Destra di Popolo.net

DOPO AVER NEGATO DI AVERLO INCONTRATO, “IL CAPITONE” PARLA DEL PRANZO DA CASSESE: “IL PASSATO DI VERDURE MI E’ PIACIUTO MOLTO”

Febbraio 8th, 2022 Riccardo Fucile

“SONO ASINTOMATICO TOTALE, IN CASA NON FACCIO SPORT, MA GUARDO LE OLIMPIADI INVERNALI. E HO POTATO LE PIANTE…”

A parlare, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è il leader della Lega Matteo Salvini.
Dai retroscena è emerso che nei giorni dell’elezione per il Colle lei sarebbe stato a casa di Sabino Cassese, dove avrebbe mangiato un passato di verdure.
“Il passato mi è piaciuto molto, è stato un pranzo gradevole, con un confronto interessante e piacevole, spero che non venga accusato di esser un salviniano solo per avermi incontrato”.
Il Covid?
“Sono al quarto giorno di quarantena, sto bene, mai avuto febbre, raffreddore o tosse, sono asintomatico totale. Cerco di organizzarmi la giornata lavorativa come sempre. In compenso stare a casa mi permette di vedere qualcosa delle olimpiadi invernali, come la medaglia di Arianna Fontana, e poi mi sono rivisto una dozzina di volte il gol di Giroud al derby”.
Aveva già fatto la terza dose?
“Dovevo farla a febbraio, ora evidentemente non la faccio”.
Come sta passando questo periodo di quarantena?
“Ho la fortuna di non avere nessun sintomo quindi non sto prendendo nulla, e quindi l’unico problema che ho in quarantena – ha scherzato Salvini a Rai Radio1 – è non prendere 5kg in 10 giorni”.
Sta mangiando molto?
“In casa puoi cercare di mangiare sano, ma se poi ti mandano pane, salame, salsiccia, vino e formaggio, come fanno i miei amici…devi cercare di controllarti”.
Visto che sta bene, ne puoi approfittare per fare un po’ di ginnastica in casa.
“No, io sono l’antitesi dello sforzo fisico, a differenza della mia compagna che fa yoga e sport. In compenso – ha concluso Salvini a Un Giorno da Pecora – io ho potato le piante ”.
(da agenzie)

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SALVINI ESILARANTE: “IL CURLING? L’HO SEMPRE SEGUITO”

Febbraio 8th, 2022 Riccardo Fucile

TI PAREVA CHE NON PROVASSE A INTESTARSI PURE L’ORO OLIMPICO…
ALTRA CLASSE DEL SINDACO SALA E DEL GOVERNATORE ZAIA

La medaglia d’oro della coppia Stefania Constantini e Amos Mosaner ai Giochi olimpici di Pechino 2022 sembra aver acceso una passione per il curling mai vista prima.
I politici italiani si stanno spendendo sui social per osannare la coppia azzurra e uno sport poco praticato in Italia.
Matteo Salvini, segretario della Lega, scrive su Instagram: «Il curling. Sempre seguito! Oro italiano, spettacolo vero!».
Beppe Sala adotta la stessa strategia comunicativa: «Sempre stato un appassionato di curling», ma almeno pubblica una foto in cui effettivamente gioca
Ettore Rosato, presidente di Italia viva, invece ammette: «Adesso non diciamo che siamo tutti esperti di curling… però grandissima Italia, anche in questo sport prima poco conosciuto, che ci ha coinvolti e appassionati e dove oggi siamo i più bravi!».
Zaia invece scrive: «Per il Veneto si tratta di un doppio successo. Questo primo podio a cinque cerchi di sempre è da condividere con i tecnici, sempre al fianco di questi due ragazzi prodigio: la cadorina Violetta Caldart, giocatrice della nazionale alle Olimpiadi di Torino 2006, e Claudio Pescia.
(da Open)

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GRILLO RISCHIA DI DOVER METTERE MANO AL PORTAFOGLIO: SUL SUO CAPO POTREBBERO PENDERE UNA LUNGA SERIE DI RICHIESTE DI RISARCIMENTO E SPESE GESTIONALI

