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MA IL SALVINI CHE VUOLE STRACCIARE L’ACCORDO COL PARTITO DI PUTIN LO SA CHE IL RINNOVO È AUTOMATICO?

Febbraio 25th, 2022 Riccardo Fucile

TRA IL CARROCCIO E “RUSSIA UNITA” C’È UN’INTESA DI CINQUE ANNI FIRMATA IL 6 MARZO 2017: È AGLI SGOCCIOLI, MA SENZA DISDETTA (ALMENO SEI MESI PRIMA DELLA SCADENZA) VIENE PROROGATA PER UN ALTRO QUINQUENNIO E NESSUNO L’HA CANCELLATA

La disdetta del contratto non si trova. E così, come prevede lo stesso documento, è tacito il rinnovo per un altro quinquennio.
L’intesa tra la Lega di Matteo Salvini e Russia Unita, il partito di Vladimir Putin, è tuttora in vigore, essendo stata sottoscritta il 6 marzo 2017 con una durata di cinque anni.
In questi anni non risulta alcun passo indietro ufficiale e l’accordo resta valido
Si dirà: ma è in scadenza, praticamente agli sgoccioli. Vero.
Ma c’è un articolo, tra i 10 che compongono il testo, che recita: «L’accordo è automaticamente prorogato per successivi periodi di cinque anni, a meno che una delle parti notifichi all’altra parte, entro e non oltre sei mesi prima della scadenza dell’accordo, la sua intenzione alla cessazione dello stesso». Una sorta di diritto di recesso mai esercitato.
Agli atti non risulta alcun passo indietro ufficiale, nessuna cancellazione formale, insomma, né è rintracciabile qualche dichiarazione pubblica che lasci intendere la rottura del patto.
Anzi, da quanto viene riferito a Tag43, «non c’è stato alcun cambiamento della situazione», con la puntualizzazione, tesa a minimizzare, che «di fatto non è operativo». Sarà. Ma il Salvini che oggi «condanna» le azioni di Putin in Ucraina (senza però citare né il presidente russo né Mosca) sarebbe lo stesso che ha un’intesa politica in vigore con il partito dello stesso Putin, stipulata quando aveva già messo piede nel Donbass attraverso gruppi paramilitari.
Il conflitto nella regione è infatti iniziato nel 2014. Il primo punto del contratto prevede che «le parti si consulteranno e si scambieranno informazioni su temi di attualità della situazione nella Federazione Russa e nella Repubblica Italiana, sulle relazioni bilaterali e internazionali, sullo scambio di esperienze nella sfera della struttura del partito, del lavoro organizzato, delle politiche per i giovani, dello sviluppo economico, così come in altri campi di interesse reciproco».
Magari «non è operativo», come viene sostenuto, ma sarebbe il caso di sgomberare il campo da dubbi, perché si parla di «scambio di informazioni». Non una questione secondaria.
Ma per capire la vicenda, bisogna andare con ordine. Nel marzo 2017, a circa un anno dalle Politiche (si era da poco insediato a Palazzo Chigi Paolo Gentiloni), Salvini volò a Mosca, da leader della Lega Nord (ancora con la vecchia denominazione, successivamente sostituita con Lega per Salvini Premier), per stipulare un contratto, ben prima di quello fatto con il Movimento 5 stelle per il governo gialloverde.
L’altro contraente era il partito Russia Unita, proprio quello guidato dal leader del Cremlino, rappresentato in quell’occasione da Sergej Zheleznyak, responsabile Esteri e uomo di fiducia del presidente russo. Il post su Facebook del segretario leghista parlava addirittura di «storico accordo», che voleva porre fine alle sanzioni inflitte alla Russia.
Il Paese che qualche anno prima aveva annesso la Crimea e avallato l’avanzata dei separatisti nel Donbass. Era la fase del sovranismo rampante di Salvini, della campagna tutta euroscettica che da Mosca veniva vista con grande favore
La Lega appariva l’interlocutore ideale per minare alla base il progetto dell’Unione europea e portare avanti una campagna di delegittimazione dell’atlantismo. Così quel contratto includeva il regolare scambio di «delegazioni di partito a vari livelli, per organizzare riunioni di esperti, così come condurre altre attività bilaterali e la promozione attiva delle relazioni tra i partiti e i contatti a livello regionale».
E non solo. L’impegno era quello di arrivare all’interno delle Istituzioni. Come? Con «la creazione di relazioni tra i deputati della Duma di Stato dell’Assemblea federale della Federazione Russa e l’organo legislativo della Repubblica Italiana, eletti dal partito politico nazionale russo “Russia Unita” e il partito politico “Lega Nord” e anche organizzano lo scambio di esperienze in attività legislative».
E ancora erano inclusi: «lo sviluppo di una cooperazione reciprocamente vantaggiosa e la collaborazione di organizzazioni giovanili, femminili, culturali, umanitarie, ecc. al fine di rafforzare l’amicizia, la formazione giovanile nello spirito di patriottismo e di operosità» e «la cooperazione nei settori dell’economia, del commercio e degli investimenti tra i due Paesi».
Un’intesa a tutto tondo che sanciva un legame di ferro. E che oggi, ancor più dopo l‘invasione russa dell’Ucraina, fa un certo effetto.
(da Tag43)

