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IL MOTOCICLISTA CHE PASSA DAVANTI A SALVINI E GLI URLA: “MATTEO, MENO CAZZATE“

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

E’ ACCADUTO A ROMA MENTRE IL LEGHISTA RECITAVA IL SOLITO COPIONE AI GIORNALISTI

La moto passava e quell’uomo gridava “Matteo, meno cazzate”.
Martedì pomeriggio a Roma, durante una delle tante “conferenze stampa” in pubblica del leader della Lega, Salvini aveva avuto un battibecco a distanza con la giornalista Antonella Soldo sul tema della cannabis libera e sul referendum su cui è atteso il pronunciamento finale da parte della Corte Costituzionale.
Il segretario del Carroccio aveva risposto in malo modo alla cronista, ma c’è un retroscena – una sorta di dietro le quinte – in cui un motociclista di passaggio dice la sua sul continuo parlare del leghista.
Il leader della Lega aveva appena finito di rispondere alla giornalista Antonella Soldo liquidandola con una frase priva di senso: “Lei è libera di farsi le canne“.
Il modo è sempre lo stesso, quello utilizzato anche nei suoi comizi in giro per l’Italia quando i contestatori vengono etichettati sempre come “tossici” o facenti parte dei centri sociali.
Un ritornello che abbiamo imparato a conoscere negli anni e anche ora, nella fase in cui il leghista si racconta (e viene raccontato) come illuminato sulla via di Damasco della moderazione, si ripete.
Dopo tutto ciò, ecco il motociclista che prima vede quell’assembramento in pieno centro a Roma e poi riconosce la figura di Salvini. Allora, portando la mano alla bocca a mo’ di megafono, eccolo gridare: “Matteo, meno cazzate”. Poi riprende in moto il manubrio del suo mezzo e lo rimette in moto.
Una storia che ricorda quella di una diretta Facebook dell’aprile del 2022 quando un vicino di casa del leader della Lega – forse stanco di vederlo collegato da quel balcone per fare la sua propaganda – gli gridò: “Sono stronzate”.
E il senatore pensò che lo stesse salutando.
(da NetQuotidiano)

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LA DEPUTATA DI FRATELLI D’ITALIA CHE DICE CHE IN ITALIA CI SONO 500 MILIONI DI LAVORATORI OBBLIGATI A VACCINARSI

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

ALLA FINE RIMUOVE IL POST, AVRA’ RIFATTO I CONTI?

L’Italia ha un problema di sovrappopolazione, almeno prendendo per buoni i dati raccolti e diffusi via social (prima di cancellarli) dalla deputata di Fratelli d’Italia Ylenja Lucaselli.
Secondo la parlamentare sovranista, infatti, con l’obbligo di Super Green Pass per gli over 50, ci sono almeno 500 milioni (sì, milioni) di italiani che non potranno andare a lavoro e, quindi, non potranno portare a casa lo stipendio.
“Ci sono più di 500 milioni di italiani che non potranno andare a lavoro e che non potranno portare a casa lo stipendio perché lo Stato ha deciso che per farlo serve un pass. Questa non è democrazia”.
Il giudizio su cosa è e cosa non è democrazia lo lasciamo decidere ai lettori. Di certo, però, non è né matematica né statistica affermare che in Italia ci siano 500 milioni di cittadini.
Anzi, quella cifra consterebbe solamente di quella piccola porzione di popolazione che ancora non si è immunizzata contro il Covid. Anzi, e qui la forchetta si riduce ancor di più, quella piccola parte di over 50 in età lavorativa che non si sono vaccinati.
Un errore nella compilazione di un post social? Certo, ma è una doppia gaffe perché quel pensiero è espresso sia in forma testuale che in una card social realizzata ad arte in cui si riporta quella stessa identica dichiarazione priva di senso (matematico, e non solo), con tanto di firma in calce di Ylenja Lucaselli e il marchio di Fratelli d’Italia. Insomma, ha voluto fortemente rivendicare la maternità di quella sua dichiarazione figlia di una gaffe, perché – probabilmente, almeno lo speriamo – quei 500 milioni sono circa 500mila. Una bella differenza tra quello che si grida (anche sui social) e la realtà inconfutabile dei dati.
(da agenzie)