Febbraio 8th, 2022 Riccardo Fucile

DOVREBBE ACCOLLARSI I 12 MILA EURO AL MESE DELLA SEDE DEL MOVIMENTO, E PURE L’AFFITTO DELLA PIATTAFORMA “SKYVOTE”

Se si votasse fra un mese, oggi il M5s non potrebbe presentare le liste elettorali. L’ordinanza del tribunale di Napoli di fatto azzera tutti i poteri di firma di Giuseppe Conte, che non è più il legale rappresentante del partito.
La situazione è così “complicata” che Beppe Grillo è sceso in campo questa mattina con un post molto netto: blocca qualsiasi iniziativa e fuga in avanti dell’ex premier, invita tutti al silenzio. E torna a ribadire, qualora ce ne fosse bisogno, che il vero capo è lui. E si fa come dice lui.
Perché? Gli avvocati dell’ex comico sono al lavoro per cercare di fare luce in questo caos. Ci sono anche diverse interpretazioni sul fatto che oggi il primo partito del Parlamento e principale partner del governo Draghi sia senza un rappresentante legale. Sotto un certo punto di vista, ma ci sono pareri discordanti, l’unico titolato è Grillo.
Che in questa fase ha congelato tutto. Sul suo capo potrebbero pendere una serie di richieste di risarcimento e di spese gestionali non da poco: dalla sede del Movimento (12mila euro al mese), all’affitto della piattaforma Skyvote (che ha sostituito Rousseau).
Anche per evitare di finire impigliato in questioni economiche gravose, Grillo ha deciso di tirare il freno a mano. Non parla nessuno.
Le anime del Movimento sono confuse e senza bussola. Tutti cercano Luigi Di Maio che sabato scorso, con un tempismo che alimenta veleni, ha deciso di dimettersi da presidente del comitato di garanzia (organismo decaduto con l’ordinanza del tribunale, così come le nomine dei vicepresidenti).
Il ministro degli Esteri non parla. La sua agenda oggi prevede una full immersion nel caso Russa Ucraina: in mattinata sarà audito dal Copasir, nel pomeriggio dalla commissione congiunta Esteri-Difesa.
(da Il Foglio)

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I LEGHISTI IN DIFFIDA PERCHE’ HANNO OSATO CRITICARE SALVINI, CAPO DELL’UNICO PARTITO LENINISTA RIMASTO IN ITALIA