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INCREDIBILE: IN 24 ORE SONO SPARITI TUTTI I PUTINIANI D’ITALIA

Febbraio 25th, 2022 Riccardo Fucile

SALVINI NEL 2016 ARRIVÒ A DIRE CHE L’ITALIA DOVEVA USCIRE DALLA NATO E SMETTERE DI PENSARE CHE PUTIN SIA “UNO CHE PUÒ INVADERE UN PAESE DA UN GIORNO ALL’ALTRO” … IERI IL “CAPITONE” È CORSO ALL’AMBASCIATA UCRAINA A PORTARE UN MAZZO DI FIORI E FARSI IL SEGNO DELLA CROCE … DA CONTE A MELONI, DAL GRILLINO DI STEFANO AL GRANDE AMICO BERLUSCONI, I “CONVERTITI” DELL’ULTIMA ORA SONO TANTI

La conversione di Matteo Salvini avviene di buon mattino, alla notizia dell’invasione russa dell’Ucraina. Giuseppe Conte segue a ruota, il tempo di prendere il caffè. E se Silvio Berlusconi – che ha trascorso giorni e settimane dal 2001 tra Villa Certosa e la dacia di Sochi assieme a Vladimir Putin – tace fragorosamente, Giorgia Meloni conferma una volta per tutte la sua scelta di campo atlantista, anche se meno di un anno fa metteva a verbale: «Putin difende i valori europei».
E’ un risveglio ruvido, brusco e amaro quello dei filo-russi d’Italia.
Vedere l’amico di Mosca stracciare il diritto internazionale e invadere l’Ucraina con carri armati, jet, truppe d’assalto, di colpo ribalta antiche certezze.
Come quelle di Salvini che nel 2015, indossando una t-shirt con stampata la faccia del presidente russo, twittava: «Cedo due Mattarella in cambio di mezzo Putin».
Oppure quelle di Conte che nel 2018, agli albori dell’era giallo-verde, nel contratto di governo mise nero su bianco assieme a Luigi Di Maio e a Salvini «l’impegno a rivedere le sanzioni contro la Russia». Per poi dichiarare: «Quelle misure rattristano l’Italia». Acqua passata.
Un feeling sbriciolato (per il momento) dalle bombe russe sull’Ucraina. Il primo a svegliarsi, si diceva, è Salvini.
Ancora il giorno prima il leader leghista si era scagliato contro le sanzioni anti-Putin, ma ora corre a «condannare con fermezza ogni aggressione militare». Un po’ poco. Quelli del Pd se ne accorgono. «Basta ambiguità», tuona Enrico Letta.
Così Salvini ci riprova minacciando di emulare Jan Palach: «E’ la Russia che sgancia i missili, sono loro a essere in torto. E la mia condanna è ferma, senza se e senza ma. Il Pd dice che devo fare di più? Mi dovrò dare fuoco sulla pubblica piazza».
E pur senza parlare di sanzioni, il leghista dichiara: «Bisogna tornare alla pace, costi quel che costi». Letta apprezza. Tanto più che il leghista si presenta, a sera, all’ambasciata ucraina con un mazzo di tulipani bianchi «in segno di solidarietà». Segue segno della croce e breve preghiera davanti alla targa in ottone della sede diplomatica, neanche fosse un’edicola della Madonna.
Poi arriva l’abiura di Conte. Il leader 5Stelle stigmatizza «con fermezza» l’attacco «ingiustificato» dell’Ucraina. E chiede «una risposta ferma, coesa, unitaria dell’Unione europea». Non poco per chi, quattro anni fa, si rattristava per le sanzioni anti-Putin. In più Conte chiama l’ambasciatore ucraino e tutti i leader di partito: «Le forze politiche devono unirsi contro l’aggressione».