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CENTRODESTRA E RENZIANI IN SENATO SALVANO GIOVANARDI DAL PROCESSO

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

“INSINDACABILI LE SUE PRESSIONI A FAVORE DI AZIENDE VICINE ALLE COSCHE“

L’asse centrodestra–Italia viva in Senato ha votato compatto per salvare Carlo Giovanardi dal processo.
L’Aula di Palazzo Madama si è infatti espressa a favore dell’insindacabilità dell’ex parlamentare Ncd nell’ambito del procedimento aperto dal Tribunale di Modena nel 2020 sul cosiddetto caso White List: sono stati 113 i voti favorevoli, 90 i contrari e 8 gli astenuti. Hanno invece votato contro Pd, LeU e M5s.
L’assemblea ha così accolto la proposta della Giunta per le immunità parlamentari che chiedeva di considerare le dichiarazioni del senatore come opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni e che aveva inoltre richiesto che non fossero utilizzati i due video del 2014 in cui si sente l’allora senatore conversare con il costruttore Augusto Bianchini, poi condannato in appello per mafia.
La vicenda si trascina da tempo a Palazzo Madama e, solo a maggio scorso, l’Aula aveva dato il via libera all’uso di una intercettazione e dei tabulati del processo Aemilia.
Il caso
Il tribunale di Modena il 17 novembre 2020 ha chiesto il giudizio immediato per l’ex parlamentare: era accusato di presunte pressioni, esercitate nel 2016, su alcuni funzionari della prefettura e del gruppo interforze che dovevano decidere sulla white list, la lista delle imprese autorizzate a lavorare negli appalti pubblici per la ricostruzione post terremoto in Emilia.
In particolare Giovanardi era accusato di svolto attività per ottenere, a favore delle imprese Bianchini Costruzioni S.r.l. e IOS di Bianchini Alessandro, la revoca dell’esclusione dalla cosiddetta white list.
La Bianchini S.r.l era appunto l’impresa di Augusto Bianchini, costruttore modenese condannato in appello nel processo Aemilia a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa (il figlio Alessandro, invece, ha avuto un anno e otto mesi). Giovanardi era imputato per rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio, violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti, oltraggio a pubblico ufficiale e violenza o minaccia ad un pubblico ufficiale, per aver posto in essere una serie di attività volte ad ottenere, a favore delle imprese Bianchini Costruzioni S.r.l. e IOS di Bianchini Alessandro e altri, la revoca dell’esclusione dalla cosiddetta white list – e cioè l’elenco degli imprenditori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, rilevante nel contesto dei pubblici appalti – operata dal Prefetto, con nuovo inserimento e ripristino delle facoltà previste per le imprese iscritte”.
La Bianchini Costruzioni a metà 2013 era stata esclusa dalla white list della prefettura di Modena per i sospetti di avere legami con uomini vicini al clan dei Grande Aracri di Cutro, in Calabria. Per questo Alessandro Bianchini, figlio del patron della ditta, Augusto, ha poi aperto così una sua azienda, la Ios che secondo la Dda di Bologna era solo un modo per aggirare l’interdittiva. Ma la Prefettura sospetta che dentro la Ios ci sia la partecipazione di Augusto Bianchini e non la ammette alle liste.
A quel punto, secondo i pm, entra in gioco Giovanardi per cercare di far inserire le aziende nella lista di quelle che possono svolgere i lavori di ricostruzione. Dalle registrazioni effettuate dallo stesso Bianchini, si sente l’ex senatore spiegare di aver discusso con l’allora prefetto e con l’allora questore e di avere chiesto ragioni del perché anche l’azienda di Alessandro Bianchini stia avendo dei problemi: “Gli ho detto à la guerre comme à la guerre. Io su questa roba faccio tutta una interrogazione con tutti i passaggi, eh? Con Bianchini… io se fossi in lui… verrei qua con la rivoltella e vi ammazzo tutti… vi rendete conto che state facendo delle robe… folli!… folli!!”.
Poi spiega di essere pronto a fare tutti i passaggi parlamentari necessari, ma non sa che i due sono già sotto inchiesta da parte della Dda di Bologna. “Era mio dovere intervenire – ha spiegato successivamente –, poi mi fermo davanti alle inchieste penali perché le interdittive sono solo atti amministrativi”.
Secondo la Dda di Bologna, dagli incontri di Giovanardi con i Bianchini e i pubblici ufficiali emerge che l’ex senatore chiese ed ottenne un incontro in un locale pubblico con il colonnello Stefano Savo, Comandante Provinciale, e con il tenente colonnello Domenico Cristaldi, Comandante del Reparto Operativo, “nel corso del quale apertamente minacciava i due ufficiali e ne offendeva il decoro” chiedendo i motivi della loro posizione contro i Bianchini e “chiaramente pretendendo un cambio della predetta posizione”.
Pd, M5s e Leu contrari. Italia viva a favore
In Aula, al momento delle dichiarazioni di voto, ha parlato il senatore Pietro Grasso (Misto-Leu) e ha sostenuto che i reati contestati, tra cui violazione del segreto d’ufficio e minacce, non abbiano alcun legame funzionale con l’esercizio dell’attività parlamentare. Mentre Agnese Gallicchio (M5s) ha riferito che l’ipotesi di insindacabilità delle opinioni non possa essere estesa alle condotte. Infine Anna Rossomando (Pd) ha affermato che la garanzia costituzionale sia applicabile solo all’ipotesi di oltraggio e che non spetti alla Giunta modificare i capi di imputazione o stabilire se le condotte contestate sussistano o no.
In difesa di Giovanardi è invece intervenuto il vicepresidente di Italia viva in Senato Giuseppe Luigi Cucca: “È evidente che il senatore Giovanardi non ha fatto nulla di male ma si è limitato a esprimere la sua opinione su casi specifici”, ha dichiarato. “Dobbiamo mandare a processo un parlamentare – va avanti nella sua difesa – solo perché si è permesso di mettere in discussione solo perché ha espresso a più riprese la sua opinione su quei fatti e sul rilascio delle certificazioni antimafia? La relazione della Giunta per le immunità – conclude – è corretta e va accolta, perché così non tuteliamo solo Giovanardi, ma l’attività dei parlamentari e la libertà di esprimere le proprie opinioni”.
(da Il Fatto Quotidiano)

