Destra di Popolo.net

STUPRATA E TORTURATA DAI SOLDATI RUSSI A IZYUM, IL DRAMMATICO RACCONTO AL WASHINGTON POST DI ALLA, 52 ANNI

Ottobre 10th, 2022 Riccardo Fucile

QUESTA E’ LA FOGNA DELL’ESERCITO RUSSO, NESSUNA PIETA’ PER QUESTI CRIMINALI

È stata stuprata e torturata con uno shock elettrico Alla, 52enne cittadina di Izyum, nella regione di Kharkiv, a Nord-Est dell’Ucraina, da poco liberata dal controllo delle forze russe che hanno lasciato dietro di sé, dopo sei mesi di occupazione, morte e distruzione.
È stata lei stessa a raccontare la sua storia al Washington Post. Dopo essere stata vittima della violenza dei soldati russi, con un chiodo ha inciso il suo nome sul muro del capannone dove era stata tenuta prigioniera e altre tre parole: “Shock elettrico, spogliarsi, doloroso”.
“Pensavo che se mio figlio mi avesse cercato, avrebbe potuto trovare queste scritte e capire che ero lì e che lì ero morta”, ha spiegato.
Alla è stata torturata, violentata e picchiata dallo scorso luglio. I soldati russi l’avevano rapita per avere informazioni su suo figlio, che lavora per il servizio di sicurezza interna dell’Ucraina, la SBU. Anche suo marito ha subito lo stesso trattamento.
Secondo il suo racconto, dopo essere sopravvissuta a pesanti bombardamenti, Alla ha attraversato un ponte pedonale sul fiume che passa per Izyum per controllare l’appartamento vuoto di suo figlio vicino al centro della città. Era lo scorso mese di marzo.
I vicini di casa di suo figlio le dissero che i russi avevano visitato l’edificio, che avevano chiesto di lui e perquisito il suo appartamento. Gli uomini “hanno iniziato a portare fuori tutto”, ha ricordato, compresa la sua macchina per il caffè, la televisione e la lavatrice. Temendo che tutti i suoi averi venissero saccheggiati, trasferì gli oggetti di valore rimasti a casa di un amico nelle vicinanze.
In quello stesso mese, le forze russe cominciarono a visitare lei e suo marito a casa loro, interrogandoli per sapere se il loro figlio si nascondesse a Izyum e insistendo sul fatto che avrebbe dovuto collaborare con la Russia. Alla, per altro, lavorava per l’azienda del gas di Kharkiv, per cui più volte i russi le hanno intimato di tornare a lavoro.
Ma il vero e proprio calvario per lei è cominciato a inizio luglio quando una decina di uomini armati, arrivati fuori casa sua con due auto segnate con il simbolo “Z”, l’hanno portata via con la forza.
Le hanno coperto gli occhi, le hanno legato le mani e hanno messo lei e suo marito nel bagagliaio di una delle due vetture. “Non uscirete vivi di qui”, le hanno detto. “O accettate le nostre regole e riconoscete che vivete in ​​Russia o sparirete per sempre. Nessuno vi troverà mai”.
Alla si è ritrovata poco dopo all’interno di un capannone buio, inconsapevole che quella sarebbe diventata la sua prigione, visitata solo da un commando di sei uomini.
“Mi hanno spogliato con forza, mi hanno messo sul tavolo e hanno iniziato a toccarmi, ovunque”, ha aggiunto Alla, che ha continuato: “Ridevano mentre mi palpeggiavano. Mi dicevano: Sai cosa facciamo con le donne ucraine e le madri degli ufficiali dei servizi di sicurezza ucraini? Li leghiamo nudi sulla piazza principale e mandiamo loro foto ai loro figli in modo che vedano cosa possiamo fare ai loro genitori”.
Per tre giorni, il leader del gruppo l’ha costretta ad avere rapporti sessuali con lui mentre tenevano il marito in ostaggio in un garage vicino.
Alla ha detto che poteva sentirlo gridare mentre le truppe lo picchiavano, e ha sentito il comandante dirgli “che mi ha violentato e che ci siamo divertiti entrambi”.
“Ero determinata a suicidarmi. C’erano dei chiodi all’interno del fienile e avevo un reggiseno, quindi ho pensato di impiccarmi”, ha detto ancora Alla. “Ma non ha funzionato. Ho iniziato a piangere. Mi hanno sentito piangere, sono tornati e hanno ricominciato a molestarmi”. A settembre ha infine ritrovato la liberà.
(da Fanpage)