Peccato che in una lunga nota dei parlamentari 5Stelle delle commissioni Esteri e Difesa si descriva il disastro provocato «dall’aggressione militare russa», le conseguenze «sull’Europa», ma non si faccia alcun accenno alle misure contro Mosca. Ancora più in imbarazzo l’ex grillino Alessandro Di Battista, che Conte ha ricominciato a frequentare. Il Che Guevara dei poveri, cultore a oltranza di posizioni terziste, cade dal pero: «Non mi aspettavo minimamente la guerra in Ucraina.
L’ho scritto: dubito fortemente che a Putin possa interessare una guerra. Evidentemente così non è stato». Già.
Più facile (ma più costoso) per Matteo Renzi prendere le distanze da Mosca. Prima definisce «inaccettabile l’assurda guerra». Poi, e questa è la sostanza, si dimette dal board della società di car-sharing russa Delimobil.
Come è facile per la Meloni, da oggi negli States per un convegno del partito repubblicano, mettere alle spalle ogni simpatia per Putin: «E’ il tempo delle scelte di campo. L’Occidente sia unito nel sostenere Kiev».
Rumoroso, invece, il silenzio di Berlusconi. Tanto rumoroso da spingere il deputato forzista Elio Vito a invocare «parole nette di condanna» da parte del Cavaliere, in quanto «non ha mai nascosto la sua amicizia con Putin». Invito che Berlusconi, memore delle festose giornate in dacia con il presidente russo, non accoglie.
Si limita a far sapere ai suoi di condannare l’attacco e di mettere le sue «relazioni internazionali al servizio della pace». Ma non rilascia alcuna dichiarazione ufficiale. In più fa filtrare di essere «preoccupato» dei rischi che va incontro anche la Russia.
(da “il Messaggero”)

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RUSSIA ESCLUSA DALL’EUROVISION: TERRA BRUCIATA INTORNO AGLI OLIGARCHI DI MOSCA

Febbraio 25th, 2022 Riccardo Fucile

LA DECISIONE DEGLI ORGANIZZATORI

La Russia sarà esclusa dall’Eurovision. A farlo sapere è la European Broadcasting Union (Ebu), che organizza il festival musicale in programma a maggio. «La decisione riflette la preoccupazione che, alla luce della crisi senza precedenti in Ucraina, l’inclusione di una voce russa nel concorso di quest’anno avrebbe portato discredito alla competizione», si legge in una nota.
Prima della decisione dell’Ebu, era arrivata la presa di posizione contro la Russia del gruppo lettone Citi Zeni, che rappresenterà il Paese baltico all’Eurovision.
In precedenza, l’emittente televisiva nazionale ucraina Nstu aveva avvertito che la partecipazione della Russia all’Eurovision avrebbe costituito «uno strumento di propaganda e di diffusione di disinformazione» nelle mani del Cremlino. La Russia non aveva ancora selezionato un candidato per la competizione. L’Ucraina verrà invece rappresentata dal trio hip-hop Kalush Orchestra, dopo che Alina Pash è stata esclusa dalla competizione per aver falsificato dei documenti riguardanti un suo viaggio in Crimea, proibito dalle regole del “Sanremo Ucraino”.
(da agenZie)

