danni delle comunità più colpite dall’emergenza, ma anche e soprattutto finanziare adeguatamente l’azione dei paesi poveri e completare il Rulebook, ossia le norme attuative dell’Accordo, per renderlo finalmente operativo.
Per contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1,5°C gli anni da qui al 2030 saranno cruciali. In particolare è necessario che l’azione climatica dei governi sia così ambiziosa da consentire una riduzione del 55% delle emissioni del 1990 entro il 2030. Una sfida che possiamo e dobbiamo vincere a partire dalla Cop26 di Glasgow.
L’Italia dia il buon esempio rispettando gli impegni e gli aiuti promessi. Al presidente del Consiglio Mario Draghi chiediamo che l’Italia in Scozia si impegni a trovare, entro la fine di quest’anno, il miliardo di euro ancora mancante rispetto ai 4 miliardi di dollari promessi a Parigi per il periodo 2015-2020 e a mobilitare almeno 3 miliardi di euro l’anno, a partire dal prossimo, per garantire la “sua giusta quota” dell’impegno collettivo di 100 miliardi di dollari.
Le risorse necessarie possono essere reperite facilmente attraverso il taglio dei sussidi alle fonti fossili, pari ad oltre 35 miliardi di euro nel 2020, un intervento su cui il Governo Draghi deve dimostrare più coraggio inserendolo nella legge di bilancio in discussione. Sarà poi fondamentale aggiornare al più presto il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) per garantire una riduzione delle nostre emissioni climalteranti di almeno il 65% entro il 2030, andando ben oltre l’obiettivo del 51% previsto dal Pnrr e confermando la chiusura delle centrali a carbone entro il 2025 senza ricorrere a nuove centrali a gas.
I prossimi mesi saranno decisivi anche per capire se il governo italiano vuole fare sul serio la lotta alla crisi climatica. La legge di bilancio sarà un fondamentale banco di prova in tal senso.
Legambiente

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FASCI DA AVANSPETTACOLO CONTRO IL VACCINO A PREDAPPIO: SE MUSSOLINI FOSSE VIVO VI PRENDEREBBE A CALCI IN CULO

Ottobre 31st, 2021 Riccardo Fucile

L’IMPEGNO DEL FASCISMO FU SEMMAI QUELLO DI TUTELARE LA SALUTE DEGLI ITALIANI DALLE MALATTIE DELL’EPOCA E ARRIVANO QUATTRO CIALTRONI CHE NON FANNO IL SALUTO ROMANO “PERCHE’ ALTRIMENTI FINIAMO IN GALERA”

Sotto la pioggia, dopo lo stop dovuto alla pandemia, centinaia di nostalgici del Duce da tutta Italia si sono radunati a Predappio, paese natale di Benito Mussolini, in occasione del 99esimo anniversario della Marcia su Roma.
In mattinata si è svolto il corteo organizzato dagli Arditi d’Italia che, impugnando un lungo tricolore, ha attraversato il centro del paese sino alla raggiungere la cripta in cui è sepolto Mussolini.
A presidiare il corteo gli agenti della questura di Forlì-Cesena, oltre che un servizio d’ordine interno predisposto dagli organizzatori, con l’obiettivo di evitare la presenza di «teste calde».
Alla guida del corteo era presente Mirco Santarelli, ex Forza Nuova e presidente della sezione di Ravenna dell’Associazione nazionale Arditi d’Italia. Santarelli, davanti ai cancelli del cimitero, ha preso la parola facendo un parallelismo tra Mussolini e il presidente del Consiglio, Mario Draghi: «Novantanove anni fa il re diede il potere a Mussolini. Dicono che è un regime perché non era stato eletto. E chi invece ci governa adesso? Qualcuno di voi ha votato Draghi o il partito unico che lo sostiene?».
Subito dopo, Santarelli ha attaccato il governo per il Green pass: «Nell’articolo 1 della Costituzione si parla di lavoro, invece col Green pass si sta impedendo a chi non ce l’ha di andare a lavorare».
L’ex di Forza Nuova ha poi chiesto ai presenti di non fare il saluto romano, perché «se lo facciamo, ci mettono tutti in galera»), chiedendo invece di omaggiare il Duce ponendosi la mano sul cuore.
(da agenzie)