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BERLUSCONI IRRITATO CON LA MELONI: “E’ STATA ARROGANTE CON NOI”

Ottobre 10th, 2022 Riccardo Fucile

“FORZA ITALIA RESTA DECISIVA, E’ BENE CHE NON LO DIMENTICHI, SENZA DI NOI LA MELONI NON VA DA NESSUNA PARTE”

Quando si è chiusa la porta della villa di Arcore e Giorgia Meloni è andata via, sabato pomeriggio, Berlusconi a stento ha trattenuto la rabbia. Poi ha sibilato un aggettivo che spiega più di tante altre parole com’è andato veramente l’incontro: «Arrogante, è stata arrogante».
Sino a qualche giorno fa la difficoltà più grande, dentro la maggioranza, si manifestava nel rapporto fra la premier in pectore e la Lega, in primo luogo per il tipo di ambizioni governative coltivate da Matteo Salvini. In queste ore invece è scoppiato il caso Licia Ronzulli, fedelissima del Cavaliere con aspirazioni, anch’esse governative, che divergono, e non poco, dagli obiettivi di Giorgia Meloni.
Un piccolo riassunto può aiutare il lettore ad orientarsi: Ronzulli, ex infermiera, già europarlamentare, negli anni è diventata una sorta di ombra politica del Cavaliere. Poco si muove, ad Arcore, che lei non controlli. In molti le riconoscono doti politiche, in tanti la dipingono disinvolta e con aspirazioni senza limiti. Amici e nemici.
Il problema è che queste dinamiche hanno ormai toccato anche la figura di Antonio Tajani: considerato in modo naturale il futuro capodelegazione di Forza Italia nel governo, da alcuni giorni non è più certo di poter centrare l’obiettivo.
Ma il nodo più delicato riguarda la caratura del ministero che verrà affidato a Ronzulli. Berlusconi finora ha fatto due nomi, due punti fermi delle sue richieste: Tajani e Ronzulli. E considera pari le due candidature.
Per Giorgia Meloni invece fra l’ex presidente del Parlamento europeo e il resto dei nomi che ha in testa il Cavaliere c’è una considerevole distanza. Tanto che Tajani è ancora candidato ad andare agli Esteri, o in un ministero di prima fascia, mentre sul ministero della Salute, che «il presidente voleva per Licia — raccontano dentro il partito — non ci sono più margini, ormai è acclarato che non andrà a noi».
Il quadro appena fatto, pure se appena abbozzato, chiarisce anche la reazione di queste ore dell’ex premier. Se Meloni ha avuto un atteggiamento «arrogante», c’è da aggiungere che «Forza Italia resta decisiva, è bene che non lo dimentichi nessuno, perché senza di noi non si va da nessuna parte».
Ragionamenti che Berlusconi fa con il suo staff, rimarcando che sui ministri non è «disposto a fare marcia indietro, visto che sono di altissimo livello».
Aggiunge, il Cavaliere, che «il mio non è un ricatto», ma è anche vero che i nomi che vengono considerati intoccabili sono appunto solo due: Tajani e Ronzulli.
Sugli altri esponenti azzurri che entreranno nel governo le cose si chiariranno meglio quando la presidente di FdI avrà scoperto le sue carte indicando con esattezza quali altri posti ritiene disponibili per gli azzurri. Nella lista che avrebbe in testa Berlusconi finora sono circolati anche i nomi di Anna Maria Bernini, Alessandro Cattaneo e Paolo Sisto, ma molto dipenderà da come verrà risolta la vicenda più spinosa e poi dai posti realmente contendibili nell’esecutivo.
In ogni caso al momento quello che si è registrato dopo la visita di Meloni ad Arcore, la seconda nel giro di pochi giorni, è un vero e proprio cortocircuito. Ad un livello di tensione tale che Ronzulli avrebbe suggerito a Berlusconi di chiedere per sé stesso, e non per Tajani, il posto di ministro degli Esteri, ipotesi che può essere contemplata solo su un piano di irrealtà.
Così come la minacciosa reazione che lo stesso Cavaliere ha avuto di fronte alla rigidità di Meloni: «Allora, se non ci vieni incontro, chiederemo per noi il ministero dell’Economia o il Mise». Anche in questo caso parole e ipotesi dettate da una dialettica che è temporaneamente andata fuori binario.
Insomma la situazione appare bloccata. Con Berlusconi pronto a dire in pubblico che «fra alleati non possono esistere veti o pregiudiziali» e che la sua è tutto fuorché una posizione «ricattatoria», ma l’atteggiamento di un partner determinante negli assetti di governo.
Ma se lui le ha dato dell’arrogante, sembra che Meloni, durante la visita ad Arcore, abbia invece chiarito che lei, a proposito di concetti e interpretazioni, non accetta ricatti. Vuole un governo di alto profilo e competenze e, secondo la futura premier, in questi criteri non sembra rientrare la Ronzulli per ottenere un ministero di peso.
(da il Corriere della Sera)