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CHI STA CON VLADIMIR PUTIN: DUE CRIMINALI COME ASSAD E LUKASHENKO

Febbraio 25th, 2022 Riccardo Fucile

DEGNI COMPAGNI DI MERENDE, ASSASSINI DEL LORO POPOLO

La Russia attacca l’Ucraina, ma la sua guerra non provoca solo condanne. Oggi il presidente russo, Vladimir Putin, ringrazia infatti il suo omologo siriano, Bashar al-Assad, per il sostegno manifestato all’operazione che continua a definire per proteggere il Donbass.
Lo rende noto lo stesso Cremlino secondo le principali agenzie russe. «Il presidente siriano ha espresso il suo forte sostegno per l’operazione militare speciale russa volta a proteggere i civili nelle repubbliche del Donbass, condannando le politiche di destabilizzazione attuate dagli Stati Uniti e dalla Nato, che precedentemente hanno seriamente aggravato la situazione anche in Medio Oriente», si legge in una nota.
Il più noto alleato della Russia in questo momento è il leader bielorusso Alexander Lukashenko, al potere nel suo paese da 28 anni e contro cui, negli ultimi tempi, si sono verificate proteste di piazza represse anche con la violenza.
Il paese, ha annunciato quello che viene definito l’ultimo dittatore d’Europa, userà armi nucleari e non solo se il conflitto nei confronti del suo alleato dovesse intensificarsi. Esercitazioni congiunte dei due eserciti hanno segnato la vigilia dell’aggressione russa a Kiev, e i carri armati di Mosca sono entrati in Ucraina anche dal confine con la Bielorussia.
Truppe di Minsk vengono segnalate sul campo, ma Lukashenko inizialmente ha smentito. «Se i nostri rivali e oppositori intraprenderanno passi così stupidi e insensati, dispiegheremo non solo armi nucleari, ma anche supernucleari ed emergenti per proteggere il nostro territorio», minaccia il presidente bielorusso.
Che, isolato a livello di comunità internazionale, ha bisogno di restare sotto l’ala protettiva della Russia e viene visto dai più ormai come un governo fantoccio, con un paese di fatto “satellite” di Mosca.
Armenia, storica alleata di Mosca a tutti i livelli, Kazakistan e Azerbaigian, di fronte alla guerra, al momento risultano essere rimasti in silenzio. Nessun commento dal presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev durante la sua visita a Mosca per parlare con Putin di relazioni bilaterali.
Consegna del silenzio anche in Kazakistan, che fa parte dell’Unione economica eurasiatica (EAEU), un’alleanza politica ed economica – e, perché no, militare, mal vista dall’occidente – tra ex stati dell’Urss proposta per la prima volta da Putin nel 2011 e firmata inizialmente proprio dal Kazakistan insieme a Russia e Bielorussia. A settembre Bashar al-Assad è stato ricevuto a Mosca da Putin: si è trattato del primo incontro in Russia dopo anni e della sua prima visita al di fuori del Paese dopo vari mesi.
Fin dall’inizio la Siria del fedele alleato di Putin in Medio Oriente ha annunciato il riconoscimento dell’indipendenza delle autoproclamate repubbliche di Luhansk e Donetsk. «Questa posizione deriva dalla convinzione che la crisi ucraina sia un problema creato dai paesi occidentali guidati dagli Stati Uniti e con lo scopo di dividere i popoli e minare la sicurezza nazionale russa”, dice la presidenza siriana. Opporsi alle politiche occidentali rappresenta un interesse comune».
(da agenzie)