Febbraio 8th, 2022 Riccardo Fucile

ARRIVATE LE LETTERE AI MILITANTI VENETI… QUANDO IN VENETO CI SARANNO I CONGRESSI CI SARA’ LA RIVOLTA

Quei «territori» che la Lega ha mitizzato per anni sono diventati un pericolo per Matteo Salvini.
Nell’ultimo consiglio federale, il segretario, dopo aver chiesto di «metterci la faccia», ha promesso ai governatori maggiore condivisione nella gestione del partito. Pochi giorni più tardi in Veneto sono arrivate le raccomandate con i provvedimenti disciplinari contro alcuni esponenti colpevoli di essere usciti dalla linea del segretario. Quasi tutti i procedimenti risalgono a qualche mese fa, ma le lettere hanno rialzato la tensione nelle sezioni del Nord Est.
«La busta mi è arrivata alla fine della scorsa settimana – ammette con la voce amareggiata Giovanni Bernardelli, ex presidente del consiglio comunale di Conegliano, in provincia di Treviso -. Farò ricorso e ne sto già parlando con il mio legale: in base al regolamento ho dieci giorni di tempo».
Per lui, leghista più che Docg che il 24 febbraio festeggerà 25 anni di militanza nel Carroccio e che ha preso la prima tessera dell’allora partito di Bossi nel lontano 1991, quello che sta succedendo è un’offesa quasi personale.
«Chi è senza peccato scagli la prima pietra» c’è scritto sotto il suo profilo WhatsApp. Eppure il suo nome, insieme a quelli del sindaco di Noventa Padovana Marcello Bano, dell’ex presidente del consiglio provinciale di Treviso Fulvio Pettenà e addirittura a quello dell’europarlamentare ed ex segretario della Liga Veneta Gianantonio «Toni» Da Re, è finito nel libro nero dell’ultimo partito leninista d’Italia. I primi tre (per Da Re la procedura è diversa dato lo status di parlamentare) rischiano di essere sospesi dal partito. O addirittura espulsi.
L’ultima parola, dato che si tratta di persone con più di dieci anni di militanza, l’avrà comunque via Bellerio. Le punizioni, brutto a dirsi, non sono niente di anomalo in un partito, succede ogni anno e non solo nella Lega. Però sarebbe sbagliato ridurre la questione a una bega interna come altre perché la vicenda veneta, al di là dei singoli casi (l’espulsione di Bernardelli sarebbe stata chiesta da Luca Zaia), si incrocia con i malumori della base per come è finita la partita del Qurinale e con una dialettica non sempre semplice tra Matteo Salvini e lo stesso governatore.
Alcuni dei sanzionati, infatti, si riconoscono nelle battaglie del Doge, prima tra tutte quella sull’autonomia, «dimenticata da Salvini quando ha deciso di fondare la Lega nazionale».
Punire i ribelli quindi può aumentare il solco che divide il segretario dal suo governatore. Nel direttorio che doveva decidere sulla richiesta di sanzione per Marcello Bano, Zaia all’inizio della discussione si è astenuto, mentre il suo fedelissimo assessore Roberto Marcato ha votato contro; a favore si è espresso invece il resto della commissione formata dal commissario del Veneto Alberto Stefani, dall’ex sindaco di Padova e deputato Massimo Bitonci, dal consigliere regionale Nicola Finco e dalla ministra Erika Stefani.
Da via Bellerio fanno notare che i sanzionati sono pochi (in Veneto i militanti sono 4.000) e non sono certo di primo piano, ma nel Nord Est c’è un certo fermento: «Sono la punta dell’iceberg di un’onda che prima o poi arriverà a Milano – dice uno degli esponenti di punta della Liga -, anche con Tosi si diceva che erano quattro gatti e guardate cosa è successo. Salvini dice che non dobbiamo polemizzare sui giornali? Ha ragione, ma allora ci offrano delle sedi alternative».
Questo clima pesante è dovuto anche alla pandemia, i dissidi un tempo venivano risolti sotto a un gazebo, al tavolo di un’osteria o tra le mura delle sezioni, ma oggi vedersi è più complicato e per ricomporre le fratture non resta che la burocrazia interna.
La richiesta che arriva dal Veneto, in fondo, è sempre la stessa: i congressi. «Con la fine dello stato d’emergenza non ci sono più scuse per rimandarli» ha detto pochi giorni fa Zaia.
Il Veneto è commissariato sin dalla fondazione del nuovo partito, (Lega per Salvini premier), un’esigenza necessaria nei primi anni, che ora viene vissuta come la solita ingerenza lombarda (e al limite romana).
«Invece che sanzionare chi esprime il suo malessere dovrebbero cercare di capirne l’origine – si sfoga un’altra figura di primo piano -. Io non parlo con nessuno di questi nominati che oggi hanno in mano il partito. Va riaperto il dialogo fra dirigenti e base». I più critici, anche perché i voti loro se li sono guadagnati uno per uno nelle urne, sono gli amministratori locali.
«Decidono tutto dall’alto – racconta un sindaco – . Pochi giorni fa hanno rimosso dalla chat di Padova un segretario di sezione solo perché aveva condiviso un’intervista critica rilasciata dal sindaco di Brugine. Ma che metodo è? Se vanno avanti così ne butteranno fuori uno ogni due giorni».
(da agenzie)

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LA MELONI DICE CHE NON VACCINERA’ SUA FIGLIA CON UN ”FARMACO SPERIMENTALE”

Febbraio 8th, 2022 Riccardo Fucile

E DI CHI PUO’ ESSERE CONTAGIATO DA UNA SCELTA DEL GENERE, LA VIROLOGA MELONI SE NE FREGA?