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INTERVISTA AL PROF. ROBERTO ESPOSITO DELLA NORMALE DI PISA: “NON C’E’ ALCUNA SVOLTA MODERATA NELLA MELONI”

Ottobre 10th, 2022 Riccardo Fucile

“PERICOLOSA SUL PIANO DEI VALORI, REGRESSIVA SU QUELLO DEI DIRITTI, INADEGUATA NELLA VISIONE DELLA SOCIETA'”

Filosofo della politica, professore ordinario alla Normale di Pisa, Roberto Esposito è senza dubbio tra i più rilevanti pensatori italiani.
È anche il più deciso a ritenere Giorgia Meloni – “per quanto si sforzi di apparire moderata – pericolosa, regressiva e inadeguata”. “Pericolosa sul piano dei valori, regressiva su quello dei diritti, inadeguata nella visione della società”.
Professore, la politica non riesce nemmeno a far suo il linguaggio che gli italiani utilizzano quando si ritrovano a pranzo e a cena. Perché?
Perché da tempo la politica si è chiusa in un circuito auto-riproduttivo, impermeabile alle richieste, sempre più disperate, che vengono dalla società. Per poterle ascoltare bisognerebbe ripristinare l’insediamento territoriale che da tempo è venuto meno. Quello che conta, per i partiti, è l’equilibrio di potere interno ai gruppi dirigenti. Ad ogni tornata elettorale si promette un cambiamento, ma poi la logica spartitoria torna a prevalere. Ciò crea un’afasia generale in entrambe le direzioni. Sia dalla politica verso la società, sia dalla società verso la politica. A parlare restano solo i media, quasi sempre anch’essi in modo autoreferenziale.
Guerra, carestia, pestilenza. Viviamo dentro tre enormi crisi sovrapposte e coincidenti. Teme che lo stato di emergenza, quando dura troppo, corroda il sistema immunitario della democrazia?
Guerra, pandemia, carestia… Oggi siamo di fronte a delle “catastrofi”, termine che indica un mutamento radicale di stato. È evidente che i processi di immunizzazione, oltre una determinata soglia, creino un rischio maggiore di quello da cui volevano proteggere, determinando malattie autoimmuni nel corpo sociale.
E il fatto che in questo tempo, così drammatico, al governo per la prima volta dal dopoguerra sia la destra è un problema in più, un pericolo in più? È preoccupato della Meloni premier?
Meloni, sul piano personale, appare più seria, onesta e affidabile dei suoi alleati, impresentabili da molti punti di vista. Ma politicamente più pericolosa perché portatrice di una visione regressiva della società sul piano dei valori. Per quanto si sforziN di apparire moderata, resta che i suoi modelli continuano ad essere quelli di Orban e della destra repubblicana di Trump. Sul piano dei diritti, e in genere della società, le sue idee sono inadeguate, non in sintonia con il mondo contemporaneo.
Secondo lei perché Giorgia Meloni risponde sempre con apparente fastidio all’eredità fascista, al sentimento fascista?
Non può rompere col suo mondo di provenienza. Forse, essendo una donna intelligente, adesso vorrebbe farlo, ma non può. C’è però anche un altro motivo a trattenerla. Quei sentimenti che trovano nella cultura fascista un riferimento sono più diffusi di quanto si creda. Questo spiega l’interesse diffuso, quasi la fascinazione, che i simboli fascisti destano in tanti. Il fascismo è ancora parte di noi – intendo di ciascuno di noi. Abita la parte oscura e perversa del nostro desiderio.
Lei è uomo del sud . Teme che lo scambio presidenzialismo (che sta a cuore a Meloni) con autonomia differenziata (il primo impegno leghista) sarà un grande guaio per l’Italia?
Sì. È uno scambio politico assai rischioso, anche perché in sé contraddittorio. Come tenere insieme centralismo presidenziale e separatismo? I loro difetti si sommerebbero. Per non parlare delle conseguenze per il Meridione, già gravemente isolato dal resto del Paese e dell’Europa. Bisognerebbe andare nella direzione opposta: rafforzare sia il parlamentarismo che il centralismo, riducendo i poteri delle Regioni rispetto a quelli dello Stato.
Posso chiederle che giudizio dà del Pd?
È a forte rischio di estinzione, se non compie un mutamento radicale. Dovrebbe capire che non può ridursi a un ruolo di garanzia istituzionale. Deve rappresentare, con assai maggior forza, una parte della società, non tutta. Partito – se partito vuol continuare ad essere – viene da “parte”. Non si può essere di sinistra, come ancora il Pd si definisce, senza schierarsi per i ceti più fragili, senza abbandonare quelli medi, mettendo mano a un diverso modello di sviluppo e di ridistribuzione delle risorse. Non può essere il partito dei garantiti. Deve scegliere e schierarsi. A loro modo, magari in modo inadeguato, Conte e Calenda lo hanno fatto, individuando un segmento preciso del corpo sociale, che, sentendosi rappresentato, li ha seguiti.
(da il Fatto Quotidiano)