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CASO OPEN, LA PROCURA DI GENOVA CHIEDE ARCHIVIAZIONE PER I PM DI FIRENZE DENUNCIATI DA RENZI

Febbraio 25th, 2022 Riccardo Fucile

NESSUN ILLECITO NELLE INDAGINI… FINE DEL PIAGNISTEO RENZIANO

La procura di Genova ha iscritto nel registro degli indagati e, allo stesso tempo, ha chiesto l’archiviazione del fascicolo a carico dei pubblici ministeri di Firenze, titolari dell’inchiesta Open.
Si tratta dei magistrati denunciati dal leader di Italia Viva Matteo Renzi dopo che al senatore arrivò la richiesta di rinvio a giudizio a carico suo e di altre dieci persone a causa di presunte irregolarità nei finanziamenti della Fondazione Open, nota per essere stata la “cassaforte” che ha supportato l’ascesa di Renzi da sindaco di Firenze fino al ruolo di premier.
Così hanno deciso i pm genovesi, che avrebbero svolto «un esame molto approfondito della questione» e su tutto il fascicolo, contenente le accuse nei confronti dei pm fiorentini, il procuratore Giuseppe Creazzo, l’aggiunto Luca Turco e il pm Antonino Nastasi.
Per la procura di Genova i magistrati di Firenze non avrebbero commesso alcun illecito penale durante la fase delle indagini sulla fondazione Open.
Il provvedimento di archiviazione è già stato inviato agli interessati e per conoscenza anche a Renzi, che aveva chiesto di essere informato in quanto parte offesa nel procedimento. A questo punto il leader di Italia Viva potrebbe scegliere di opporsi alla richiesta della Procura di Genova per discuterla davanti a un giudice.
(da agenzie)

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LA VOCE DEGLI UCRAINI D’AMERICA, DELUSI DALLA POLITICA USA

Febbraio 25th, 2022 Riccardo Fucile

«LE SANZIONI NON BASTANO, BISOGNAVA FERMARLO PRIMA»