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STOP REFERENDUM EUTANASIA, PARLA LA MADRE DEL DJ FABO:”VERGOGNA, E’ UNA DECISIONE POLITICA CONTRO CAPPATO”

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

”SAPEVO GIA’ COME SAREBBE FINITA”

Sono passati cinque anni dalla morte di suo figlio, Fabiano Antoniani conosciuto da tutti come Dj Fabo – il quarantenne che ha scelto di morire grazie al suicidio assistito in Svizzera dopo essere rimasto tetraplegico in seguito a un incidente.
Eppure per Carmen Carollo l’Italia è ancora ferma lì. Non riusciva a crederci quando ieri, 15 febbraio, ha appreso la notizia della bocciatura del referendum sull’eutanasia da parte della Consulta. «Che vergogna, non capiscono la sofferenza dei malati irreversibili. Ho provato una rabbia terribile, ogni volta il dolore si acutizza. Quella non è vita, bisogna provarle certe situazioni per capire cosa significhino. Dovrebbero vedere coi propri occhi, non star seduti a dare sentenze. Tanto loro stanno bene e quindi cosa gli importa…».
Carollo ha subito mandato un messaggio a Marco Cappato, da sempre in prima fila in questa difficile battaglia, colui che ha accompagnato dj Fabo a morire in Svizzera il 27 febbraio del 2017.
«Gli ho detto che ero avvilita, ma che non finisce qui. Andremo avanti», assicura lei che, sulla riuscita di questo referendum, ha sempre avuto dubbi. «Sapevo che non ce l’avremmo fatta perché siamo ottusi: pensiamo che l’eutanasia possa servire a far morire un’anziana o chi soffre di esaurimento nervoso. Non è così».
«Quella di mio figlio non era più vita – precisa – lui che era un dj, che viaggiava. Vederlo con quei dolori, tutto il giorno al letto, cieco…Insomma era diventato un vegetale. E non diamo la colpa solo al Vaticano: se si vuol fare una cosa, gli ostacoli si superano come già accaduto in passato con aborto e divorzio».
La questione – continua Carollo – potrebbe essere «politica»: «A me sembra quasi una decisione contro Cappato, è diventato un personaggio scomodo, a cui è stato fatto anche un processo che poi ha vinto».
Dj Fabo, rimasto tetraplegico dopo un incidente stradale e senza alcuna speranza di guarigione, lo aveva detto in tutti i modi: «Voleva morire a casa sua». E, invece, non gli è stato consentito, o meglio le leggi italiane non gliel’hanno permesso. «Lo Stato non mi accetta», diceva sempre.
Così Cappato, insieme a tutta la famiglia Antoniani, sfidando le leggi, lo ha accompagnato in Svizzera dove Fabo è morto. «”Mamma, ma posso vivere così? Tu mi vorresti così?”, mi ripeteva più volte. Non potevo che essere d’accordo. Mio figlio aveva la perso la dignità, per lui era umiliante doversi far accudire in tutto a 37 anni. Era davvero troppo. Mi diceva sempre “Mamma, non è la quantità ma la qualità”», racconta la signora. Quando è uscito dall’ospedale Niguarda, continua, «gli ho fatto capire che la sua decisione fosse giusta, che non potevo essere egoista, che non potevo né volevo vederlo ancora così. Poi in Svizzera, nei momenti precedenti alla sua morte, gli ho detto: “Fabiano, la mamma vuole che tu vada”. Prima non lo avevo fatto esplicitamente. Come fa una madre a dire al proprio figlio “preferisco che muori”?».
Carmen Carollo non riesce a parlare del figlio senza commuoversi: è come se fosse andato via ieri. Ancora oggi è troppo il dolore, troppa la rabbia per un uomo che avrebbe potuto morire come desiderava: nel suo Paese, nella sua casa.
«Mi creda, prendere una macchina, portare il proprio figlio in un altro Paese e sapere poi che, da quel posto, tornerai da sola e lui non sarà più con te perché lo hai lasciato lì, ti stanca il cuore».
«Dura è stata la preparazione, vederlo in macchina così silenzioso, con gli occhi chiusi. Io lo guardavo da dietro e mi dicevo: “Tra un po’ non lo vedrò più”. Ma dovevo farlo per lui, non potevo essere egoista. Fabiano voleva morire e in Italia non poteva. Mi sono detta “se tu gli vuoi bene devi lasciarlo andare”. Lui sarà sempre dentro di me». Un fine vita «dignitoso», quello in Svizzera, così lo definisce Carollo, che nulla ha a che vedere con la morte da soffocamento a cui sarebbe andato incontro in Italia semmai avesse optato per staccare la spina. «Non esiste», ripeteva lui. «Non voleva morire soffocato».