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IN RUSSIA E’ TUTTI CONTRO TUTTI, MA AL CREMLINO NESSUNO E’ CONTRO PUTIN

Ottobre 10th, 2022 Riccardo Fucile

NESSUN GOLPE NE’ OPERAZIONE SUCCESSIONE, SOLO LOTTE INTERNE ALL’ELITE CRIMINALE PER AVERE I FAVORI DEL CAPO MAFIOSO… LA POPOLAZIONE INIZIA A CRITICARE PUTIN, FORSE QUANDO PIOVERANNO BOMBE SU MOSCA CAPIRANNO QUALCOSA

Niente di nuovo sul fronte interno. A Mosca è stato un normale fine settimana di inizio autunno. Temperatura piacevole. Chi non è andato alla dacia, la casetta fuori città dove i russi amano coltivare cetrioli, frutta e patate, magari ha fatto una passeggiata in centro.
Che non era bloccato dalla polizia né invaso dalla divisione Dzerzhynsky, l’unità di intervento rapido (Odon) della Rosvgvardiya, i pretoriani di Vladimir Putin. Le notizie in merito, diffuse sui social da testate e profili ucraini che citavano i servizi segreti di Kyiv, erano false.
Se mai ci sono stati arresti tra gli alti ranghi dell’esercito, sono stati eseguiti in segreto. Non certo nel corso delle operazioni vistose tipiche dei golpe o dei contro-golpe.
Nessuno tocchi lo zar
“Non c’è alcuna azione in corso contro Putin”, dice a Fanpage.it l’analista politico russo Anton Barbashin, direttore editoriale del think tank Riddle. “Nulla è cambiato. Il presidente per il momento non viene criticato. Nemmeno dai falchi della propaganda. Che stigmatizzano l’andamento disastroso della guerra in Ucraina ma danno la colpa al ministro della Difesa e ai generali”.
Nessuna indicazione, al momento, che si stia preparando un cambio al vertice. “Non si è messa in moto una ‘operazione successore’”, spiega invece il sociologo e filosofo politico Greg Yudin, docente alla Scuola di scienze economiche e sociali di Mosca (Msses, meglio conosciuta come Shaninka). “È vero che ci sono lotte interne nelle élite, ma non vedo una svolta radicale che possa mettere a rischio il presidente. Anzi, si combatte per ottenerne ancora favori”.
“Si tratta di acquisire ulteriori azioni nel mercato esistente”, spiega Barbashin. Sono soprattutto il leader ceceno Ramzan Kadyrov e il businessman Yevgeny Prigozhyn a darsi da fare e ad alzare la posta. Possono permetterselo perché entrambi hanno un esercito privato: Prigozhyn i mercenari della Wagner e Kadyrov la sua guardia personale, i Kadyrovtsy del 141° Reggimento speciale motorizzato.
Sì, la Russia di Putin è anche questo: gli amici dello zar possono mantenere loro eserciti. Chi ancora si illude che il regime di Mosca sia accettabile farebbe bene a tenerlo presente. Entrambi i signori della guerra alla corte dello zar sperano di metter loro uomini al vertice del ministero della Difesa e delle forze armate per poter curare meglio i loro affari nell’impero, Ucraina compresa.
“Capisco sia difficile da credere, ma in Russia — nelle élite e non solo — sono in parecchi a considerare eterni Putin e il suo regime”, sottolinea Yudin a Fanpage.it. “Non riescono a immaginare un mondo senza Putin. Per questo la minaccia nucleare è da prendersi maledettamente sul serio”, è il suo raggelante commento. “Un mondo senza Putin non avrebbe senso, pensano in molti al Cremlino e nel Paese”.
(da Fanpage)