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I NO VAX CHE A NOVARA SFILANO IMITANDO I DEPORTATI DI AUSCHWITZ SONO IL FRUTTO DEL LASSISMO DEL GOVERNO

Ottobre 31st, 2021 Riccardo Fucile

CERTE MANIFESTAZIONI VANNO VIETATE, INUTILE LAMENTARSI A POSTERIORI: LE PERSONE SANE DI MENTE VANNO TUTELATE DA UNA MINORANZA DI DEMENTI

A Novara la protesta dei “No Green Pass” ha toccato il fondo, superando quella linea di demarcazione che divide una protesta legittima da un insulto alla storia e alla civiltà.
Un gruppo di manifestanti tra i circa 150 presenti ha sfilato indossando pettorine a strisce verticali bianche e grigie, provando ad imitare le tute dei deportati dei campi di concentramento, come quello di Auschwitz, durante la Seconda Guerra Mondiale. Alcuni avevano cartelli con dei numeri identificativi, tutti erano legati tra di loro con una corda che aveva l’intenzione di richiamare il filo spinato.
La marcia di morte di 6 milioni di persone scimmiottata per protestare contro un provvedimento che ha garantito fino ad ora le riaperture delle attività, oltre ad aver incentivato la vaccinazione collettiva. “La gente come noi non molla mai”, gridano mentre camminano tra le strade del centro, da piazza Duomo verso piazza Cavour e poi nella piazza del Comune, dimenticando che chi si è trovato a marciare nelle condizioni che loro provano ad imitare è stato costretto a mollare, da una violenza inimmaginabile e tra atroci sofferenze.
“Abbiamo cresciuto una parte di popolo nell’ignoranza più abissale. Non hanno idea della storia. Noi si purtroppo, e sappiamo che quando poi dovesse prevalere l’ignoranza…”, ha commentato su Twitter il deputato del Pd Emanuele Fiano.“Abbiamo rappresentato la minoranza che ha creato il governo privandoci della libertà”, dice Giusi Pace, infermiera e sindacalista tra i promotori della protesta choc a “tema Auschwitz” che ha irritato più di un passante.
Rossella Bottini Treves, presidente della Comunità ebraica di Novara e Vercelli, ha commentato a La Stampa: “È già successo in altre città italiane ma queste persone non sanno cosa è stata la Shoah. È pazzesco che si manifesti in questo modo. La storia bisogna conoscerla e fatti del genere mi lasciano senza parole. Lo sforzo della nostra Comunità va soprattutto nella direzione della conoscenza, del sapere. Ovviamente del sapere rivolto a tutti, non solo alle nuove generazione di ebrei”.
(da agenzie)

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IL LEGHISTA BAGNAI CREDE CHE SMASCHERARE LE FAKE NEWS SIA “BECERA PROPAGANDA POLITICA”

Ottobre 31st, 2021 Riccardo Fucile

METTERE IN GUARDIA GLI STUDENTI DALLE BALLE CHE RACCONTANO I SOVRANISTI PER I LEGHISTI E’ PERICOLOSO

“L’istruzione pubblica, pagata coi soldi di tutti, che fa becera propaganda a favore di una fazione politica”. Con queste parole, il senatore della Lega Alberto Bagnai si era schierato con un Tweet contro una pagina di quello che sembra essere un libro di educazione civica per le scuole medie o elementari, vista la semplicità del linguaggio e i colori utilizzati nei riquadri.
Cosa c’era scritto di tanto scandaloso e fazioso per far sobbalzare il parlamentare? Qualche elogio al Partito democratico oppure al Movimento 5 stelle? Una presa di posizione forte su un tema divisivo? Nulla di tutto ciò.
Si parlava di informazione, e della necessità per i giornalisti di controllare attentamente le fonti per evitare di diffondere notizie false.
“Prima ancora di governi ed editori – si legge nel libro di testo – sono state le organizzazioni indipendenti di giornalisti, o anche singoli professionisti, a porsi il problema di come contrastare la diffusione incontrollata di notizie false sui mezzi di comunicazione digitali. È così nata la figura del fact-checker o debunker, la cui missione non è semplicemente smascherare una notizia “sospetta” ma, soprattutto, diffondere presso il pubblico la cultura della verifica, per combattere il consumo acritico di informazione”. Tutto abbastanza condivisibile, a meno che non si vogliano difendere le fake news, cosa che siamo certi Bagnai non voglia.
Forse il problema è più avanti, quando il testo fa riferimento ad alcuni esempi di portali di factchecking come bufale.net o butac (Bufale Un Tanto Al Chilo), o al giornalista David Puente.
Tutti professionisti che potrebbero essere invisi al senatore, ma che hanno passato una intera carriera a smascherare i complotti più assurdi che circolano in rete, a volte foraggiati da alcuni politici.
Se Bagnai ha problemi verso queste figure, dovrebbe chiedersi se l’origine non sia nel suo partito, che basa un’ampia fetta dei suoi consensi su situazioni estremizzate e previsioni catastrofiste, invece di prendersela con chi queste cattive abitudini le combatte quotidianamente.
(da NextQuotidiano)

