Febbraio 4th, 2022 Riccardo Fucile
BERLUSCONI SI VENDICA PER LA FRASE DELLA MELONI “AL CAVALIERE IO NON DEVO NIENTE”
«È un’irriconoscente». Berlusconi, davanti alla tv, non ha affatto gradito le parole di Giorgia Meloni che, ancora irritata per il finale di partita del Quirinale, aveva appena detto ai microfoni di Quarta Repubblica che lei «non deve niente» al Cavaliere.
Meno di due giorni dopo sono state cancellate le presenze degli esponenti di Fratelli d’Italia alle trasmissioni Mediaset di tutta la settimana. Che ci sia un nesso. fra i due fatti, è negato da fonti vicine ad Arcore. Ma la vicenda ha già acceso polemiche e arricchito il corposo capitolo della guerra nel centrodestra seguita alla rielezione di Sergio Mattarella.
Lunedì sera. Nel corso della trasmissione di Nicola Porro su Rete4, la leader di FdI si lascia andare a una filippica contro Matteo Salvini («Le sue scelte sono state folli») e, sollecitata dal conduttore, non risparmia una considerazione tagliente nei confronti di Silvio Berlusconi: «Quando io gli ho dato l’ok per la presidenza della Repubblica, non l’ho fatto per deferenza o sottomissione. Perché io a Berlusconi nella mia vita non debbo niente».
L’ira di Berlusconi
È la frase-chiave che ha scatenato la disfida politica-mediatica: se la prende l’ex premier, appena uscito dall’ospedale, e con lui i parlamentari a lui più vicini, Licia Ronzulli e Antonio Tajani.
Che poco dopo fa un tweet evocativo: «Aristotele passeggiava insegnando ai suoi discepoli. Fu interpellato da uno di loro: “Maestro qual è la cosa che svanisce prima in natura?”. Lui rispose: “La gratitudine”».
Di lì a poco, la storia prende una piega decisamente meno filosofica.
Mercoledì, nel giro di un’oretta, vengono annullati gli inviti già fatti, per trasmissioni Mediaset, a un paio di rappresentanti di Fratelli d’Italia: Galeazzo Bignami è cancellato dalla lista degli ospiti di Zona bianca. Elisabetta Gardini da quella di Dritto e Rovescio.
Gli addetti stampa di Fratelli d’Italia si sentono motivare l’improvviso rifiuto con la contemporaneità con il Festival di Sanremo. Motivazione singolare che non convince i meloniani, tanto più che politici di altri partiti partecipano regolarmente alle trasmissioni.
Vi è di più: salta pure la partecipazione di Guido Crosetto, che di FdI è fondatore ma non è formalmente un iscritto, alla puntata di Stasera, Italia in onda stasera.
(da agenzie)
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Febbraio 4th, 2022 Riccardo Fucile
“INCONTRO AFFETTUOSO”
Il senatore Pier Ferdinando Casini nel pomeriggio è stato ricevuto da Silvio
Berlusconi nella sua residenza di Arcore.
“È stato un incontro affettuoso, dal contenuto umano, non abbiamo parlato di temi politici”, ha detto all’Adnkronos l’ex presidente della Camera, spiegando di aver “ringraziato” il Cavaliere “per la sua attenzione e amicizia, che ho contraccambiato”.
Negli ultimi giorni Berlusconi ha più volte manifestato l’intenzione di rafforzare l’area popolare del centrodestra. Sicuramente nelle intenzioni del Cav senza una forte componente moderata, saldamente collocata nella grande famiglia popolare europea, il centrodestra non va da nessuna parte.
Ma Berlusconi non manda segnali solo agli alleati, Salvini e Meloni. Si rivolge in primo luogo a chi immagina (o sogna) di dare la caccia ai voti moderati senza fare i conti con Forza Italia. Il “centro siamo noi”, sembra ripetere a gran forza il leader azzurro.
Di certo, come Berlusconi ha anticipato al Corriere della sera, la sua intenzione è fare “tutto ciò che può riunire i moderati, nel solco del Ppe, di cui siamo orgogliosamente espressione in Italia”.