Giorgia Meloni dice di non aver intenzione di vaccinare sua figlia di 5 anni perché “il vaccino non è una religione ma una medicina, quindi valuto il rapporto rischi-beneficio”.
Lo aveva affermato già più volte in passato, lo ha ribadito l’ennesima volta intervistata dal direttore de La Stampa Massimo Giannini: nonostante l’utilizzo del preparato sia stato autorizzato e ritenuto sicuro da tutti gli enti regolatori nazionali e sovranazionali, la leader di Fratelli d’Italia lo definisce “Un vaccino in sperimentazione, che finisce nel 2023” e aggiunge: “Le possibilità che un ragazzo muoia di covid sono le stesse che uno muoia colpito da un fulmine”.
Una nota dell’Istituto superiore di sanità risalente allo scorso 10 dicembre afferma che “anche se in misura minore rispetto all’adulto, anche nell’ età infantile l’infezione da Sars-CoV-2 può comportare dei rischi per la salute, tanto è vero che circa 6 bambini su 1.000 vengono ricoverati in ospedale e circa 1 su 7.000 in terapia intensiva.
Inoltre anche nei casi (e sono fortunatamente la grande maggioranza) nei quali l’infezione decorre in maniera quasi completamente asintomatica, non è possibile escludere la comparsa di complicazioni quali la sindrome infiammatoria multisistemica (una malattia rara ma grave che colpisce contemporaneamente molti organi), e quello che viene definito “long Covid”, e cioè la comparsa di effetti indesiderati a distanza di tempo”.
Inoltre, il vaccino riduce sensibilmente il rischio di contagiare altre persone: se tutti facessero come Meloni e non immunizzassero i propri figli piccoli il virus circolerebbe molto di più anche tra gli adulti.
Il protocollo di immunizzazione nella fascia d’età tra i 5 e gli 11 anni prevede l’utilizzo del vaccino pediatrico approvato dall’Ema, quello di Pfizer-Biontech, che ha lo stesso principio attivo di quello per gli adulti. Nel caso dei più piccoli però la dose è di circa un terzo rispetto agli altri. La vaccinazione avviene comunque in due dosi a tre settimane di distanza l’una dall’altra.
(da NetQuotidiano)

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ITALIANI D’ISTRIA E DALMAZIA, NOSTRI FRATELLI

Febbraio 8th, 2022 Riccardo Fucile

ERANO LI’ DA SECOLI DI STORIA PER RITROVARSI PROFUGHI

Ormai sono solo poche migliaia (anche se i loro figli e i figli dei figli conservano una memoria che non svanisce) ma tanti anni fa, nel 1947 erano la bellezza di 350 mila. 350 mila italiani d’Istria e Dalmazia da generazioni — quindi non trasferitisi a Zara o a Pola o ad Abbazia perché istigati dal duce, che anzi fu la causa prima della loro rovina, ma messi lì da secoli di storia — i quali a un certo punto abbandonarono tutto ciò che possedevano per ritrovarsi nella misera condizione di profughi.
Protagonisti di un esodo che ogni 10 di febbraio finalmente ricordiamo, e destinati poi ad essere ospitati per anni qua e là nella Penisola dalla micragnosa e svogliata carità della loro patria.
Nessuno certo li costrinse con la forza. Semplicemente non se la sentirono di vivere sotto il governo del Maresciallo Tito dopo aver assistito alla feroce caccia all’uomo da parte dei suoi partigiani; dopo aver assistito alle orripilanti esecuzioni nelle foibe di molti italiani, fossero pure fascisti; dopo aver saggiato il clima di persecuzione dei nuovi padroni verso qualunque cosa sapesse d’Italia.
Se oggi fosse chiesto a un gruppo di nostri concittadini chi nei loro panni a quel tempo avrebbe fatto una scelta diversa di sicuro non vedremmo alzarsi molte mani.
Eppure nel 1947 in tanti, accecati dall’ideologia, accolsero quei profughi con disprezzo e dileggio trattandoli da venduti, da nemici del popolo quelli che invece erano proprio null’altro che un popolo, un popolo di reietti strappati dalla loro cultura. In Italia, dopo l’odio e lo scherno dovettero sopportare anche la simpatia fin troppo interessata di chi li adoperò per assurdi confronti, di chi li voleva vittime di un qualche olocausto. Loro che invece erano solo degli italiani, solo per questo costretti a lasciare la loro terra.
Che erano — si sarebbe detto un tempo senza vergogna — solo dei nostri fratelli.
(da Il Corriere della Sera)