Fino alla fine Carmen Carollo se n’è presa cura, 24 ore su 24. Ma a vederlo in quelle condizioni, con quella vita negata, non ce la faceva più. Per aiutarlo ha anche «piantato i semini di cannabis in casa». Da quello, poi, veniva creato «un liquido da somministrare a gocce a dj Fabo» così da alleviare il suo dolore. «Io mi occupavo solo di curare la pianta. Con la cannabis Fabo, mi piace chiamarlo così, stava un po’ meglio. Grazie a quelle goccine lo portavo almeno al mercato. Certo, ammetto che nascondere quella pianta a casa non sia stato affatto facile, temevo che dal terrazzo si potesse vedere qualcosa. Mi creda, è stato davvero un incubo».
Le sue parole arrivano in un giorno delicatissimo per il nostro Paese visto che oggi 16 febbraio si deciderà anche del referendum sulla cannabis: «Rendiamola legale. Lo Stato sa bene che questo racket adesso è in mano ai mafiosi. Non possiamo accettare tutto questo. A chi stiamo dando questi soldi?». La madre di dj Fabo non si arrende. Anzi, è più forte che mai.
(da Open)

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DA RIFONDAZIONE AGLI EX 5S, ALLA CAMERA NASCE MANIFESTA

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

ALLE PROSSIME POLITICHE QUEST’AREA DELLA SINISTRA RADICALE SI PRESENTERÀ CON ALLA GUIDA LUIGI DE MAGISTRIS IN OPPOSIZIONE AL GOVERNO DRAGHI

Quattro deputate ex Movimento 5 Stelle danno vita a ‘ManifestA’, nuova componente alla Camera sotto le insegne di Rifondazione comunista e Potere al popolo che oggi si presenta ufficialmente.
Sono Simona Suriano, Doriana Sarli, Yana Ehm e Silvia Benedetti (al Senato c’è già Matteo Mantero con Pap) e il progetto in realtà guarda direttamente al 2023. Alle prossime Politiche infatti quest’area della sinistra radicale si presenterà in concorrenza al centrosinistra e con alla guida Luigi De Magistris.
Il nome ‘ManifestA’ è ovviamente un richiamo al famoso manifesto di Karl Marx ma quella ‘a’ finale è un riadattamento in chiave femminista e allo stesso tempo un invito alla mobilitazione. Un triplo richiamo identitario a battaglie vecchie e nuove del movimento comunista e per i diritti:
“La nostra è una proposta politica concreta – affermano le deputate di ‘ManifestA’ – che metta finalmente al centro la giustizia sociale, l’ambiente, il pubblico e che dia vita a un modello di sviluppo che si contrapponga fermamente alle ricette neoliberiste, ai processi di privatizzazione, e al potere economico e politico dominante, che da tempo ignora l’interesse collettivo.
Sarà probabilmente con la denominazione ‘ManifestA’ che questo pezzo di sinistra si proporrà alle elezioni del prossimo anno, in piena opposizione al governo di Mario Draghi – le quattro deputate uscirono dal Movimento dopo l’appoggio al suo esecutivo – ma pure al fronte progressista, nella convinzione che non ci siano margini di dialogo con il Pd. L’ex due volte sindaco di Napoli sarà con ogni probabilità il volto trainante del progetto anti-sistema e che punta a raccogliere consensi non solo nell’area di sinistra-sinistra e dei movimenti ma anche in quella dei delusi dai 5 Stelle.
Del resto De Magistris fu eletto a Napoli entrambe le volte fuori dai tre poli (centrodestra, centrosinistra e M5S) e appoggiato da Rifondazione.
Alle elezioni regionali in Calabria dello scorso anno invece, stesso schema, arrivò terzo con il 16,2 per cento. Dopodiché c’è davanti tutto il 2022 per organizzare una lista capace di riportare in Parlamento dalla porta principale il rosso antico, molto dipenderà anche dalla futura legge elettorale e dalle soglie di sbarramento; c’è addirittura chi sogna un coinvolgimento di Alessandro Di Battista nel progetto, per adesso è fantapolitica ma un domani chissà.
(da agenzie)