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“I GOVERNI PASSANO, L’ITALIA RESTA”: LA FOTO D’ADDIO DELL’ESECUTIVO DRAGHI SULLO SCALONE DI PALAZZO CHIGI

Ottobre 10th, 2022 Riccardo Fucile

DRAGHI HA FATTO CAPIRE QUANTA PAZIENZA ABBIA AVUTO PER RESISTERE AI VETI E AI RICATTI DEI PARTITI, FINO AL GIORNO IN CUI LO HANNO BUTTATO GIÙ E HA INVITATO I MINISTRI A ESSERE “ORGOGLIOSI DEI RISULTATI E DEI PROGETTI CHE AVETE AVVIATO”

«I governi passano, l’Italia resta». Così Mario Draghi alla sua squadra nel giorno del Consiglio dei ministri che segna l’addio, con tanto di brindisi, al governo di unità nazionale: «Mantenerla, come avete fatto per molti mesi, richiede maturità, senso dello Stato e anche un bel po’ di pazienza».
Nessuna recriminazione o polemica, ma Draghi fa capire quanta ne ha avuta lui di pazienza a resistere ai veti e ai ricatti dei partiti, fino al giorno in cui lo hanno buttato giù.
La foto simbolo, scattata sullo scalone di Palazzo Chigi, vede il presidente uscente sorridente in prima fila al centro dell’immagine, con Brunetta alla sua sinistra e la ministra Messa a destra.
Giorgetti è in ultima fila, sorridono tutti, tranne Patuanelli che appare serioso. Il passaggio di consegne al futuro governo guidato da Giorgia Meloni si avvicina e Draghi ha tracciato un bilancio dei (quasi) venti mesi di governo.
Ha invitato i ministri a essere orgogliosi dei risultati che avete raggiunto, dei progetti che avete avviato e che altri sapranno completare». Quindi ha rilanciato la richiesta di agevolare «una transizione ordinata, che permetta a chi verrà di mettersi al lavoro da subito».
(da agenzie)

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TOTOMINISTRI, NON POSSONO ENTRARE TROPPI SENATORI, PER NON CORRERE RISCHI CON I NUMERI