In punta di piedi sullo sgabello, Vitalii aggancia alla vetrina l’ultimo lembo della bandiera ucraina. Un fascio di luce si allunga sulla sala del Veselka, piena di clienti ma avvolta in un silenzio surreale. Una signora sulla sessantina sfoglia il giornale, spiluccando controvoglia il suo holubtsi. All’esterno del ristorante, tra Second Avenue e Ninth Street, un gruppo di ragazzi attende in coda con lo sguardo fisso sui cellulari. «Sapevamo che sarebbe successo, prima o poi. Lo sapevamo tutti, qui», dice Vitalii togliendosi il grembiule, e abbracciando l’isolato tappezzato di bandiere giallo-blu. «Era chiaro che Putin non si sarebbe accontentato della Crimea, e che si sarebbe spinto oltre. Non sapevamo fino a dove, ma il vero problema è che non è stato fatto abbastanza per fermarlo, neanche dagli Stati Uniti»
Vitalii 30 anni, lavora come cameriere a New York, nel cuore dell’Ukrainian Village, o Little Ukraine, nella zona Est di Manhattan. Il quartiere ospita, assieme a Brighton Beach, gran parte dei circa 150 mila cittadini ucraini che attualmente risiedono nella città, la comunità più numerosa in tutti gli Stati Uniti.
I primi cercarono riparo a New York durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, altri arrivarono tra gli anni ’70 e ’80. «Io sono negli Stati Uniti da 10 anni», dice Vitalii, «ma a Kiev c’è il mio cuore, la mia famiglia».
Nella capitale ucraina, ora sotto assedio delle truppe russe, Vitalii ha lasciato i genitori e la nonna. L’ultima volta che è stato a Kiev, a fine gennaio, ha provato a convincerli a seguirlo negli Stati Uniti: «Mi hanno risposto che, finché l’Ucraina non verrà cancellata dalle mappe, non se ne andranno. Quella è casa loro, mi hanno detto. Ma loro sono tutto quello che ho».
Con l’esercito russo ormai alle porte della capitale, Vitalii non sa se riuscirà a tornare: «Non mi interessa combattere, non sarei d’aiuto in alcun modo. Vorrei soltanto stare accanto ai miei genitori. Non posso lasciarli soli, non in un momento come questo», sussurra con la voce rotta. Uno sguardo al cellulare, un altro alla bandiera appesa alla vetrina del ristorante. «Il mio Paese rischia di scomparire e la politica cosa ha fatto? Sì, gli Stati Uniti hanno approvato un pacchetto di sanzioni, ma è troppo poco e troppo tardi».
A pochi passi dal Veselka, fuori dalla St. George Ukrainian Catholic Church, fulcro della comunità cattolica del quartiere, un gruppo di persone parla animatamente. Una ragazza osserva attraverso una vetrina il discorso con cui, poche ore prima, il presidente statunitense Joe Biden ha annunciato le sanzioni contro Mosca.
«Come si può pensare che sia abbastanza? Putin vuole uccidere i nostri figli, i nostri genitori, i nostri amici, e questo è tutto quello che riusciamo a fare?», dice. Svetlana ha 22 anni.
Tra le mani stringe una foto della sua famiglia. Ha perso la madre quando era bambina. Il padre e i due fratelli più piccoli vivono a Mykolaiv, città di 500 mila abitanti a Est di Odessa. «Sono appena stata alla chiesa di St. George a pregare, è la prima volta che lo faccio, ma non mi è rimasto nient’altro a cui aggrapparmi. Dove la politica non è arrivata, spero che possa arrivare la fede».
«La politica statunitense si è mossa troppo lentamente», rincara Andrij Dobriansky, portavoce dello Ukrainian Congress Committee of America (Ucca), organizzazione che rappresenta gli interessi dei cittadini ucraini negli Stati Uniti e che ha sede nel cuore dell’Ukrainian Village.
Nel 2014, durante le prime settimane del conflitto nel Donbass, lo Ukrainian Congress Committee of America si occupò di mandare al fronte forniture mediche ed equipaggiamento per i soldati ucraini, e di garantire cure negli Stati Uniti ai feriti di guerra.
Da tempo, dice Dobriansky, «chiediamo ai membri del Congresso un piano di lungo periodo per tutelare l’Ucraina, e permetterle di difendersi in caso di aggressione». Sforzi che, però, sono rimasti impigliati più volte nelle maglie della trattativa politica tra Democratici e Repubblicani. «Serve un Lend-Lease Program sul modello di quello messo in campo durante la Seconda Guerra Mondiale», dice Dobriansky. Il riferimento è alla legge firmata nel 1941 dall’allora presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt, che permise a Washington – ancora non coinvolta direttamente nel conflitto – di fornire armamenti militari agli alleati e a tutti quei Paesi che fossero «vitali per la sicurezza» degli Stati Uniti.
«C’è una legge che prevede un Lend-Lease Program per l’Ucraina, e per l’Est Europa in generale, ma è stata frenata dai negoziati tra Democratici e Repubblicani», dice Dobriansky. Il testo è stato anche al centro dell’incontro tra il segretario di Stato Antony Blinken e il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, tenutosi il 22 febbraio scorso, due giorni prima dell’invasione russa.
Se la legge fosse stata approvata in tempo, dice Dobriansky, avrebbe permesso agli Stati Uniti di «fornire all’Ucraina le risorse necessarie per schierare un arsenale militare all’altezza anche in città meno presidiate come Odessa o Mariupol».
«È triste vedere come una legge così importante si sia arenata al Congresso», conclude Dobriansky. «Siamo davanti a un disastro. Un Paese intero rischia di essere cancellato dalle mappe. E con Putin che potrebbe rimanere al potere fino al 2036, altri Stati nell’Est Europa potrebbero finire nel mirino di Mosca. Il Congresso non può più tirarsi indietro».
(da Open)