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GRILLO BLINDA CONTE

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

IL GARANTE NON CEDE SULLA REGOLA DEI DUE MANDATI

Il garante non vuole cedere sull’ultima regola rimasta, l’ultimo pilastro. E può essere la carta che spegne e risolve la guerra a 5Stelle. Quindi il migliore dei favori per il leader, Giuseppe Conte.
Perché il vincolo dei due mandati non si tocca, fa trapelare ieri pomeriggio Beppe Grillo. “È una regola identitaria” ribadisce a vari 5Stelle. E qualche ora dopo, arrivando alla Camera per l’assemblea congiunta con i parlamentari sui referendum, Conte sottoscrive e certifica: “Per Grillo la regola dei due mandati è fondativa, nessuna novità, lo ha detto più volte. Anche su questo ci confronteremo, la nostra è una comunità di teste pensanti. Ma ovviamente la posizione del garante avrà un grande rilievo”.
Peserà eccome, quella porta sprangata – ancora, da parte del fondatore – al terzo mandato dei parlamentari. A cui viene anche offerto un punto di caduta, perché i reduci da due legislature potranno correre per l’Europarlamento o per un posto in una Regione: cioè cercarsi i voti per garantirsi un futuro politico.
Così almeno filtra sull’AdnKronos, a ridosso dell’assemblea: la prima da quando un’ordinanza del tribunale civile di Napoli ha congelato lo Statuto del M5S e quindi il suo presidente, Conte. Ma a pesare sono quelle indiscrezioni.
“Una bomba” riassume un contiano, non certo scontento. Perché il primo a risentire delle schegge potrebbe essere Luigi Di Maio: l’avversario dell’avvocato, anche lui al secondo mandato, che da giorni auspica un incontro e quindi una tregua con Conte. Però con la stretta sui due mandati il pallino rimarrebbe nelle mani dell’ex premier. Libero di costruire le liste per le Politiche del 2023 senza dover tenere conto più di tanto di correnti, gruppi o maggiorenti.
A Otto e mezzo, la settimana scorsa, Conte aveva lasciato aperto uno spiraglio a “qualche deroga”, precisando: “Ne dovrò parlare con Grillo”. E anche se il fondatore alla fine concedesse qualcosa, sarebbero sempre lui e Conte a decidere.
E Di Maio avrebbe poco margine per salvare i suoi fedelissimi dopo il secondo giro. D’altronde un paio di contiani insistono: “Beppe quella regola non la vuole toccare, e poi così ci sarebbe anche una via d’uscita per i big”.
Compresi quelli vicini al leader: dalla vicepresidente vicaria del M5S, Paola Taverna, al presidente della Camera, Roberto Fico, per arrivare all’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede (in ottimi rapporti anche con Di Maio).
Mentre un senatore si chiede: “La possibilità di candidarsi in Europa o in Regione varrebbe senza limiti, anche dopo tre mandati?”. Domanda opportuna.
“Di certo la politica non può essere un mestiere” teorizza Conte, mentre il ministro degli Esteri Di Maio è altrove, a Kiev, a parlare dei rischi di una guerra vera. L’avvocato invece riunisce i suoi parlamentari per fissare una linea condivisa sui quesiti referendari, potenziali mine per il M5S che fatica a marciare unito.
Così Conte, dopo un lunedì in cui aveva tenuto una cabina di regia con ministri e capigruppo di varie commissioni, raduna gli eletti. Vuole mostrare che il M5S funziona, anche se bloccato sul piano formale dai giudici. E che lui sa condividere. “Sui referendum mi piacerebbe coinvolgere anche gli iscritti” butta lì.
Lo aveva già ventilato per il Quirinale, e non se n’era fatto nulla. “Certo, ci porterebbe via un po’ di tempo” ammette. E il deputato Vittorio Ferraresi avverte: “Potrebbe sembrare una fuga dalle responsabilità”. Ma l’obiettivo di Conte è ricompattare i suoi. Per questo scandisce: “Abbracciamo convintamente il quesito referendario sulla cannabis”.
Proprio lui, che nelle settimane scorse si era mostrato freddo sul tema, irritando molti eletti grillini. Mentre l’avvocato e tanti parlamentari sono sollevati per l’inammissibilità del quesito sull’eutanasia: “Era troppo dritto”, a detta dei 5Stelle. “Bisogna correre con una legge sull’argomento” sostiene Conte. “Noi ci siamo” conferma Stefano Buffagni.
Certo, poi ci sono i referendum sulla Giustizia. E su quelli la discussione è accesa. Ma l’ex premier ora non ha totem da difendere. “L’importante è che l’ordinanza di Napoli venga sospesa, perché se a forza di ricorsi si tornasse a una guida collegiale allora anche sui due mandati ci sarebbe scontro”, ricorda un veterano. Perché ogni giorno è un film diverso, per il M5S.
(da Il Fatto Quotidiano)