Molto importante, in tal senso, saranno le scelte per la legge elettorale. Conservare il maggioritario vorrebbe dire salvare il bipolarismo italiano (o quel che resta), tornare al proporzionale, invece, metterebbe i partiti nelle condizioni di competere alle elezioni con le “mani libere”, senza esclusione di colpi.
(da agenzie)
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Febbraio 4th, 2022 Riccardo Fucile
CONTE: “IL NOME DELL’AMBASCIATRICE AVEVA SUPERATO IL VAGLIO DI TUTTI. ERA CHIUSA. POI C’È STATO UN FUOCO DI SBARRAMENTO DI RENZI, GUERINI E DI MAIO”… A PALAZZO CHIGI SI SONO RESI CONTO CHE L’OPERAZIONE POTEVA REALIZZARSI E SCOMBINARE I PIANI DI DRAGHI
Conte è un formidabile incassatore, perciò non sorprende se resiste sulle sue posizioni anche quando tutto (o quasi) gli è avverso. Compreso il risultato.
È il caso della candidatura al Colle del capo dei Servizi su cui l’ex premier si è soffermato l’altra sera, vigilia del giuramento di Mattarella in Parlamento: «Peccato. L’ambasciatrice Belloni è donna di grandissima levatura che sarebbe stata apprezzata dal Paese. Parla cinque lingue, è uno dei massimi esperti di politica internazionale, con una conoscenza dei dossier che molti ministri non hanno».
La Belloni è la soluzione che il capo del Movimento ha coltivato e sostenuto fino alla notte di venerdì, quando «si è scatenata una bagarre» a causa della precipitazione con cui il segretario della Lega ha annunciato ai media che si stava puntando «su una donna» per il Quirinale: «Salvini… Avesse subìto meno la pressione delle telecamere…».
Perché fino ad allora il disegno di far eleggere la guida del Dis alla presidenza della Repubblica «non aveva registrato ostacoli particolari. Era un’operazione costruita davvero bene, insieme con Letta», leader del Pd. E non solo. Secondo la versione che propone Conte, «pure Speranza era d’accordo: diceva di avere delle resistenze interne a Leu, e che però sarebbe riuscito a superarle».
Ma non basta, l’ex premier sottolinea come il fronte del consenso fosse assai più ampio, nonostante nei giorni precedenti – alle prime indiscrezioni – si fossero levate voci di dissenso tra i democratici e i centristi, che sembravano aver posto fine alla faccenda. «Non era così».
Ed è il modo in cui rafforza questo concetto che stupisce: «Se il nome dell’ambasciatrice è rimasto sul tavolo fino a venerdì sera, è perché aveva superato il vaglio di tutti». Quel «tutti» è la porta che si apre su risvolti inediti e non ancora chiari della trattativa sulla Belloni.
Come indirizzasse la luce di una torcia, con il suo resoconto l’ex premier illumina probabilmente solo alcuni punti della scena. Ma la sua affermazione è sorprendente, perché lascia intendere che l’accordo non si limitava alla sfera dei partiti
«Si stava per chiudere. Anzi era di fatto chiusa. Poi c’è stato un fuoco di sbarramento di esponenti politici e ministri: Renzi, Guerini. E purtroppo anche Di Maio».
In effetti il giorno prima il ministro degli Esteri, aveva pubblicamente invitato i leader impegnati nella trattativa a non bruciare «un alto profilo» come la Belloni.
Però non si era opposto, purché su quel nome convergessero anche gli altri partiti. Accostare Guerini e Di Maio, considerati favorevoli all’elezione di Draghi al Colle, non deve essere casuale. Infatti non lo è.
Perché Conte sposta la torcia: «Non so… Magari all’inizio a palazzo Chigi ritenevano che la candidatura della Belloni fosse impercorribile. Magari si sono resi conto dopo che l’operazione potesse realizzarsi e scombinare i piani di Draghi. Pare che a palazzo Chigi si stessero preparando per entrare in campo sabato, che fosse pronta la procedura di avvicendamento, che la data del giuramento per il Quirinale fosse già stata fissata per mercoledì».