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DI MAIO NON C’ENTRA PIU’ NULLA CON I CINQUESTELLE

Febbraio 8th, 2022 Riccardo Fucile

ANDREA SCANSI: “RIEMPIVA LE PIAZZE, OGGI NON RIEMPIREBBE NEANCHE UN MONOLOCALE”

Luigi Di Maio non è mai stato un “bibitaro”, un miracolato e un parvenu della politica. Quella era una propaganda cara ai giornaloni, alla “casta” e alla comicità paraculona e senza talento.
Di Maio è nato per fare politica, che è un complimento ma pure una critica. Anche a inizio carriera, nel 2013, quando i 5Stelle erano pieni zeppi di scappati di casa (e lo streaming riprovevole con Bersani ne fu prova), Di Maio sembrava un alieno.
Mai sopra le righe e sempre presente a se stesso, scaltro come vicepresidente della Camera come pure nei primi interventi in tivù. Ricordo come, otto anni fa, un nome potentissimo della tivù italiana mi avvicinò dietro le quinte, prima di un talk-show politico, e mi disse: “Questi 5Stelle sono degli incapaci totali, tranne Di Maio. È così furbo e scaltro da ricordarmi Pajetta”.
Le elezioni 2018 furono stravinte dai 5Stelle per una serie di motivi, compreso il connubio perfetto tra il poliziotto “cattivo” Di Battista (che esaltava gli arrabbiati) e il poliziotto “buono” Di Maio (che convinceva i moderati).
Ora stimato e ora picconato dal padre-padrone Beppe Grillo, Di Maio – bravissima persona e ragazzo corretto – è negli anni cresciuto. Sul selciato delle puttanate ha lasciato non poche impronte: dai congiuntivi sbagliati all’abolizione della povertà, dall’impeachment a Mattarella all’incontro coi gilet gialli.
Tutti errori puntualmente amplificati da quegli stessi fenomeni che, ora, lo celebrano come nuovo Moro. In realtà l’errore più grave che Di Maio ha fatto, oltre a candidare i Carelli e Paragone, è stato fidarsi troppo di Salvini: quella doccia fredda lo ha cambiato irrimediabilmente, rendendolo più ponderato (è un bene) ma anche molto più subdolo politicamente.
Ed eccoci al Di Maio attuale, che agli occhi della comunità 5 Stelle si è macchiato del reato più grave: il tradimento degli ideali antichi. L’elettore 5 Stelle è spesso iper-idealista e manicheo, fumantino e massimalista: non di rado talebano. L’esatto opposto del Di Maio post-Papeete, che appare come poltronaro, aduso alle congiure e disposto ad allearsi con tutti. Da bosco e da riviera.
L’uomo che doveva aprire la scatoletta di tonno si è fatto scatoletta e pure tonno. Non è necessariamente un male: Di Maio è ormai un abile politico di professione. Per questo, non essendo più spettinato e passando il tempo a plaudire Casini e venerare Draghi, piace a giornaloni e potere. Lui stesso è Potere.
Può iscriversi a qualsiasi partito: lo accoglieranno tutti a porte aperte. È bravo e capace. Ma nei 5Stelle non c’entra più niente.
Di Maio è un politico famoso ma senza più consenso, e anche in questo (ahi) somiglia a Renzi. Di Maio ha scritto un (bel) libro che in pochi han comprato, Di Maio è sempre sui social ma le interazioni sono in picchiata (e quelle poche sono perlopiù insulti), Di Maio riempiva le piazze e oggi non riempirebbe neanche un monolocale. Con lui alla guida, il M5S rischierebbe di perdere pure con Calenda, cioè nessuno.
La sua guerra santa a Conte, al netto dalle recenti mosse di (finta?) tregua, è una guerra personale. Di Maio non sopporta che, dalla pandemia in poi, lo sconosciuto che nel 2018 fu proprio lui (con Bonafede) a scegliere sia molto più amato di lui dagli italiani.
È questo il punto: la politica non c’entra nulla, casomai c’entra il limite dei due mandati (ancora: la poltrona). Di Maio può stare dentro i 5Stelle di Conte giusto se si disinnesca al punto da tramutarsi in una sogliola morta, finendola di brigare ogni giorno contro il leader del suo stesso partito. Difficile da credere.
Andrea Scanzi
(da Il Fatto Quotidiano)