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ORA CHE È ARRIVATO L’ENDORSEMENT DI TRUMP, ZEMMOUR PUÒ DORMIRE TRANQUILLO

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

UN CONDANNATO PER ISTIGAZIONE ALL’ODIO RAZZIALE APPOGGIATO DA UN CRIMINALE GOLPISTA: CHE COPPIA

Che Donald Trump non fosse politicamente morto, lo si era capito da tempo. Ma che stesse già guardando all’Europa, in vista di una delle elezioni più attese dell’anno, era forse meno scontato.
Invece, digitato il numero dal Vecchio al Nuovo continente, gli è bastato rispondere al telefono, per far gridare allo scandalo. Dall’altro capo della cornetta, l’ex editorialista del Figaro Éric Zemmour: oggi candidato alle presidenziali francesi
Si vota il 10 e il 24 aprile
Un sondaggio di ieri vede col 14,5% Zemmour superare la gollista Valérie Pécresse (14%). Mezzo punto. È terzo in due diverse rilevazioni, con Emmanuel Macron in testa (25%). Seconda Marine Le Pen (17,5%).
E il colloquio «politico» con l’ex presidente degli Stati Uniti dà al polemista un altro assist per apparire in tv. «Per vincere, non cambiare linea: anche se i media ti trovano brutale, difendi la tua autenticità e il tuo coraggio, sii sempre sincero». Queste le parole consegnate da The Donald a «Z».
Nella video-chiamata, durata in realtà 45 minuti (con interprete): migranti, sicurezza, economia e dimensione internazionale. «Non indietreggiare dalle tue idee», il consiglio dell’ex presidente. Il polemista ammette d’essere stato folgorato dalle parole di Trump sull’immigrazione. Non un endorsement, è però «l’inizio di un’amicizia», chiarisce lo staff di Trump.
«Non vogliamo il trumpismo per la Francia, quel populismo di estrema destra che ha portato alla divisione della società americana», tuona il deputato centrista di Agir Pierre-Yves Bournazel, condannando la telefonata. «Mi ha detto di restare me stesso», insiste Zemmour a 53 giorni dal voto.
Appunto, un condannato per istigazione all’odio razziale appoggiato ora da un criminale.golpista
(da agenzie)

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REFERENDUM, QUANDO SI TERRANNO, LE TAPPE PER ARRIVARE AL VOTO: TRA IL 15 APRILE E IL 15 GIUGNO