Il capo del Movimento toglie la spoletta e lascia che l’ordigno deflagri: «Andrebbe indagato per capire meglio. Di certo venerdì notte è iniziata la bagarre contro la Belloni».
L’avvocato del popolo respinge le obiezioni sul fatto che il capo del Dis non possa salire al Colle: «Negli Stati Uniti fior di presidenti provengono dall’intelligence», per quanto alla Casa Bianca ci si arrivi dopo aver vinto le elezioni.
«E comunque nessuno aveva avuto da ridire quando il nome della Belloni era circolato come possibile premier. La verità è che hanno usato questa motivazione solo per affossare la sua candidatura».
Della successiva telefonata con Letta, quando il progetto è ormai fallito, si conosce solo l’incipit di Conte: «Mi state prendendo per il (biiip)?». E non si conosce nemmeno chi sia stato il regista, chi abbia cioè suggerito di puntare sull’autorità che controlla i Servizi, diciamo.
Piuttosto il capo dei grillini ritiene necessario un «chiarimento pubblico» con Di Maio, che nel racconto appare come una sorta di sabotatore. Lo s’ intuisce dal modo in cui – intervistato su La7 – l’ex premier ieri ha specificato che il contrasto con il ministro degli Esteri non è «una questione privata tra me e lui», semmai «va a toccare punti centrali: l’essere comunità, l’appartenenza, il senso comune verso comuni obiettivi».
Il processo è pronto, il verdetto sarà (forse) online. Il tema non è la linea politica o l’azione di governo, ma quello che è successo venerdì notte.
(da IL Corriere della Sera)
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Febbraio 4th, 2022 Riccardo Fucile
“MANCANO TUTTE LE STRUTTURE CHE CONTE AVEVA ANNUNCIATO CON LA NASCITA DEI COMITATI. BISOGNA ACCELERARE”
Dopo le minacce, lo stallo. Nel Movimento 5 stelle ieri, nonostante la raffica di
dichiarazioni al veleno degli ultimi giorni, sembrava regnare una strana calma. «Oggi c’è la pax mattarelliana» ironizza uno dei volti più noti tra i parlamentari M5s intercettato all’uscita da Montecitorio.
Una relativa quiete che chiaramente più che a una vera tregua fa pensare al fatto che le manovre di accerchiamento avviate da Luigi Di Maio e Giuseppe Conte sono tutt’ altro che strategie da guerra lampo.
La carta Virginia Raggi giocata dal primo, e l’asso Beppe Grillo calato dal secondo, non hanno spostato immediatamente gli equilibri, ma è escluso non lo facciano al momento giusto.
Così come avranno senza dubbio un peso il nuovo statuto redatto proprio dall’avvocato l’estate scorsa (rendendo di fatto inverosimile una sua sfiducia), e le numerose entrature tra i parlamentari che può vantare il ministro.
Intanto però Conte ieri, nel ribadire che il confronto va affrontato «nelle sedi e secondo le modalità opportune» (quindi in pubblico e non solo in assemblea congiunta come chiesto dai senatori) perché nel M5s «le questioni le affrontiamo con la democrazia diretta, digitale», sembra aver quantomeno provato ad abbassare toni: «Gli iscritti saranno coinvolti nella misura in cui vogliono capire cos’ è il M5s, qual è la direzione di marcia, chi siamo, cosa stiamo diventando. Questa discussione va fatta, io credo che il ministro Di Maio abbia posto le questioni in questa prospettiva».
Una timidissima mano tesa che apre alla possibilità se non che il ministro degli Esteri (con cui non debba per forza finire fuori dal partito se dovesse risultare sconfitto nel redde rationem, quanto che non debbano necessariamente farlo i suoi.
Tant’ è che, a rimescolare bene nei gruppi, c’è chi sostiene che questi giorni servano soprattutto a contare le truppe. «Noi non abbiamo mai avuto correnti né la necessità di crearne – spiega un senatore al secondo mandato – per cui non sappiamo realmente chi sta con chi».
E poi è noto che tra i due ci sia «una massa grigia» di eletti che «non hanno preso una posizione definita». Ed è anche per questo che il confronto davanti agli iscritti «è temuto da entrambi».