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COSA PUO’ FARE CONTE PER RIPRENDERSI IL M5S

Febbraio 8th, 2022 Riccardo Fucile

LE DIVERSE OPZIONI E IL RITORNO ALLA PIATTAFORMA ROUSSEAU

«Avvisai che potevamo decapitare la dirigenza. Dissero ‘Fate pure’…».
Nelle parole con cui l’avvocato Lorenzo Borré racconta il ricorso al tribunale di Napoli che ha sospeso provvisoriamente lo statuto votato dal Movimento 5 Stelle il 3 e il 5 agosto 2021. Decapitando di fatto il vertice grillino e Giuseppe Conte, presidente del M5s ad oggi senza legittimazione.
Borré è un habitué di queste sentenze, visto che ha patrocinato (e vinto) anche i ricorsi contro le espulsioni di attivisti napoletani e romani. La decisione cautelare – che deve ancora essere discussa in un giudizio di merito – porta Conte e i suoi a dover ripartire da zero. Ma cosa può fare l’ex Avvocato del Popolo per riprendersi il M5s?
Una formalità?
Con ordine. Nella decisione di Napoli i giudici hanno riconosciuto la sussistenza di «gravi vizi nel processo decisionale», tra cui l’esclusione dalla votazione degli iscritti da sei mesi con il conseguente mancato raggiungimento del quorum.
Conte ha reagito “di pancia”, sostenendo a Otto e Mezzo che sul piano politico è lui il leader al di là del piano giuridico-formale. In realtà, come ha spiegato Open ieri, dal momento dell’ordinanza il M5s è senza leader e senza comitato di garanzia. Gli unici che conservano qualche titolo dopo la frustata giudiziaria di Napoli sono i tre membri del collegio dei probiviri. E Beppe Grillo, il garante, dal quale tutti si aspettano un miracolo.
Le opzioni di partenza sono due: o votare, con le regole del precedente statuto, quella leadership collegiale composta da cinque persone, oppure ripetere la votazione di modifica dello statuto – con reinsediamento di Conte – accettando di ammettere al voto anche quegli iscritti che si sono registrati da meno di sei mesi.
Sembra questa l’opzione preferita di Conte visto quello che ha detto da Lilli Gruber: «senza aspettare i tempi del giudizio processuale».
Ma chi deve indire questa votazione? Non certo Conte, che attualmente è senza alcun potere. Per questo oggi La Stampa disegna altre alternative. Come la nomina di un comitato direttivo di cinque membri a cui affidare il potere.
Ritorno al passato?
Sarebbe un ritorno al passato. I cinque, una volta eletti, potrebbero indire un nuovo voto che legittimerebbe Conte. Ma la paura del leader è che questa mossa dia la stura alla costruzione delle correnti legate a Luigi Di Maio e Virginia Raggi.
L’altra opzione, spiega ancora il quotidiano, prevede la nomina di un nuovo comitato di garanzia che indica le due votazioni.
Ma qui si apre un altro problema: dove votare? Sulla nuova piattaforma di voto online Sky Vote? Qui arriverebbero i ricorsi degli attivisti per il mancato utilizzo di Rousseau, che è citata come piattaforma di voto nello statuto grillino. I vertici grillini sostengono che una soluzione con Davide Casaleggio si troverebbe: «Basta pagarlo».
Ma le nomine chi dovrebbe farle, o meglio: chi dovrebbe indire le votazioni?
A muoversi dovrebbe essere proprio Grillo. Che però, spiega oggi Il Fatto Quotidiano, è piuttosto irritato.
«Beppe dovrebbe far rinominare il comitato di garanzia ora sciolto, che a sua volta dovrebbe indire le votazioni per l’organo collegiale», spiega al quotidiano una fonte qualificata. Il Garante però è molto irritato. Ieri ha rifiutato molte delle telefonate che gli sono arrivate. Ed è arrabbiato anche con Conte.
D’altro canto lui stesso all’epoca dello strappo con l’ex Avvocato del Popolo aveva spinto per il voto su Rousseau, in quello che all’epoca sembrava soprattutto un modo per muovere guerra all’interno del M5s: «Non posso che ribadirti che l’unico modo per rispettare lo statuto vigente ed evitare ricorsi rimane votare l’organo collegiale sulla piattaforma Rousseau», scriveva a Vito Crimi.
Il Corriere della Sera spiega oggi che secondo le indicazioni di Francesco Astone, che ha patrocinato la causa a Napoli per il M5s, ora si procederà a una nuova votazione «secondo le indicazioni del giudice e sarà questa l’occasione per proporre agli iscritti – anche con meno di sei mesi di anzianità – la ratifica delle delibere sospese in via provvisoria». Il primo marzo, intanto, il M5s chiederà al giudice di merito di pronunciarsi sulla base di un nuovo ricorso. Se il verdetto fosse negativo, i vertici sarebbero definitivamente azzerati.
(da Open)