Ottobre 10th, 2022 Riccardo Fucile

IL MARGINE E’ DI 30 SENATORI

Prima delle ambizioni ministeriali e degli incarichi di sottosegretario, i partiti di governo hanno bisogno di garantire in Aula la presenza di quasi tutti gli eletti a Palazzo Madama: la forbice è di soli 30 senatori in più rispetto alle opposizioni, e tra impegni istituzionali, missioni e malattie, non tutti i provvedimenti saranno approvati agevolmente
Ci sono i nomi degli esponenti più in vista e quelli che, per molti, suonano come una novità assoluta. In queste settimane di cosiddetti totoministri, sui giornali e nei dibattiti pubblici, i tentativi di anticipare la formazione che schiererà il probabile governo Meloni hanno spesso dimenticato il fattore taglio parlamentari.
Come funziona per il Fantacalcio, anche nei “fantaesecutivi” bisognerebbe tenere conto di trasferimenti e infortuni: con la riduzione degli scranni a Palazzo Madama, la forbice tra maggioranza e opposizione, inevitabilmente, si è ristretta. E immaginare di impegnare troppi senatori in ruoli ministeriali o di sottogoverno, allontanandoli dalla quotidianità dell’Aula, rischierebbe di far mancare i numeri al centrodestra quando dovranno essere approvati i provvedimenti. Trenta è il numero da tenere in considerazione.
La soglia della maggioranza assoluta, fissata a 101 senatori su 200, deve fare i conti con una coalizione di centrodestra che ha fatto eleggere trenta senatori in più delle opposizioni.
Il margine si ridurrebbe ulteriormente se, per qualche votazione particolarmente sentita, si presentassero a Palazzo Madama anche i sei senatori a vita. Prima ancora della scelta dei ministri, la norma vuole che si eleggano i presidenti delle Camere. Cade giovedì 13 settembre la prima tappa che definirà equilibri della maggioranza e successiva composizione del governo. Perché, tramontata l’ipotesi Pier Ferdinando Casini per presiedere il Senato – ipotesi sondata, ma rifiutata con vigore da Lega e Forza Italia – bisognerà togliere dagli “scranni votanti” un senatore della maggioranza, per eleggerlo a seconda carica dello Stato.
La presidenza di Palazzo Madama e l’assenteismo
Ignazio La Russa, Roberto Calderoli e Anna Maria Bernini i più quotati. Se uno tra loro, o comunque un altro senatore della coalizione di centrodestra sarà eletto presidente del Senato, il margine della maggioranza a Palazzo Madama scenderà a 29. Meno uno.
E c’è ancora un’altra questione che precede quella delle nomine a ministri e sottosegretari. Non tutti i senatori eletti garantiranno la propria presenza costante, a Roma, nel corso delle settimane parlamentari.
È un’eventualità, certo, ma è considerato da tutti molto probabile che Silvio Berlusconi non sarà a Palazzo Madama ogni settimana. C’è chi sostiene che, tra gli altri senatori eletti nel centrodestra, anche Claudio Lotito non sarà un campione di presenze, a causa di impedimenti legati alle sue attività imprenditoriali. E la cinta che divide numericamente maggioranza e opposizione continua ad assottigliarsi.
Arriva poi lo scoglio più difficile, ovvero la lista di ministri da consegnare al Quirinale. Le ambizioni, latenti o manifeste, sono tante tra gli eletti a Palazzo Madama. Ci sono big di partito, ex ministri e cariche dello Stato di prim’ordine.
Nel tritacarne dei totoministri sono sbucati anche nomi di senatori alla prima elezione. Ma tutti sono accomunati dalla stessa delizia che, alla soglia dell’investitura del nuovo esecutivo, si fa croce: essere stati eletti in un Palazzo Madama striminzito rispetto a quello che, nelle scorse legislature, accoglieva il doppio dei colleghi.
È controintuitivo, ma nelle prime fasi della XIX legislatura i deputati della maggioranza sono più avvantaggiati dei compagni di partito finiti al Senato. O, per meglio dire, gli eletti alla Camera possono certamente permettersi qualche aspirazione in più.
Almeno venti i senatori papabili per un ministero, troppi
Alcuni tra i senatori più accreditati dai giornali per ricevere incarichi di governo sono i seguenti: Alberto Barachini, Elisabetta Casellati, Anna Maria Bernini, Licia Ronzulli e Francesco Paolo Sisto per Forza Italia, Giulia Bongiorno, Lucia Borgonzoni, Massimo Garavaglia, Gian Marco Centinaio, Roberto Calderoli, Massimiliano Romeo, Matteo Salvini ed Erika Stefani per la Lega, e Giovanbattista Fazzolari, Ignazio La Russa, Lavinia Mennuni, Marcello Pera, Isabella Rauti, Daniela Santanchè e Giulio Terzi di Sant’Agata per Fratelli d’Italia. Almeno venti papabili, la maggior parte dei quali non sarà promossa a ministro. Il paradosso non è la scarsità di ruoli da assegnare, ma la necessità di non lasciare sguarniti i seggi a Palazzo Madama.
Si dovrà fare ricorso principalmente ai deputati anche per gli incarichi da sottosegretario e le altre nomine che seguiranno quelle nei dicasteri. Se Giorgia Meloni invoca la presenza di tecnici nel suo esecutivo, uno dei motivi è anche questo: smorzare le velleità dei senatori che, da eletti nelle liste, dovranno garantire prima di tutto la stabilità della maggioranza.
La quota tecnica, comunque, dovrebbe essere ricavata dai ministeri che spetteranno al suo partito. A Lega e Forza Italia, invece, pare siano stati promessi cinque dicasteri ciascuno, mentre continuano a moltiplicarsi i totoministri che, come le probabili formazioni della vigilia, stanno diventando più simili alla Fantapolitica che alla politica vera.
(da agenzie)