Se dovesse essere la base a decidere infatti, considerato che di mezzo ci sono risultati elettorali tutt’ altro che esaltanti e la battaglia sul vincolo al secondo mandato (che taglierebbe fuori dalla possibile rielezione circa 70 parlamentari, Di Maio compreso), oggi nessun risultato sarebbe scontato. Anche perché mentre Luigi e Giuseppe incrociano le spade, gli elettori del Movimento continuano ad agitarsi. Specie in quelle città dove nel giro di qualche mese si andrà al voto.
Quasi mille comuni italiani, tra cui anche 25 capoluoghi di provincia. Una battaglia sul territorio che, nonostante l’intesa con il Pd della scorsa tornata e le parole al miele dell’epoca, non è detto che il M5s combatterà organicamente accanto ai dem. Tant’ è che anche città culla dei grillini come Genova o Parma non c’è affatto un candidato definito, né ce ne sono a L’Aquila o a Palermo.
E se la volta scorsa Conte quasi se ne lavò le mani sostenendo di aver seguito una direzione già definita, stavolta è impensabile che non prenda in mano la situazione. A patto che il mandato di Conte consista in una leadership definita.
«Così – spiega il senatore – il rischio è che raccoglieremo meno voti di ottobre. Io sono presente sul mio territorio e mancano tutte le strutture che Conte aveva annunciato con la nascita dei comitati. Bisogna accelerare».
Sullo sfondo poi, resta sempre il nodo del governo. L’incontro di tra Di Maio e Giorgetti del resto, il moderato della Lega che non ha preso parte al Cdm di mercoledì scorso, quello che ha visto l’astensione dei suoi colleghi di partito, racconta anche di questo. Dell’asse per il premier che si voleva anche al Quirinale.
Al contrario di Conte che, oltre a non aver voluto il premier al Colle, ora preme per ottenere di più, vuole un «patto» con Draghi che espliciti le priorità per il M5s. Così come chiede Salvini. Insomma dietro lo scontro tra Conte e Di Maio ci sarebbe anche la linea da tenere sulla fedeltà all’esecutivo, nell’ottica di possibili futuri scossoni pre-elettorali.
(da “il Messaggero”)
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Febbraio 4th, 2022 Riccardo Fucile
NON POTENDO CACCIARLO, CONTE MEDITA DI FARE IL VUOTO INTORNO A DI MAIO
L’avvocato non può cacciare il ministro, lo Statuto parla chiaro. Così Giuseppe Conte e i suoi meditano di fare il vuoto intorno a Luigi Di Maio. Togliendo i dimaiani dai comitati del M5S. Escludendo i candidati dell’ex capo dalle liste per le prossime Amministrative.
E tenendolo fuori dalle riunioni operative, dove si decide la rotta. Ma molto prima dovrà arrivare un confronto “nelle sedi opportune, perché la nostra base merita chiarezza e trasparenza” fa trapelare il presidente del M5S Conte.
E quando parla di chiarimenti sempre a lui si rivolge, a Di Maio: l’avversario, con cui vorrebbe fare i conti pubblici in un’assemblea, forse la prossima settimana, “o comunque con qualcosa che coinvolga tutti gli iscritti” traducono dal M5S.
Proprio ciò che provano a scongiurare, o almeno a sminare, mediatori vari: dal capogruppo alla Camera, Davide Crippa, al Garante, Beppe Grillo. Per arrivare a un gruppo di senatori che ieri ha invocato un’assemblea congiunta con Conte e il ministro.
Perché magari la guerra a 5Stelle non sarà lampo, forse neppure frontale. Però si dilata, nel mercoledì in cui Conte recapita altri dardi a Di Maio: “Non dimentico chi ha sabotato un’occasione unica per portare una donna al Quirinale, le condotte che non sono in linea con i nostri principi e i nostri valori non sono accettabili”.