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PUTIN “ORDINA“ ALL’ESERCITO UCRAINO IL GOLPE MILITARE MA NON LO CAGA NESSUNO

Febbraio 25th, 2022 Riccardo Fucile

IL CRIMINALE E’ NERVOSO: DEFINISCE I LEADER UCRAINI ”DROGATI E NEONAZISTI“… E PENSARE CHE ZELENSKY E’ PURE EBREO, ORMAI PUTIN E’ FATTO

Ha etichettato i leader di Kiev come “drogati e neonazisti” e ha esortato i militari ucraini a deporre il Presidente Voldymyr Zelensky e prendere il potere
Così Vladimir Putin, nel corso di un intervento durante una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale russo, ha chiesto ufficialmente il colpo di Stato, un golpe militare, all’esercito ucraino. Parole che arrivano a 36 ore dall’inizio dell’invasione russa, con i carri armati inviati dal Cremlino che sono arrivati nei pressi della capitale.
Parole forti che, dunque, mostrano il vero obiettivo di questa partita – giocata sulla pelle dei cittadini ucraini – del capo del Cremlino:
“Prendete il potere nelle vostre mani. Sarà più facile per noi negoziare con voi che con questa banda di tossicodipendenti e neonazisti che si è stabilita a Kiev e ha preso l’intero popolo ucraino in ostaggio”Esorto l’esercito ucraino a non permettere che civili e individui vengano usati come scudi umani”.
Un golpe militare per sovvertire un governo eletto dal popolo.
Il tutto condito da etichette simbolo di questa guerra che ha confini limitati solo geograficamente. La deposizione di Zelensky, secondo la versione di Putin, servirebbe per aprire una nuova fase di trattativa tra i due Paesi. Una dichiarazione che arriva poche ore dopo quella apertura avanzata dal Kiev per un incontro diplomatico a Minsk, in Bielorussia. Una trattativa che, però, sembra non poter andare in porto.
E nel corso della video-conferenza con i leader dell’Unione Europea, il Presidente dell’Ucraina avrebbe detto: “Questa potrebbe essere l’ultima volta che mi vedete vivo”. Una dichiarazione che poteva apparire esagerata, ma alla luce della richiesta di golpe militare avanzata da Vladimir Putin sembra avere dei contorni molto differenti. Il tutto mentre le truppe russe sono alle porte di Kiev, pronte a entrare nella città per farla capitolare.
(da agenzie)

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IL CARRO ARMATO RUSSO CHE SCHIACCIA DELIBERATAMENTE UN’AUTO CIVILE CHE PASSAVA NELLA CORSIA OPPOSTA

Febbraio 25th, 2022 Riccardo Fucile

L’UOMO E’ STATO MIRACOLOSAMENTE ESTRATTO VIVO DALLE LAMIERE

Le milizie russe sono a pochi chilometri da Kiev: lo testimoniano alcune immagini che circolano su Twitter registrati sulle strade della periferia della capitale, a Obolon. Un video mostra un carro armato russo che svolta bruscamente verso un’auto civile che si trovava a passargli affianco e schiacciarla.
Del filmato esistono diverse versioni, da diverse angolature, che ne confermano l’autenticità.
Su Twitter l’international editor di ZN.UA Alexander Khrebet ha ripostato le immagini, e la stessa cosa ha fatto il giornalista Andreï Vaitovich.
La persona alla guida, un uomo anziano, è stato miracolosamente estratto vivo dalle lamiere dall’azione coordinata di alcuni soccorritori.
(da agenzie)

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L’UCRAINA CELEBRA I SUOI EROI