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L’ESERCIZIO IMPECCABILE CON CUI LE “FARFALLE” AZZURRE HANNO VINTO L’ORO AI MONDIALI DI GINNASTICA RITMICA

Ottobre 31st, 2021 Riccardo Fucile

NELLA RASSEGNA IRIDATA IN GIAPPONE IL CAPOLAVORO NELL’ESERCIZIO CON I CERCHI E LE CLAVETTE

Si chiudono nel migliore dei modi per l’Italia i Mondiali di ginnastica ritmica di Kitakyushu 2021. In Giappone le “farfalle” azzurre hanno vinto l’oro nell’esercizio con i cerchi e le clavette, e sono diventate vicecampionesse nell’esercizio con le 5 palle.
Alessia Maurelli, Martina Centofanti, Agnese Duranti, Martina Santandrea e Daniela Mogurean – con la riserva Laura Paris – sono arrivate davanti a tutte le altre totalizzando 42.275 punti (33.700 difficoltà, 8.575 di esecuzione), migliorando di 1.250 quanto fatto venerdì mattina e lasciandosi alle spalle al secondo posto la Russia e al terzo le padrone di casa del Giappone.
Dalla final eight alle 5 palle arriva invece un argento, il terzo per l’Italia dopo quello nell’All-Around a squadre e in quello di team.
“Voleremo sempre più in alto”, affermano al termine di una gara praticamente perfetta eseguita sulle note di Tree of Life di Roberto Cacciapaglia. “È la medaglia che volevamo – dicono dal Giappone – cerchi e clavette è l’esercizio in cui ci riconosciamo di più. Abbiamo iniziato a costruirlo due anni fa. Tanto sudore e tanta fatica per renderlo perfetto ma, alla fine, ce l’abbiamo fatta proprio qui, al Mondiale di Kitakyushu, passando per Europei ed Olimpiade. È stato impeccabile”.
Per le Farfalle si tratta del decimo titolo iridato della loro storia: quattro nell’all-around (l’ultimo nel 2011), due nella finale di specialità col singolo attrezzo (l’ultimo nel 2017), quattro nell’atto conclusivo dell’esercizio misto (l’ultimo è appunto quello di pochi minuti fa, il precedente era datato 2018).
In totale sono cinque le medaglie per la spedizione azzurra in Giappone: oltre alle tre già citate, è arrivato l’argento nel team ranking e il bronzo di Sofia Raffaeli al cerchio, che fanno arrivare l’Italia a chiudere come seconda nel medagliere dietro la Russia. L’appuntamento ora è per il prossimo anno a Sofia: all’Armeec Arena della capitale bulgara si terrà il primo campionato mondiale del nuovo quadriennio sulla strada per i Giochi Olimpici di Parigi 2024.
(da agenzie)

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DESTRA DI POPOLO : CI PRENDIAMO QUALCHE GIORNO DI PAUSA

Ottobre 25th, 2021 Riccardo Fucile

CI RIVEDIAMO LUNEDI’ 1 NOVEMBRE

Come avevamo da tempo programmato, ci prendiamo una breve pausa di sei giorni: Il blog riprenderà regolarmente le pubblicazioni lunedi 1 Novembre.
Approfittiamo di un periodo relativamente “tranquillo” per le vicende politiche del nostro Paese per “disintossicarci” per qualche giorno.
Un grazie alle centinaia di amici, comunque la pensino, che ogni giorno visitano il nostro sito, anche dall’estero, gratificandoci del loro interesse.
Essere da oltre 14 anni tra i primi blog di area in Italia, basando la nostra attività solo sul volontariato , con un impegno di aggiornamento costante delle notizie (20 articoli al giorno dal mattino a tarda sera, festivi compresi) è una sfida unica nel panorama nazionale che testimonia che non siete in pochi a pensarla come noi.
Orgogliosi di rappresentare una destra diversa, popolare, sociale, nazionale, antirazzista, solidale, legalitaria, attenta ai diritti civili.
Un abbraccio a tutti e a presto.