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MANTOVA, I CONSIGLIERI DELLA LEGA CHIEDONO LO SCIOGLIMENTO DELLA COMMISSIONE PARI OPPORTUNITA’ PERCHE’ “DISCRIMINA GLI UOMINI”

Ottobre 10th, 2022 Riccardo Fucile

LE DONNE CHE VOTANO LEGA SARANNO CONTENTE DI AVERE COME RAPPRESENTANTI SOGGETTI DEL GENERE… AVANTI COSI’, CHE IL 4% SI AVVICINA

I consiglieri comunali della Lega hanno chiesto lo scioglimento della Commissione pari opportunità perché ritenuta discriminatoria.
Succede a Suzzara, in provincia di Mantova dove gli esponenti locali del Carroccio hanno presentato una mozione ad hoc per «manifesta incostituzionalità e violazione della Dichiarazione universale dei diritti umani».
I firmatari sono i consiglieri Guido Andrea Zanini e Paolo Gadioli, riferisce Repubblica, secondo i quali è scorretto che il regolamento per l’istituzione della Commissione stessa preveda che le donne elette in Consiglio comunale ne entrino di diritto, mentre gli uomini no.
Inoltre, puntano il dito anche contro la seconda per cui tra i membri nominati dal sindaco è previsto che vi sia una donna dipendente del Comune e non – scrivono nella mozione – «un individuo dipendente del Comune, senza distinzione di sesso». «È una palese discriminazione. Il problema che noi poniamo è relativo ai diritti», denuncia Zanini.
Non è d’accordo l’assessora delegata alle Pari opportunità Arianna Mari: «Credo sia evidente che difendere i diritti delle donne non significa negare o sminuire quelli degli uomini», premette. Poi spiega: «La commissione è composta da una ventina di persone, tra cui anche due uomini, e chiunque può fare richiesta di entrarvi, se interessato ai temi che vengono trattati».
L’ingresso in commissione passa infatti attraverso un bando in cui ci si può candidare, per poi essere esaminati dal sindaco, dall’assessora alle Pari opportunità, da un consigliere espresso dai gruppi di maggioranza e da un consigliere espresso dai gruppi di minoranza. L’assessora Mari ci ha tenuto poi a sottolineare che la Commissione venne istituita nel 2012 proprio con l’intento di garantire maggiori opportunità alle donne. Un’operazione che però sembra non piacere alla Lega che ribadisce: «Sia lo statuto del Comune di Suzzara sia la Costituzione, che sancisce l’uguaglianza e la pari dignità sociale di tutti i cittadini, senza distinzione di sesso».
Un’uscita questa che, come la mozione, secondo l’assessora alle pari opportunità «dimostra che c’è ancora molta strada da fare sul tema della rappresentanza femminile negli organi politici e amministrativi».
(da agenzie)

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SEQUESTRATI 344.000 EURO ALL’EX DI FORZA ITALIA PAOLO ROMANI

Ottobre 10th, 2022 Riccardo Fucile

I PM: “SOLDI SOTTRATTI ALLE CASSE DEL PARTITO”

La procura di Monza ha sequestrato oltre 344 mila euro al senatore di Italia al Centro Paolo Romani, indagato per peculato. Ex esponente di spicco di Forza Italia, è accusato di aver sottratto la somma sequestrata dalle casse del partito, tra l’aprile del 2015 e il febbraio 2018.
Secondo quanto ricostruito dalla procura diretta da Claudio Gittardi, avendo accesso al conto corrente di Palazzo Madama intestato al gruppo parlamentare di Fi, alimentato con somme provenienti dalla dotazione del Senato per il finanziamento pubblico dei gruppi parlamentari relativo alla XVI legislatura, Romani si sarebbe prima appropriato di 83mila euro, prelevati con quattro assegni e versati sul conto personale.
Un presunto illecito che avrebbe ripetuto altre due volte: in un caso la somma contestata è 180.500 euro, versati all’imprenditore (anche lui indagato) Domenico Pedico (15mila euro) e 165.500 a favore della Cartongraf D&K srl, riferibile allo stesso imprenditore, «con successiva quasi integrale ed immediata restituzione dei relativi importi a Romani». Inoltre, il senatore, sempre secondo l’accusa, avrebbe intascato altri 95 mila euro «corrispondendoli – si legge nel capo d’accusa – a molteplici soggetti per finalità estranee a quelle indicate nel regolamento del Senato mediante assegni emessi in relazione ad interessi personali».
Il sequestro, eseguito dal Nucleo speciale di polizia valutaria della GdF di Milano, ha interessato denaro versato su due conti correnti e un appartamento a Cusano Milanino, alle porte di Milano.
La difesa del senatore, che ha sempre respinto le accuse, in una memoria depositata in procura in occasione del suo interrogatorio, aveva spiegato i movimenti con la sua «assoluta buonafede», per aver dovuto anticipare spese a seguito del Patto del Nazareno, del 2013.
(da agenzie)