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

NECESSARIO IL QUORUM DEL 50% + UNO… NON POTRANNO ESSERE ACCORPATI ALLE COMUNALI

La valutazioni di ammissibilità comunicate il 16 febbraio dalla Corte costituzionale dovranno ora essere supportate da sentenze specifiche relative a ciascuno dei cinque quesiti. Nelle sentenze dovranno essere resi noti nel dettaglio tutti i motivi che hanno portato la Consulta all’approvazione.
A quel punto ne verrà data comunicazione d’ufficio al presidente della Repubblica e ai presidenti di Camera e Senato. Dopodiché su deliberazione del Consiglio dei ministri sarà lo stesso Capo dello Stato a indire con decreto il referendum.
Per legge la convocazione degli elettori dovrà essere inserita nell’arco di date che va dal 15 aprile al 15 di giugno.
Scelto il giorno in cui la popolazione potrà recarsi alle urne comincerà la campagna persuasiva per portare gli elettorali a votare numerosi. Lo strumento di democrazia diretta avrà infatti peso nel suo esito solo se verrà raggiunto un quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto.
In termini di votazioni la prossima primavera si annuncia già piuttosto calda: in concomitanza con i referendum ammessi dalla Corte ci sarà anche la campagna elettorale e quindi il voto amministrativo per eleggere i sindaci di diverse città italiane.
La soluzione di accorpare i due motivi di corsa alle urne non sarà però percorribile: la legge non prevede l’abbinamento tra referendum e altre elezioni. Nel caso in cui si decidesse per un cambiamento, sarebbe necessario un provvedimento normativo.
(da agenzie)

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REFERENDUM, BOCCIATO IL QUESITO SULLA CANNABIS, AMMESSI CINQUE SULLA GIUSTIZIA, RESPINTO QUELLO SULLA RESPONSABILITA’ CIVILE DEI GIUDICI