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CI SI ACCAPIGLIA PER QUOTA 100 MA I 40ENNI AVRANNO PENSIONI DA FAME

Ottobre 25th, 2021 Riccardo Fucile

LAVORI SALTUARI, PRECARI E MAL PAGATI: “TRA POCHI ANNI SCOPPIERA’ UNA BOMBA SOCIALE”

Concentrato sulla affannosa ricerca di uno o due miliardi (su una spesa pubblica annuale di oltre 750 miliardi) per finanziare un nuovo isolato intervento su scivoli, deroghe e quote, il dialogo tra partiti e Governo sulle pensioni registra ancora una volta un grande assente: la categoria dei giovani.
Il tema previdenziale non sembra animare particolarmente l’agenda politica del premier Mario Draghi che tra i suoi obiettivi non ha certamente quello di introdurre una nuova riforma del sistema pensionistico quanto piuttosto favorire un non troppo traumatico ritorno a quella ‘vecchia’ targata Fornero.
D’altronde ce lo chiede l’Europa, come si suole dire, che con le sue ultime raccomandazioni pre-Covid ha manifestato il suo disappunto per misure come Quota 100.
Poco importa perché mentre la politica si concentra su interventi di breve orizzonte come quota 102 e quota 104 – che secondo la Fondazione Di Vittorio e Cgil coinvolgerebbero al più 10mila lavoratori – c’è una questione, quella giovanile, che andrebbe affrontata oggi per evitare che scoppi domani.
“Il problema vero è che stiamo andando verso una vera bomba sociale”, dice all’HuffPost Felice Roberto Pizzuti, docente di Economia e Politica del Welfare State presso l’Università “Sapienza” di Roma. “Tra 15 anni più della metà dei lavoratori che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996, poco meno del 60% per essere più precisi, avrà una pensione inferiore alla soglia di povertà. Questa non è una possibilità o una probabilità, ma una certezza”
Secondo i calcoli della Ragioneria dello Stato, se oggi l’assegno copre tra l′80% e il 90% dell’ultimo reddito, tra dieci anni i lavoratori dipendenti dovranno fare i conti con il 60-70% sull’ultima retribuzione e quelli autonomi con il 40-50%.
Stime che potrebbero tuttavia rivelarsi anche fin troppo ottimistiche se non si tiene conto del mix letale scaturito dall’applicazione del sistema contributivo puro unito alla discontinuità lavorativa con cui sempre più giovani devono purtroppo fare i conti. “Se proiettiamo il sistema attuale nei prossimi tre lustri e supponiamo, peccando di ottimismo, una continuità lavorativa, il calcolo è matematico. Saranno sotto la soglia di povertà. Peraltro stiamo parlando delle stesse generazioni di lavoratori che già oggi hanno redditi da lavoro più bassi rispetto ai lavoratori più anziani e prossimi alla pensione. Ma se oggi possono sperare in un futuro migliore, quando andranno in pensione potranno sperare solo nella lotteria”, continua Pizzuti.
Ad oggi sono invece circa 300mila i lavoratori che usufruiscono del sistema di calcolo retributivo fino al 2011. Si tratta di quei lavoratori che avevano 18 anni di contributi prima del 1996 e quindi hanno mantenuto il calcolo retributivo fino all’entrata in vigore della legge Fornero. Circa 93mila hanno almeno 65 anni e quindi sono molto vicini alla pensione.
Oggi di regola si va via con 67 anni d’età e almeno 20 anni di contribuzione. L’aggiornamento del parametro Istat sulla aspettativa di vita avviene ogni due anni e può variare da zero a tre mesi, ma non può decrescere, anche in caso di pandemia come avvenuto negli ultimi due anni. Fino al 2026 non sono interessati dall’adeguamento dell’aspettativa di vita le modalità di uscita anticipata, come quello con 42 anni e 10 mesi di contribuzione (un anno in meno per le donne), Ape e Opzione Donna.
Il problema per i giovani lavoratori di oggi tuttavia resta, alle prese con discontinuità, buchi contributivi, paghe più basse, insomma con il lavoro precario.