Così avverte l’avvocato, che ieri sembra aver incassato anche il sostegno di Grillo, tramite un post dai toni misticheggianti: “Non dissolvete il dono del padre nella vanità personale, il necessario è saper rinunciare a sé per il bene di tutti, che è anche poter parlare con la forza di una sola voce”. La voce del leader, si affannano a tradurre i contiani, mentre lui, Conte, sotto il post piazza un like.
D’altronde dai piani alti del M5S mettono in luce un altro passaggio del testo: “Se non accettate ruoli e regole restano solo voci di vanità che si (e ci) dissolvono nel nulla”. Insomma, sillabe che proverebbero l’appoggio del fondatore a Conte, confermano anche non meglio precisate “fonti” vicine a Grillo: il quale però, giurano, “lavora anche a una mediazione”.
Ma i dimaiani fanno spallucce: “Luigi con Grillo parla continuamente”. E comunque il tema è un altro, cioè “il chiarimento politico che non arriva, che non si vede”. Considerazioni fuori taccuino, in un diffuso silenzio. Perché ora ogni dichiarazione nel M5S può essere presa come un segno di affiliazione a una delle due parti. Ma tanti eletti prima di scegliere vogliono capire chi vincerà.
Di certo Di Maio può giocare di guerriglia politica, anche a lungo. Grazie proprio a Grillo, è uno dei tre membri del Comitato di garanzia, il luogo dove si deve passare per norme e regolamenti, quindi anche per la probabilissima revisione del totem dei due mandati: la partita delle partite, quella in cui si deciderà chi sarà fuori o dentro le liste per le prossime Politiche.
Ergo, un Comitato come le possibili Termopili per quel Conte che ha più truppe ma meno esperienza sul campo. Anche perché tra i tre garanti c’è anche Virginia Raggi, ex sindaca tutt’altro che contiana, che gli ha già fatto muro sull’approvazione di vari regolamenti. E poi ha tanti amici in tanti partiti, Di Maio. I centristi di vario ordine e grado, che gli tendono le braccia. E quel Giancarlo Giorgetti con cui ieri ha avuto un lungo incontro al Mise: ovvero il leghista con cui ha fatto asse per portare Mario Draghi al Quirinale, e con cui mangia regolarmente la pizza.
L’ennesimo incontro delle ultime ore, per il Di Maio che vuole ostentare la sua rete. “Molti ci corteggiano, è evidente” confermano dal giro del ministro. Ma Di Maio non parla di strappo o uscita del M5S. Per lo meno non ora. Adesso chiede altro. Una revisione dell’assetto del Movimento, innanzitutto, partendo dai cinque vicepresidenti. E garanzie. Perché il sospetto dei dimaiani, da tempo, è che l’avvocato voglia ridurli a riserva indiana nel M5S. Figurarsi ora, in tempi di guerra.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Febbraio 4th, 2022 Riccardo Fucile
“CENTRISMO E MODERATISMO NON SONO VALORI IN CUI CI RICONOSCIAMO“
“Azione non parteciperà ad alcun progetto centrista frutto della somma di
piccole forze parlamentari”. Carlo Calenda conferma che il percorso di Azione e +Europa andrà avanti distinto da quello delle forze centriste, continua il movimentismo di Giovanni Toti e Matteo Renzi, per costruire un ‘terzo polo’. “Noi lavoriamo a una proposta riformista e liberaldemocratica. Centrismo e moderatismo non sono valori in cui ci riconosciamo”, spiega.
Calenda, Azione resta fuori dal ‘grande centro? “Noi lavoriamo con +Europa alla costruzione di una proposta radicalmente riformista e liberal-democratica. Centrismo e moderatismo non sono valori in cui Azione si riconosce. Ovviamente facciamo i nostri auguri a Toti, Brugnaro, Cesa, Renzi, Mastella e Lupi per la buona riuscita del progetto. Saranno interlocutori al pari degli altri partiti”.
(da agenzie)
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Febbraio 4th, 2022 Riccardo Fucile
IN TESTA ALLE CLASSIFICHE DI AMAZON, IBS, FELTRINELLI
L’ulteriore dimostrazione che il festival di Sanremo sia il centro del Paese per una settimana ci viene dalla cultura.