Febbraio 25th, 2022 Riccardo Fucile

I TREDICI SOLDATI CHE NON SI SONO ARRESI E HANNO AFFRONTATO LA MORTE INSULTANDO I RUSSI E IL GENIERE CHE SI E’ FATTO SALTARE INSIEME AL PONTE

Le tredici guardie di frontiera dell’Isola dei Serpenti che mandano “affanculo” la nave da guerra russa con l’artigliera puntata addosso. Il geniere Vitaliy che da solo va a far saltare un ponte strategico, e partendo dà l’addio ai compagni.
L’Ucraina comincia a celebrare i suoi eroi, militari caduti in scontri a forze impari, i cui ultimi momenti sono documentati sui social media, a volte dalle stesse vittime.
La resistenza impossibile dell’Isola dei Serpenti (Zmiinyi in ucraino) è già diventata la prima piccola epopea dell’aggressione all’Ucraina.
Tredici soldati di guardia a questo lembo di territorio nel mar Nero, poche centinaia di metri di prati e un faro a 45 chilometri dalla costa della Romania, strategico per le vie marittime verso Odessa e verso i Balcani.
Un avamposto che ha sempre avuto la sua importanza (se l’erano già contesa russi e turchi a fine Settecento in quella che prese il nome di battaglia di Fidonisi), tanto che nell’agosto scorso il presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy era venuto sull’isola a garantire: “Come il resto del nostro territorio, questa è terra ucraina, e la difenderemo con tutte le nostre forze”.
Intorno alle 5 del pomeriggio di giovedì 24 febbraio, primo giorno di attacco russo all’Ucraina, le guardie di frontiera di stanza sull’isola danno il primo allarme: l’incrociatore Movska e il pattugliatore Vasily Bykov sono davanti alle coste.
Lo scambio tra i soldati ucraini e i russi sarebbe contenuto in un audio pubblicato dal sito ucraino Ukrayinska Pravda: “Gettate le armi e arrendetevi, evitate un massacro”, dicono dalla nave. Una voce di uomo, in ucraino: “Ma vaffa…”. Una voce di donna ripete la stessa cosa. Poi l’uomo prende il microfono: “Nave russa, vaffanculo”. Una frase che sui siti e nei canali social ucraini, e non solo, sta già diventando il grido di battaglia contro l’aggressione russa.
Alle nove di sera, i contatti con l’avamposto in mezzo al mare vengono interrotti. Subito dopo, le autorità ucraine comunicano che l’isola è caduta in mano russa, dopo un bombardamento dall’aria e dal mare. Tutti e tredici i soldati ucraini sono stati uccisi. Le immagini del primo attacco escono dall’account Instagram di una delle vittime, Vlad Zadorin, 23 anni. Poco più di un boato e un urlo.
Zelenskiy ha confermato la caduta degli uomini e donne a guardia di Zmiinyi in un messaggio su Telegram: “Tutti i difensori dell’Isola dei serpenti sono morti, ma non si sono arresi”. E ha annunciato che gli verrà conferita l’onorificenza di “eroi dell’Ucraina”.
Eroe solitario sta diventando anche il giovanissimo geniere ucraino Vitaliy Volodymyrovich Skakun.
Di fronte all’avanzata dei mezzi pesanti russi in Crimea, il ponte camionabile sul lago Henichesk rischiava di diventare un cruciale anello di congiunzione tra truppe di terra e marina russa. La decisione di farlo saltare è arrivata alle otto di sera.
A quanto dicono le autorità militari ucraine, il soldato Skaku si è offerto volontario ed è partito in auto. Ha comunicato via radio di aver compiuto la missione, ma di non riuscire a far detonare a distanza gli esplosivi, e che lo avrebbe fatto manualmente. Subito dopo si è udita l’esplosione.
L’esercito gli conferirà un’onorificenza, promette il comando generale su Facebook e la viceministra degli Esteri Emine Dzheppar ne celebra l’”impresa eroica” a “eterna memoria”.
(da agenzie)

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