Come già scritto dall’HuffPost, secondo una simulazione dell’Ufficio Studi Io Investo, un giovane metalmeccanico che a inizio carriera riceve un reddito medio annuo di ventimila euro e a fine carriera di circa 45mila, andrà in pensione con un tasso di sostituzione del 64%. Tradotto: l’assegno sarà di 28800 euro lordi, netti 21.500, con una perdita di più di seimila euro l’anno nel passaggio da reddito da lavoro e reddito da pensione.
La simulazione tuttavia si basa sulla previsione di una continuità lavorativa che oggi per molti giovani un miraggio, e di un’uscita da lavoro a 67 anni e 11 mesi. Secondo un report della Cgil del 2019, i quarantenni di oggi, specie quelli con lavori saltuari, poco remunerati o part-time, rischiano di non andare in pensione prima dei 73 anni. Nel 2035, secondo il sindacato, per andare prima dei 70 anni, precisamente a 69, saranno necessari almeno 20 anni di contributi e una pensione di importo sopra gli attuali 687 euro.
Per andare a 66 anni, sempre nel 2035 e sempre parlando dei ‘contributivi’ puri, serviranno 20 anni di anzianità e una pensione non inferire ai 1.282 euro di oggi. Per la pensione anticipata invece occorreranno 44 o 45 anni di contribuzione (rispettivamente se donna o uomo).
Secondo l’analisi dell’esperto welfare Cgil Ezio Cigna, il caso emblematico è quello di una colf “tipo” di 34-35 anni, avviata al lavoro nel 2014. Andrà in pensione nel 2057, a 73 anni, dopo 43 anni di lavoro e con un assegno di appena 265,49 euro.
Il dibattito in corso tra partiti e Governo sembra muoversi come se il mondo del lavoro fosse totalmente slegato dalla previdenza. “Forse”, continua Pizzuti, ”è ora di smettere di legare l’uscita dal lavoro all’età dei lavoratori in un contesto che si avvia al contributivo puro. Con questo sistema è del tutto ininfluente a quanti anni si va in pensione, dal momento che l’assegno è parametrato sui contributi versati dal lavoratore. Chi va più tardi avrà un assegno più alto, chi va prima lo avrà più basso”. Insomma, il conto è a saldo zero.
“Il problema vero resta quello dei giovani precari. Una possibile soluzione è riconoscere ai disoccupati involontari una contribuzione figurativa commisurata a quella che ricevevano quando erano occupati”, continua il docente della Sapienza. “Le criticità del contributivo puro nascono dalla sua applicazione a salari relativamente bassi e pure periodicamente sospesi. Questa contribuzione per coprire i ‘buchi’ lavorativi sarebbe solo figurativa, quindi senza conseguenze sulla sostenibilità del bilancio, ma contribuirebbe a dare ai più giovani una maggiore sicurezza e fiducia nel futuro, e avrebbe effetti su una maggiore propensione al consumo e minore al risparmio. Dal punto di vista macroeconomico, se i redditi medi si abbassano cala anche la capacità dello Stato di pagare le pensioni future, dal momento che la capacità di spesa previdenziale deriva sempre dal reddito prodotto oggi”.
Il tema però non è presente nell’agenda politica del Governo, né in quella dei partiti completamente assorbiti da come riformare Quota 100: “Forse l’esecutivo attuale sarebbe il più adatto a fare una riforma complessiva della previdenza che risolva le criticità attuali e quelle che arriveranno con il passare degli anni. Le opinioni su Quota 100 sono nel bene e nel male esagerate. Il ricorso alla misura, inferiore alle aspettative di chi l’aveva introdotta, mostra come in un periodo in cui i redditi sono sempre più incerti, le persone siano poco inclini a farsi ritoccare al ribasso l’assegno pensionistico, anche a costo di lavorare qualche anno in più”, conclude Pizzuti.
(da Huffingtonpost)

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