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RENZI NON HA CAPITO L’ORDINANZA DEL GIUDICE SUL M5S

Febbraio 8th, 2022 Riccardo Fucile

PUR DI DARE ADDOSSO A CONTE RIMEDIA UNA BRUTTA FIGURA

Le brutte figure, la maleducazione e la brutta figura di un tweet che nasce dai presupposti completamente sbagliati e non inerenti con la realtà.
Questa è la sintesi del tweet pubblicato questa mattina da Matteo Renzi per “attaccare” Giuseppe Conte dopo la decisione del giudice della settima sezione civile del tribunale di Napoli che ha “sospeso” (in via cautelare) l’approvazione già avvenuta del nuovo Statuto del MoVimento 5 Stelle e – a cascata – tutte le nomine decise e votate nei mesi successive: dal Presidente al collegio di Garanzia interno.
Mentre Beppe Grillo chiedeva a tutti i rappresentanti del mondo pentastellato di evitare commenti e interviste dopo quanto accaduto ieri, con l’accettazione del ricorso presentato da tre iscritti da parte di un giudice monocratico del tribunale partenopeo, Matteo Renzi ha provato a dare fuoco alle polveri delle polemiche. Sbagliando praticamente tutto:
“Il professor Conte ha scritto lo Statuto dei Cinque Stelle con la stessa chiarezza con cui scriveva i DPCM: il risultato è l’esplosione del Movimento. E questa volta non c’è stato nemmeno bisogno di combatterli: hanno fatto tutto da soli”.
E i presupposto del tweet di Italia Viva sono completamente errati.
Il giudice monocratico non ha contestato lo Statuto scritto da Giuseppe Conte per il MoVimento 5 Stelle, ma la procedura che ha portato alla sua approvazione.
Secondo il tribunale di Napoli, infatti, ci sono due punti fondamentali nelle criticità: il primo riguarda gli iscritti che non hanno potuto prender parte alla consultazione online perché iscritti da meno di sei mesi (come accadeva anche prima), modificando – di fatto – il quorum rispetto alla totalità degli iscritti; il secondo riguarda la piattaforma Rousseau. Perché secondo il vecchio Statuto, il voto si sarebbe dovuto tenere sulla piattaforma della Casaleggio Associati.
Ma le tensioni dei mesi precedenti avevano portato al “divorzio” e al conseguente indizione delle votazioni su SkyVote. Insomma, ci sarebbe stata una forzatura rispetto a quanto indicato all’interno del vecchi Statuto per votare il nuovo Statuto.
E tutto questo deriva dalla decisione presa non da Giuseppe Conte – che, all’epoca della votazione che si è conclusa il 3 agosto su SkyVote con l’approvazione del nuovo Statuto che poi ha portato alla leadership ufficiale dell’ex Presidente del Consiglio e quella del Collegio di Garanzia -, ma da Vito Crimi che all’epoca dei fatti era capo politico reggente che ha coperto quel periodo vacante passato dalla rinuncia di Luigi Di Maio alla successiva nomina proprio di Giuseppe Conte.
Insomma, il nuovo Statuto (e il riferimento ai dpcm di quando Conte era al governo, tra l’altro insieme a Italia Viva) non c’entra assolutamente niente con la “sospensione” cautelare dello status quo decisa dal giudice monocratico di Napoli.
E, invece, Matteo Renzi sembra aver capito proprio quella correlazione. Talmente sicuro da condividerla sui social.
(da NeXtQuotidiano)

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