Dopo la performance di Lorena Cesarini sul razzismo, con l’ampia citazione del libro “Il razzismo spiegato a mia figlia”, l’opera di Tahar Ben Jelloun, pubblicata ora dalla Nave di Teseo, è in testa alle classifiche di vendita di Amazon, Ibs e Feltrinelli.
Una goccia a Sanremo diventa mare e quel che non sapevamo diventa patrimonio di tutti, ricerca di verità, lettura, cultura.
Forse la Cesarini l’ha fatta troppo lunga. Forse, come rileva Mauro Suttora su Huffpost, si è anche detta e contraddetta. Ma quel che resta, e non è poco, è che centinaia di persone siano andate a vedere cosa volesse dire al mondo 24 anni fa Tahar Ben Jelloun, benché il libro sia stato tradotto in 25 lingue già allora. Ma la fame di sapere non è mai abbastanza, soprattutto su questi temi.
(da agenzie)
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Febbraio 4th, 2022 Riccardo Fucile
MARIA ELENA BOTTAZZI E’ DOCENTE A HOUSTON E HA SVILUPPATO IL VACCINO CORBEVAX, EFFICACE ALL’ 80% , APPROVATO IN INDIA E LIBERO DA BREVETTI
Maria Elena Bottazzi è stata candidata al premio Nobel per la pace. Insieme a
Peter Hotez, anche lui candidato al premio, la scienziata di origini italiane, ma cresciuta in Honduras e docente al Baylor College of Medicine di Houston, ha sviluppato un vaccino anticovid, corbevax, approvato in india a fine 2021, poco costoso, facile da produrre, con una efficacia che supera l’80% ma soprattutto non coperto da alcun brevetto, quindi accessibile a tutti i paesi poveri che stentano per gli eccessivi costi a vaccinare la popolazione.
La richiesta di candidatura per i due scienziati al comitato di Oslo è partita da una deputata americana dell’area di houston, che ha motivato così la sua richiesta: “Da anni lavorano per la fraternità tra nazioni e sono persone che il premio nobel per la pace incarna e celebra”
Sul suo profilo facebook la dottoressa Bottazzi si è detta emozionata e contenta e ha ringraziato i tanti italiani che le hanno scritto, ricordando le sue origini liguri. “Aiutare i paesi poveri – ha detto- è un privilegio davvero speciale”.
(da agenzie)
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Febbraio 4th, 2022 Riccardo Fucile
SCONTRO CON I VIGILI DOPO LA SOLITA SCENEGGIATA
È stato arrestato Ugo Rossi, consigliere comunale No vax di Trieste e leader del Movimento 3V, ancora una volta. In questa occasione Rossi sarebbe accusato di resistenza a pubblico ufficiale e di aver partecipato a un sopralluogo di una commissione comunale, pur non avendo il Green pass.
Nonostante i ripetuti inviti della polizia municipale ad allontanarsi, Rossi sarebbe rimasto al suo posto, finché non è scattato l’arresto.
Già in occasioni recenti Rossi aveva tentato di entrare senza Green pass in luoghi in cui era obbligatorio. Come ad esempio in occasione delle celebrazioni per la Giornata della Memoria, quando aveva provato a imbucarsi alla Risiera di San Sabba. Rossi era già finito in manette durante l’ultima campagna elettorale per le Comunali, quando era candidato sindaco per il suo movimento. In quell’occasione si ritrovo in una collocazione con i carabinieri, già alle prese con una protesta fuori dalle Poste di chi non aveva intenzione di indossare la mascherina.
Rossi avrebbe forzato il controllo del Green pass dando una spinta all’addetta all’ingresso del centro giovani Toto nel rione di San Giusto a Trieste, dove era previsto il sopralluogo.
Quando hanno provato a farlo allontanare, il consigliere si è più volte rifiutato, ribadendo che ormai aveva firmato il foglio di presenza. Un altro consigliere comunale ha chiamato la Polizia locale che ha provato a convincere Rossi ad andare via. Il clima però si è acceso quando gli agenti hanno dovuto letteralmente bloccare Rossi e lo hanno portato in caserma.
(da agenzie)
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