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

I REFERENDUM LEGHISTI PER FAVORIRE POLITICI CONDANNATI E DELINQUENTI A PIEDE LIBERO… ORA VADANO LORO A VOTARSELI

Via libera della Corte costituzionale a cinque dei sei referendum abrogativi sulla giustizia. Gli italiani potranno votare per cancellare la legge Severino sulla incandidabilità e decadenza di parlamentari e uomini di governo condannati a 2 anni, sulla separazione delle carriere dei magistrati, sulla stretta alla custodia cautelare, sul via libera alle candidature per il Csm senza bisogno di un numero di firme tra 25 e 50 e sul voto degli avvocati nei consigli giudiziari sulle valutazione dei magistrati.
Sono cinque dei 6 referendum proposti dalla Lega e dal partito Radicale, ma presentati da otto Regioni governate dal centrodestra.
La Consulta ha giudicato inammissibile, invece, il quesito sulla responsabilità civile diretta dei magistrati e quello sulla cannabis, una bocciatura che arriva il giorno dopo il no al referendum sull’eutanasia.
Intanto, dai partiti, è di Matteo Salvini la prima reazione, entusiasta, alla decisione della Consulta: “Primi quattro referendum sulla giustizia dichiarati ammissibili e presto sottoposti a voto popolare: vittoria!”, ha scritto su Twitter il leader della Lega.
Fratelli d’Italia ha fatto sapere che appoggerà solo due dei quattro quesiti: quello sulle separazione delle carriere e quello sull’elezione del Csm.
I SETTE QUESITI
La cannabis in giardino
Il quesito prevede la depenalizzazione della coltivazione della cannabis, ma solo a patto che la sostanza non sia destinata allo spaccio. Promosso dall’Associazione Coscioni, dai Radicali e da Meglio legale, il quesito cancella il reato di coltivazione della cannabis, di conseguenza sopprime le pene detentive, da due a sei anni, ed elimina anche il ritiro della patente, ma ovviamente solo per chi coltiva le pianticelle. Se la Corte dovesse accettare i tre punti la conseguenza sarebbe quella che non ci saranno pene per chi coltiva la cannabis, mentre tutti gli spacciatori saranno sempre perseguibili.
GIUSTIZIA
La separazione delle carriere
Più che di separazione delle carriere dei magistrati sarebbe corretto parlare di una separazione delle funzioni, quella di giudice e quella di pubblico ministero. L’obiettivo del quesito è cancellare del tutto la possibilità di passare da una funzione all’altra nel corso di una carriera. Oggi questo è possibile per quattro volte, ma già con la riforma Cartabia i passaggi diventano solamente due. E il centrodestra chiede di ridurli a uno soltanto. Ridurli del tutto è impossibile perché la Costituzione parla di un solo ordine, tant’è che alla Camera è in discussione da tempo la proposta di legge di iniziativa popolare delle Camere penali sulla separazione delle carriere.
La responsabilità civile dei giudici
Nel 1987, dopo il caso Tortora, i Radicali di Pannella, Partito socialista e Partito liberale lanciarono e vinsero il referendum sulla responsabilità civile delle toghe, che passò addirittura con l’80,21% di sì. Ma la legge che poi passò l’anno dopo, firmata dal Guardasigilli Giuliano Vassalli, notissimo giurista autore del codice penale del 1988, fu subito contestata dai Radicali proprio perché non prevedeva una responsabilità “diretta” dei giudici, ma frapponeva lo scudo dello Stato, il quale poi si rivaleva economicamente sul magistrato. La legge del 2015, firmata dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, conferma il “filtro” dello Stato. Ed è proprio questo “filtro” che il nuovo referendum vuole eliminare, riproponendo la responsabilità diretta del magistrato che deve pagare di tasca sua l’eventuale condanna per l’errore giudiziario commesso. Una soluzione da sempre bocciata da tutta la magistratura.
Via la custodia cautelare
In controtendenza con la linea leghista del “tutti in galera”, sulla custodia cautelare prevale invece l’imprinting estremamente garantista dei Radicali. Fermi sostenitori del principio che nessuno è colpevole fino alla sentenza definitiva. Tant’è che il quesito interviene sui presupposti della carcerazione preventiva, stabiliti dall’articolo 274 del Codice di procedura penale. L’articolo fissa tre paletti che consentono al pm, dopo la conferma del gip, di tenere in carcere il presunto autore di un reato. Innanzitutto il pericolo di fuga dell’arrestato, poi la possibilità che possa inquinare le prove restando libero. E ancora che possa commettere di nuovo lo stesso reato.
Dei tre presupposti, se il referendum dovesse passare, resterebbe solamente il pericolo di fuga. La custodia cautelare non potrà essere confermata per i reati puniti nel massimo con 5 anni e – come precisa il quesito – neppure per il finanziamento pubblico dei partiti.
Abrogazione della legge Severino
Con un tratto di penna, Lega e Radicali vogliono cancellare buona parte della legge Severino, in realtà un decreto legislativo operativo dal 31 dicembre 2012. Sotto il governo Monti, nella legge anticorruzione firmata dalla Guardasigilli Paola Severino e dal ministro per la Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi (oggi giudice costituzionale), fu approvato il decreto sull’incandidabilità e decadenza per chi ha una condanna che supera i due anni.
La regola vale per candidature al Parlamento italiano ed europeo e per i ruoli di governo. Nonché, ma solo per un range di reati, per gli amministratori locali che però vengono sospesi dalla carica anche dopo la sentenza di primo grado. Una norma, quest’ultima, da sempre contestata. La Consulta però, in due sentenze firmate dall’attuale vice presidente Daria de Pretis, ha confermato la piena costituzionalità della legge.
Le pagelle ai magistrati
Se viene approvata la legge sul Csm appena proposta dalla Guardasigilli Cartabia, il quesito sul diritto di voto degli avvocati nei Consigli giudiziari diventa di fatto inutile. Proprio perché – superando una lunga querelle sul cosiddetto “diritto di tribuna” – gli avvocati hanno acquisito la possibilità di esprimersi anche sulle “pagelle” dei giudici. Il Consiglio giudiziario, in ogni Corte di Appello, elabora i giudizi sulla carriera di una toga. Giunte al Csm, le pagelle diventano la base per una promozione o per una bocciatura. La principale critica è che, il più delle volte, i profili sono troppo “buonisti”. E soprattutto gli avvocati, pur presenti, non possono votare. A legge sul Csm approvata potranno farlo, ma non a titolo personale, ma dopo un deliberato del Consiglio dell’ordine degli avvocati, quindi spersonalizzando il voto, che se individuale, potrebbe risentire di un caso che li ha visti contrapposti al pm o al giudice.
Niente firme per il Csm
Come strumento per sbaragliare le correnti della magistratura, ecco il quesito che chiede di cancellare l’obbligo – previsto dalla legge sul Csm del 1958 – per chi decide di candidarsi al Csm, di essere sostenuto da un elenco di “presentatori”, che possono andare da un minimo di 25 a un massimo di 50. Convalidati appunto da altrettante firme. Ma proprio il numero dei sostenitori, chiaramente assai limitato in vista di un’elezione rispetto a un corpo elettorale che ormai si avvicina alle 10mila toghe, dimostra che non si annida sicuramente qui il peso “oscuro” delle correnti. Ma semmai in un’attività dietro le quinte, e su strumenti come le mailing list e le chat. Se l’obiettivo è quello di favorire candidature del tutto libere, certo non potranno essere così poche firme a cambiare il destino di un candidato, né tantomeno a indicare un’appartenenza o favorire un concorrente piuttosto che un altro.
(da agenzie)

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