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IL GENERALE RUSSO SERGEI SUROVIKIN È STATO NOMINATO CAPO DELLE OPERAZIONI MILITARI: IL CURRICULUM DEL 55ENNE È COSTELLATO DI VIOLENZA E ACCUSE DI CORRUZIONE

Ottobre 10th, 2022 Riccardo Fucile

NEL 1991 LANCIÒ I BLINDATI CONTRO I DIMOSTRANTI PRO-DEMOCRAZIA ED È STATO UNO DEI COMANDANTI DELL’ESERCITO RUSSO IN SIRIA: UN ALTRO CRIMINALE, PER CAPIRCI

Il generale Sergei Surovikin ha collezionato medaglie e può fregiarsi di altri due onori: l’approvazione del dittatore ceceno Ramzan Kadyrov e del capo della compagnia Wagner, Yevgeny Prigozhin. La coppia di ferro ha apprezzato la sua nomina a comandante supremo delle operazioni in Ucraina.
Il nuovo «condottiero» è stato preceduto dalla sua fama di falco fin dai primi passi della sua carriera. Le cronache ricordano come abbia fatto sparare sui dimostranti pro-democrazia nel 1991, è poi finito nei guai per una storia di corruzione, si è distinto nel conflitto ceceno ed ha lasciato il segno della ferocia guidando le truppe in Siria dove agiva in tandem con i mercenari di Prigozhin.
Il passaggio sulla via di Damasco, nel 2017, gli ha permesso di mostrare al Cremlino come «trattare» i ribelli al regime di Assad: efficienza, mano pesante, risolutezza senza badare alle vittime civili. Successi importanti contro un avversario deciso ma armato poco e male, diviso in fazioni, con appoggi esterni relativi. Un teatro ben diverso da quello ucraino, dove deve misurarsi con combattenti tenaci, sostenuti dalla Nato
Nativo di Novosibirsk, 55 anni, già responsabile delle forze aerospaziali, è stato proiettato ancora più in alto dalle necessità russe. L’Armata si è impantanata, ha rivelato problemi resi ancora più evidenti dalle mosse dell’avversario. Tante le sconfitte – parziali – dalla terra al mare. Le umiliazioni hanno ferito l’orgoglio nazionale e acceso ancora di più lo spirito nazionalista.
Da giorni nei cieli di Mosca volano i falchi, come Kadyrov e Prigozhin. Parlano in prima persona prendendo di mira le gerarchie, usano i loro canali paralleli per suggerire epurazioni. In queste ore hanno rilanciato persino degli organigrammi possibili, mutamenti in vista o persino già approvati. Alla Difesa, al posto di Sergei Shoigu, dovrebbe andare Aleksey Dyumin, ex responsabile della Guardia di Putin, già membro delle forze speciali e attuale governatore di Tula.
Lo Stato Maggiore – è la tesi dei wagneriti – deve andare al generale Matouvnikov, già numero due delle forze terrestri, «cresciuto» nelle unità scelte del Kgb/Fsb. Qualche «sovietologo» guarda con scetticismo a queste indiscrezioni e ribatte: Shoigu è parte del sistema, rappresenta una fazione importante, mentre Valerij Gerasimov incarna l’establishment in divisa, possibile che Putin non sia pronto a sacrificarli e se ne serva come parafulmini.
Da qui destituzioni o spostamenti di almeno 8 alti gradi a partire da febbraio, con alcuni rimasti in carica poche settimane e una decina caduti sotto il fuoco della battaglia. Ora il neo-zar ha scelto il «normalizzatore» Surovikin nella speranza di rilanciare la missione puntando su un logoramento degli ucraini e sulla massa di soldati mobilitati.
Un analista ha affermato che il generale potrebbe affidarsi al vecchio sistema che privilegia la quantità alla qualità, convinto che alla fine Zelensky «finirà le munizioni» e gli invasori riempiranno il vuoto avanzando
(da agenzie)

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